Il suicidio rappresenta spesso la causa più comune di morte nelle carceri malgrado gli istituti penitenziari abbiano l’obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti.
In Italia91 dal 1990 al 2010 tra la popolazione carceraria ci sono stati 1093 suicidi in 21 anni.
Di seguito riporto il grafico elaborato dal centro studi di Ristretti Orizzonti relativo ai dati forniti dal Dipartimento Amministrazione Penitenziaria:
- 1 suicidio ogni 20.000 abitanti in Italia; - 1 suicidio ogni 924 detenuti;
- 1 suicidio ogni 283 detenuti in regime di 41-bis; - 1 tentato suicidio ogni 70 detenuti;
- 1 atto di autolesionismo ogni 10 detenuti; - 1 sciopero della fame ogni 11 detenuti; - 1 rifiuto di terapie mediche ogni 20 detenuti.
91 Fonte dei dati dei grafici di seguito riportati è il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria –
75 Anni Presenza media annua di detenuti Detenuiti suicidi nell’anno Tasso suicidi per 10.000 detenuti Tentati suicidi Tasso tentati suicidi per 10.000 detenuti 1990 31.676 23 7,26 489 154,37 1991 31.169 29 9,30 516 165,54 1992 44.134 47 10,64 531 120,31 1993 50.903 61 11,98 670 131,62 1994 52.641 51 9,68 639 121,38 1995 50.448 50 9,91 868 172,05 1996 48.528 46 9,47 709 146,10 1997 49.306 55 11,15 773 155,97 1998 49.559 51 10,29 933 188,26 1999 51.072 53 10,37 920 180,01 2000 53.322 61 11,40 892 167,28 2001 55.193 69 12,52 878 159,07 2002 55.670 52 9,35 907 163,62 2003 55.432 57 10,28 859 154,08 2004 55.750 52 9,33 713 127,89 2005 57.796 57 9,87 750 129,76 2006 49.264 50 10,16 640 129,61 2007 44.233 45 10,17 610 137,90 2008 51.167 46 8,99 683 133,48 2009 61.803 72 11,64 860 139,15 2010 66.200 66 9,96 1.134 171,29 Totali (Media) 49.329 1.093 10,18 15.974 149,95
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La successiva tabella riporta i dati relativi al numero complessivo di detenuti morti e di quelli che si sono suicidati:
Anni Suicidi Totale morti
2000 61 165 2001 69 177 2002 52 160 2003 56 157 2004 52 156 2005 57 172 2006 50 134 2007 45 123 2008 46 142 2009 72 177 2010 66 184 2011* 42 120 Totale 668 1.866
* Aggiornamento all'8 agosto 2011
I detenuti nelle carceri italiane si suicidano con una frequenza circa 19 volte maggiore rispetto agli individui liberi.
Nella fascia d’età compresa tra i 20 ed i 30 anni, che rappresenta il 36% del totale dei detenuti, si verifica circa un terzo dei suicidi mentre in quella fra i 30 ed i 40, corrispondente al 27% della popolazione carceraria, ne vengono commessi più di un quarto. Conseguentemente il suicidio tra i ventenni è
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più frequente di quello dei trentenni. Le altre fasce d’età non presentano percentuali di suicidi molto diverse da quelle del totale dei detenuti.
A togliersi la vita sono più i detenuti italiani rispetto agli stranieri. La presenza di questi ultimi rappresenta infatti circa il 30% dell’intera popolazione carceraria con una corrispondente percentuale di suicidi di circa il 16%. Tale dato potrebbe tuttavia risultare sottostimato, tenendo conto delle maggiori difficoltà nel raccogliere notizie sui decessi relativi ai detenuti stranieri a causa della loro scarsa rete di sostegno (legali, parenti, amici ecc.) che potrebbe permettere una più puntuale ricostruzione dei fatti.92
Anche il numero complessivo dei suicidi in carcere è probabilmente sottostimato: esemplificativo potrebbe essere i casi di detenuti che, dopo aver tentato di uccidersi all’interno dell’istituto, muoiono in ambulanza o in ospedale. Tali decessi non verrebbero infatti annoverati tra gli atti suicidari carcerari.
Altro aspetto statisticamente fuorviante, consiste nella tendenza da parte dell’’amministrazione penitenziaria a classificare quali “eventi accidentali” fatti dolosi in cui vi era coscienza e volontà di porre in essere quel dato comportamento.
A titolo esemplificativo basti pensare a quei detenuti che si drogano inalando del gas dalle bombolette per la cottura dei cibi: nei casi in cui sopraggiunge la morte, l’Amministrazione la considera sempre un atto non volontario anche se spesso potrebbe trattarsi di un vero e proprio suicidio. A tal proposito, riguardo l’intenzionalità dell’atto suicida, occorre evidenziare come non sempre, dietro i suicidi in carcere, ci sarebbe una effettiva volontà di "farla finita". Alcuni possono esser considerati la drammatica conclusione di finti suicidi tesi ad ottenere sconti di pena, trasferimenti in Ospedali Psichiatrici Giudiziari, o in comunità. Tali detenuti cominciano spesso questo percorso attraverso la commissione di
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episodi autolesionistici, sino ad indebolirsi a tal punto, da non riuscire più a controllare il finto atto che può avere quindi esito fatale.
I fattori di rischio suicidari della popolazione carceraria sono relativi ai seguenti gruppi maggiormente vulnerabili:
- persone con disturbi mentali;
- soggetti con problemi di abuso di sostanze stupefacenti; - individui socialmente isolati;
- soggetti con storie di precedenti comportamenti
suicidari o che hanno comunicato eventuali intenti suicidari;
- persone sottoposte a trattamento psicofarmacologico durante il regime detentivo;
- individui che hanno perpetrato reati ad alto indice di violenza.
Tipologie di suicidio
1. Il suicidio-fuga
Le terribili condizioni psicofisiche che lo stato di detenzione determina nei soggetti detenuti, possono rappresentare di per sé la causa scatenante il gesto suicida. Questo può essere infatti percepito come unica possibile ed autonoma via di fuga da una vita ed una realtà opprimenti e soverchianti. In una situazione di perdita di identità ed estrema solitudine interiore, l’atto suicida rappresenterebbe l’unica possibilità di essere con se stessi, avere una propria autonomia progettuale, anche se finalizzata alla morte.
Un riappropriarsi della vita tramite l’atto suicida con la convinzione di poter così trovare la propria pace.
79 2. Il suicidio-vendetta, minaccia, ricatto
In tal caso, quella del suicidio rappresenta la forma di trasgressione estrema.
A livello psicologico esprime una evidente intenzione etero-aggressiva anche se realizzata attraverso l’annientamento del proprio corpo. Il senso di isolamento ed il sentirsi disprezzato e dimenticato dalla famiglia, dalle istituzioni e, più in generale, dalla comunità, determinano la nascita di un sentimento di odio ed una voglia di rivalsa nei confronti di tutti.
Sovente, questa tipologia suicidaria presenta una finalità utilitaristica rientrando, pertanto, con maggiore frequenza nella casistica dei “tentati suicidi”.
Il detenuto utilizzerebbe quindi il proprio corpo quale mezzo estremo per vedere soddisfatte le proprie esigenze.
Il gesto suicida rappresenterebbe quindi un tentativo manipolativo piuttosto che il risultato di una reale intenzione di porre fine alla propria vita.
3 Il suicidio per coscienza-vergogna
In tale fattispecie il comportamento suicida non rappresenterebbe una fuga dalla pena o dalle avverse condizioni carcerarie bensì dal proprio reato e dalle difficoltà nel riconoscerne le motivazioni. Il peso più grave sarebbe quello dei propri rimorsi e delle proprie responsabilità.
Relativamente alle morti di detenuti per "cause naturali", la media annuale nelle carceri italiane è di oltre 100 soggetti deceduti.
Di questi decessi raramente i giornali danno notizia. Le cause di morte più comuni sono l’infarto, le complicazioni di una patologia trascurata o, in alcuni casi, il decesso avviene al termine di un lungo periodo di deperimento causato da malattie croniche o da scioperi della fame.
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A tal proposito occorre evidenziare come le norme sul differimento della pena per le persone gravemente ammalate (art. 146 e art. 147 c.p.) vengano applicate dai tribunali in modo poco omogeneo e, spesso la scarcerazione non viene concessa malgrado il pessimo stato di salute, essendo il detenuto considerato ancora pericoloso.
In merito ai decessi per "cause non chiare" e per overdose si distinguono i casi in cui la causa di morte è poco circostanziata e pertanto le indagini dei magistrati spesso si concludono con l’archiviazione, da quelli in cui gli inquirenti ravvedono elementi tali da far sospettare che la morte sia stata causata da maltrattamenti subiti da agenti o da altri detenuti.
Nella prima casistica, la più numerosa, anche i giornali utilizzano una terminologia assai vaga e generica: “arresto cardiocircolatorio”, “malore”, “insufficienza cardiovascolare” ecc.
Rientrano inoltre in tale tipologia, oltre i casi di patologie non diagnosticate o preesistenti ma curate male o addirittura non trattate, i collassi determinati da un eccessivo uso di farmaci, le overdose da sostanze stupefacenti, a volte assunte in fatali combinazioni con alcol, e le intossicazioni da inalazione del GPL contenuto nelle bombole da campeggio che spesso i detenuti dispongono per cucinare del cibo.
Di fronte a tali eventi drammatici, poche persone se la sentono di rilevare eventuali elementi che chiariscano meglio la dinamica dei decessi, come ad esempio mancanze o colpe degli agenti o degli stessi compagni detenuti, sperando che con il passare del tempo il caso venga dimenticato.
La seconda casistica è rappresentata dai decessi per i quali vi sono fondati sospetti che le relative cause siano attribuibili a maltrattamenti da parte di agenti o detenuti stessi. Tuttavia pur essendovi delle possibilità che si possa trattare di omicidi, finché non sarà conclusa l’inchiesta da parte della
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Magistratura, tali decessi saranno considerati a tutti gli effetti avvenuti “per cause naturali”.
Pertanto anche i dati statistici del Ministero della Giustizia sopra riportati, relativi agli omicidi commessi nelle carceri italiane possono presentare una certa sottostima.
Appare pertanto evidente come, nel contesto carcerario, possano esser definite “sospette” alcune morti di soggetti detenuti: è infatti possibile ipotizzare, per alcuni casi, omicidi mascherati da suicidi o da “cause non chiare” o da overdose e decessi la cui cause vengono classificate come “morti naturali” o “accidentali” allo scopo di mascherare effettivi suicidi.. A tal proposito, il Centro studi di Ristretti Orizzonti, in un comunicato stampa93 attraverso il dossier “Morire di carcere”, ricostruisce numerose vicende sospette di detenuti morti “…”per infarto” con la testa spaccata, “per suicidio” con suicidio con ematomi e contusioni in varie parti del corpo…” o di lettere ritrovate contenenti progetti per il futuro, apparentemente troppo lontani dall’idea di farla finita come invece accaduto.
In tali ipotesi, a livello investigativo, oltre agli accertamenti tecnici del caso, lo svolgimento di un’autopsia psicologica può risultare di notevole utilità. Questa andrà condotta con particolare attenzione soprattutto in riferimento ai soggetti più significativi per il detenuto deceduto, facenti parte del contesto carcerario (compagni di cella, agenti penitenziari, medico dell’Istituto, volontari ecc.). Infatti, per tali casi, vi è sempre il rischio di inesattezza, incompletezza o falsità delle informazioni fornite dovuto ad omertà, depistagli per interessi personali o eventuali coinvolgimenti e/o responsabilità di natura dolosa, colposa o preterintenzionale. In merito all’assunzione di informazioni presso i familiari o persone affettivamente
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significative al di fuori del contesto penitenziario, particolarmente utili potrebbero rilevarsi lettere spedite dal soggetto deceduto, nell’imminenza della sua morte.