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Ambiente e petrolio, la Val d'Agri tra sviluppo e sostenibilità

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

A.A. 2018/2019

Tesi di Laurea Magistrale

Ambiente e petrolio, la Val d'Agri tra sviluppo e

sostenibilità

Candidato

Relatore

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Sommario

Introduzione ... 5

Capitolo I – La storia petrolifera della Val d’Agri ... 9

1.1 Le prime manifestazioni petrolifere in Val d’Agri ... 9

1.2 Dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia: le prime forme di utilizzazione del bacino petrolifero della Val d’Agri ... 10

1.3 Il primo pozzo petrolifero della Val d’Agri ... 12

1.4 La nuova normativa mineraria del Regno: il Regio Decreto n.1443 del 1927 13 1.4.1 Le principali disposizioni della nuova legge mineraria del Regno d’Italia... 16

1.5 AGIP e le nuove ricerche nel campo petrolifero di Tramutola ... 20

1.6 La legge mineraria n. 6 del 1957 e la chiusura del campo petrolifero di Tramutola ... 22

1.7 Le novità normative del 1967 e la grande scoperta del giacimento della Val d’Agri ... 27

1.8 L’ evoluzione normativa degli anni ‘90 ... 31

1.8.1 Il decreto Bassanini e il ruolo della Regione Basilicata negli accordi istituzionali per lo sviluppo della Val d’Agri ... 33

1.9 Lo sviluppo dell’attività petrolifera in Val d’Agri... 37

Capitolo II – Le attività di upstream petrolifero ... 40

2.1 Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: profili generali della materia ... 40

2.2 La riforma del Titolo V e le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: il ruolo di Stato, Regioni ed Enti locali ... 42

2.3 I procedimenti autorizzatori relativi alle attività di upstream petrolifero ... 53

2.3.1 Il permesso di prospezione ... 55

2.3.2 Il permesso di ricerca ... 60

2.3.3 La concessione di coltivazione ... 67

2.3.4 Il piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiTESAI) ... 78

2.4 La reiniezione delle acque di strato nelle unità geologiche profonde ... 81

2.4.1 Autorizzazione alla reiniezione ... 82

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Capitolo III – L’ambiente e il petrolio ... 105

3.1 Le autorizzazioni ambientali e lo sviluppo sostenibile nel d.lgs. n. 152 del 2006 ... 105

3.1.1. Il bilanciamento degli interessi nel settore degli idrocarburi ... 113

3.2 La tutela dell’ambiente in Val d’Agri: il lungo percorso verso l’istituzione del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano - Val d’Agri – Lagonegrese ... 117

3.2.1 Rete “Natura 2000”: cos’è e quali sono le aree in Val d’Agri... 124

3.2.2 Profili di rischio per le aree protette della Val d’Agri relativamente alle attività di upstream petrolifero: la questione delle aree contigue ... 127

Conclusioni ... 138

Bibliografia ... 149

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Introduzione

Questo lavoro si propone di esaminare quali siano, nell’ordinamento giuridico italiano, i rapporti tra la tutela dell’ambiente e le attività di upstream petrolifero, ovvero tutte quelle attività che si pongono a monte della filiera produttiva nel settore degli idrocarburi (prospezione, ricerca e coltivazione). Lo spunto che mi ha portato ad affrontare tale argomento è stato offerto dal territorio dal quale provengo, la Basilicata.

Non tutti sanno che proprio in Basilicata, precisamente in Val d’Agri, è presente il più grande giacimento di idrocarburi dell’Europa continentale, dal quale provengono circa il 90% degli idrocarburi liquidi e il 76% degli idrocarburi gassosi prodotti in Italia (fonte UNMIG relativamente all’anno 2018).

La Val d’Agri, inoltre, rappresenta un’area di enorme interesse naturalistico tanto che, nel 2007, è stato istituito il Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri – Lagonegrese, i cui confini sono lambiti dalle attività petrolifere.

Ed è proprio questa “convivenza” che mi ha spinto a trattare l’argomento oggetto di questa tesi, convinto che la situazione lucana rappresenti per molti aspetti un unicum nel nostro Paese. Innanzitutto, nel corso del lavoro, è stata approfondita l’evoluzione cronologica delle attività petrolifere in Basilicata e parallelamente è stata trattata l’evoluzione della normativa concernente le attività di upstream petrolifero.

Nel secondo capitolo sono state esaminate le norme vigenti in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, nonché le procedure concernenti il rilascio dei relativi titoli minerari.

La competenza concorrente tra Stato e regioni sulla legislazione in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale

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dell’energia” (ex art. 117, comma 3 della Costituzione) è stata trattata approfonditamente soprattutto per quello che concerne il principio dell’intesa al quale il conferimento dei titoli minerari è subordinato.

Particolare attenzione è stata poi rivolta alle procedure relative all’autorizzazione dell’attività di reiniezione delle acque di strato risultanti dall’estrazione di idrocarburi che, per le sue caratteristiche intrinseche, è una delle più rischiose dal punto di vista della tutela dell’ambiente.

Proprio in relazione alla disciplina della reiniezione, induce qualche perplessità la disposizione di cui all’art. 38, comma 11 del decreto “Sblocca Italia” (d.l. n. 133/2014) che, semplificando il procedimento relativo all’autorizzazione allo svolgimento di tale attività e sottraendo alle regioni le competenze amministrative ad esse affidate dall’art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, sembrerebbe in contrasto con il riparto di competenze tra Stato e regioni .di cui agli artt. 117, comma 3 e 118 della Costituzione.

Nell’analizzare la questione petrolifera della Val d’Agri è impossibile non parlare delle relazioni intercorrenti tra tale attività e tutto quello che concerne la tutela dei valori del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano – Val d’Agri - Lagonegrese. In tal senso nel terzo capitolo, dedicato al rapporto tra tutela dell’ambiente e attività di upstream petrolifero, si è dato conto della tardiva istituzione del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano dovuta, in un certo senso, anche alla presenza sul territorio di una così importante attività estrattiva.

L’individuazione dei profili di rischio connessi alle attività petrolifere è stata svolta tramite un esame delle finalità a cui mirano le autorizzazioni ambientali (V.I.A., V.A.S. e A.I.A) e al concetto di sviluppo sostenibile che dovrebbe orientare l’intera

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azione amministrativa così come stabilito dall’art. 3-quater del “codice dell’ambiente” (d.lgs. n. 152 del 2006).

L’analisi dei rapporti tra Parco e petrolio si è concentrata soprattutto sulle attività estrattive che ricadono nelle aree contigue al Parco Nazionale dell’Appennino Lucano.

Si è dato conto dei profili di rischio connessi alle attività petrolifere che si svolgono nelle immediate vicinanze delle aree del Parco più vulnerabili (e pertanto sottoposte ad una più rigorosa disciplina di conservazione) tenendo in considerazione alcuni eventi particolarmente impattanti che si sono verificati nell’ambito della concessione “Val d’Agri”, come ad esempio lo sversamento di 400 tonnellate di petrolio verificatosi nel corso del 2017 in un’area adiacente al “Centro olio Val d’Agri”.

Questo lavoro si propone, in un’ottica de jure condendo, di prospettare soluzioni più idonee, a mio sommesso avviso, rispetto a quelle attualmente previste dalla normativa di settore per quanto riguarda la tutela delle aree naturali protette, con particolare riferimento alle attività che si svolgono nelle aree ad esse contigue.

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Capitolo I – La storia petrolifera della Val d’Agri

1.1 Le prime manifestazioni petrolifere in Val d’Agri

La presenza di idrocarburi in Val d’Agri fu notata dalle popolazioni locali già a partire dal XV secolo, per via della sporadica apparizione, sui monti dell’Appennino, di lingue di fuoco (“fiaccole”) che si propagavano dal terreno1.

Tale fenomeno probabilmente era dovuto alla presenza e alla fuoriuscita di idrocarburi gassosi dalle viscere della terra che, a contatto con l’atmosfera, si traduceva nell’autocombustione dei gas.

Passando ad epoche più recenti, seppur remote, una cronaca del Maggio 1853 racconta della “pubblica esposizione di arti manifatturiere” tenutasi a Napoli, durante la quale furono esposti campioni di asfalto provenienti dai territori di Tramutola e Marsiconuovo (Pz)2.

Nel 1877, il Regio Corpo delle Miniere incaricò il professor Cosimo De Giorgi di condurre uno studio sulla Basilicata, nell’ambito del quale furono descritte le manifestazioni petrolifere di Tramutola (Pz)3.

1

Van Dijk J. e altri ,Cento Anni di Ricerca Petrolifera. L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pag. 3, URL:

https://www.researchgate.net/publication/268130832_Cento_Anni_di_Ricerca_Petrolifera_l'Al ta_Val_d'Agri_Basilicata_Italia_meridionale/citation/download

2 Della solenne pubblica esposizione di arti e manifattura del 1853, Annali civili del regno delle Due Sicilie, Volumi 50-52, pag. 35, citazione tratta da La Padula, Tramutola. Storia e attualità, Matera, Edizioni Meta, 1957, pagg. 251 e ss.

3 Coppi O. e altri, Unmig, 1957-2017. 60° dell’ufficio nazionale per gli idrocarburi e le georisorse, 2017, pag. 224, URL:

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Un campione di petrolio proveniente da Tramutola fu poi presentato all’Esposizione Universale di Parigi del 18784.

Il primo lavoro scientifico interamente dedicato alle manifestazioni petrolifere del territorio di Tramutola fu redatto nel 1902 ad opera dell’ ing. Carlo Crema, su incarico del Regio Corpo delle Miniere5.

1.2 Dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia: le prime forme

di utilizzazione del bacino petrolifero della Val d’Agri

Le prime forme di utilizzazione del petrolio furono regolamentate già in epoca pre-unitaria.

Da questo punto di vista, di notevole interesse è la legge del 17 ottobre 1826, sulla ricerca e sullo scavo delle miniere nel Regno delle Due Sicilie, che rappresenta, probabilmente, il primo atto normativo in materia mineraria.

La legge appena citata disciplinava la ricerca e lo sfruttamento delle risorse minerarie, metalliche e semi-metalliche, tra le quali veniva incluso il bitume (miscela di idrocarburi naturali o derivanti da raffinazione).

Nel disciplinare la ricerca, l’art. 2 stabiliva che il proprietario del fondo potesse intraprendere lo sfruttamento di tali risorse e, nel caso in cui non gli fosse stato possibile sfruttare personalmente le risorse elencate all’art.1 (risorse metalliche e

4 Viaggio nella più grande riserva di petrolio d’Italia, consultato in data 15/02/2019, URL: https://www.internazionale.it/reportage/2015/08/15/basilicata-petrolio

5 Van Dijk J. e altri,Cento Anni di Ricerca Petrolifera - L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pagg. 13 e ss.

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semi-metalliche) , sarebbe stato conferito il diritto di concessione mineraria a chi ne avesse fatto richiesta.

In base al dispositivo della stessa legge, il concessionario avrebbe però dovuto corrispondere un contributo economico al proprietario del fondo “da convenirsi o da arbitrarsi dal giudice”6. I primi anni della ricerca di idrocarburi in Val d’Agri non furono molto fruttiferi, ma la corsa all’oro nero era appena iniziata, e di lì a pochi anni le ricerche si sarebbero intensificate, anche grazie alla crescente attenzione del legislatore nei confronti delle risorse minerarie.

Le prime attività di ricerca degli idrocarburi furono regolamentate da quella che si può definire la prima legge petrolifera del Regno di Italia, la legge n.250 del 1911.

Attraverso questo atto normativo, il Regno d’Italia faceva dell’iniziativa privata e degli incentivi statali i propri cavalli di battaglia nella ricerca degli idrocarburi.

La legge n. 250/1911, infatti, stabiliva attraverso l’articolo 1 che: “E’ concesso, a datare dalla promulgazione della presente legge, un premio di l. 30 per ogni metro lineare che sarà scavato oltre 300 metri di profondità nei fori di trivellazione aventi per oggetto la ricerca del petrolio.

Il premio di l. 30 sarà applicato per quei fori di trivellazione che si troveranno gli uni dagli altri a una distanza orizzontale non minore di 150 metri; per i pozzi a distanza minore,ma superiore sempre a metri 50, il premio si ridurrà a l. 20”.

Peraltro la legge n.250 del 1911 fu anche oggetto di abuso poiché, proprio il fatto che si concedessero degli incentivi economici ai ricercatori di petrolio, spinse molti soggetti a ricercare non il petrolio, ma gli incentivi stessi.

6 Arcieri, G., Studi legali ovvero istituzioni di dritto civile moderno secondo l'ordine del codice del regno delle Due Sicilie, comparate col dritto romano ed intermedio del dottor Gaetano Arcieri, Stabilimento Tipografico Perrotti, Napoli, 1853, pag.226

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Emblematiche in proposito le parole di Luigi Einaudi che, nello spiegare questo fenomeno, si riferiva ai ricercatori di petrolio definendoli “trivellatori delle casse dello Stato”7.

1.3 Il primo pozzo petrolifero della Val d’Agri

Nel 1912 la società Petroli d’Italia stipulò con 87 proprietari terrieri della zona delle concessioni finalizzate alla ricerca e allo sfruttamento del presunto bacino petrolifero di Tramutola.

Le prime ricerche nel comune di Tramutola si concentrarono nella zona del torrente Fossatello, dove la presenza degli idrocarburi si rende evidente per via di una fuoriuscita, esigua ma incessante, di petrolio misto a zolfo da una piccola sorgente a ridosso del torrente Caolo, affluente del fiume Agri, dal quale prende il nome la valle stessa.

La concessione stipulata con i privati avrebbe avuto una durata di 29 anni a far tempo dalla prima trivellazione e l’inizio delle trivellazioni sarebbe dovuto avvenire nel termine di due anni dalla stipula del contratto8.

Nonostante la prescrizione di cui sopra, il primo sondaggio ebbe luogo soltanto nel 1921 con il pozzo denominato “Fossatello 1”. I risultati non furono quelli auspicati, sia per la particolarità del terreno, sia per lo stato tecnologico dell’epoca (fu raggiunta la profondità massima di 142 metri sotto la superficie, dove

7 Ricciuti R., Luigi Einaudi contro i trivellatori di stato, IBL libri, 2016, pagg. 1-14 8 La Padula, Tramutola. Storia e attualità, Edizioni Meta, 1957, pag.207

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l’esplorazione si dovette interrompere a causa del terreno argilloso).

Le difficoltà tecniche riscontrate durante questa prima campagna di ricerche provocarono un parziale disinteressamento al giacimento di Tramutola e, per questo motivo, tra il 1922 e il 1931 ci fu una battuta d’arresto e le ricerche furono sospese.

1.4 La nuova normativa mineraria del Regno: il Regio Decreto

n.1443 del 1927

Nella seconda metà degli anni ’20 del ‘900, l’atteggiamento sociale e politico nei confronti della ricerca mineraria mutò sostanzialmente9.

Le istituzioni del Regno d’Italia iniziarono a comprendere l’enorme potenziale delle risorse minerarie, specialmente per quanto riguarda il petrolio, già all’ epoca enormemente utilizzato. Il governo iniziò a mettere in discussione il sistema delle concessioni affidate ai privati proprietari terrieri e manifestò la propria volontà di controllare le risorse minerarie, che sarebbero presto divenute demaniali.

Per meglio comprendere il clima politico e sociale in cui venne approvato il R.D. n.1443 del 1927 di seguito vengono riportati alcuni passaggi della “Relazione del Ministro per l'economia nazionale, a S. M. il Re, in udienza del 29 luglio 1927, sul decreto portante norme di carattere legislativo per disciplinare la ricerca e la coltivazione delle miniere nel Regno” pubblicata

9 Considerazioni riportate nella relazione al R.D. n.1443 del 1927, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del regno d’Italia n. 194 del 192, consultabile all’ indirizzo :

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nella Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 23 Agosto 1927, n.194.

Il Ministro Segretario di Stato per l’economia nazionale scriveva quanto segue:

“Questione di primaria importanza è quella dell'atteggiamento che deve prendere lo Stato nel campo delle attività minerarie. Vigono ancora, in Italia, i sistemi più difformi, che fanno sostanzialmente capo ai tre tipi legislativi affermatisi nel tempo: al sistema demaniale, al sistema fondiario ed al sistema misto. I gravi interessi in giuoco forzano ancora a favore dell'uno o dell'altro; ma gli insegnamenti della dottrina e quelli segnatamente della esperienza possono far considerare come oramai superata una disputa che, in passato, tenne lungamente divisi gli animi e fu causa prima della inerzia dei poteri' pubblici. La scienza ha condannato, e per sempre, la concezione formale e manifestamente irrazionale del diritto di proprietà, posta a fondamento del sistema fondiario. La proprietà, oltre che come un diritto, è sempre più intesa come un dovere sociale. Le facoltà del proprietario possono e debbono armonizzarsi con le esigenze crescenti della consociazione civile. D'altro canto, le necessità della pubblica economia consigliano, oggi più che in passato, di svincolare la disponibilità del sottosuo da quella della superficie. Il superficiario raramente possiede la capacità tecnica ed economica che sono indispensabili per condurre le complesse aziende minerarie. Il più delle volte, il suo intervento è puramente negativo, con pretese smodate di fronte alle quali cadono le iniziative più ardimentose.

La ricerca di sostanze minerali deve essere autorizzata. Indagini di tanta importanza economica e politica non debbono sottrarsi al controllo della pubblica Amministrazione. L'esperienza utile fatta con le legislazioni di guerra e del dopo-guerra, ed in particolare

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con quelle sui combustibili, sugli zolfi e sulle sostanze radioattive, consiglia di non lasciare all'arbitrio del privato le ricerche minerarie. Sopratutto appare necessaria, tale disciplina, nella ricerca di sostanze minerali che, per la loro natura, interessano, oltre che l'economia pubblica, la difesa dello Stato.” Da quanto si evince dal testo appena riportato, veniva fortemente criticato il sistema previgente dal momento che, spesse volte, la ricerca mineraria, già difficile per lo stato tecnologico dell’epoca, veniva stroncata sul nascere da quelle che il Ministro aveva definito come “smodate” pretese dei proprietari dei fondi nei quali eseguire le ricerche.

D’altro canto il progresso tecnologico rendeva necessario reperire le risorse minerarie per mantenere un’indipendenza, anche energetica, rispetto agli Stati esteri.

La delicatezza della materia, nonché gli interessi in gioco, sia politici che economici, spinsero il Governo a rendere demaniali le risorse del sottosuolo.

Il provvedimento rappresentò il compimento dell’unificazione amministrativa del Regno d’Italia dal punto di vista della regolamentazione delle attività minerarie10.

Quanto detto si evince con chiarezza dalle parole del Ministro Segretario di Stato per l’economia nazionale che, nella relazione al R.D. n.1443 del 1927 scriveva:

“La unificazione del nostro diritto positivo è finalmente una realtà, anche nella sfera delle attività minerarie: la molteplicità estremamente varia e contrastante delle norme regionali fin qui in vigore sarà sostituita da un regolo uniforme di struttura snella ed elastica. La semplificazione degli ordinamenti minerari, già in gran parte compiuta con il riassetto degli organi

10 Considerazioni riportate nella relazione al R.D. n. 1443 del 1927, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del regno d’Italia n. 194 del 192, consultabile all’ indirizzo :

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dell'Amministrazione centrale e periferica, avrà il suo coronamento nelle disposizioni nuove e segnatamente in quelle che disciplinano le procedure. All'infuori di ogni preoccupazione politica, il regolamento futuro delle miniere, nella sua organica unicità, si inspira unicamente alle esigenze della industria e dell'economia pubblica”.

I principi introdotti con il R.D. n.1443 del 1927 seppur aggiornati nel corso degli anni, sono rimasti sostanzialmente inalterati fino ad oggi, il sistema demaniale per le risorse minerarie rappresenta infatti il fulcro della materia e l’iniziativa privata resta subordinata a concessione del ministero competente.

1.4.1 Le principali disposizioni della nuova legge mineraria del

Regno d’Italia

Entrando nel merito delle nuove disposizioni, l’art.2 operava una distinzione preliminare tra le tipologie delle attività minerarie che erano suddivise in due macrocategorie, quella delle “miniere” e quella delle “cave”.

Le attività rientranti nell’una o nell’altra categoria erano così elencate:

“Appartengono alla prima categoria :

a) la ricerca e la coltivazione di minerali metalliferi, di minerali di arsenico e di zolfo, di grafite, di combustibili solidi, liquidi e gassosi, di rocce asfaltiche e bituminose, di fosfati, di sali alcalini semplici e complessi e loro associati, di caolino, di bauxite, di magnesite, di fluorina, di baritina, di talco, di asbesto, di marna da cemento, di sostanze radioattive;

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b) la ricerca e la utilizzazione delle acque minerali e termali, dei vapori, dei gas e delle energie del sottosuolo suscettive di uso industriale.

Appartengono alla seconda categoria :

a) la coltivazione di materiali per costruzioni edilizie, stradali ed idrauliche, non compresi nella prima categoria;

b) la coltivazione delle torbe”.

Era stabilito, all’art. 4, che le ricerche minerarie non potessero essere svolte senza l’apposita autorizzazione rilasciata dal Ministro per l’economia nazionale. Tale autorizzazione veniva rilasciata a chiunque ne avesse fatto richiesta, salvo l’insindacabile giudizio del Ministero competente per quanto riguardava la capacità tecnica ed economica necessaria a portare avanti la ricerca (art.5) .

Il permesso di ricerca non poteva avere una durata superiore a 30 anni, salvo la possibilità di essere prorogato in ragione dei risultati ottenuti (art.6).

Il R.D. n.1443 del 1927 abbandonava la logica incentivante che era propria della legge n.250 del 1911 e subordinava le attività di ricerca al versamento di una tassa, sia per quanto riguardava la registrazione del permesso, sia per la superficie rientrante nei confini dello stesso.

Era infatti previsto che i permessi fossero assoggettati ad una tassa fissa di registrazione pari a Lire 10 e che i titolari degli stessi dovessero versare Lire 2 per ogni ettaro di superficie compresa nei limiti del permesso (art.7).

Nella prima parte del Titolo II del decreto in esame, erano disciplinate tutte le attività concernenti la ricerca, ivi compresi gli atti di cessione del permesso e i rapporti tra i proprietari dei fondi e il ricercatore.

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La previsione che i proprietari dei fondi non potessero opporsi alle attività di ricerca (art.10) era evidentemente dovuta al fenomeno, fino a quel momento frequente, del tentativo di questi di arricchirsi a spese dei ricercatori, attraverso quelle “smodate” pretese economiche richiamate nella relazione al R.D. n1443 del 1927 (vedi supra).

L’art.13 prefigurava poi un attività di ricerca posta in essere direttamente dallo Stato, prevedendo che, in tal caso, il permesso di ricerca fosse rilasciato con Decreto del Ministro per l’economia nazionale.

In particolare, si prevedeva che le miniere potessero essere coltivate soltanto da chi ne avesse ricevuto la concessione (art.14) e che questa potesse essere rilasciata a chi, a giudizio insindacabile del Ministro per l’economia nazionale, fosse in possesso delle capacità tecniche ed economiche necessarie alla coltivazione (art.16).

Il ricercatore era preferito a qualsiasi altro richiedente.

La concessione di coltivazione mineraria era soggetta a decadenza, così come il permesso di ricerca e veniva accordata con Decreto del Ministro per l’economia nazionale, sentito il Consiglio superiore per le miniere (art.18).

L’articolo appena richiamato indicava il contenuto del decreto di concessione,ovvero:

“a) la indicazione del concessionario e del suo domicilio che deve essere stabilito od eletto nella provincia in cui trovasi la miniera; b) la durata della concessione;

c) la natura, la situazione, l'estensione della miniera e la sua delimitazione;

d) l'indicazione del diritto proporzionale da pagarsi dal concessionario ai termini dell’art. 25;

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e) l’ammontare del premio e delle indennità eventualmente dovuti al ricercatore a sensi dell’art.16;

f) tutti gli altri obblighi e le condizioni cui si intenda subordinare la concessione;

g) l’indicazione dell’eventuale partecipazione dello Stato ai profitti dell’azienda, da determinarsi dopo aver udito il Ministro per le finanze”.

Al decreto avrebbero dovuto essere unite la planimetria e il verbale di delimitazione della concessione.

Il decreto, che da registrarsi con la tassa fissa di L. 10, avrebbe dovuto essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del Regno e trascritta all'ufficio delle ipoteche ”.

Il Capitolo III del Titolo II si apriva con l’art. 21, nel quale si stabiliva che le concessioni delle miniere fossero temporanee. In capo al concessionario si configurava, oltre che il diritto di coltivazione, un vero e proprio obbligo di tenere in attività la miniera (art. 26).

I lavori di coltivazione potevano essere interrotti solo su autorizzazione del Ministro per l’economia nazionale,

Il concessionario era tenuto alla manutenzione della miniera, anche durante i periodi di sospensione delle attività.

L’art.29 sanciva un obbligo informativo nei confronti del concessionario, in merito ad ogni informazione eventualmente richiesta da parte dell’amministrazione.

Il concessionario, inoltre, era tenuto a mettere a disposizione dei funzionari dell’amministrazione delegati al controllo tutti i mezzi necessari per le ispezioni.

La cessazione della coltivazione veniva disciplinata nel Capitolo IV del Titolo II.

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L’art.33 stabiliva che cessazione interveniva per scadenza del termine, per rinuncia del concessionario o per decadenza.

La concessione scaduta poteva essere rinnovata, a condizione che il concessionario avesse rispettato tutti i gli obblighi posti a suo carico tramite il decreto di conferimento.

Questa, per grandi linee, era la disciplina dettata dal R.D. n.1443 del 1927.

Da questo momento le attività minerarie furono sottoposte ai principi introdotti dal decreto in esame, essendo attività dalle quali si riteneva potessero dipendere lo sviluppo e l’indipendenza dello Stato, e pertanto di spiccato interesse pubblico.

1.5 AGIP e le nuove ricerche nel campo petrolifero di

Tramutola

Con il d.l. numero 556 del 1926 venne costituita la prima società petrolifera controllata dallo stato, l’AGIP (Azienda Generale Italiana Petroli).

Inizialmente la neonata AGIP non si mostrò interessata a proseguire le ricerche in Val d’Agri a causa delle numerose difficoltà tecniche riscontrate nella precedente campagna di perforazione11.

L’allora prefetto di Potenza, Ottavio Dinale, interpellò più volte il Ministro dell’Economia al fine di sollecitare la ripresa dei lavori di ricerca degli idrocarburi nel territorio di Tramutola.

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Negli anni successivi furono effettuati diversi studi geologici nell’area del torrente Caolo e si iniziò ad ipotizzare la costituzione di un Consorzio preposto alla ricerca del greggio, ai sensi dell’art. 47 del R.D. n.1443 del 192712.

Lo Stato,attraverso il Ministero per l’economia nazionale, si impegnò a fornire una piattaforma di trivellazione capace di raggiungere i 1000 metri di profondità.

Contemporaneamente il Consiglio Provinciale dell’Economia di Potenza commissionò uno studio di prospezione all’ing. Giulio Brogi il quale, nel 1930, arrivò ad ipotizzare la presenza di due bacini di petrolio comunicanti nel sottosuolo di Tramutola13. Intanto il progetto della costituzione di un Consorzio per la ricerca degli idrocarburi naufragava per mancanza di fondi.

Il Consiglio Provinciale dell’Economia di Potenza decise allora di commissionare uno studio geologico approfondito al Comitato per la Geologia del neo costituito CNR, il quale designò per tale scopo il Prof. Guido Bonarelli, il quale già nel 1931 fece pubblicare gli esiti del proprio studio e auspicò che nel territorio di Tramutola si iniziassero lavori di perforazione profonda.14 In seguito agli studi ed alle pubblicazioni di Bonarelli, nel 1933 l’AGIP mostrò il proprio interesse per il presunto giacimento petrolifero e acquisì il “permesso di ricerca Tramutola”.15

Il primo sondaggio di Agip, denominato “Tramutola 1”, risale al 1936 ed era ubicato non lontano dal luogo in cui, nel 1921, era stato perforato il pozzo esplorativo “Fossaello 1”.

12 La Padula, Tramutola – Storia e attualità, Edizioni Meta, 1957, pag.209

13 Van Dijk J. e altri,Cento Anni di Ricerca Petrolifera - L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pag. 12

14 Bonarelli G., Possibilità petrolifere nel territorio di Tramutola in Basilicata, Giornale di geologia, Vol. VI , Bologna, 1932, pagg. 25-46

15 Van Dijk J. e altri,Cento Anni di Ricerca Petrolifera - L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pag. 40

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Tra il 1936 e il 1943 nel campo petrolifero di Tramutola furono perforati 47 pozzi, la cui produttività restò però poco significativa16.

1.6 La legge mineraria n. 6 del 1957 e la chiusura del campo

petrolifero di Tramutola

Già alla fine della Seconda Guerra mondiale le conoscenze geologiche del giacimento petrolifero di Tramutola risultavano integralmente acquisite, come affermava il Dott. Lido Lucchetti, pioniere del cantiere di Tramutola, il quale, nella sua relazione finale del 1946 su tale progetto, consigliava di interrompere i lavori di perforazione17.

Con la legge n. 136 del 1953 venne istituito l’ Ente Nazionale Idrocarburi (ENI), che acquisì il controllo di Agip mineraria. Particolarmente significativa è la disposizione introdotta dall’ art. 2 della legge 136 del 1953, tramite il quale veniva conferito un vero e proprio diritto di esclusiva in favore dell’ ENI per quanto riguardava la ricerca la coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in determinate zone del territorio nazionale.

In particolare ,le zone in cui veniva affidato ad ENI il monopolio delle petrolifere erano alcune aree ricadenti nella Pianura Padana, i cui estremi venivano individuati estrazioni dall’ art. 2 della Tabella A, allegata alla legge stessa.

16 https://www.eni.com/docs/it_IT/eni-com/media/dossier/SCHEDA-STORICA-GUIDO-BONARELLI.pdf consultato in data 21-02-2019

17 Van Dijk J. e altri,Cento Anni di Ricerca Petrolifera - L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pag. 47

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Qualche anno più tardi veniva promulgata la legge n.6 del 1957 recante norme in materia di ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi.

Innanzitutto, la legge confermava il regime di monopolio riservato ad ENI tramite la legge n. 136 del 1953, disponendo (all’ art 1) che le disposizioni in materia di idrocarburi nelle zone diverse da quelle richiamate nella Tabella A della legge n. 136 del 1953, erano disciplinate dalla nuova legge e dalle leggi e dai regolamenti minerari previgenti, ove non contrastanti con le nuove disposizioni.

Il Capo II della legge n.6 del 1957, dedicato alla ricerca di idrocarburi, stabiliva un limite all’ estensione dei permessi (art. 3), la cui durata veniva fissata in 3 anni (art. 7), eventualmente prorogabili per ulteriori 4 anni (due proroghe di 2 anni ciascuna). Per quanto riguarda i limiti di estensione, è importante notare che, sia per il permesso di ricerca che per la concessione di coltivazione, erano previsti limiti oggettivi (50.000 ha per il permesso e 3000 ha per la concessione di coltivazione18) e dei limiti soggettivi, essendo previsto che non si potessero rilasciare permessi di ricerca e concessioni di coltivazione alla stessa persona, ente o società, per un estensione superiore a 300.000 ha (150.00 se il permesso riguardava una sola Regione) per il permesso di ricerca e 80.000 ha per la concessione di coltivazione (art. 15).

Tali previsioni, in relazione ai limiti soggettivi di cui si è appena detto, erano il segno della volontà del legislatore di evitare che si verificassero situazioni di monopolio (di fatto), ad eccezione di quelle riservate, per via legale (vedi supra), all’ Ente Nazionale Idrocarburi.

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L’ art. 22 della legge n. 6 del 1957 stabiliva l’ ammontare dell’ aliquota che il titolare di una concessione di coltivazione doveva conferire allo Stato in relazione alle quantità di idrocarburi liquidi e gassosi estratti giornalmente.

Tale aliquota doveva essere conferita in natura e veniva calcolata in base ad un vero e proprio sistema a scaglioni, dove la percentuale da conferire allo Stato era così calcolata19:

- fino a 4 tonnellate, il 2,5 % dell’ intera produzione;

- da 4 a 8 tonnellate, il 2,5 % sulle prime 4 tonnellate e il 5% sull’ eccedenza;

- da 8 a 16 tonnellate, come sopra per le prime 8 tonnellate e il 14% sull’ eccedenza;

- da 16 a 32 tonnellate, come sopra per le prime 16 tonnellate e il 16% sull’ eccedenza;

- da 32 a 64 tonnellate, come sopra per le prime 32 tonnellate e il 18% sull’ eccedenza;

- da 64 a 128 tonnellate, come sopra per le prime 64 tonnellate e il 20% per l’eccedenza;

- da 128 a 256 tonnellate, come sopra per le prime 128 tonnellate e il 21% sull’ eccedenza;

- per quantità superiori a 256 tonnellate, come sopra per le prime 256 tonnellate e il 22% sull’ eccedenza.

Alla Regione in cui ricadeva la concessione veniva conferito un terzo dell’ aliquota dovuta allo Stato20.

La gestione dell’ aliquota conferita allo Stato era affidata all’ ENI, come disposto dall’ art. 28 della legge.

19 Art. 22 della legge n. 6 del 1957

20 Tale disposizione, come stabilito dall’ art. 24 della legge n.6 del 1957, si applicava soltanto alle Regioni di cui all’ art. 3 della legge n. 646 del 1950, rubricata “Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell'Italia meridionale (Cassa per il Mezzogiorno)”. Tali Regioni erano “Abruzzi, Molise, Campania, Puglie, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna”

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La legge n. 6 del 1957 istituì tre figure ancora presenti nel nostro ordinamento, ovvero:

a) l’ Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi (UNMI) con tre sedi separate (Bologna, Roma e Napoli)21; b) il Comitato tecnico degli idrocarburi, con il compito di fornire un parere tecnico sulla capacità degli operatori, sui programmi dei lavori e sulle misure idonee a garantire il razionale sfruttamento delle miniere22;

c) il Bollettino nazionale degli idrocarburi (BUI), nel quale dovevano essere pubblicati, con cadenza mensile, tutte le istanze di ricerca e di concessione di nuovi titoli minerari, nonché tutte le notizie relative ai titoli minerari già esistenti23.

La durata della concessione di coltivazione era determinata in 20 anni (art.18), prorogabili per ulteriori 10 anni.

Tornando alle attività petrolifere nel territorio di Tramutola, nel 1959 venne esplorato il pozzo denominato “Tramutola 45”, un pozzo stratigrafico profondo che raggiunse la profondità di 2000 metri, il quale risultò però scarsamente produttivo e rappresentò l’ultimo tentativo di sfruttare il presunto giacimento tramutolese, come testimoniato da una lettera dell’allora presidente dell’ Eni, Enrico Mattei, il quale scriveva 24:

“ La produzione di petrolio che era assai modesta fin dall’ inizio, si ridusse in questi ultimi anni a quantitativi così esigui da non poter compensare l’ Agip Mineraria nemmeno delle spese di esercizio per mantenere la predetta produzione. Di ciò è stata data ampia dimostrazione alle Autorità Minerarie in data 27 Maggio 1958. Non appena sarà effettuato il sopralluogo

21 Art. 40, legge n. 6 del 1957 22 Art. 41, legge n. 6 del 1957 23 Art. 43, legge n. 6 del 1957

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collegiale di accertamento, si procederà alla chiusura della miniera”.

La scelta di rinunciare al progetto petrolifero di Tramutola, diventò realtà quando nel Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi n. 509 del 1959 venne infatti pubblicata la richiesta, da parte di Agip mineraria, di rinuncia parziale al permesso di ricerca denominato “Tramutola”.

La rinuncia parziale venne accordata e, dagli originari 3560 ha, si passò ad una superficie di 3460 ha, con una riduzione di 100 ha rispetto alla superficie iniziale.

Tale riduzione rispondeva alla prescrizione dell’ art.11 della nuova legge mineraria (legge n.6 del 1957) dove era disposto che il titolare del permesso potesse rinunciare ad aree continue la cui estensione non fosse inferiore ai 100 ha.

Il permesso di ricerca “Tramutola” rimase infatti in vigore, nonostante la riduzione, ma le attività di Agip mineraria in questo cantiere si interruppero prima della scadenza del termine, fissato al 12 febbraio 1961.

Intanto l’attenzione dell’Agip si era spostata su un territorio limitrofo, già nel 1955 era stato concesso alla società il permesso di ricerca denominato “Lagonegro”.

Tale permesso aveva un’ estensione originaria di 282.000 ha che, tuttavia, dovettero essere presto ridimensionati a causa delle disposizioni di cui alla nuova legge mineraria, la legge n. 6 del 1957, la quale (art. 3, c.1) disponeva che i permessi di ricerca non potessero superare i 50.000 ha. Per questo motivo, l’originario permesso di ricerca denominato “Lagonegro” venne suddiviso in 5 diversi permessi, tra i quali era presente il permesso “Spinoso”, che inglobava il vecchio permesso di ricerca “Tramutola”25.

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1.7 Le novità normative del 1967 e la grande scoperta del

giacimento della Val d’Agri

Tra gli anni ’60 e ’70 i progressi scientifici e tecnologici permisero all’Agip di riprendere le ricerche nella Val d’Agri. A partire dagli anni ’30 erano stati utilizzati, per scansionare il sottosuolo, profili sismici a rifrazione; questa tecnologia fu sostituita, durante gli anni ’60, da una nuova e più sofisticata tecnica, quella delle linee sismiche a riflessione 2D, che permetteva di individuare con maggior precisione le strutture geologiche profonde.

In quegli stessi anni, con la legge n. 613 del 1967 furono introdotte nuove disposizioni in materia petrolifera.

Tale normativa era principalmente riferita alla disciplina riguardante le attività petrolifere in mare ma nell’ ultima parte della legge furono inserite alcune disposizioni che andarono a modificare parzialmente i contenuti della legge n.6 del 1957. Le modifiche principali riguardarono la durata della concessione, portata da 20 a 30 anni (art. 64 26), l’ aliquota dovuta dal concessionario allo Stato, determinata nella misura del 9% del valore degli idrocarburi estratti (art. 6627), mentre

precedentemente tale aliquota veniva versata in natura (art. 22 della legge n. 6 del 1957).

Inoltre, con la nuova normativa, venne introdotta una nuova fase procedimentale, la prospezione, la quale in base al dettato dell’ art. 5 della legge n. 613 del 1967 consiste in attività quali rilievi fisici, geologici e geofisici, condotti con qualsiasi tipi di mezzo o strumento, ad eccezione delle perforazioni del terreno.

26 Che ha modificato l’art. 18 della legge n. 6 del 1957 27 Che ha sostituito l’art. 22 della legge n. 6 del 1957

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Questa previsione rispondeva ad esigenze di ricerca scientifica preliminari ad eventuali permessi di ricerca, invasivi e molte volte, come l’esperienza precedente aveva insegnato, inutili se non si possedeva una conoscenza approfondita del sottosuolo. La prospezione geofisica con la tecnica della sismica a riflessione offriva, appunto, una conoscenza del sottosuolo dettagliata e approfondita, senza la necessità di porre in essere attività distruttive del sottosuolo.

L’art 9, della legge n. 613 del 1967 stabiliva che il permesso di prospezione non era esclusivo ed era accordato per la durata di 1 anno.

In base a quanto disposto dall’art. 5628 della legge n. 613 del 1967, alcune società acquisirono dei permessi di prospezione nel territorio della Val d’Agri.

In particolare, nel 1979 le società Agip e Montecatini Edison ottennero il permesso di prospezione denominato “Viggiano”, nell’ambito del quale commissionarono alla società RIG (ricerche ed interpretazioni geofisiche) un importante progetto di acquisizione di linee sismiche a riflessione 2D.

Nel 1984 la società Petrex, consociata di Agip, portò avanti lo stesso tipo di studio di cui sopra, con l’acquisizione del permesso di prospezione “Monte Sirino29.

Dopo oltre 60 anni di ricerche, sul finire degli anni ’80, con i pozzi “Monte Alpi 1” e “Tempa Rossa 1” (ricadenti

28 Art. 56 della legge 613 del 1967 : “Ai fini della ricerca degli idrocarburi liquidi e gassosi, il Ministro per l'industria, il commercio e l'artigianato può autorizzare, nelle zone sottoposte alla disciplina della legge 11 gennaio 1957, n. 6, un'attività di prospezione consistente in rilievi geologici, geofisici e geochimici, eseguiti con qualunque metodo o mezzo, escluse le perforazioni meccaniche fatta eccezione per quelle necessarie per compiere i rilievi geofisici. L'attività di cui al comma precedente è regolata, con gli opportuni adattamenti, dalle norme degli articoli dal 9 al 15 della presente legge e da quelle, in quanto applicabili, contenute nelle leggi minerarie attualmente in vigore.”

29 Van Dijk J. e altri,Cento Anni di Ricerca Petrolifera - L’Alta Val d’Agri (Basilicata, Italia meridionale), 2012, pag. 42

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rispettivamente nelle concessioni “Monte Sirino” e “Corleto Perticara”) arrivò la conferma a tutte le ipotesi fino ad allora prospettate da geologi e compagnie petrolifere.

I due pozzi risultarono infatti, sin da subito, altamente produttivi, e lasciarono intendere, in maniera inequivocabile, che il giacimento della Val d’Agri esisteva e risultava addirittura più vasto di quanto auspicato.

Negli anni successivi furono perforati diversi pozzi e, contemporaneamente proseguirono le attività di prospezione con una massiccia campagna di rilevazioni sismiche a riflessione tridimensionale.

Le due aree interessate da questo tipo di studi furono:

- Monte Alpi ( Latronico ), per una superficie di 250 kmq; - Cerro Falcone ( Calvello) per una superficie di 600 km;

Proprio grazie a questi studi, a partire dai primi anni ’90 fu chiaro che sotto la Val d’Agri c’ erano due giacimenti di grandi dimensioni.

Comunque già partire dagli anni ’80 erano stati rilasciate, con decreto del Ministero dell’ industria, le seguenti concessioni di coltivazione di idrocarburi:

1) Costa Molina – con D.M. 15 giugno 1984, nella titolarità di Eni;

2) Grumento Nova - con D.M. 9 ottobre 1990, nella titolarità di Agip;

3) Caldarosa - con D.M. 15 luglio 1991, nella titolarità di Agip;

4) Volturino – con D.M. 27 dicembre 1993, nella titolarità di Agip (40%), Enterptise Oil Exploration (55%) e Fiat-Rimi (5%);

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In seguito, come vedremo, tutte e 4 le concessioni appena richiamate furono gradualmente accorpate e le quote partecipative della società Enterprise Oil Exploration furono acquisite dalla società Shell.

Dall’accorpamento delle concessioni risultò che le società petrolifere operanti in Val d’ Agri rimasero soltanto due, Eni e Shell.

In uno studio condotto da Eni s.p.a. nel 1995, le riserve di petrolio e di gas in Val d’agri, erano stimate in 1.770 milioni di barili di petrolio e 181,5 miliardi di metri cubi di gas naturale30. Nel 1996 fu costruito il centro olio “Monte Alpi”, nel territorio del comune di Viggiano (Pz) , per la prima lavorazione degli idrocarburi provenienti dalle concessioni di coltivazione della Val d’Agri.

Il centro olio “Monte Alpi” aveva una capacità di trattamento giornaliero di 7.500 barili di olio e 300.000 m3 di gas.

E’ importante ricordare che, in quegli stessi anni, nel nostro ordinamento era stato introdotto con le legge n. 349/1986, uno strumento di valutazione preventiva dell’impatto ambientale, la VIA (valutazione di impatto ambientale), in recepimento della direttiva 85/337/CEE.

Nel panorama nazionale, la Regione Basilicata fu una delle prime ad adottare una legislazione propria sulla VIA, con la legge regionale 47/1994 e successivamente con legge regionale n. 3 del 1996.

Le due leggi regionali appena citate si ponevano in attuazione della normativa statale che, nel recepire la direttiva 85/337/CEE, delegava alle regioni l’ adozione di una legge volta a completare il recepimento della direttiva europea relativamente alle opere di

30 https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/12/16/il-petrolio-in-basilicata-nuovo-business-dell.html consultato in data 15/02/2019

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cui all’ Allegato II della stessa tra cui erano elencate quelle relative all’ industria estrattiva.

La competenza in materia di VIA rimarrà in capo alle Regioni fino al 2015, come stabilito dall’ art. 38, comma 4 del d.l.

133/2014 (convertito in legge n. 160 del 2014) che ha devoluto la competenza ad adottare il procedimento di VIA al Ministero dell’ Ambiente31.

1.8 L’ evoluzione normativa degli anni ‘90

Fino al 1991 nel panorama legislativo in materia mineraria era presente una vera e propria bipartizione tra le attività minerarie sulla terraferma e quelle “offshore”: le prime continuavano ad essere disciplinate dalla legge n. 6 del 1957, mentre le seconde erano disciplinate dalla legge n. 613 del 1967.

Con la legge n.9 del 1991 fu operata una vera e propria unificazione normativa, dal momento che confluirono nello sesso corpo normativo le disposizioni riguardanti le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi da svolgersi in mare e sulla terraferma.

Ad opera della suddetta legge, furono abrogati alcuni articoli delle precedenti normative (legge n. 6 del 1957 e legge n.613 del 1967).

A livello comunitario, nel 1994, fu emanata la direttiva 94/22/CE che disciplinava le “condizioni di rilascio e di esercizio delle

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autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi”.

L’Italia recepì tale direttiva con decreto legislativo n.625 del 1996 che operò una vera e propria apertura alla concorrenza delle attività in materia di idrocarburi32.

La scelta di aprire il mercato alla concorrenza era palesata, in maniera inequivocabile, dall’art. 23 della legge appena citata, intitolato “Cessazioni di esclusiva”.

Di fatto, si poneva fine al regime di esclusiva accordato ad Eni su alcune zone del territorio nazionale tramite l’art.2 della legge n. 136 del 1953.

Sempre nell’intento di favorire la concorrenza e di aprire il mercato minerario interno agli altri Paesi della Comunità europea, il d.lgs. n. 625 del 1996 stabiliva che le nuove istanze di ricerca di idrocarburi fossero pubblicate anche nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea (GUUE), oltre che nel bollettino ufficiale degli idrocarburi e le georisorse (BUIG).

Il d.lgs. n.625 del 1996 rideterminò la percentuale che il concessionario era tenuto a versare nelle casse dello Stato in rapporto alla produzione di idrocarburi liquidi e gassosi.

La previgente normativa (art. 22 della Legge n. 6 del 1957) stabiliva che, per quanto riguarda le concessioni sulla terraferma, tale aliquota fosse pari al 9% del valore degli idrocarburi liquidi e gassosi estratti.

In base all’ art 19 del d.lgs. n. 625 del 1996, l’ aliquota da devolvere allo Stato fu portata al 7% del valore degli idrocarburi estratti.

Tale importo, come stabilito dall’art. 20 della stessa legge, era dovuto per il 55% alle regioni in cui ricadevano le concessioni,

32 Vaccari S., Le nuove disposizioni in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e le problematiche connesse, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, Numero II, 2015, Giappichelli editore, pagg. 49 e ss.

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per il 30% allo Stato e per il 15% ai comuni interessati dalle attività estrattive.

In seguito alle modifica dell’art. 20, di cui si parlerà a breve, la quota di spettanza statale sarebbe stata poi trasferita alle regioni. La durata delle concessioni di coltivazione era fissata in 20 anni (art.5 d.lgs. n.625 del 1996).

1.8.1 Il decreto Bassanini e il ruolo della Regione Basilicata

negli accordi istituzionali per lo sviluppo della Val d’Agri

Dal momento in cui fu istituito il sistema demaniale delle risorse minerarie, tutte le attività legate a questo settore furono regolate dagli organi amministrativi centrali dello Stato.

Nel 1998 si ebbe una notevole innovazione sotto questo profilo, ad opera del d.lgs. n. 112 del 1998 (decreto Bassanini), poi integrata e modificata dal d.lgs. n. 443 del 1999.

Il decreto, in applicazione del principio di sussidiarietà verticale, mirava a ridisegnare, a Costituzione invariata, la disciplina del riparto di funzioni e compiti amministrativi dello Stato, delle regioni e degli enti locali.

Per quanto riguarda le estrazioni di idrocarburi in terraferma, l’ art. 29 del decreto legislativo, stabiliva che le funzioni amministrative relative alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi comprese quelle di polizia mineraria, fossero svolte dallo Stato d’intesa con la Regione interessata.

Veniva inoltre stabilito che, entro 6 mesi dall’entrata in vigore del Decreto legislativo, fossero stabilite le modalità procedimentali volte al raggiungimento dell’ intesa suddetta.

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L’ accordo tra i Presidenti delle Regioni a statuto ordinario e il Ministero dell’ Industria,commercio e artigianato fu raggiunto e sottoscritto il 24 aprile 2001.

In base a tale accordo, i procedimenti da assoggettare all’intesa tra Stato e Regioni furono individuati in quelli principali, ovvero: a) conferimento dei titoli minerari e contestuale approvazione

del programma dei lavori;

b) rilascio delle proroghe di vigenza dei titoli minerari;

c) variazione delle aree oggetto del conferimento e del programma dei lavori;

d) revoca dei titoli minerari.

La prima fase applicativa della legge Bassanini, per diversi motivi, risultò molto complicata33.

L’accordo prevedeva che le amministrazioni regionali dovessero prestare il proprio assenso/diniego all’ amministrazione centrale nel termine di 15 giorni.

Per le Regioni questo termine risultò assolutamente inidoneo se commisurato alla complessità della materia anche perché, molto spesso, le amministrazioni regionali non disponevano di personale adeguatamente preparato per svolgere i compiti che la legge Bassanini affidava loro 34.

La Regione Basilicata si dimostrò da subito molto attenta a regolare, per quanto consentito dalla normativa allora vigente, i propri rapporti ed i propri interessi sia nei confronti delle aziende petrolifere che nei confronti dello Stato.

33 Vaccari S., Le nuove disposizioni in materia di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e le problematiche connesse, in Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente, Numero II, 2015, Giappichelli editore, pag. 56

34 Coppi O. e altri, Unmig, 1957-2017. 60° dell’ufficio nazionale per gli idrocarburi e le georisorse, 2017, pag. 224, URL: https://unmig.mise.gov.it/images/unmig/unmig_1957-2017.pdf

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Proprio in quest’ ottica, il 7 Ottobre 1998 fu adottato un protocollo d’intesa tra il Governo e la Regione Basilicata, relativo all’adozione di un piano operativo finalizzato ad accelerare lo sviluppo socio-economico delle zone della Basilicata interessate dalle estrazioni petrolifere.

Nell’ ambito di tale intesa, il Governo si impegnava a sostenere in Parlamento una iniziativa legislativa che prevedesse il trasferimento alle regioni delle aliquote di spettanza statale risultanti dalla coltivazione di idrocarburi, al fine di finanziare progetti di promozione economica territoriale35.

Tale previsione, tra le altre cose, rispondeva a quello che era definito come “obiettivo 1” del regolamento CEE 2052/1988, ovvero “promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni il cui sviluppo è in ritardo”.

Al fine di attuare le prescrizioni del regolamento appena richiamato, l’ art.7 della legge n. 140 del 1999 prevedeva che l’art. 20 del d.lgs. 625 del 1996 fosse modificato con l’inserimento del comma 1-bis.

Il nuovo comma disponeva che : ” A decorrere dal 1o gennaio 1999, alle regioni a statuto ordinario incluse nell'obiettivo n. 1 di cui al regolamento (CEE) n. 2052/88, del Consiglio, del 24 giugno 1988, e successive modificazioni, è corrisposta, per il finanziamento di strumenti della programmazione negoziati nelle aree di estrazione e adiacenti, anche l'aliquota destinata allo Stato".

Sempre nell’ ambito del protocollo d’intesa tra Stato e Regione Basilicata, il Governo si impegnava ad intraprendere programmi relativi allo sviluppo delle infrastrutture nel territorio interessato dalle estrazioni.

35http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/basilicata/2014/deliber a_71_2014.pdf, consultato in data 21/02/2019

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Sulla base del protocollo d’intesa sopra richiamato, la Regione Basilicata, nel 1998, stipulava con Eni s.p.a. un protocollo di intenti sullo sviluppo del progetto “Val d’Agri” 36.

Questo accordo negoziale prevedeva un impegno, da parte della Regione, alla celere ultimazione delle procedure amministrative riguardanti le valutazioni di impatto ambientale relative ai nuovi pozzi da perforare, nonché al progetto relativo all’oleodotto Viggiano - Taranto.

Eni si impegnava, invece, a portare avanti una serie di misure aventi ad oggetto la tutela dell’ambiente, lo sviluppo socio-economico del territorio, il completamento della rete di distribuzione del gas metano a livello regionale, l’adozione di standard tecnologici idonei a garantire il minor impatto possibile sui territori interessati dalle estrazioni.

Eni, oltre a questo, si impegnava anche a sostenere i costi relativi ad eventuali misure di compensazione ambientale necessarie a bilanciare le alterazioni derivanti, direttamente o indirettamente, dalle attività estrattive, ponendo particolare attenzione alle aree protette, fra cui, specialmente, all’istituendo Parco Nazionale dell’Appennino Lucano, istituito solo nel 2007, ma già previsto dall’ art. 34 della Legge n.349 del 1991 (legge quadro sulle aree protette).

36http://www.regione.basilicata.it/giuntacma/files/docs/DOCUMENT_FILE_546210.pdf, consultato in data 25/02/2019

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1.9 Lo sviluppo dell’attività petrolifera in Val d’Agri

Nel 1999, la concessione “Costa Molina” fu inglobata nella concessione “Caldarosa”.

Nello stesso anno nell’ambito delle concessioni prima elencate, erano presenti 24 pozzi produttivi, collocati in 20 piattaforme estrattive37.

Nel 2001 furono avviati i lavori per l’ammodernamento dell’ allora Centro Olio “Monte Alpi” che prenderà, in seguito, il nome di Centro Olio” Val d’Agri” (COVA).

Il COVA occupa una superficie di 180.000 m2 ed ha una capacità di trattamento giornaliera di 104.000 barili di olio e 4.660.000 Sm3 di gas, come stabilito negli accordi richiamati nel paragrafo precedente38.

Sempre nel 2001, con D.M. 16886 del 19/02/2001, fu inaugurato l’oleodotto Viggiano - Taranto che, attraverso una condotta interrata lunga 138 Km, con profondità media di 2,5 m, trasporta l’olio trattato presso il Centro Olio Val d’Agri alla raffineria Eni di Taranto39.

Nel 2005 le concessioni “Volturino” e “Grumento Nova” furono unificate nella concessione “Val d’Agri” (D.M. 28 Dicembre 2005) intestata a Eni (61%) e Shell che ne detiene il 39%. Il rappresentante unico della concessione è la società ENI s.p.a. . L’ unificazione delle concessioni si rese necessaria dal momento che tutte le concessioni preesistenti facevano riferimento allo stesso bacino petrolifero e, al fine di garantire il razionale sfruttamento del giacimento, l’ art. 9, c.4, della legge n. 9 de 1991 stabiliva che si potesse procedere all’ unificazione di due o

37 http://www.arpab.it/cova/public/Allegato%201.pdf consultato in data 25/02/2019

38 https://www.eni.com/eni-basilicata/chi-siamo/centro-olio-val-d-agri.page consultato in data 25/02/2019

39 http://wikimapia.org/36729327/it/Oleodotto-Viggiano-Taranto consultato in data 25/02/2019

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più concessioni confinanti, su richiesta dei titolari. Nello stesso decreto che unificava le concessioni, si indicava anche il nuovo programma dei lavori, che prevedeva la perforazione di 6 nuovi pozzi per la ricerca e 14 nuovi pozzi per lo sviluppo delle postazioni estrattive già esistenti.

Con D.M. 23.01.2012 fu approvato un nuovo programma dei lavori che andava a sostituire il programma precedente.

In particolare, con il nuovo programma di sviluppo fu previsto l’ammodernamento del Centro Olio Val d’Agri , al fine di raggiungere la produzione di petrolio auspicata, ovvero 104.000 bbl/g (barili al giorno)40.

La concessione “Val d’Agri” è di titolarità della Shell (39%) e di Eni (61%), si estende per 660,5 Km2 .

La scadenza della concessione è fissata per il 26/10/2019 ma già nel 2017 è stata richiesta una proroga decennale, al Ministero dello sviluppo economico.

Tale istanza di proroga è stata pubblicata sul Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse41.

Oggi in Val d’Agri sono presenti 40 pozzi, di cui 26 attualmente in produzione, 11 potenzialmente produttivi, 2 pozzi di monitoraggio e 1 pozzo di reiniezione 42 denominato “Costa Molina 2”, ed una centrale di raccolta e trattamento denominata “COVA” (centro olio Val d’Agri)43 .

40 http://www.osservatoriovaldagri.it/web/guest/progetto-di-sviluppo 04 03 2019 41 BUIG LXI n.11

42 Per un approfondimento sulla reiniezione consultare il sito https: //www.eni.com/eni-basilicata/ambiente/reiniezione.page

43 I dati relativi ai pozzi presenti nella concessione Val d’ Agri sono stati estrapolati dall’ elenco dei pozzi produttivi reperibile all’ indirizzo

https://unmig.mise.gov.it/index.php/it/dati/ricerca-e-coltivazione-di-idrocarburi/pozzi-produttivi consultato in data 12/03/2019

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Da segnalare che attualmente 44 la concessione “Val d’Agri”, nonostante la scadenza intervenuta in data 26/10/2019, risulta operante in forza della previsione di cui all’art. 34, comma 19, del d.l. n. 179 del 2012, convertito in legge n. 221 del 2012, ove è disposto che “per la piena attuazione dei piani e dei programmi relativi allo sviluppo e alla sicurezza dei sistemi energetici … gli impianti di cui agli articoli 6 e 9 della legge n. 9 del 199145, continuano ad essere esercitati fino al completamento delle procedure autorizzative in corso previste sulla base dell’originario titolo abilitativo, la cui scadenza deve intendersi a tal fine automaticamente prorogata fino all’anzidetto completamento”.

44 in data 25/11/2019 la concessione di coltivazione “Val d’Agri” , nonostante sia scaduta 26/10/2019, non risulta ancora rinnovata

(41)

40

Capitolo II – Le attività di upstream petrolifero

2.1 Prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi: profili

generali della materia

Come si è visto, dall’entrata in vigore del R.D. 1443/1927 la normativa mineraria italiana, a livello sostanziale, è rimasta pressoché invariata. Il cardine del sistema risulta essere, ora come allora, la sottoposizione delle risorse minerarie al regime demaniale dettato dalla “legge mineraria del Regno”, poi consacrato nel 1942, trovando la propria collocazione nel Codice Civile (art.826 c.c.)46.

Nel tempo, diverse norme sono intervenute, dettando una disciplina che ha visto variare più volte la durata dei titoli concessori, le procedure preordinate all’ottenimento delle concessioni, il regime concorrenziale relativo alle istanze di ricerca degli idrocarburi.

La normativa vigente in questa materia è infatti frutto della copiosa legislazione che, nel corso degli anni, ha dato luogo a una vera e propria stratificazione che vede la sovrapposizione di oltre 350 provvedimenti normativi (sovranazionali, comunitari, nazionali e regionali)47.

Ciò che è rimasto invariato è il principio della concessione statale: nessuna attività di prospezione, ricerca o coltivazione di idrocarburi può essere intrapresa senza l’apposita autorizzazione ministeriale, rilasciata con decreto del Ministero competente (prima il Ministero per l’industria, oggi quello dello sviluppo economico).

46 Art. 826 comma 2 c.c. “Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo…”

47 Picozza E., Trattato di diritto dell’ economia – Il diritto dell energia, Cedam , 2015, pag. 324

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41

Per quello che concerne le competenze legislative in materia energetica, giova peraltro ricordare che, in seguito alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, le Regioni sono state investite del potere legislativo concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia (art. 117, c.3 Cost.).

Come vedremo, la previsione costituzionale appena richiamata è stata posta, più volte, a fondamento di questioni di legittimità costituzionale da parte delle Regioni nei confronti della normativa statale.

Ad oggi, le modalità con cui le Regioni e gli Enti locali partecipano alle procedure riguardanti le istanze per il conferimento dei titoli legati allo sfruttamento degli idrocarburi sono regolate dalla legge n.239/2004, congiuntamente a quanto previsto dalla legge 241 del 1990 in tema di conferenza dei servizi.

Alcune importanti novità, per quello che riguarda i procedimenti relativi alle istanze di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, sono state introdotte con lo “Sblocca Italia”48 (d.l. n.133/2014, convertito in legge n.164/2014, che ne ha modificato parzialmente il contenuto).

La manifesta intenzione del legislatore, in riferimento alla legge appena richiamata, era quella di accelerare le procedure in tema di rilascio dei titoli minerari, attraverso l’introduzione di un procedimento unico da tenersi in sede di conferenza dei servizi e preordinato al rilascio di un titolo concessorio unico che va ad accorpare il permesso di ricerca e la concessione di coltivazione. L’art 38 del d.l. n.133/2014 è stato oggetto di contrasti tra le regioni e lo Stato, risolti tramite una pronuncia di

48 Legge n. 164 /2014 recante “Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”.

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incostituzionalità parziale, limitatamente al comma 7 (Sent. C.Cost. 170/2017), di cui si parlerà in seguito.

In questo capitolo si parlerà dei profili legati al riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di estrazione di idrocarburi sulla terraferma, con particolare riferimento alla Regione Basilicata.

In seguito sarà fornito un quadro generale delle attuali modalità procedimentali legate alle attività di upstream minerario49, inoltre

si darà conto di una pratica strettamente connessa alla coltivazione di idrocarburi, ovvero la reiniezione.

2.2 La riforma del Titolo V e le attività di prospezione, ricerca e

coltivazione di idrocarburi: il ruolo di Stato, Regioni ed Enti

locali

La riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, intervenuta con la legge di revisione costituzionale n.3 del 2001, ha collocato nell’ elenco delle materie soggette al regime di legislazione concorrente la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell’energia 50 , all’interno della quale si colloca l’argomento oggetto della nostra trattazione, ovvero le attività di upstream petrolifero.

Prima della riforma costituzionale, come si è accennato nel capitolo precedente, la riforma Bassanini51 aveva trasferito alcune

49 Il termine upstream è riferito all’ insieme delle attività legate alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi

50 Art. 117, comma 3 Cost. 51 d.lgs. n.112 del 1998

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