2. VALUTAZIONE E PARTECIPAZIONE: LA CORNICE DI ANALISI
3.1 Il Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e
Il Progetto Nazionale si sviluppa in forma sperimentale nel triennio 2013-2017, su impulso delle normative sull’inclusione della popolazione rom e attraverso i finanziamenti previsti dalla Legge 285/87. Promosso dal Ministero del Lavoro E Delle Politiche Sociali e svolto in collaborazione con il Ministero Dell’istruzione, Dell’Università E Della Ricerca, il Progetto si pone all’interno di una cornice istituzionalmente condivisa, costituita dalla Strategia nazionale D’Inclusione Dei Rom, Sinti E Caminanti 2012-202076, e dal Terzo Piano d’azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva l’infanzia e l’adolescenza77 e dal precedente lavoro dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza che ha fornito indicazioni al terzo Piano d’azione78.
Nel primo documento viene sottolineata l’adesione dell’Italia ai 10 Common Basic Principles on Roma Inclusion approvati dall’Unione Europea nel 2009.
76 La Strategia nazionale 2012-2020 d’inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti è stata redatta dall’UNAR – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali – e approvata dal Consiglio dei Ministri nel Febbraio 2012, in attuazione della Comunicazione n.173/2011 della Commissione Europea, del 4 aprile 2011 77 Il Terzo Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in eta' evolutiva, è stato approvato il 21 gennaio 2011 con decreto del Presidente della Repubblica e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 maggio 2011, Serie generale n. 106.
78 I lavori dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza sono stati raccolti in Presidenza del
L’obiettivo dei “10 princìpi” è di offrire alle istituzioni dell’Unione Europea e agli Stati-membri una guida per le politiche volte all’inclusione dei rom. Malgrado i “princìpi” rappresentino una dichiarazione politica non vincolante dal punto di vista giuridico, gli Stati si sono impegnati ad adottarli come piattaforma di base per future iniziative79. Si tratta di brevi ma serie direttive secondo le quali occorre: sviluppare ogni politica tenendo conto dei diversi contesti in cui va applicata, confrontandosi con i beneficiari ultimi e con il territorio di riferimento, senza preconcetti e nel rispetto dei diritti fondamentali;
operare secondo un approccio che espliciti che gli interventi sono a favore di rom, sinti e caminanti, in quanto specifico gruppo bersaglio, ma senza escludere i non-rom, evitando politiche segreganti rivolte al singolo gruppo etnico, per attuare più aperte soluzioni estese a tutte le persone del territorio in cui si deve operare; promuovere non la semplice valorizzazione delle differenze culturali, ma una mutua comprensione interculturale, fatta di informazione mirata, formazione di mediatori rom, attenzione ai malintesi e ai tabù, senza alcuna concessione verso atteggiamenti contrari ai diritti fondamentali;
evitare politiche a favore dei rom che in realtà, nella lunga durata, alimentano il segregazionismo, magari con soluzioni abitative che favoriscono l’isolamento o lavori tradizionali che riproducono stereotipi, per rivolgersi invece a più ampie politiche che favoriscano il loro inserimento nella società più ampia; intervenire in modo trasversale sul rafforzamento del ruolo femminile, essendo la donna maggiormente soggetta a discriminazioni multiple, sfruttamento e violenza fisica, ma al contempo artefice e volano per lo sviluppo comunitario e per il miglioramento delle condizioni economiche, educative e sanitarie della famiglia;
apprendere dalle buone prassi attivate nel proprio paese e in altri Stati, per replicare esperienze positive, monitorandone gli effetti;
79 I “10 princìpi fondamentali” prevedono: 1. politiche costruttive, pragmatiche e non discriminatorie; 2.
un approccio mirato, esplicito ma non esclusivo, verso i RSC; 3. un approccio interculturale; 4. una prospettiva finalizzata al mainstreaming; 5. la consapevolezza della dimensione di genere; 6. la divulgazione di politiche basate su dati comprovati; 7. l’uso di strumenti comunitari; 8. il coinvolgimento degli enti regionali e locali; 9. il coinvolgimento della società civile; 10. la partecipazione attiva dei RSC.
usare e promuovere direttive e decisioni quadro dell’Unione Europea, ma anche gli strumenti finanziari posti a disposizione delle comunità rom e sinti, a partire dall’uso dei fondi strutturali;
coinvolgere le autorità regionali e territoriali in ogni strategia nazionale, ma anche favorire il coordinamento più stretto tra regione e territori, anche con una aggiornata informazione sugli strumenti legislativi e finanziari posti a disposizione dall’Unione Europea;
coinvolgere attivamente nel disegno e nella realizzazione delle azioni a favore dei rom, il mondo del terzo settore e del volontariato, le università e i centri di ricerca, l’associazionismo rom e sinti, che potranno a loro volta promuovere azioni positive e di rafforzamento della cittadinanza delle comunità, anche attraverso forme di sviluppo occupazionale ed economico;
rafforzare la partecipazione attiva dei rom, come stabile soggetto da coinvolgere in ogni fase delle politiche e degli interventi che interessino le comunità, inserendo loro esperti e consulenti nei progetti e nelle iniziative che promuovano la crescita culturale e lo sviluppo socio-economico.
Nel secondo documento citato si evidenzia la necessità di promuovere interventi complessivi che non si riducono alla presa in carico dei soli aspetti emergenziali del fenomeno; politiche abitative volte al passaggio dai campi alle abitazioni; politiche sanitarie volte sia a tutelare gli ambienti di vita degli individui sia alla prevenzione; attività volte a valorizzare la cultura rom; accompagnamento alla formazione dei giovani al fine di un inserimento lavorativo efficace; azioni che consentano di modificare l’atteggiamento di disinteresse o di opposizione delle famiglie rom nei confronti della scuola e della alfabetizzazione. Queste e altre azioni sono configurate secondo un approccio di sistema, e caratterizzate come intervento olistico.
Si propone qui la disanima della Teoria del programma soggiacente al progetto, il suo sviluppo nella declinazione in obiettivi ed esiti attesi, e le strategie individuate per sostenere il raggiungimento degli obiettivi.
Il Progetto: Visione di fondo, obiettivi, contesti, esiti attesi
La proposta progettuale scaturisce dagli esiti positivi dei processi di confronto avviatisi all’interno del Tavolo di coordinamento delle città riservatarie80 della L. 285/97, che negli ultimi anni ha favorito l’avvio di un percorso di approfondimento e discussione su temi specifici e lo scambio sulle buone pratiche a favore di bambini e adolescenti. Le città riservatarie sono impegnate a costruire una programmazione comune, che parte dalle esperienze consolidate in ogni città per arrivare a delineare un modello sperimentale, monitorabile e valutabile nel corso d’opera e negli esiti finali.
Il carattere sperimentale dell’iniziativa si sostanzia in diversi aspetti: nell’impianto organizzativo e nell’approccio di sistema (attivazione dei Tavoli locali e delle Équipe multidisciplinari), nell’impulso dato all’ente locale affinché si riappropri delle problematiche dei minori RSC in stretta collaborazione con l’istituzione scolastica, nell’attuazione di un unico progetto nazionale sviluppato su diversi territori che hanno la possibilità di dialogare e confrontarsi, nel tentativo di fornire un sistema di valutazione comparabile che accompagni in itinere gli interventi. Non ultimo e sicuramente molto importante, il fatto che il progetto, almeno nella sua parte relativa alla scuola, sia indirizzato a tutti i bambini, gli insegnanti e le famiglie e non solo alla comunità RSC, e sia pensato come una risorsa condivisibile.
80 La Legge 285/97 istituisce, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Fondo nazionale per l'infanzia e
l'adolescenza finalizzato alla realizzazione di interventi a livello nazionale, regionale e locale per favorire la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente ad esse piú confacente ovvero la famiglia naturale, adottiva o affidataria, in attuazione dei princípi della Convenzione sui diritti del fanciullo resa esecutiva ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176, e degli articoli 1 e 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Il Fondo é ripartito tra le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Una quota pari al 30 per cento delle risorse del Fondo é riservata al finanziamento di interventi da realizzare nei comuni di Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania, Palermo e Cagliari.
Costruire un modello sperimentale unitario avrebbe permesso di costituire un riferimento per le politiche sociali di inclusione della popolazione rom in Italia, anche nel contesto della Strategia di Inclusione. Ma questo ha implicato anche, nel contesto nazionale, di armonizzare pratiche a partire da contesti cittadini molto diversi tra loro, richiedendo alle amministrazioni locali uno sforzo di allineamento nelle politiche di inclusione sviluppate fino ad allora nei territori, e in alcuni casi questo ha corrisposto ad una completa messa in discussione del sistema vigente a livello locale. D'altro canto lo stesso modello sperimentale, per essere monitorabile e valutabile ha richiesto di costruire, in sede di progettazione, un sistema di valutazione che da un lato potesse essere applicabile nei diversi contesti territoriali, dall'altro riuscisse a misurare in maniera standardizzata gli esiti delle azioni messe in campo a livello territoriale.
Il Progetto si è sviluppato in un arco temporale di tre annualità, a partire dal 2013-14 fino al 2016-17, ma ogni annualità ha necessitato di un nuovo finanziamento, ed è stata formalmente attivata ogni anno una nuova procedura di convenzionamento tra città e Ministero e di attivazione attività, questo ha provocato ritardi burocratici e di attivazione degli operatori e delle procedure, e il ritardo e l'incertezza ha pesato anche sugli esiti della realizzazione delle attività e della valutazione, e in generale sulla costruzione del modello sperimentale. Anche a livello sostanziale, il Progetto ogni anno ha fatto patrimonio dell'esperienza degli anni precedenti e, restando invariati gli obiettivi generali, ha modificato in parte le tipologie di attività, il target, il sistema di monitoraggio e valutazione, gli esiti attesi dalle azioni intraprese. Infine il meccanismo del convenzionamento annuale ha fatto anche sì che ogni anno le città decidessero se rinnovare l'interesse per il progetto o meno ed ha modificato ogni anno il numero di città aderenti allo stesso.
Il Progetto, nel corso dei tre anni, si è indirizzato in maniera diretta ai bambini e ragazzi rom, sinti e caminanti, tra i 6 ed i 14 anni, e alle loro famiglie: ma anche, attraverso il coinvolgimento diretto delle classi in cui erano iscritti i bambini rom, a tutti i bambini e ragazzi non RSC iscritti nelle classi e scuole coinvolte nel progetto, ai dirigenti scolastici, al corpo docente e al personale ATA; in maniera
indiretta ai responsabili e agli operatori dei settori sociale e sociosanitario, e più in generale della rete locale per l’inclusione. Alcune attività infatti, sia di sistema che di supporto alla realizzazione degli obiettivi di inclusione, hanno visto coinvolti una grande platea di attori diversi. Le azioni di progetto si sono rivolte principalmente ad alcuni contesti ritenuti rilevanti per il processo di inclusione dei bambini e delle famiglie rom: la scuola, e nello specifico le classi frequentate dai bambini target, i servizi sanitari e sociali, in particolare quelli che insistono nelle zone di riferimento dei campi sosta e dei contesti abitativi delle famiglie rom coinvolte, i contesti abitativi dei bambini target (campi regolamentati dalle amm.ni, appartamenti, insediamenti abusivi,..).
La prima annualità del progetto si è realizzata nell'anno scolastico 2013-14 in 13 città (Catania, Palermo, Reggio Calabria, Cagliari, Napoli, Bari, Roma, Firenze, Bologna, Venezia, Milano, Genova e Torino), le attività progettuali hanno coinvolto 23 scuole di cui 18 del ciclo della primaria e 5 della secondaria di primo grado. In totale hanno partecipato alle attività 42 classi: 33 per il ciclo della primaria e 9 della secondaria di primo grado. Nel complesso gli alunni coinvolti sono stati oltre 900: più di 700 del ciclo della primaria e circa 200 della scuola secondaria di primo grado. Tra loro 156 sono alunni RSC, 132 iscritti alla primaria e 24 alla secondaria di primo grado.
La seconda annualità del Progetto nazionale è stata svolta in 11 città (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Napoli, Milano, Roma, Reggio Calabria, Torino e Venezia, si sono ritirate Palermo e Cagliari), le attività hanno visto il coinvolgimento di 36 scuole di cui 26 del ciclo della primaria e 11 della secondaria di primo grado. In totale hanno partecipano alle attività 87 classi: 67 per il ciclo della primaria e 20 della secondaria di primo grado. Nel complesso gli alunni coinvolti sono oltre 1800, tra loro 280 sono alunni RSC.
Nel terzo anno di attività le città coinvolte e monitorate nel progetto sono state 11 (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia, si sono ritirate Milano e Napoli, che ha proseguito le attività senza il monitoraggio nazionale), hanno partecipato 39 scuole (per 42
plessi) per un totale di 139 classi di cui: 28 scuole primarie con 115 classi; 11 scuole secondarie di I grado con 24 classi. Dei circa 3.000 alunni coinvolti, 329 sono i bambini RSC, 61 dei quali presenti fin dall’inizio del progetto.
Nell'a.s. 2017-18, quarto anno di progetto, il Progetto termina la sua sperimentalità e rientra tra le azioni del “PON Inclusione” 2014-2020, realizzato in collaborazione con il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero della salute e l’Istituto degli Innocenti. Il progetto, rinnovabile per 3 annualità, si svolge in 13 città metropolitane italiane: sostanzialmente sono confermate le città già aderenti, con l'introduzione di città prevalentemente del Sud Italia. Per la nuova progettazione nel quadro del PON “Inclusione” è previsto il coinvolgimento di 81 scuole, 266 classi e 600 alunni RSC target. Nell'a.s. 2017-18 la struttura degli obiettivi e organizzativa si arricchisce e si modifica leggermente, andando ad approfondire alcuni processi avviati nel corso della triennalità.
Il progetto, sia nella sua sperimentazione triennale che nella quarta annualità riferibile alle azioni del “PON Inclusione” 2014-2020, ha alla sua base una vision pedagogica e culturale i cui assunti fondamentali sono:
A. partire dal bambino, dal suo benessere psichico e fisico, dai suoi bisogni e dalle sue relazioni, dai suoi diritti, dalle sue potenzialità, come prospettiva che guidi le scelte di progetto e anche un riposizionamento nell’approccio progettuale;
B. assumere la prospettiva interculturale attraverso il coinvolgimento dell’intero contesto sociale/scolastico e non soltanto del gruppo target strettamente inteso, allo scopo di favorire una reale interazione e contrastare la stigmatizzazione dei bambini RSC.
La visione di fondo dunque ha orientato il progetto, anche nella sua dimensione metodologica, verso un approccio che fosse capace di trasformare le pratiche degli attori coinvolti, e le visioni di fondo che ad esse sottendono. La letteratura grigia e il monitoraggio delle precedenti attività realizzate nei contesti locali interessati81, mettevano in evidenza un approccio di tipo assistenzialistico 81 Analisi realizzata attraverso report cittadini di avvio progetto e dalle attività di monitoraggio dei progetti
verso la popolazione rom, producendo interventi mirati ad intervenire sui soggetti target, con sostegni scolastici e incentivi alle famiglie legati alla frequenza scolastica dei figli, senza agire sulle motivazioni culturali che producevano lo scarto differenziale tra popolazione rom ed istituzioni scolastiche e sociali. L'approccio assistenzialistico è stato valutato, in seno al Comitato Scientifico di progetto82, costituire fattore discriminante per l'inclusione di queste popolazioni nel contesto; esso infatti riproduce le stesse cause di emarginazione sociale e non contrasta il pregiudizio, uno dei fattori chiave dell'esclusione sociale, non fornendo strumenti di emancipazione ed empowerment alle famiglie rom, nella gestione della relazione con la scuola e con i servizi sociali e sanitari.
L'approccio assistenzialistico viene richiamato quale specifica strategia generativa di categorie sociali, definite intorno al concetto di inclusione/esclusione, come bene illustra Villa, a proposito della categoria della povertà:
I poveri, rischiano di essere trattati come poveri e basta e, per effetto della stigmatizzazione fissata su quell’unica caratteristica, la società o quella sua parte che detiene il potere di riconoscimento e legittimazione, ne deforma l’identità sociale tagliandoli fuori, dalla società medesima e da se stessi (cfr. Goffman 1963, p.30). La povertà diviene fenomeno socialmente costruito attraverso le reazioni prestabilite della società, finalizzate in primo luogo alla tutela dell’interesse collettivo nei confronti della povertà stessa: l’assistenza, il controllo, la repressione, l’espulsione. Queste fanno del povero un «oggetto dell’azione di gruppo», ponendolo «in una distanza rispetto al tutto che spesso lo fa vivere come un corpus vile della grazia di questo tutto, e sovente lo fa diventare proprio per questo motivo un nemico esasperato di esso» (Simmel, 1908a). L’assistenza rientra in tale fattispecie, poiché l’accettazione da parte di chi la riceve, colloca questi «al di fuori dei presupposti del suo ceto». Finché ciò non avviene, il pregiudizio proprio dell’appartenenza «è abbastanza forte da rendere [...] invisibile la
82 L'analisi condotta dal Comitato scientifico si è avvalsa, in fase di progettazione, di numerose audizioni di
testimoni privilegiati, e dell'analisi dei report di attività e le raccomandazioni prodotte dall'Osservatorio sull'Infanzia
povertà; fino a quel momento essa rimane una sofferenza individuale e non diventa socialmente attiva. [...] Perciò egli è povero nel senso sociale soltanto quando viene soccorso»31. E per questa ragione il “soccorso” determina una visione passiva e tendenzialmente negativa della povertà e del povero, forzando una comune appartenenza categoriale, priva d’altro canto di qualsiasi corrispondenza con formazioni sociali effettive.83
Del resto l'approccio assistenzialista è citato dalla Strategia Nazionale nell'ottica del suo superamento:
“Alla luce dei crescenti e sempre più pregnanti obblighi internazionali, regionali, comunitari e nazionali, il rispetto dei diritti fondamentali (art.2 della Costituzione italiana) e l’applicazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (art.3, commi 1 e 2, della Costituzione italiana) richiedono, oggi, in maniera indifferibile, la concretizzazione di misure adeguate e specifiche: in particolare, per agevolare l’inclusione di dette comunità, le cui condizioni di vita continuano ad essere caratterizzate da un oggettivo svantaggio. In considerazione di ciò, è necessario superare l’approccio di tipo assistenzialista e/o emergenziale ed attuare misure adeguate e specifiche, affinché siano pienamente affermati l‘uguaglianza, la parità di trattamento (art. 3 della Costituzione italiana) e la titolarità dei diritti fondamentali e dei doveri inderogabili (art.2 della Costituzione italiana)”. L’obiettivo generale della Strategia Nazionale è di «promuovere la parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale della comunità RSC, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita, renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione e la partecipazione alla vita politica e sociale del Paese, nonché favorire il
83 Villa M. Contrasto all’esclusione e promozione della partecipazione: opportunità, paradossi e
implicazioni per la ricerca e l’intervento sociale. In: Ruggeri F.. Stato sociale, assistenza, cittadinanza. Vol. 1, Milano, :Franco Angeli 2013, pag.18
godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia».”84
In questo senso il Progetto si è posto quale meta-obiettivo la messa in discussione delle pratiche di inclusione prevalenti riferibili alla popolazione rom in particolare, per aprire nuove ipotesi di intervento sociale in favore delle popolazioni marginali o a rischio di esclusione, andando a modificare la logica sottesa agli interventi di inclusione, le pratiche organizzative e infine le metodologie di intervento. Il Progetto cioè ha cercato di collocarsi come una sorta di progetto pilota per gli interventi di inclusione che, a partire dalle politiche inclusive per la popolazione rom, potesse rivelarsi adeguato anche per le politiche di inclusione di altre fasce di popolazione a rischio esclusione o già marginalizzate.
L'approccio interculturale85 si prefigura quindi come approccio metodologico e
prospettiva teorica del Progetto, in grado di contrastare e ribaltare la visione ghettizzante e assistenzialista che tanto ha inciso negativamente nel processo di inclusione della popolazione rom in Italia86, in linea con quanto indicato nella
Strategia Nazionale. La visione interculturale infatti privilegia la dimensione
84 “Strategia Nazionale di Inclusione/Integrazione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti”, UNAR, in
Attuazione Comunicazione Commissione Europea N.173/2011
85 Per un approfondimento sull'approccio interculturale vedi
Cambi F., Intercultura: fondamenti pedagogici. Roma, Carocci, 2001
Tassinari G., Giusti M., Ceccatelli Gurrieri G., Scuola e società multiculturale Elementi di analisi multidisciplinare, La Nuova Italia, Firenze 1999
Favaro G., Luatti L. (a cura di), L’intercultura dalla A alla Z., Milano, Franco Angeli, 2008 Gobbo F. (a cura di), Multiculturalismo e intercultura, Imprimatur, Padova 2003
Gobbo F., Pedagogia interculturale. Il progetto educativo nelle società complesse, Carocci, Roma, 2000
86 Così Nazareno Guarnieri, ex Presidente della Fondazione Romanì in Italia, in occasione della prima
Giornata delle comunità romanè a Silvi Marina, il 6/7 Settembre 2013“Una politica per la cultura romanì è oggi inesistente. A livello di società civile c’è tanto folklore, ma la cultura romanì non è solo cucina, musica e abbigliamento. E’ un insieme di valori che formano un’identità culturale. L’evoluzione della cultura romanì è urgente e indispensabile per evitare la distruzione della nostra identità. In particolare lo sviluppo della mentalità assistenziale sta distruggendo la popolazione romanì”, da
http://www.redattoresociale.it/Notiziario/Articolo/444429/Congresso-rom-l-allarme-di-Guarnieri-L- assistenzialismo-ci-sta-distruggendo.
Cfr. anche Yasmine Accardo in “Dal porajmos agli “zingari”: se vogliamo capire il razzismo, studiamo la