Capitolo III – L’ambiente e il petrolio
3.2 La tutela dell’ambiente in Val d’Agri: il lungo percorso verso l’istituzione del
3.2.2 Profili di rischio per le aree protette della Val d’Agri relativamente alle
delle aree contigue
Prima di esaminare i profili di rischio a cui sono esposti i siti della rete “Natura 2000” e le aree ricadenti nel perimetro del PNAL, è opportuna qualche precisazione; nel corso del paragrafo saranno richiamati alcuni procedimenti penali che, pur essendo arrivati nella fase dibattimentale, non sono ancora arrivati a sentenza e, pertanto, nelle intenzioni di chi scrive non c’è alcuna volontà di trascurare il principio di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2 della Costituzione; la necessità di parlare di queste vicende, nasce dalla convinzione che sia impossibile trattare l’argomento di cui si sta parlando senza fare riferimento ai gravi episodi che si sono verificati, come si dirà (vedi infra), nell’ambito dell’esercizio della concessione di coltivazione “Val d’Agri”.
Per comprendere in che modo le aree protette della Val d’Agri siano esposte ad un rischio da parte delle attività petrolifere ricadenti nella concessione di coltivazione “Val d’Agri” è opportuno ricordare brevemente come è fattp il territorio su cui tali attività insistono.
Nei limiti territoriali della concessione “Val d’Agri” ricadono aree comprese nel PNAL nonché alcuni siti appartenenti alla rete “Natura 2000”231.
Come visto, il D.P.R. 8 dicembre 2007, che ha istituito il PNAL, all’art. 3, lettera n, dell’allegato A, aveva introdotto il divieto su tutto il territorio del Parco delle “attività di estrazione e di
231 Camera dei Deputati, XVII Legislatura, Attività petrolifera in Basilicata e relativo
monitoraggio ambientale, dossier no 62/0 del 3 ottobre 2013, pag. 4. Documento consultato in data 22/11/2019 e reperibile al sito internet
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ricerca di idrocarburi liquidi e le relative infrastrutture tecnologiche”, fatte peraltro salve le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi gassosi (vedi supra).
Nonostante l’importanza di tale disposizione nell’ottica della tutela ambientale, ci si deve interrogare sull’impatto, potenziale e negativo, che le attività antropiche poste nelle immediate vicinanze dei confini “cartografici” del Parco nazionale potrebbero comportare.
In proposito, a livello normativo, è utile esaminare la disposizione di cui all’art. 32 della legge n. 394 del 1991 (legge quadro sulle aree protette).
La norma appena richiamata dispone, al comma 1, che “le regioni, d’intesa con gli organismi di gestione delle aree naturali protette e con gli enti locali interessati, stabiliscono piani e programmi e le eventuali misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell’ambiente, relativi alle aree contigue alle aree protette, ove occorra intervenire per assicurare la conservazione dei valori delle aree protette stesse”.
Tale disposizione, pur non riconoscendo alle aree contigue ad un Parco nazionale lo status giuridico di area protetta, prefigura la possibilità, in relazione a determinate tipologie di attività, di imporre delle limitazioni in funzione di un maggior grado di protezione per ciò che concerne la salvaguardia dei valori dell’area protetta.
Da un’analisi letterale della disposizione si può rilevare innanzitutto che l’adozione di piani e programmi relativi alla regolamentazione delle attività richiamate dalla norma è oggetto
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di discrezionalità amministrativa dal momento che la valutazione circa la necessità di provvedere è affidata alle regioni232.
La puntuale regolamentazione delle attività antropiche relative alle attività petrolifere nelle aree contigue alle aree naturali protette sarebbe meritevole di puntuale definizione da parte del legislatore, che dovrebbe stabilire in maniera puntuale i casi in cui l’adozione dei piani e dei programmi di cui all’art. 32 della legge n. 394 del 1991 debbano essere adottati, sia le relative tempistiche, sottraendo in tal modo potere discrezionale all’amministrazione in merito all’opportunità di adottare o meno tali piani e programmi.
Detto questo, giova ricordare che, in relazione alle attività estrattive richiamate dall’art. 32, comma 1, della legge n. 394 del 1991, la Regione Basilicata non ha adottato alcun piano o programma volto alla regolamentazione di tali attività nelle aree contigue al PNAL.
Questo malgrado il fatto che, per quel che concerne la concessione “Val d’Agri”, la gran parte dell’attività estrattiva, come più volte sottolineato, si svolge nelle adiacenze dei confini del Parco e, in alcuni casi, alcune tra le attività più rischiose si trovano ad operare a poche centinaia di metri da alcune zone sottoposte alle più stringenti misure di protezione in ragione del loro elevato interesse naturalistico, come risultanti dalla zonizzazione interna del Parco, allegata al D.P.R. 8 dicembre 2007 (decreto istitutivo del PNAL).
Nell’ambito del procedimento per l’adozione del Piano per il Parco233 è stato adottato il rapporto ambientale preliminare per la V.A.S. che mette in rilievo alcune criticità che le estrazioni di
232 La disposizione, nello stabilire che i piani ed i programmi sono adottati ove occorra intervenire, implica una componente valutativa affidata alla discrezionalità amministrativa 233 Previsto dall’art. 12 della legge n. 394 del 1991
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idrocarburi comportano per le aree ricadenti nei confini del PNAL234.
In particolare, nel rapporto ambientale preliminare di cui si è detto, si legge che “critica risulta la presenza delle attività estrattive e di raffinazione del petrolio nell’area di Viggiano che, anche se esterna al Parco, determina l’emissione di sostanze inquinanti che possono disperdersi anche nei territori del Parco”235.
In riferimento alla possibilità che l’attività estrattiva svolta nelle aree contigue possa arrecare danno alle componenti ambientali delle aree ricadenti nel PNAL, giova richiamare alcuni gravi episodi verificatisi negli ultimi anni (2011-2017).
In riferimento all’attività di reiniezione che, come visto, è una delle attività più critiche dal punto di vista della sicurezza ambientale, l’unico pozzo di reinizione della concessione “Val d’Agri” è situato a meno di 4 km dal lago “Pertusillo”, che oltre ad essere un sito della rete “Natura 2000” (vedi supra), rappresenta una delle zone sottoposte alla più rigida regolamentazione (Zona 1, come stabilito nel decreto istitutivo del Parco).
Il lago “Pertusillo” rappresenta inoltre un’importantissima risorsa per quanto concerne l’utilizzazione delle sue acque sia a fini irrigui che potabili, si consideri che dal lago “Pertusillo” ogni anno vengono prelevati circa 152 milioni di m3 di acqua che
234 Documento consultato il 22/11/2019 e reperibile al sito internet
http://valutazioneambientale.regione.basilicata.it/valutazioneambie/files/docs/11/05/70/DOCU MENT_FILE_110570.pdf
235 Pag. 81 del rapporto ambientale preliminare per la V.A.S. del piano del PNAL, consultabile al sito
http://valutazioneambientale.regione.basilicata.it/valutazioneambie/files/docs/11/05/70/DOCU MENT_FILE_110570.pdf
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vengono utilizzati dalle regioni Basilicata e Puglia per il 65% ad uso potabile e per il 35% ad uso irriguo236.
Come anticipato, l’esigua distanza tra il pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” e il Lago “Pertusillo” rappresenta una delle maggiori criticità dal punto di vista della tutela ambientale, sia sotto il profilo della conservazione degli habitat e degli ecosistemi, sia sotto il profilo della tutela dei corpi idrici.
Nel marzo del 2016 la Procura della Repubblica di Potenza ha emesso un’ordinanza di sequestro preventivo del pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” unitamente all’impianto del “Centro olio Val d’Agri” per un presunto traffico illecito di rifiuti237 che, secondo il G.I.P., vedeva il pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” quale strumento attraverso cui i rifiuti venivano “qualificati in maniera del tutto arbitraria ed illecita con il codice CER 16 lO 02 (non pericoloso), condotta questa che consentiva alla società petrolifera di smaltire ingenti quantità di reflui liquidi, presso gli impianti di smaltimento sotto indicati, con un trattamento non adeguato e notevolmente più economico ( al costo di euro 33,0 l per tonnellata in luogo di quello previsto per il codice CER 19 02 04*, i cui costi variavano a seconda degli operatori da 40 euro a tonnellata a 90 euro a tonnellata ) nonché di trasferire la parte restante dei reflui liquidi presso il Pozzo Costa Molina 2, dove i medesimi liquidi venivano reiniettati ( sebbene l'attività di reiniezione non risultasse ammissibile per la presenza di sostanze pericolose in essi contenute ), attività di reniezione che permetteva ad ENI di risparmiare anche i costi necessari per lo smaltimento di importo totale non quantificabile”238.
236 I dati si riferiscono ad una media annua calcolata nel periodo 1992/2002 . Per la
consultazione di tali dati visitare il sito dell’ Autorità di bacino della Basilicata all’ indirizzo: http://www.adb.basilicata.it/adb/risorseidriche/invaso.asp?invaso=Pertusillo
237 Art. 452-quaterdecies del c.p.
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Si ribadisce che il procedimento penale nel quale si inserisce tale ordinanza è attualmente nella fase dibattimentale e, pertanto, è fatta salva ogni presunzione di non colpevolezza239.
Sempre in riferimento all’attività di reiniezione condotta attraverso il pozzo “Costa Molina 2”, è inoltre opportuno ricordare che, con D.G.R n. 1062 del 6 ottobre 2017 240, la Regione Basilicata ha sospeso per 90 giorni tale attività ai sensi dell’art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. n. 152 del 2006241.
Il motivo che ha indotto la Regione Basilicata ad adottare tale provvedimento, come si legge nella deliberazione richiamata, è che l’ ARPAB (agenzia regionale per la protezione ambientale della Basilicata) in occasione dei controlli sulle sostanze chimiche presenti nelle acque di strato immesse nel sottosuolo tramite il pozzo “Costa Molina 2” aveva rilevato sostanze pericolose per l’ambiente la cui presenza non era ammessa in base a quanto previsto dalle prescrizioni contenute nell’A.I.A.; nella deliberazione in esame, inoltre, la Regione Basilicata ha deliberato di procedere a norma del comma 9, dell’art. 29-decies del d.lgs. n. 152 del 2006 dal momento che le inosservanze delle prescrizioni contenute nell’A.I.A. in merito alla reiniezione delle acque si strato risultavano gravi e reiterate da parte della società Eni s.p.a..
Il “Centro olio Val d’Agri” probabilmente rappresenta la maggiore criticità per la tutela dell’ambiente in relazione alla sua vicinanza al PNAL, essendo tale impianto assoggettato alla normativa sulla prevenzione degli incidenti rilevanti connessi
http://www.malanova.info/wp-content/uploads/2016/04/ORDINANZA%20VIGGIANO%20- %20www.malanova.info.pdf
239 In data 23/11/2019 il procedimento risulta nella fase dibattimentale 240 Documento reperibile all’indirizzo internet
https://www.regione.basilicata.it/giunta/files/docs/DOCUMENT_FILE_3034454.pdf 241 Normativa inerente l’A.I.A. cui è sottoposto il pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” dal momento che questo è allacciato tramite conduttura interrata all’impianto del “Centro olio Val d’Agri” che, essendo un installazione con potenza termica superiore a 50 MW prevede l’applicazione di A.I.A. di competenza regionale
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all’uso di sostanze pericolose di cui al d.lgs. n. 105 del 2015 (“Seveso III”), ed è collocato ad una distanza di circa 2 km dal lago “Pertusillo”.
Nel gennaio del 2017 all’esterno del “Centro olio Val d’Agri” si è registrato uno sversamento di petrolio che, in seguito, è stato quantificato dalla stessa Eni s.p.a. nella misura di 400 tonnellate242.
Questo episodio rientra nella definizione di “incidente rilevante” così come riportata dall’ art. 3, comma 1, lettera o, del d.lgs. n. 105 del 2015243
Peraltro, sempre in riferimento a tale incidente, è da segnalare che la Procura della Repubblica di Potenza è in corso un procedimento penale che vede imputati diversi dirigenti Eni, la stessa società e membri del comitato tecnico regionale (C.T.R.) preposti alla prevenzione degli incidenti rilevanti ex art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006244.
Nei confronti di Eni s.p.a. e di un dirigente della stessa società (per il quale è stato disposto il giudizio immediato) il capo di imputazione è di disastro ambientale245.
Si ribadisce ancora una volta che i procedimenti penali risultano attualmente pendenti e, pertanto, è fatta salva ogni presunzione di non colpevolezza.
A prescindere dal procedimento penale appena richiamato resta il dato oggettivo, c’è stato uno sversamento di 400 tonnellate di
242 https://www.ufficiostampabasilicata.it/ambiente-e-territorio/bolognetti-parla-di-disastro- ambientale-conclamato/
243 La norma richiamata definisce «incidente rilevante»: un evento quale un’emissione, un incendio o un’esplosione di grande entità, dovuto a sviluppi incontrollati che si verifichino durante l’attività di uno stabilimento soggetto al presente decreto e che dia luogo a un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento, e in cui intervengano una o più sostanze pericolose
244 https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/10/centro-oli-eni-val-dagri-lex-responsabile-a- processo-per-disastro-ambientale-disposto-il-giudizio-immediato-si-inizia-il-28-
ottobre/5507729/
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petrolio a pochissima distanza dai confini cartografici del PNAL, e a meno di 2 km dal più volte richiamato lago “Pertusillo”.
Da questa breve analisi emerge tutta la complessità e la delicatezza del rapporto tra tutela dell’ambiente e attività di usptream petrolifero e si rafforza, in chi scrive, la convinzione che la tutela di un’area protetta passi anche attraverso la puntuale regolamentazione delle attività che si svolgono nelle aree contigue all’area stessa e che l’attuale disciplina di tali aree, così come sancita dall’art. 32 della legge n. 394 del 1991, sia suscettibile di essere migliorata in modo tale da garantire una tutela svincolata dalla discrezionalità amministrativa almeno per quello che concerne l’obbligatorietà dell’adozione di piani e programmi volti ad assicurare la conservazione dei valori delle aree protette, specialmente in relazione alle attività estrattive che, anche al netto di disfunzioni ed incidenti, risultano intrinsecamente impattanti.
Giova ricordare che una parziale riforma della disciplina sulle aree contigue era stata prevista dal disegno di legge n. 119246 recante modificazioni alla legge n. 394 del 1991, approvato dal Senato della XVII Legislatura e poi naufragato per via dello scioglimento anticipato delle Camere intervenuto nella prima metà del 2018247.
Nonostante le previsioni del disegno di legge n. 119 del 2018 non siano state convertite in legge, giova richiamarne i contenuti, per quello che in questa sede rileva, limitatamente alla disciplina delle zone contigue.
Innanzitutto, l’ art. 5, comma 6, andava a modificare la disciplina del piano per il Parco, disponendo che all’art. 12, della legge n. 394 del 1991, dopo il comma 2 fosse aggiunto il comma 2-bis,
246 S. n. 119 – 17a
247 Il disegno di legge di cui si parla è disponibile all’indirizzo
https://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLPRES/0/698878/index.html?part=ddlpres_ddl pres1-articolato_articolato1
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che recitava: “Il piano reca altresì l'indicazione anche di aree contigue ed esterne rispetto al territorio del Parco naturale, aventi finalità di zona di transizione e individuate d'intesa con la regione. Rispetto alle aree contigue possono essere previste dal regolamento del Parco misure di disciplina della caccia, della pesca, delle attività estrattive e per la tutela dell'ambiente, ove necessarie per assicurare la conservazione dei valori dell'area protetta”.
La disposizione andava nella direzione di sottrarre la disciplina delle aree contigue alla pianificazione di iniziativa regionale (attualmente prevista dall’art. 32 della legge n.394 del 1991), così da potenziare lo strumento del piano per il Parco. Da segnalare che, essendo vincolante l’adozione del piano per il Parco248, in base alla disposizione che il disegno di legge n. 119
del 2018 voleva introdurre con il comma 2-bis sopra richiamato, sarebbe divenuta vincolante anche la regolamentazione delle aree contigue ed esterne al Parco.
Da segnalare che un nuovo disegno di legge che si propone di modificare la disciplina della legge quadro sulle aree protette è attualmente in discussione in sede parlamentare249.
Il disegno di legge n. 834 della XVIII Legislatura, recante modificazioni della legge n. 394 del 1991, all’art. 7, comma 1, lettera a, dispone che il regolamento del Parco includa anche la disciplina relativa alle aree contigue, così confermando una crescente attenzione per queste ultime, in linea con le modifiche che il disegno di legge n. 119 del 2018 (vedi supra) proponeva di apportare alla disciplina del piano per il Parco.
L’art. 7 del disegno di legge 834 del 2018, mirerebbe anche ad introdurre una disposizione cruciale per la disciplina delle aree
248 Art. 12, comma 3, della legge n. 394 del 1991 249 S. n. 834 – 18a, disponibile all’indirizzo internet
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contigue; il comma 3, infatti, dispone che siano vietate “nel territorio dei parchi e nelle aree contigue, le attività di prospezione, ricerca, estrazione e sfruttamento di idrocarburi liquidi e gassosi, fatte salve le attività estrattive in corso e quelle per le quali sia già stata ottenuta la concessione alla data di entrata in vigore della presente disposizione, nonché quelle ad esse strettamente connesse”250.
Qualora il disegno di legge dovesse essere approvato, dunque, in forza della disposizione appena richiamata, sarebbe vietato rilasciare nuovi titoli minerari nell’ambito delle aree contigue ai parchi nazionali.
Da notare però che, in riferimento alla situazione specifica del PNAL, la disposizione appena richiamata, là dove stabilisce che il divieto non si applica alle attività estrattive “strettamente connesse” a quelle già concesse precedentemente all’entrata in vigore della presente disposizione, potrebbe aprire nuovi e sconcertanti scenari, almeno sotto il punto di vista della tutela ambientale; attività estrattive “strettamente connesse” parrebbe significare che ogni nuova attività inerente lo sviluppo di una concessione di coltivazione non sarebbe soggetta a limitazioni, se non quelle previste nell’originario titolo abilitativo e, ricordando che la concessione “Val d’Agri” produce attualmente 251 circa 84.000 dei 104.000 barili di petrolio autorizzati con il decreto di conferimento 252 , ciò in concreto potrebbe comportare
un’espansione delle attività estrattive nelle aree contigue al PNAL.
250 L’art. 7, comma 1, lettera a, punto 3.2, del disegno di n. 834 del 2018 (Senato n. 834 – 18a) dispone che dopo l’art. 11, comma 3, della legge n. 394 del 1991 sia inserita la lettera b-bis, che recita quanto riportato
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Conclusioni
Questo lavoro potrebbe sembrare, a prima vista, composto da tematiche settoriali tra loro scollegate; tuttavia in esse rileva una matrice unitaria, ovvero l’esigenza di tutelare e contemperare interessi tra loro incompatibili ma, al tempo stesso, complementari.
A ben vedere, infatti, sarebbe impossibile concepire la società in cui viviamo senza l’utilizzo degli idrocarburi che rappresentano il combustibile che alimenta il motore dello sviluppo.
Tale affermazione tuttavia deve fare i conti con il progresso tecnico e scientifico che sta fornendo una forte spinta verso la produzione di energia da fonti rinnovabili, sempre più rispettose dell’ambiente e sempre più efficienti; basti pensare che in Italia la produzione energetica da fonti rinnovabili è in costante aumento e, ormai da tempo, ha superato in termini di quantità l’energia prodotta da fonti non rinnovabili (petrolio, gas naturale e carbone).
Dall’altro lato, sebbene il nostro Paese sia ancora dipendente dall’energia prodotta tramite l’utilizzo degli idrocarburi, il petrolio e il gas prodotti in Italia sono sufficienti a coprire appena il 7-8 % della domanda interna.
In un’ottica evolutiva lo sviluppo potrebbe e probabilmente dovrebbe poggiare su basi più sostenibili, cosa che in parte sta accadendo.
La tecnica e la scienza sono fattori primari nella determinazione dell’assetto degli interessi inerenti le attività di upstream petrolifero, e lo si è visto esaminando le autorizzazioni ambientali.
L’applicazione dei principi dell’azione ambientale alle procedure volte al conferimento dei titoli minerari in materia di idrocarburi
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rappresenta lo strumento tramite il quale la tutela dell’ambiente e della salute si pongono come limite alla massimizzazione dello sviluppo quando questo, per quantità e qualità, rappresenti un rischio per la qualità dell’ambiente e della vita delle future generazioni.
Come si è avuto modo di osservare, in alcuni casi il legislatore è intervenuto ponendo una normativa volta a semplificare i procedimenti relativi al conferimento dei titoli minerari, sottraendo inoltre alle Regioni le competenze che ad esse sono attribuite dalla Costituzione. La semplificazione dei procedimenti è certamente pregevole sotto il profilo economico ma lo è meno se si pretende di mettere gli interessi economici davanti a tutto, compresi l’ambiente e la salute.
In riferimento al preteso ruolo di centralità che lo Stato si attribuisce nelle determinazioni inerenti le attività di upstream petrolifero, ad esempio, si può tenere in considerazione la vicenda relativa all’art. 38 del decreto Sblocca Italia” (d.l. n. 133/2014); con tale norma, proprio al fine di semplificare il conferimento dei titoli minerari, era stato previsto il ‘titolo concessorio unico’ che avrebbe permesso, con una sorta di automatismo, il passaggio dalla fase di ricerca a quella di coltivazione, della durata di 30 anni.
Il Ministero dello sviluppo economico, con D.M. 25 marzo 2015, aveva adottato il ‘disciplinare tipo’ recante le modalità di conferimento e di esercizio del ‘titolo concessorio unico’, senza alcun coinvolgimento delle regioni, in base a quanto disposto dall’art. 38, comma 7, del d.l. n. 133 del 2014.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 170 del 2017, ha censurato le disposizioni relative al titolo concessorio unico dal momento che tali norme non prevedevano alcun coinvolgimento delle regioni nella predisposizione del ‘disciplinare tipo’,
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risultando lesive degli artt. 117, comma 3 e 118 della Costituzione, nonché contrarie al principio di leale