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fondamento dell’optio legis e del pieno esercizio delle libertà comunitarie

5.1 Il principio di prossimità

Il principio di prossimità privilegia la legge del paese con cui il contratto presenta il legame più stretto. Tal principio trova la sua origine nelle teorie americane, che convergono sull’opportunità di far variare la soluzione

85 V. R. CLERICI, Quale favor per il lavoratore nel Regolamento “Roma I”?, in G. VENTURINI, S.

BARIATTI (a cura di), Nuovi strumenti del diritto internazionale privato, New Instruments of

Private International Law, Nouveaux instruments du droit international privé, Liber Fausto pocar, Milano, 2009, p. 215 ss.

del conflitto di leggi in funzione del contenuto materiale delle regole di conflitto; tuttavia, il diritto internazionale privato continentale, dai tempi di Savigny, ha sempre proceduto sulla base di un metodo più squisitamente dogmatico, muovendosi, cioè, su grandi categorie giuridiche astratte. Infatti, la convenzione di Roma, così come il regolamento (seppur con alcune significative differenze), pongono un criterio generale di collegamento per la categoria dei contratti, accanto ad una serie di sotto-criteri cui fare riferimento a cascata, per esclusione o per alternativa. In seno a questa struttura, il primo strumento di limitazione della flessibilità è rappresentato proprio dall’ampia libertà lasciata alle parti dall’art. 3 (sia nella convenzione che nel regolamento): prevedendo che i contraenti possano stabilire la legge applicabile a tutto o a parte del contratto, tale norma garantisce dal rischio insito nella flessibilità della norma sulla determinazione oggettiva del diritto applicabile86. A conferma della nostrana propensione per la rigidità della

norma di conflitto, il regolamento ha, poi, introdotto una penetrante modifica all’art. 4, il quale fornisce (con riferimento a tutti quei contratti che non rientrino nelle ipotesi speciali previste dagli articoli successivi) i criteri di identificazione della legge applicabile in mancanza di scelta. La versione originaria di questa norma individuava nel riferimento al legame più stretto con un paese diverso da quello indicato dai criteri espliciti di cui ai paragrafi precedenti, il primo criterio di collegamento da applicare in mancanza di scelta. Nel passaggio da convenzione a regolamento, tale criterio è stato chiaramente ‘declassato’ a criterio residuale: se nell’art. 4 della convenzione era, tradizionalmente, al primo posto, nel regolamento si trova solo all’ultimo. Così facendo, il regolamento ha significativamente ridotto la flessibilità della regola di conflitto, allontanandosi ulteriormente dal modello americano.

Nel caso particolare del contratto di lavoro, tale criterio ha sempre svolto una funzione residuale; sia la Convezione (art. 6, par. 3), che il regolamento (art. 8, par. 4), hanno individuato, con formulazione analoga, il

86 F. POCAR, La trasformazione della convenzione in regolamento: da normativa flessibile a

normativa rigida?, in Il nuovo diritto europeo dei contratti: dalla convenzione di Roma al regolamento “Roma I”, Milano, 2007, p. 90.

criterio della legge del paese con cui il contratto presenta un legame più stretto, prevedendo che ad esso si faccia ricorso solo se, sulla base di una valutazione fattuale, “dall’insieme delle circostanze risulta che il contratto presenti un collegamento più stretto con un paese diverso da quello indicato ai paragrafi” precedenti (v. § ….). Se questo approccio è la regola nel diritto internazionale privato americano, nel nostro diritto internazionale privato, il ricorso al criterio del collegamento più stretto è, come detto, soltanto residuale. La flessibilità della norma di conflitto è, dunque, ammessa, ma si caratterizza per un margine di operatività molto più limitato rispetto a quello concesso dal sistema d’oltreoceano.

L’ipotesi del contratto di lavoro merita però un’ulteriore riflessione sulla questione flessibilità/rigidità. La finalità protettiva sottesa alla norma che individua i criteri di collegamento da applicarsi a tale fattispecie in mancanza di scelta giustifica il mantenimento del carattere residuale del criterio del legame più stretto: lo scopo alla base di questa scelta è, infatti, quello di garantire al massimo la prevedibilità della legge applicabile attraverso il ricorso a criteri di collegamento essenzialmente rigidi, che non lasciano troppo spazio all’interpretazione del giudice. In realtà, però, la rigidità delle regole di conflitto relative al contratto di lavoro è meno intensa di quella che caratterizza le ipotesi generali. Gli artt. 6, par. 1, della convenzione e 8, par. 1, del regolamento, contengono, infatti uno strumento aggiuntivo di flessibilità. Va, tuttavia, precisato che quella ammessa da tali disposizioni non è la flessibilità ordinaria (ed aleatoria) della versione originaria dell’art. 4, ma una flessibilità, per così dire, “buona”. Essa non determina la contemplazione della legge più strettamente collegata alla fattispecie tout court (prevista, peraltro, solo come extrema ratio), ma, secondo un altro tipo di logica, consente al giudice di integrare la legge scelta dalle parti con le norme imperative della legge applicabile in mancanza di scelta in base ai par. 2, 3 e 4 del medesimo articolo. Di fatto, si prevede una possibilità in più che la legge applicabile (più correttamente, parte di essa, trattandosi solo delle norme imperative) venga individuata sulla base del criterio del collegamento più stretto, rimettendo alla

discrezionalità del giudice la selezione della legge con cui, effettivamente, sussista tale legame.

Sulla base di queste riflessioni, alcuni autori sostengono che la disciplina del contratto di lavoro (insieme a quella del contratto concluso dal consumatore) sia quella più distante dalla tendenza generale e, di conseguenza, quella più prossima all’empirismo americano, pur se solo da un punto di vista tecnico e non per quanto attiene alle finalità.

Il meccanismo sin qui descritto ha per effetto quello di limitare la prevedibilità (seppur solo in parte), a vantaggio dell’applicazione di norme più favorevoli per la parte debole del rapporto: l’interesse alla protezione prevale su quello del contraente alla certezza del diritto.

Più in generale, alcuni autori87 sostengono che la flessibilità delle

soluzioni avrebbe il merito di favorire un’armonizzazione a livello globale, in quanto creerebbe precedenti giurisprudenziali che potrebbero essere seguiti in più paesi, mentre questo tipo di sviluppo è da escludersi in presenza di criteri rigidi. La scelta a favore di una normativa fondata su criteri rigidi sarebbe soddisfacente solo apparentemente per il mercato interno, sul quale produrrebbe piuttosto effetti negativi: infatti, la rigidità su cui è costruito il regolamento esclude a priori qualunque soluzione di compromesso fra sistemi di diritto civile e sistemi di common law. La dottrina sopra richiamata aveva annunciato che lo sbilanciamento a favore dei sistemi di diritto civile avrebbe potuto indurre i paesi di common law membri della Comunità (Irlanda e Regno Unito) a non accettare la nuova normativa, come è, del resto, loro consentito dal Trattato di Amsterdam. La previsione si è in parte realizzata88: il

considerando n. 45 del regolamento specifica, infatti, che – a differenza dell’Irlanda – il Regno Unito si è avvalso (per la prima volta) della facoltà di non aderire89.

87 F. POCAR, op.ult.cit., p. 91.

88 Fino al regolamento, né l’Irlanda né il Regno Unito si erano mai avvalsi della facoltà

riconosciuta dal Trattato di Amsterdam di non aderire agli strumenti di comunitarizzazione del diritto internazionale privato in materia di cooperazione civile.

89 Secondo F. POCAR, op.ult.cit., p. 91, questa circostanza determina un annullamento del

risultato raggiunto dalla convenzione di Roma (la regolamentazione comune all’interno della Comunità): da ciò deriverebbero una riduzione dell’acquis communautaire in questa materia,