2. VALUTAZIONE E PARTECIPAZIONE: LA CORNICE DI ANALISI
2.4 Valutazione partecipata e co-progettazione: una questione di democrazia
Per inquadrare il lavoro di valutazione realizzato nella città di Napoli, è necessario fare un breve excursus sul tema della partecipazione e della progettazione partecipata. Riporto la definizione di Valutazione Partecipata estratta dal Glossario del gruppo tematico “Metodi e tecniche” dell’AIV, poiché essa ci introduce ai temi che tratteremo durante lo svolgimento del testo, ci aiuta nell’individuazione delle dimensioni che rendono partecipata una valutazione, e quali sono le condizioni necessarie per attuarla:
Valutazione partecipata Valutazione è la formulazione, sulla base di
pratiche specifiche della ricerca sociale, di un giudizio di valore relativamente ad un complesso di azioni coordinate strategicamente ed aventi finalità pubbliche che definiamo (a seconda dell'ampiezza) intervento, progetto, programma, piano. La valutazione partecipata è una valutazione che soddisfa contemporaneamente quattro ulteriori condizioni: (1)La prima condizione perché la valutazione possa dirsi “partecipata” è che sia inclusiva: ovvero che il suo disegno della ricerca preveda e garantisca in modo programmatico di allargare la platea dei soggetti coinvolti nella elaborazione del giudizio valutativo (o dell'informazione finalizzata alla sua costruzione), rinunciando quindi a rimettere tale funzione all'esclusiva discrezionalità, per quanto competente e metodologicamente fondata, del valutatore professionista. L'inclusività è condizione necessaria ma non sufficiente della valutazione partecipata, per due ordini di motivi: (a) dal punto di vista dell'ampiezza l'inclusione può variare da pochi soggetti, generalmente appartenenti al gruppo di staff del valutatore e/o del management, a tutti i cittadini coinvolti dall'intervento osservato, senza per questo dare in nessun caso adeguata garanzia del carattere partecipativo dell'inclusione avvenuta; (b) dal punto di vista dell'intensità l' inclusione può variare da un livello minimo (inclusione con finalità consultive) ad un livello massimo (inclusione con finalità deliberative), anche in questo caso non garantendo di per sé l'effettiva partecipazione.
(2)La seconda condizione perché la valutazione sia partecipata è che aderisca ad un approccio costruttivista dell'analisi sociale e, conseguentemente, della ricerca valutativa. In questa direzione la ricerca valutativa può dirsi partecipata se e quando riconosce come dato di necessità che: (a) l'intervento (o il progetto/programma/piano) oggetto della valutazione risulta essere una costruzione simbolica e strategica di tutti gli attori (comprese le “vittime”) che in esso sono coinvolti e che, conseguentemente, (b) il giudizio circa il suo valore può essere elaborato solamente come costruzione di senso di secondo livello, a partire dalla rilevazione e confronto tra le osservazioni ed i giudizi di tutti gli attori
direttamente ed indirettamente coinvolti, ovviamente (c) evitando accuratamente che tali costruzioni si determinino all'interno di procedure manipolatorie o demagogiche e (d) favorendo che invece queste si qualifichino come il meccanismo riflessivo attraverso il quale gli stakeholder si confrontano, governano il loro processo di apprendimento organizzativo, sviluppano strutture semantiche condivise che aiutano a dare significato (senso) ai processi nei quali sono coinvolti (Bertin, 2011). In questo senso la valutazione è partecipata quando si definisce come un processo di costante chiarificazione delle intenzionalità che all’interno dell’intervento sociale ne hanno orientato i risultati ed al tempo stesso sono in grado di retroagire su di esso per confermarlo, modificarlo, interromperlo (Tomei, 2004).
(3)La terza condizione perché la valutazione possa dirsi “partecipata” è che le pratiche negoziali attivate consentano ai partecipanti di esprimere effettivamente ed efficacemente la propria riflessività; e ciò non può avvenire se la valutazione non trasferisce potere decisionale ai soggetti che vi partecipano, ed in particolare se non garantisce (a) la (almeno temporanea) neutralizzazione delle asimmetrie di potere connesse ai ruoli ricoperti all'interno del contesto osservato dagli attori coinvolti nell'esercizio valutativo, senza la quale nessun confronto potrà avvenire tra i diversi punti di vista e l'unico significato attribuibile all'oggetto della valutazione sarà inevitabilmente quello gerarchicamente definito dalle posizioni di maggiore forza (informativa, contrattuale, gestionale...); (b) il diritto comune di tutti i partecipanti all'esercizio valutativo di usare e disporre dei risultati della valutazione condotta, facendo anzi proprio dei risultati l'elemento di ulteriore e più forte potenziamento (empowerment) delle competenze negoziali degli attori più deboli.
(4)La quarta condizione perché la valutazione possa dirsi partecipata è che le tre condizioni sopra illustrate siano garantite metodologicamente dal disegno della ricerca (Bezzi, 2010) attraverso la programmazione di una necessaria successione logica (anche se non necessariamente cronologica) di 12 attività (Tomei, 2011): 1. ricostruzione del contesto sociale di riferimento e del mandato relativo alla valutazione; 2. verifica
delle risorse disponibili (budget, tempi e risorse professionali) e composizione del gruppo di ricerca; 3. composizione di un gruppo di portatori/attivatori di interesse (stakeholders) la cui complessità ed eterogeneità rappresenti in modo sufficientemente fedele quella empiricamente rilevabile nel contesto sociale di cui al punto 1; 4. raccolta delle teorie progettuali sostenute dai diversi componenti del gruppo di cui al punto 3; 5. ricostruzione collettiva degli obiettivi generali e specifici del progetto/servizio oggetto di valutazione; 6. definizione negoziale del sistema di valori di riferimento per la realizzazione della valutazione; 7. costruzione partecipata degli indicatori di qualità e di risultato; 8. costruzione degli strumenti di rilevazione per la misurazione della qualità e dei risultati del progetto/servizio; 9. rilevazione empirica dei dati relativi alla qualità ed ai risultati del progetto/servizio su un campione ragionato di attori sociali componenti il contesto sociale di cui al punto 1 e diversi dagli stakeholders partecipanti al gruppo di cui al punto 3; 10. analisi dei risultati; 11. restituzione dei risultati al gruppo di stakeholder di cui al punto 2; 12. appropriazione dei risultati da parte del gruppo e sua trasformazione in circolo di qualità deliberante in ordine alla ridefinizione politica dello svolgimento successivo del progetto/servizio oggetto di valutazione.66
La valutazione partecipata, nell'accezione degli approcci costruttivisti che ne riconoscono la funzione formativa e riflessiva, si inserisce all'interno del processo di progettazione e realizzazione degli interventi sociali come componente integrante e fondamentale. Per questo si ritiene utile tracciare a grandi linee lo sviluppo storico e metodologico della co-progettazione delle politiche pubbliche, poiché l'una (valutazione partecipata) e l'altra (co-progettazione) sono intrinsecamente legate, e le implicazioni che derivano dalle riflessioni sulla co- progettazione sono utili anche ai fini di una “valutazione della valutazione partecipata”, una meta-valutazione che può aiutarci anche a comprendere meglio gli esiti del percorso valutativo di cui si parla in questo testo.
66 Bezzi C., Glossario del gruppo tematico “Metodi e tecniche” dell’AIV Versione 25 Febbraio 2012,
La co-progettazione nasce quale esigenza della pubblica amministrazione, in risposta alla crescente complessità sociale e alla crisi socioeconomica e istituzionale. L’aumento delle situazioni di difficoltà sociale, unito alla contrazione delle risorse disponibili per farvi fronte, porta nel corso dell’ultimo ventennio a ridefinire il perimetro delle politiche sociali. Il sistema di welfare è spronato a ripensare l’intervento sociale in modo che sia sostenibile: l’esigenza di controllare maggiormente la spesa pubblica e di redistribuire i costi dell’intervento sociale fa sì che si ridefiniscano le relazioni tra pubblico e privato sociale. Interventi di esternalizzazione sempre più diffusi aumentano la distanza tra ciò che è programmato dal pubblico e ciò che è effettivamente realizzato dal privato sociale, in questa cornice la pubblica amministrazione diventa committente, con funzioni di regolazione dei rapporti amministrativi, controllo di qualità dei servizi, programmazione, mentre il terzo settore si pone come fornitore di servizi, con funzioni di gestione dei servizi coerente con gli impegni contrattuali assunti. Aumenta dunque da parte dell’amministrazione l’esigenza di controllare gli interventi esternalizzati, da un lato, e di ponderare la programmazione degli interventi in modo che siano più efficaci possibile dall’altro. E’ proprio in funzione di queste due esigenze, di razionalizzazione e di gestione della complessità, che nascono i primi interventi di progettazione partecipata.
La Legge 328/2000 apre spazi di riflessione congiunta, già con i primi Piani di Zona le amministrazioni pubbliche sono stimolate a cercare collaborazioni nel terzo settore: in questa cornice la pubblica amministrazione è il policy maker, con funzioni di definizione delle politiche e conduzione di percorsi di consultazione progettuale, mentre il terzo settore è consulente, partecipa come “testimone privilegiato” alla formulazione di proposte di progettazione sociale.
Nell’ultimo decennio, dalla crisi economica del 2008 ad oggi, si ridefiniscono in senso partecipativo i rispettivi ruoli: la pubblica amministrazione si pone come partner della co-progettazione, mantenendo la titolarità delle politiche, mentre il terzo settore si pone come partner della co-progettazione, ha potere decisionale (e non solo consultivo) sulle scelte progettuali e si assume un “rischio di impresa”.
Da qui nascono i patti di co-progettazione e i tavoli di co-progettazione tra pubblico e privato sociale.
Potremmo dire, semplificando, che il passaggio tra progettazione partecipata e co-progettazione porta con se l’elemento della corresponsabilità: non si tratta più cioè, di erogare servizi secondo finanziamenti già dati a priori, ma si tratta di assumersi, da parte del terzo settore, una responsabilità nuova, partecipando in una relazione di partnership con l’amministrazione pubblica. A livello amministrativo la co-progettazione viene definita “una modalità di affidamento (progettazione) e gestione della realizzazione di iniziative e interventi sociali attraverso la continuazione di una partnership tra Pubblica Amministrazione e soggetti del privato sociale”, mentre a livello metodologico la co-progettazione è definita “un metodo per costruire politiche pubbliche coinvolgendo risorse e punti di vista diversi, provenienti dal soggetto Pubblico e dal Terzo Settore, coinvolti in una relazione di partenariato.”67
La co-progettazione diventa indispensabile per trovare soluzioni innovative a problematiche complesse, per “generare nuove e sperimentali modalità di fronteggiamento dei problemi sociali68, dunque si utilizza preferibilmente in progettazioni innovative o sperimentali, in cui le “vecchie ricette” non diano sufficiente garanzia di successo, e le si attribuisce proprietà generativa.
Questo tipo di partecipazione, intesa come co-progettazione e relazione di partenariato, si colloca nel gradino più alto delle forme di partecipazione degli attori nella progettazione sociale. Come schematizzato da Fareri, i livelli di partecipazione vanno da un livello “minimo”, nominato delle “relazioni pubbliche”, in cui gli attori sono chiamati a progettazione terminata, ovvero alla restituzione dei risultati delle progettazioni. In questo caso gli attori sono prevalentemente l’opinione pubblica, e assistono di fatto ad una restituzione pubblica di risultati che rimanda alla funzione di accountability della valutazione. Il secondo livello di partecipazione è individuato nella “consultazione”: in questo caso gli attori 67 De Ambrogio U., Guidetti C., La coprogettazione. La partnership tra pubblico e terzo settore, Carocci
Faber, Roma, 2016. Pag 25
diventano “testimoni privilegiati”, sono fornitori di informazioni utili alla progettazione delle attività, e per questo vengono consultati dai progettisti o dagli amministratori a riferire rispetto al proprio punto di vista e alle informazioni in proprio possesso sul tema da trattare, sul contesto in cui si esplica il progetto, sulle azioni possibili da realizzare. Infine la partecipazione vera e propria, dove gli attori sono chiamati a condividere la definizione di obiettivi e metodologie della progettazione, in uno spazio dove sono riconosciuti come portatori di interessi, (e non solo di informazioni), e diventano partecipanti al processo di progettazione con pari dignità rispetto all’amministrazione pubblica, in un processo dove viene loro riconosciuta competenza e in cui si assumono la corresponsabilità degli interventi. Come avverte De Ambrogio però, ed è una considerazione che ci tornerà a sostegno dell’analisi del piano di valutazione della città di Napoli, “la partecipazione applicata alla progettazione, se non correttamente chiarita e progressivamente contrattata valorizzando le opportunità di partenariato, può rappresentare anche un boomerang per le relazioni fra i soggetti del welfare sociale ed alla lunga può provocare più danni che vantaggi”69: il tema della
partecipazione come boomerang è un aspetto che non può essere sottovalutato dei processi partecipativi.
La co-progettazione dunque, intesa nel senso più completo del termine, non rappresenta solo una tecnica di progettazione, ma si pone come innovazione strategica nel campo delle relazioni tra pubblico e privato, ridisegnando una nuova cornice di azione.
La co-progettazione per sua natura si lega al concetto di innovazione sociale, innovazione che può essere definita a partire dai suoi tratti distintivi: innovazione è quando si evidenziano o emergono nuovi bisogni, nuovi paradigmi interpretativi, nuovi attori e nuova governance, nuovi processi produttivi e organizzativi, nuovi equilibri nella relazione tra pubblico e privato. Quando siamo in presenza di fenomeni di questo genere, la co-progettazione può stabilirsi come strategia innovativa di risposta alle nuove problematiche sociali.
La co-progettazione può essere distinta in livelli, a seconda delle finalità cui risponde e del processo in cui è inserita. De Ambrogio individua tre livelli della co- progettazione:
1. istituzionale: è il livello della creazione della partnership tra pubblico e privato, il patto che consentirà di progettare insieme gli interventi
2. progettuale: è il livello in cui si definiscono obiettivi, finalità, strategie di intervento e azioni
3. gestionale: è il livello che attiene alla gestione concreta delle attività, agli aspetti operativi e finanziari
E' evidente che questi livelli rimandano al grado di decisioni che sono imputate alla co-progettazione: il livello gestionale è cosi demandato agli operatori, pubblici e privati, che materialmente realizzano le attività, il livello progettuale è demandato ai coordinatori e responsabili di servizio per il privato sociale, e ai direttori tecnici con funzioni di responsabilità per il settore pubblico, infine il livello istituzionale attiene ai presidenti o rappresentanti degli enti del terzo settore, e agli assessori e dirigenti di settore, il livello politico sarebbe a dire, dei rispettivi enti di appartenenza.
Si può dire che il livello istituzionale legittima lo stesso “decidere insieme”, avalla a monte ciò che verrà poi realizzato a valle, il livello progettuale invece attiene alla dimensione del “decidere insieme”, il livello gestionale è quello relativo al “fare insieme”.
E' importante tenere la distinzione tra livelli ben chiara, in modo da non creare aspettative errate che possono produrre disincanto non solo verso la progettazione singola ma verso il concetto stesso di partecipazione. Questa distinzione probabilmente nel caso napoletano non è stata sufficientemente chiarita in fase di progettazione e di realizzazione del piano valutativo proposto, come avremo modo di vedere in seguito.
Il livello progettuale è il livello che contiene la generatività come proprietà: è a questo livello che ci si riunisce per generare strategie innovative, che si
individuano soluzioni a problemi complessi o sconosciuti. Il livello progettuale è quello che più di tutti valorizza le informazioni e le competenze in possesso degli attori, per orientarle alla buona riuscita del progetto, ma più ancora ne valorizza i punti di vista per la costruzione della cornice problematica in cui si innesta la progettazione.
Le caratteristiche che De Ambrogio individua essenziali per questo livello sono la prospettiva generativa, la corresponsabilità e contitolarità degli interventi progettati, la possibilità di mutuo apprendimento tra partners.
I “pericoli” in agguato alla co-progettazione sono molteplici: la possibilità di misunderstending e arroccamento tra culture organizzative differenti70, cui si contrappone la possibilità/ opportunità di contaminazione tra culture organizzative differenti; un non completo riconoscimento tra partners, derivante dalla incompatibilità presunta tra culture organizzative ma anche da interessi particolari degli attori che oppongono resistenze al processo partecipativo; la non chiarezza tra i livelli di partecipazione (vedi sopra) che può produrre aspettative errate nel processo partecipativo; il prevalere di interessi particolaristici delle parti in campo, che mantengono l'incontro ad un livello rivendicativo anziché orientarsi al progetto. Per questo, quando si aprono processi partecipativi, sono necessarie alcune attenzioni metodologiche. De Ambrogio ne indica alcune, derivanti dall'osservazione sul campo, che si possono sintetizzare nel valorizzare il processo e le sue fasi (i processi di costruzione dei percorsi partecipativi influenzano anche gli esiti di progetto, la forma cioè che l'organizzazione della co- progettazione assume può dare più o meno coerenza all'azione progettuale proposta, e i benefici o al contrario le difficoltà del processo partecipativo decisionale può influire positivamente o negativamente sugli esiti delle azioni proposte in maniera partecipativa); predisporre un'architettura chiara di governance, in cui i ruoli siano chiari e sia definito il mandato di ciascuno nella co- progettazione (per preservare il processo da incomprensioni e confusioni di ruolo, che possono influire sull'esito delle progettazioni), ed in cui, pur in una relazione 70 Il tema delle culture organizzative è trattato in questo testo nel capitolo 6
asimmetrica (pubblico-terzo settore), sia possibile individuare livelli chiari di corresponsabilità; acquisire il conflitto che può generarsi nei processi partecipativi come elemento di generatività, quindi esplicitarlo e negoziarlo.
Infine, una considerazione di fondo: per contrastare la resistenza alla partecipazione bisogna tener conto che la modifica dei ruoli e delle relazioni tra pubblico e privato è una trasformazione profonda che non può avvenire per “mandato”, dall'alto, ma necessità di essere sperimentato lungamente. Per questo occorre trovare “spazi di riflessività, autovalutazione e confronto il più possibile allargati a tutti gli attori sul campo, per riconoscere i pregressi realizzati e aggiungere in itinere le aree più critiche, andando via via a consolidare un metodo capace di estendersi anche a nuovi campi di azione.”71 Quindi la necessità di valorizzare il tempo, tempo per consolidare atteggiamenti e comportamenti all'interno di un quadro che non può essere soltanto normativo/prescrittivo ma partire da una condivisione di fondo del riconoscimento della partecipazione. E dall'altra lo spazio, spazio di riflessività che significa trovare lo spazio di pensiero condiviso, concretizzato e codificato in tempi, luoghi e risorse per garantire a questo spazio di riflessività la possibilità di agire nel senso della sedimentazione dei cambiamenti messi in atto.
Proprio questa “necessità” riflessiva della co-progettazione la lega alla valutazione partecipata: la valutazione è la dimensione di apprendimento della co- progettazione. Lo sforzo, per le parti in causa nella co-progettazione, diventa “non soltanto di cambiamento nelle modalità di relazione e di intervento ma anche di riflessione e autovalutazione in merito ai cambiamenti introdotti, per trarre apprendimenti e indicazioni in vista di future co-progettazioni.”72
La autovalutazione dunque è strumento e al tempo stesso processo della co- progettazione, si situa in uno spazio semantico condiviso, legate entrambe da elementi di complementarietà e similarità.
71 De Ambrogio U., Guidetti C., La coprogettazione. La partnership tra pubblico e terzo settore, Carocci,
Roma, 2016. p. 162
Entrambe prendono linfa dalla dimensione partecipativa, ma la partecipazione appartiene essa stessa ad un campo semantico più ampio, che coinvolge il concetto di democrazia. In questo senso la partecipazione non è più legata ad un approccio metodologico, ma acquisisce valore “politico” per chi la pratica. Come lo sviluppo di approcci sociologici della valutazione nasce dalla crisi dei modelli precedenti, analogamente e in maniera concatenata gli approcci partecipativi nascono anche da una crisi delle democrazia rappresentativa, e dalla necessità di trovare nuovi equilibri tra rappresentati e rappresentanti.
Va riconosciuta una duplice essenza delle ragioni che muovono i processi partecipativi, sia nella loro fase di progettazione che di valutazione: le parti in campo, nella forma degli organismi (organizzazioni, enti, servizi,..), sono spinte da intenti “pragmatici”, mentre gli individui che la compongono sono spinti da intenti e rivendicazioni etiche.
La crisi della democrazia rappresentativa porta l'amministrazione pubblica a cercare soluzioni per diminuire il divario tra stato e cittadini, e per contrastare la crisi di rappresentatività, in questo quadro generale si radicano le ragioni della partecipazione dal punto di vista dello stato. Per la pubblica amministrazione l'esigenza di sperimentare processi partecipativi, sia nella progettazione di interventi che nella loro valutazione, nasce inoltre da ragioni di tipo pragmatico: solo il coinvolgimento di una pluralità di attori assicura che le scelte effettuate saranno non solo corrette ma anche praticabili73. Per gli stakeholders e i destinatari delle progettazioni le ragioni che muovono alla partecipazione sono invece più riconducibili a ragioni “etiche”, dal desiderio cioè di modificare i precedenti equilibri in senso inclusivo e democratico. La crisi della democrazia rappresenta per i cittadini, anche nella loro veste di operatori sociali, un tradimento del patto democratico partecipativo. La distanza creatasi tra cittadino e istituzioni è il “sottobosco” su cui si innestano i tentativi di partecipazione, per cui gli operatori che si trovano a partecipare ad un percorso valutativo o progettuale si approcciano ad essa con una rosa di significati attribuiti all'idea di partecipazione,
che vanno ben oltre il progetto in sé. Dal processo e dagli esiti di quel processo