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1.3. Alcune teorie sociologiche sul suicidio

1.3.1. Prime riflessioni sociologiche: la statistica morale e l’opera d

I primi studi sul suicidio ebbero inizio nel periodo illuminista, nel contesto delle teorie criminologiche basate prevalentemente su aspetti giuridici che, con l’avvento del positivismo, andarono tuttavia gradualmente mutando in una prospettiva maggiormente “sociale”. Si osservò, conseguentemente,

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una maggiore concentrazione dell’interesse degli studiosi sulle motivazioni che avrebbero potuto spingere il soggetto a suicidarsi.

Si fece quindi pressante la necessità di studiare i fenomeni sociali attraverso analisi scientifiche empiriche. I primi studi statistici per l’analisi di fatti sociali vennero condotti verso la metà del XIX secolo: scopo ultimo era il tentativo di spiegare le cause profonde di tali eventi prendendo per la prima volta in considerazione l’ambiente sociale in cui questi si realizzavano. Vennero chiamati “statistici morali” i primi studiosi che, per spiegare fenomeni sociali, utilizzarono dati statistici e demografici: variabili quali sesso, religione età, professione ed altri caratteristiche dell’individuo sociale furono per la prima volta presi in esame.

Nella seconda metà dell’Ottocento Enrico Morselli, autorevole esponente della statistica morale, fu il primo studioso ad intraprendere una ricerca significativa sul suicidio.

Egli partì dal presupposto, comune agli statistici morali, che il suicidio, alla stregua di ogni altro fenomeno sociale, è la conseguenza di accadimenti avvenuti in periodi antecedenti e pertanto risponde a leggi e specifiche influenze derivanti dalla società.

Lo studio del suicidio pertanto si distaccò per la prima volta dalla prospettiva religiosa e superstiziosa per assumere connotazioni di tipo prevalentemente psicologico e sociale.

In tal senso divenne di fondamentale importanza l’uso della statistica, intesa come strumento che permetteva di raccogliere i fatti sociali per presentarli sotto un comune denominatore.

Morselli nella sua opera parte dalla definizione di suicidio inteso come “un atto volontario (non libero) che muove da un processo logico, di cui certamente in molti casi restano ignote le premesse; esso è la manifestazione estrinseca di un fenomeno di coscienza che sfugge, perché la statistica non si estende al di là dei caratteri esterni dell’avvenimento; che però consente la possibilità di risalire dalle note obiettive alla

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subbiettività psichica di lui”. Evidente è la cautela dello studioso riguardo l’utilizzo dei metodi statistici che, pur considerati mere registrazioni dei fatti, consentirebbero comunque, attraverso l’utilizzo di determinate variabili, l’individuazione di aspetti significativi al fine di tentare la formulazione di ipotesi esplicative del fenomeno.35

L’opera del Morselli evidenzia una concezione del suicidio fortemente influenzata dalla teoria dell’evoluzionismo darwiniano e dell’evoluzione sociale essendo tale gesto considerato come un atto dell’evoluzione, legittimo e necessario per la sopravvivenza e la selezione umana operanti, a loro volta, secondo la legge di evoluzione dei popoli civili.36

Morselli opera poi un confronto del suicidio con l’omicidio, considerati entrambi atti da iscrivere nel più ampio contesto dei comportamenti legati alla lotta per l’esistenza.

Egli considera sia l’omicida che il suicida come soggetto degenerato individuando la principale differenza tra i due comportamenti nell’ambiente in cui viene posta in essere l’azione: nelle civiltà primitive l’elemento più debole veniva individuato ed eliminato attraverso l’omicidio mentre nella società moderna il medesimo risultato viene raggiunto con il suicidio. Lo studioso giunge infine a ipotizzare che, nell’ottica dei numerosi e differenti bisogni dell’uomo civile, il criminale che non potrà appagarli ruberà o ucciderà, mentre colui in cui “…l’educazione instillò il sentimento del dovere…troncherà colle proprie mani il filo dell’esistenza. Il risultato finale è il medesimo: ambedue sono inetti, sono deformi ed usciranno dal combattimento per una via diversa, ma identica nell’effetto: questi col suicidio, quegli col bagno o colla ghigliottina”.37

35 Mangone E. (2009), Negazione del Sè e ricerca di senso. Il suicidio tra dato empirico e

rappresentazione, FrancoAngeli, Milano.

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ibidem

37 Morselli E. (1879), Il Suicidio, Saggio di statistica morale comparata, Fratelli Dumolard,

Milano citato da Mangone E. (2009), Negazione del Sè e ricerca di senso. Il suicidio tra dato

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Dai dati raccolti con la ricerca del Morselli emerse una significativa differenza tra i tassi suicidari delle popolazioni residenti in aree urbanizzate rispetto a quelle della campagna : quale ipotesi esplicativa del primato dei primi egli considerò il senso di sradicamento ed alienazione caratterizzanti la vita di città.

Relativamente alle regole morali ed alla fede religiosa, lo studioso constatò la loro notevole importanza in relazione ad una migliore comprensione del fenomeno del suicidio.

Egli infatti partendo dall’assunto che la mente umana è fortemente influenzata dalla fede religiosa individuò nel deterioramento del sentimento religioso la causa fondamentale dell’incremento dei suicidi registrata nel periodo di transizione tra l’Idealismo ed il Positivismo.38

E’ evidente la netta distinzione tra i paesi di fede Cristiana quali Spagna, Italia, Portogallo e quelli di fede Protestante come la Prussica, la Danimarca o la Sassonia. Nei primi, infatti, la netta condanna dei suicidi nell’epoca del Morselli poteva sicuramente rappresentare un importante fattore di contenimento del fenomeno. I tassi di suicidio più alti riscontrati tra i Protestanti potrebbero invece esser riconducibili ad una maggiore importanza attribuita da tale fede religiosa al pensiero riflessivo ed alla individualità rispetto alla collettività con una conseguente condanna meno aspra dell’atto suicidario.

Altro fattore considerato assai importante dal Morselle fu l’istruzione. I dati raccolti dallo studioso evidenziarono infatti tassi più alti tra i paesi più colti, come all’epoca potevano considerarsi le popolazioni germaniche, ed in ogni caso tra le classi più istruite.

In conclusione si può comunque affermare che il lavoro di Morselli rappresenta un primo importante tentativo di esaminare il suicidio attraverso l’utilizzo di metodi statistici ed il conseguente tentativo di

38 Mangone E. (2009), Negazione del Sè e ricerca di senso. Il suicidio tra dato empirico e

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individuare variabili che possano aiutare i ricercatori nella formulazione di ipotesi esplicative del fenomeno.