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Il problema della dimensione della cella

Nel documento relazione annuale delle attività svolte (pagine 31-39)

La L. n°354/1975, in proposito, non fornisce regole precise.

Art.6 O.P.: Locali di soggiorno e di pernottamento

- I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura;

aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia.

- I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti.

- Particolare cura é impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti.

- Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo consenta.

- Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.

Come parametro di riferimento della camera di pernottamento, l’Amministrazione penitenziaria ha quindi adottato la misura ‘standard’ fissata dall’art. 2 del Decreto del Ministero della Salute del 5 luglio 1975, valevole per le sole ‘stanze da letto’ di civile abitazione: questo, anche se nelle celle si svolge in realtà l’intera vita del detenuto.

Decreto ministeriale Sanità 5 luglio 1975

Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione (G.U. n°190 del 18 luglio 1975)

Art. 2

Per ogni abitante deve essere assicurata una superficie abitabile non inferiore a mq 14, per i primi 4 abitanti, ed a mq 10, per ciascuno dei successivi.

Le stanze da letto debbono avere una superficie minima di mq 9, se per una persona, e di mq 14, se per due persone.

Ogni alloggio deve essere dotato di una stanza di soggiorno di almeno mq 14.

Le stanze da letto, il soggiorno e la cucina debbono essere provvisti di finestra apribile.

Il problema della dimensione della cella

In materia, è intervenuto il diritto comunitario.

Il principale riferimento a livello europeo per stabilire quale sia la capienza regolamentare di una cella viene dalle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) che hanno incorporato le raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene e Trattamenti Inumani e Degradanti (CPT: organismo istituito in seno al Consiglio d’Europa in virtù della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ratificata dall’Italia con Legge 2 gennaio 1989, n. 7).

Sebbene il criterio indicato dal Comitato per la Prevenzione della Tortura e delle Pene o Trattamenti inumani o degradanti nel 2° Rapporto generale del 13.04.1991 sia di almeno 7 mq., inteso come superficie minima

“desiderabile” per una cella di detenzione, tuttavia nelle pronunce della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Sulejmanovic v./Italia del 16 luglio 2009 e Torreggiani v./Italia dell’8 gennaio 2013), la Corte di Strasburgo ha ritenuto che il parametro dei 3 mq. debba essere ritenuto il minimo consentito al di sotto del quale si avrebbe violazione “flagrante” dell’art. 3 della Convenzione e dunque, per ciò solo, “trattamento disumano e degradante”.

Questo, indipendentemente dalle altre condizioni di vita detentiva (afferenti in particolare le ore d’aria disponibili o le ore di socialità, l’apertura delle porte della cella, la quantità di luce e aria dalle finestre, il regime trattamentale effettivamente praticato in istituto).

In sostanza, oggi i giudici di Strasburgo affermano che qualsiasi pena che comporti il sacrificio di altri diritti fondamentali oltre la soglia preventivamente determinata, rende la pena disumana e degradante e quindi illegale nella sua esecuzione.

Su questa nuova linea interpretativa si collocano anche due recenti prese di posizione giurisprudenziali provenienti dagli Stati Uniti (Corte suprema) e dalla Germania (Corte costituzionale federale): in entrambi i casi viene stabilito l’obbligo per lo Stato di rinunciare all’esecuzione della pena in carcere quando lo stesso non sia in grado di garantire nei luoghi di pena condizioni rispettose dei diritti dei detenuti e quindi della dignità umana.

I primi effetti dell’intervento censorio della Corte europea dei diritti dell’uomo sono stati immediati.

A ridosso della sentenza della Corte europea, il Tribunale di Sorveglianza di Venezia con ordinanza del 13.2.2013 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 147 c.p., nella parte in cui la norma non prevede, tra le ipotesi di differimento facoltativo della pena, il caso in cui questa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità, ma la questione è stata dichiarata inammissibile dalla Consulta con propria sentenza n.279 del 9 ottobre 2013.(All. n. 14)

Attualmente, gran parte delle celle dei nostri Istituti penitenziari sono comprese tra i 7,5 mq e i 9 mq e spesso sono occupate da più di 3 persone.

Innegabile la trasformazione e il senso di sollievo che molte persone detenute hanno manifestato. Ma il recupero dello spazio, spesso poi limitato al passeggio in corridoi, non può non essere riempito dalle attività

che ogni istituto, con l’aiuto del volontariato, dell’associazionismo e degli enti locali , dovrà assicurare, perché molte sono anche le perplessità legate ad una mera apertura delle celle che pone in una situazione a volte improvvisa di promiscuità persone non abituate a stare insieme, a volte timorose di contatti umani che scontano la difficoltà di avvenire comunque in luoghi di detenzione.

L’offerta di lavoro è ancora modesta rispetto a quello che dovrebbe essere, poche le attività davvero imprenditoriali o comunque provenienti dall’esterno, poche le risorse destinate al lavoro alle dipendenze dell’amministrazione.

La differenziazione dei circuiti e quindi la maggior omogeneità delle persone detenute dovrebbe nel tempo consentire di affrontare il tema del trattamento di categorie rispetto alle quali è prevalso un approccio solo sicuritario, come per i detenuti in regime di alta sicurezza e gli autori di violenza sessuale, non esclusi affatto dall’intervento rieducativo e, i secondi,anche destinatari di una particolare osservazione della personalità . Da ultimo è intervenuto ancora sul piano normativo il Decreto legge n. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014 n.10, recante misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, con finalità deflattive ma anche di sistema.

Questo decreto è, con ogni probabilità, l’ultimo intervento che cercherà di incidere sul sovraffollamento prima del maggio 2014, a meno che non intervenga un provvedimento di amnistia e indulto che appare, nonostante i miglioramenti e la riduzione della popolazione detenuta, l’unica strada per riportare “a norma”

il sistema penitenziario con riferimento al numero dei posti disponibili.

Si può però affermare che alcune novità introdotte, anche con la precedente L. n.94/2013, possono far ritenere più difficile un ritorno a livelli di sovraffollamento come in passato.

L’ampliamento della possibilità di ricorrere a misure alternative, ampliando il limite di pena residua da scontare da 3 a 4 anni, come per l’affidamento in prova al servizio sociale, la cancellazione di preclusioni per l’accesso ai tossicodipendenti, la nuova disciplina della sospensione dell’ordine di carcerazione, l’aver mitigato gli effetti preclusivi della recidiva, la nuova disciplina dell’espulsione degli stranieri, l’abbassamento della pena per l’ipotesi di piccolo spaccio sono alcune delle novità che dovrebbero andare nel senso di una riduzione degli ingressi.

In particolare il decreto interviene modificando la normativa in tema di stupefacenti, e prevede:

Art.2 - Modifiche al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di

tossicodipendenza. Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità:

1. Al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 73, il comma 5 e’ sostituito dal seguente comma: “5. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000

Il problema della dimensione della cella

a euro 26.000.”;

b) all’articolo 94, il comma 5 e’ abrogato.

1bis. All’articolo 380, comma 2 lett h), del codice di procedura penale, le parole “salvo che ricorra la circostanza prevista dal comma 5 del medesimo articolo” sono sostituite dalle seguenti: “salvo che per i delitti di cui al comma 5 del medesimo articolo”.

1 ter. All’articolo 19, comma 5, delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.448, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “,salvo che per i delitti di cui all’articolo 73, comma 5, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.309, e successive modificazioni”.

Altra modifica importante, che potrebbe avere effetti deflattivi o meglio potrebbe impedire l’ingresso di persone condannate in carcere mediante l’accesso alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 O.P., riguarda l’innalzamento da tre a quattro anni del limite di pena anche residua per chiedere il beneficio (art. 3 co.8 punto c).

Cosi la modifica dell’art. 94 D.P.R. 309/1990, introdotta in sede di conversione, di eliminare il divieto di reiterata concessione dell’affidamento “terapeutico” ai tossicodipendenti, tende a favorire la sottoposizione degli stessi ad appropriati programmi di recupero, evitando la carcerizzazione, ancora massiccia, di persone che dovrebbero essere destinatarie prima di tutto di interventi di tipo sanitari e rispetto alle quali non sono state attuate, se non in minima misura, le sezioni a custodia attenuata di cui all’art. 115 co.2 DPR 230 /2000.

Da ricordare la stabilizzazione dell’istituto della detenzione domiciliare speciale per pene detentive non superiori a 18 mesi e la previsione della liberazione anticipata speciale per due anni dall’entrata in vigore del decreto. Ai condannati che, a decorrere dal 1 gennaio 2010, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, che consiste nella concessione di uno sconto di gg. 45 per ogni semestre di buona condotta, viene riconosciuta una ulteriore detrazione di gg. 30, purché abbiano dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione.

Ancora vanno ricordate le modifiche in tema di legge sull’immigrazione (art. 6) per favorire le espulsioni dei detenuti non appartenenti all’UE, ampliando i casi in cui deve essere disposta dal magistrato di sorveglianza e incidendo sulla celerità delle necessarie procedure di identificazione (si rimanda all’approfondimento il carcere degli stranieri).

Per l’introduzione del Garante nazionale si rimanda alla lettura delle proposte di legge contenute nella precedente relazione (pag.29 e segg.); dell’art. 7 del decreto legge 146 del 2013, modificato dalla legge di conversione n.10 del 21 febbraio 2014 (all.2) a quanto rilevato dai Garanti e segnalato al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (all.3).

Per le modifiche intervenute in tema di reclamo si reinvia alla lettura del cap.3 - Parliamo di: “i diritti dei detenuti: a chi competono” pag. 88.

Al momento della redazione della relazione il D.L. 146/2013 è stato convertito con L. 21 febbraio 2014 n.10. (all.2)

E’ all’esame del Senato il ddl S.925 in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del diritto sanzionatorio in particolare riferimento le disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili. http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/41545.htm

Il 12 febbraio sono iniziati, in commissione giustizia del Senato, l’esame dei disegni di legge:

S. 20 e connessi in tema di concessione di amnistia e indulto - http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/39317.htm S. 10 in merito all’introduzione del reato di tortura nel codice penale - http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/

Ddliter/39308.htm

Sono terminati i lavori delle tre Commissioni ministeriali nominate dal precedente Ministro della Giustizia:

Commissione di Studio “Palma” in tema di interventi in materia penitenziaria – D.M. 13 giugno 2013 - Documento finale dei lavori della Commissione Ministeriale per le questioni penitenziarie “ Palma”

Commissione di Studio “Palazzo” in tema di sistema sanzionatorio penale – D.M. 10 giugno 2013

Documento finale dei lavori della Commissione Ministeriale per la riforma del sistema sanzionatorio penale “Palazzo” - Proposta della Commissione “Palazzo” sul superamento dell’ergastolo ostativo

Commissione di Studio “Giostra” in tema di ordinamento penitenziario e misure alternative – D.M. 2 luglio 2013 Documento finale dei lavori della Commissione Ministeriale su ordinamento penitenziario e misure alternative “Giostra”.

Comunicato stampa 28/08/2013

Carcere. Dichiarazione della Garante regionale in seguito alla conversione in legge del decreto “svuotacarceri”

In seguito alla conversione in Legge del D.L. 78/2013, contenente una serie di misure in materia di esecuzione della pena, volte a fronteggiare il sovraffollamento carcerario, Desi Bruno, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive o limitative della libertà personale della Regione Emilia-Romagna, esprime le seguenti valutazioni.

“La nuova legge manda indubbiamente dei segnali positivi. Tuttavia custodia cautelare, tossicodipendenza, immigrazione e carenza di risorse restano i nodi ineludibili della questione carceraria. Servono amnistia, indulto e riforme strutturali. L’innalzamento da 4 a 5 anni del limite edittale poter emettere ordinanza di custodia cautelare rappresenta certamente un buon segnale, ma non risolverà l’anomalia tutta italiana di una percentuale di detenuti non definitivi che supera il 40% della popolazione detenuta. Troppo spesso l’utilizzo della custodia cautelare continua ad essere una vera e propria anticipazione di pena, con buona pace della presunzione di non colpevolezza”.

Secondo la Garante regionale, “occorre un diverso approccio al tema della custodia cautelare”.

Per quanto riguarda la presenza massiccia di persone tossicodipendenti in carcere (circa il 25% della Il problema della dimensione della cella

popolazione carceraria), la normativa introdotta in materia di lavori socialmente utili rappresenta una novità solo relativa. Il tema della tossicodipendenza richiede un piano straordinario, certo normativo ma anche di predisposizione di risorse. “Salvo in casi di assoluta eccezionalità, persone che comprovatamente presentano problemi di tossicodipendenza non devono entrare in carcere: o, quantomeno, devono essere collocate altrove il prima possibile”.

Un altro punto critico, aggiunge Desi Bruno, è rappresentato dall’immigrazione, acuito in queste settimane dall’esodo doloroso da Egitto e Siria: “Serve, da tempo, una riforma della legge Bossi-Fini che impedisca ab initio la criminalizzazione della persona che entra irregolarmente nel nostro Paese, al fine di evitarne l’ingresso in un circuito penale “segnato”. In un’ottica di riduzione del danno si potrebbe ampliare l’istituto dell’espulsione, eliminando incomprensibili preclusioni giuridiche e accompagnando con forme di “rimpatrio assistito” gli stranieri nel loro Paese, laddove possibile:

ovvero stringendo accordi con altri Stati che spesso non vogliono riaccogliere i propri concittadini.

Dunque, conclude la Garante, “in attesa che la Corte Costituzionale si pronunci sulla questione sollevata meritoriamente dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia - relativa alla possibilità di non eseguire pene detentive in Istituti che non garantiscono i parametri minimi di umanità del trattamento e delle condizioni di vita – il numero delle presenze in carcere andrebbe ridimensionato tramite provvedimenti di clemenza che dovrebbero prendere la forma dell’indulto, oltre che dell’amnistia (che non riduce direttamente le presenze in carcere)”.

Intervento su newsletter n.1 15.09.2013

Basta parlare di provvedimenti di clemenza: è tempo di agire

La legge n°94/2013 (che ha convertito il d.l. n°78/2013) manda indubbiamente dei segnali positivi.

Tuttavia custodia cautelare, tossicodipendenza, immigrazione e carenza di risorse restano i nodi ineludibili della questione carceraria. Servono amnistia, indulto e riforme strutturali.

Da poco sono entrate in vigore alcune modifiche in tema di custodia cautelare ed esecuzione penale, la cui incidenza sul tema del sovraffollamento dovrà essere verificata in concreto e con possibili incidenze positive nel medio-lungo periodo.

L’innalzamento del limite edittale previsto dall’art. 280 cpp per poter emettere ordinanza di custodia cautelare (da 4 a 5 anni e a prescindere dall’intervento di sapore demagogico sulla sanzione

prevista per il delitto di stalking) rappresenta certamente un buon segnale, ma non risolve l’anomalia tutta italiana di una percentuale di detenuti non definitivi che supera il 40% della popolazione

detenuta.

Troppo spesso l’utilizzo della custodia cautelare continua ad essere una vera e propria anticipazione di pena, con buona pace della presunzione di non colpevolezza o – nei casi di brevissime

permanenze in carcere per l’immediata (o quasi) liberazione dell’indagato – attesta che la riforma Severino (l. n°9/2012), per molteplici ragioni, non ha avuto ancora l’auspicata incidenza sul “cd.

effetto delle porte girevoli”, dopo un iniziale buon risultato.

Questo e’ un tema nodale, che richiede certo modifiche normative (soprattutto per restringere le ipotesi di reato che consentono la privazione della libertà personale in corso di indagini e per porre limiti all’emanazione dei provvedimenti de libertate a distanza anche di anni dalla commissione del reato), ma, soprattutto, occorre un diverso approccio al tema della custodia cautelare, che già con la normativa vigente potrebbe di molto contenuta.

Per quanto riguarda la presenza massiccia di persone tossicodipendenti in carcere (circa il 25% della popolazione carceraria in percentuale pressoché costante da molti anni), la normativa introdotta – che individua la previsione dei lavori socialmente utili quando i reati sono stati commessi da persona tossicodipendente, ad eccezione di alcuni più’ gravi esclusi – rappresenta una novità solo relativa.

Per “il piccolo spaccio” punito dall’art. 73 comma 5 del T.U. stupefacenti (DPR. n°309/1990) esisteva già la possibilità di ricorrere ai lavori socialmente utili come sanzione per le persone tossicodipendenti diversa dal carcere: ma si trattava di un istituto di fatto mai utilizzato.

Al di là delle lodevoli intenzioni, occorre rendersi conto che il tema della tossicodipendenza richiede un piano straordinario, certo normativo ma anche di predisposizione di risorse. Salvo in casi di assoluta eccezionalità, persone che comprovatamente presentano problemi di tossicodipendenza non devono entrare in carcere o, quantomeno, devono essere collocate altrove il prima possibile.

Occorrono strutture a disposizione già al momento dell’arresto ed è altresì fondamentale la possibilità di ricorrere ai servizi territoriali già nella fase delle indagini, prima ancora che nella fase di cognizione e in quella dell’esecuzione. In altre parole, la magistratura deve poter contare sulla rete di risorse territoriali fin dai primi contatti del tossicodipendente con il sistema penale.

Se si considera che l’ordinamento penitenziario prevede sezioni di custodia attenuata che non sono mai state veramente realizzate (se non in proporzioni modestissime), si può comprendere come il tema non sia affrontabile con il ricorso ai lavori socialmente utili (che comunque presuppongono un sostegno parallelo per la precarietà di molte di queste esistenze).

Certo si può lavorare (e si deve!) sul dato normativo, ma prima ancora è indispensabile assicurare il diritto alla cura, condizione imprescindibile per realizzare un effettivo abbassamento della recidiva.

Non ci sono altre strade, pur essendo nota la difficoltà in cui versano servizi territoriali e comunità terapeutiche.

Bisogna essere chiari sul punto: nemmeno il sacrosanto ritorno ad una distinzione, con conseguente riduzione delle pene previste, tra droghe “leggere” e droghe “pesanti” risolverebbe radicalmente il dramma delle presenze di tossicodipendenti in carcere.

E per quelli che comunque vi fanno ingresso a causa della commissione di altri reati vanno rese operative le apposite Sezioni per far prevalere il diritto alla cura, come faticosamente si tenta di fare nelle poche – troppo poche – strutture esistenti (l’art.115 comma 4 O.P. parla “di trattamento intensificato”).

Altro nodo è certamente rappresentato dall’immigrazione.

Serve, da tempo, una riforma della legge Bossi-Fini che impedisca ab initio la criminalizzazione della persona che entra irregolarmente nel nostro Paese, al fine di evitarne l’ingresso in un circuito penale

Il problema della dimensione della cella

“segnato”.

Ma l’abolizione – a seguito dell’entrata in vigore della “direttiva rimpatri” 2008/115/CE – di alcune norme penali che punivano gravemente le persone non appartenenti all’Unione europea e prevedevano l’arresto obbligatorio per il mero fatto di disobbedire all’ordine di allontanarsi, di fatto non ha risolto il problema. Un problema che è – e rimane – estremamente complesso perché deriva in gran parte dalle condizioni di miseria e sofferenza di molte persone in fuga da situazioni di estrema povertà e guerra.

In questi giorni assistiamo all’inizio dell’esodo doloroso da Egitto e Siria. Come risponderemo?

In un’ottica di riduzione del danno si potrebbe ampliare l’istituto dell’espulsione, eliminando incomprensibili preclusioni giuridiche e accompagnando con forme di “rimpatrio assistito” gli stranieri nel loro Paese, laddove possibile: ovvero stringendo accordi con altri Stati che spesso non vogliono riaccogliere i propri concittadini.

Per gli stranieri comunitari esistono oggi strumenti giuridici ad hoc affinché l’esecuzione della pena possa avvenire nei Paesi di provenienza, il cui livello di civiltà giuridica si assume simile al nostro.

Ma per gli stranieri non comunitari la strada spesso invocata di rimandare “tutti a casa a scontare

Ma per gli stranieri non comunitari la strada spesso invocata di rimandare “tutti a casa a scontare

Nel documento relazione annuale delle attività svolte (pagine 31-39)