• Non ci sono risultati.

Valutare la valutazione per una teoria praticabile. Il Progetto di Inclusione dei bambini rom a Napoli

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Valutare la valutazione per una teoria praticabile. Il Progetto di Inclusione dei bambini rom a Napoli"

Copied!
359
0
0

Testo completo

(1)
(2)
(3)

Valutare la valutazione per una teoria praticabile.

Il Progetto di inclusione dei bambini rom a Napoli

Indice generale

Introduzione...4

1. LE POLITICHE DI INCLUSIONE PER LA POPOLAZIONE ROM, SINTI E

CAMINANTI IN ITALIA ED IN EUROPA...…... 1.1 La popolazione rom e le politiche di integrazione in Europa e in Italia...11 1.2 Istruzione e popolazione rom: percorsi dal dopoguerra a oggi ...24 1.3 La popolazione rom a Napoli e le politiche di inclusione locali...28

2. VALUTAZIONE E PARTECIPAZIONE: LA CORNICE DI ANALISI... 2.1 Valutazione: Una definizione ...35 2.2 Politiche sociali e approcci valutativi...44 2.3 Le sfide della complessità...48 2.4 Valutazione partecipata e co-progettazione: una questione di democrazia.57

3. IL PROGETTO: DAL NAZIONALE AL LOCALE... 3.1 Il Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti...70 3.2 Storia breve della formazione nel progetto nazionale ...104 3.3 Il Progetto di inclusione RSC a Napoli ...111 3.4 La formazione nel progetto di inclusione dei bambini RSC nella città di Napoli...119

4. LA PROGETTAZIONE DI UN PERCORSO VALUTATIVO... 4.1 Il piano valutativo del Progetto nazionale di inclusione dal 2013-14 al 2016-17...134 4.2 Esiti del Piano di valutazione di Progetto 2013-14...154

(4)

4.2.1 L’Analisi di processo (developemental)...155

4.2.2 L’analisi rendicontativa dei risultati ...171

4.2.3 La Customer satisfaction...183

4.3 Valutazioni critiche sul piano di valutazione nazionale e ipotesi di lavoro 191 4.3.1 Valutazione critica del modello e della filosofia di fondo...191

4.3.2 Gli strumenti utilizzati: limiti incontrati nella pratica valutativa...211

4.3.3 Ipotesi di lavoro...220

5. IL PIANO DI VALUTAZIONE DEL PROGETTO DI NAPOLI... 5.1 Il disegno di ricerca del progetto di Napoli...223

5.1.1 La definizione del mandato valutativo...225

5.1.2 Il disegno operativo della ricerca valutativa...233

5.2 Gli esiti del disegno di ricerca valutativa...258

5.2.1 Il Progetto: Presupposti e visioni...259

5.2.2 Elementi di contesto...268

5.2.3 I fattori di processo ...271

5.2.4 Risultati raggiunti...284

5.2.5 Valutazione degli outcome: i cambiamenti innescati ...290

5.2.6 Proposte operative e di sistema...305

5.3 Conclusioni: Contesto, elementi di processo, cambiamenti: cosa è successo?...315

6. VALUTARE LA VALUTAZIONE... 6.1 Attori, visioni, relazioni e un pregiudizio...323

6.2 Il percorso e gli strumenti utilizzati: riflessioni critiche...330

6.3 Epilogo: cosa è accaduto al rapporto di valutazione?...337

6.3 conclusioni...341

(5)
(6)

A mia figlia Zoe Ad Andrea, amico

Introduzione

“Il mondo non è un bel panorama in attesa di una fotografia. Cambia come cambiamo noi, mentre lo conosciamo e resiste al nostro lavoro. Se vuoi misurare la temperatura di una goccia d'acqua, ci immergi il termometro, ma appena lo fai, il liquido si riscalda o si raffredda, perché scambia calore con la punta dello strumento. Succede così per qualunque attrezzo, idea o parola che ti serve per indagare la realtà” Bogdanov in Proletkult; Wu Ming

Questo testo vorrebbe rappresentare l'epilogo di un esperimento di valutazione sociale partecipata, la sintesi delle riflessioni che lo hanno animato prima, durante e dopo, allo scopo di aprire ancora interrogativi e riflessioni sul senso, le finalità, le modalità e i risultati della valutazione sociale, perché, per dirla con Nicoletta Stame, “la valutazione non è soltanto una pratica. È un modo di fare e di ragionare su quello che si sta sviluppando nella pratica in vista di un miglioramento della stessa attività pratica. Rimanda costantemente ad una pratica riflessiva. Questa pratica riflessiva ha bisogno di sapere cosa si fa, come si fa, che cos'è, che tipo di riferimenti ci sono.”1

1 Capogna S., Intervista a Nicoletta Stame, in «Formazione e Cambiamento», Webmagazine sulla

(7)

La valutazione sociale a livello internazionale si impone già negli anni 60, di pari passo allo sviluppo delle scienze sociali e all'attenzione crescente per le politiche sociali e i mutamenti che le attraversano2, mentre in Italia segue uno sviluppo più lento e si impone all'attenzione alla fine degli anni 90, con la costituzione dell'Associazione Italiana Valutatori, che riunisce un folto gruppo di studiosi e professionisti che promuove e sviluppa la cultura della valutazione. Nel corso dei decenni si possono individuare alcune grandi tappe nel dibattito internazionale sulla valutazione sociale, che di fatto ricalcano in parte lo sviluppo del dibattito sociologico (approcci positivisti, pragmatisti, costruttivisti,..), e si ancorano allo sviluppo delle politiche sociali e di welfare, e alle nuove necessità di comprendere e “rendere conto” delle politiche stesse.

In Italia si è sviluppato enormemente l'utilizzo di prassi valutative all'interno dei programmi sociali, ma si stenta per contro ancora a riconoscere il ruolo della valutazione nello sviluppo delle politiche sociali, e il ruolo della ricerca valutativa nel campo delle scienze sociali. Per dirla con Stame ancora “L’impatto dell'introduzione della valutazione in Italia è stato abbastanza ridotto, non nel senso istituzionale ma in quello della cultura della valutazione. Dal punto di vista pubblico c'è stato un discreto sviluppo, la maggior parte delle istituzioni pubbliche oggi hanno dei nuclei di valutazione, si fa valutazione in tanti settori, nei programmi europei, anche in molti progetti adesso è chiesta la valutazione. Però viene richiesta come un fatto rituale senza capire esattamente che cosa voglia dire fare valutazione”3.

L’interesse pubblico per la valutazione sociale deriva anche dal sempre più marcato disequilibrio fra aumento quantitativo e qualitativo dei bisogni sociali e capacità complessiva di risposta del sistema. Tale fenomeno è “rafforzato” dalla marginalità dei soggetti a cui si rivolge l’offerta di servizi, che ne determina una scarsa capacità di pressione politica. Ma si tende ancora in Italia a confondere la valutazione con il monitoraggio e controllo, piuttosto che dare vita ad una

2 Stame N., L'esperienza della valutazione, SEAM, Milano1998

3 Capogna S., Intervista a Nicoletta Stame, in Formazione e Cambiamento, Webmagazine sulla

(8)

riflessione sugli effetti reali delle politiche sociali; essa abdica così alla sua funzione “formativa”4, per mantenersi principalmente nel suo ruolo rendicontativo, rinunciando alle potenzialità di costruzione e condivisione di significati, che aprirebbe ai protagonisti dell’agire sociale nuovi scenari e nuove possibilità di intervento.

L'interesse per la valutazione sociale nasce nel mio caso dal connubio tra studi e professione. Lavoro da quasi dieci anni come ricercatrice nell'Area Formazione e Ricerca dell'Istituto degli Innocenti, l'Istituto degli Innocenti è un'Azienda di servizi alla Persona (ASP), la cui mission è la promozione dei diritti dei bambini a livello locale, nazionale ed internazionale, attraverso attività di ricerca, monitoraggio, documentazione e formazione sul tema. Mi sono occupata negli anni di progettazione e realizzazione di percorsi formativi per professionalità che lavorano a vario titolo con e per i bambini, in progetti locali, nazionali e internazionali; sono stata inoltre responsabile per la qualità e sono valutatrice degli apprendimenti, dal 2013 ad oggi sono stata coinvolta quale componente del Comitato Scientifico nel Progetto Nazionale di Inclusione dei bambini rom, sinti e caminanti e dal 2015 sono stata coinvolta nel Progetto locale di inclusione nella città di Napoli come responsabile, per l'Istituto degli Innocenti, del percorso formativo. Nel contempo ho proseguito lentamente i miei studi universitari, e la letteratura sul tema della valutazione mi ha sostenuto nell'esigenza di ripensare alcune pratiche valutative che utilizzavo nel mio lavoro.

La “spinta felice” si è realizzata quando si sono incontrati il mio personale percorso accademico, la formazione professionale sul tema della valutazione di progetti sociali offerta dal mio ente lavorativo, la richiesta di progettazione di un percorso formativo e di sostegno valutativo agli attori nel progetto di inclusione dei bambini rom a Napoli. In questo modo ho potuto personalmente mettere a frutto le riflessioni accademiche, quelle nate in seno al contesto formativo lavorativo, e quelle scaturite dall'esperienza lavorativa nel progetto nazionale e in quello napoletano. Per questo questa tesi è frutto anche di un lavoro appassionato e non

(9)

privo di contraddizioni ed errori, di vincoli e di ruoli, consapevole di non riuscire fino in fondo a mantenere un giudizio obiettivo e distaccato, in quanto parte coinvolta, ma cercando di approfittare proprio del mio ruolo di testimone/attore privilegiato per approfondire scelte, dinamiche, ragioni che hanno accompagnato il mio lavoro e quello degli altri.

Il Progetto Nazionale di Inclusione dei bambini Rom, Sinti e Caminanti si è sviluppato in forma sperimentale nel triennio 2013-2017, su impulso delle normative per l’inclusione della popolazione rom e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso i finanziamenti previsti dalla Legge 285/87. Dal 2013 il Comune di Napoli ha aderito al Progetto Nazionale, e dal 2014 ad oggi ha allargato la platea di beneficiari ad altri 4 territori nel Comune, finanziando autonomamente gli interventi.

Io sono stata fin dall'inizio membro del Comitato scientifico nel Progetto nazionale, all'interno dell'assistenza tecnica offerta dal mio Ente nel quadro della convenzione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ho partecipato alla definizione del Progetto, degli obiettivi, delle attività da realizzare, della metodologia di lavoro e del piano valutativo, in particolare per la parte legata alla scuola e alla formazione degli attori. Ho partecipato alla ideazione e redazione delle linee guida del progetto rivolte alle città partecipanti, in particolare per le attività da realizzare nell'ambito scolastico; ho sostenuto la parte valutativa attraverso la raccolta e analisi dei dati disponibili, la redazione dei report annuali e triennali, e la restituzione nelle scuole dei risultati degli strumenti valutativi in particolare dello strumento sociometrico utilizzato nelle classi target. Con la città di Napoli invece ho avviato la collaborazione nell'a.s. 2015-16, con la progettazione del percorso formativo per gli attori coinvolti nel progetto di inclusione locale, ed ho proseguito nell'a.s. 2016-17, la collaborazione tra l'altro è ancora in corso.

Nell'a.s. 2016-17 ho progettato il percorso di accompagnamento formativo e di sostegno valutativo agli attori del Progetto locale e ho realizzato, al suo interno, il piano di valutazione partecipata del Progetto oggetto di questa tesi. Di fatto, in questi anni, ho redatto o contribuito a redigere molti dei documenti che cito in

(10)

questo testo, dalle linee guida nazionali sulla formazione alle proposte progettuali per la città di Napoli, di cui sono stata per entrambi gli anni progettista e responsabile di commessa, oltreché docente di alcuni incontri dedicati in particolare all'introduzione ai presupposti teorici e metodologici del Progetto e alla valutazione formativa. Sono in tutto ciò molto grata al mio percorso universitario, che mi ha permesso di aprire piste di riflessione che contribuiscono al continuo rinnovamento sul piano professionale, e anche sul piano personale, poiché rinnovare la passione per ciò che faccio ogni giorno mi aiuta a comporre ed arricchire il senso di me, in ogni cosa che affronto.

Questa tesi tratta del percorso valutativo intrapreso a Napoli, così come si è andato delineando nella realtà: la ricerca valutativa si è sviluppata a partire non da una riflessione teorica che ha trovato riscontro nella realtà, ma a partire dalla realtà, dai limiti imposti dal mandato professionale, dai vincoli economici e di risorse umane già posti a priori, dal contesto effettivo di lavoro, dalle contraddizioni interne ed esterne al progetto, per andare ad ancorarsi ad una riflessione teorica più ampia.

Un percorso che si è sviluppato attraverso deviazioni imposte e scelte, mosso a tratti da motivazioni che con la teoria della valutazione hanno poco a che vedere, in cui sono stati definiti obiettivi e costruiti strumenti attraverso la negoziazione con molteplici attori e portatori di altrettanti significati e istanze, tornando indietro, commettendo errori e aggiustamenti, fino ad arrivare ad una riflessione che, a partire dall'esperienza in questo progetto, cerca di ancorare la realtà costruita ai modelli teorici che le sottendono, a volte inconsapevolmente, andando a cercare nella teoria un sostegno alle scelte fatte ma anche una risposta agli interrogativi nati strada facendo. Una sorta di dialogo tra realtà e teoria che vorrebbe riflettere e andare verso una teoria praticabile, che non resti lettera morta per quanto intrigante, ma sappia destreggiarsi tra le mille contraddizioni del reale senza perdere anima e coerenza.

Il testo è organizzato in sei capitoli, e traccia il percorso che ha portato al piano di valutazione partecipata del Progetto di inclusione dei bambini rom a Napoli,

(11)

descrive il piano e le evidenze emerse. Tutto il percorso intrapreso è attraversato dalla riflessione che muove dall'esperienza fatta del sistema valutativo a livello nazionale per costruire la pratica valutativa a livello locale, fino ad una riflessione più ampia che, a partire dai risultati, dai dubbi e dalle difficoltà incontrate nel progetto locale, prova a delineare un discorso sulla pratica valutativa partecipata.

Il primo capitolo definisce il contesto del Progetto di inclusione dei bambini rom a Napoli: la popolazione rom e le politiche di inclusione susseguitesi nel tempo in Italia ed in Europa, con un approfondimento sulle politiche di inclusione scolastica per i bambini rom, e infine un focus sulla popolazione rom a Napoli e le politiche cittadine di inclusione.

Il secondo capitolo fa chiarezza sul quadro teorico che sostiene lo sviluppo di questa tesi: le basi concettuali e storiche della ricerca valutativa, i diversi approcci e le scuole di pensiero soggiacenti, alcune definizioni utili per discutere nel merito del piano di valutazione del progetto di inclusione della città di Napoli, oggetto di questa tesi.

Il terzo capitolo descrive la storia e la struttura del Progetto di inclusione dei bambini rom a Napoli, nato dapprima come parte del Progetto Nazionale di Inclusione dei bambini RSC, poi come sviluppo locale calato nel contesto napoletano, infine il focus sul piano di formazione nazionale e quello locale, in cui si colloca il piano di valutazione partecipata oggetto di questa tesi.

Il quarto capitolo si sofferma sulla genesi del piano di valutazione del progetto locale della città di Napoli: dal piano di valutazione del Progetto nazionale, come nasce in seno al comitato scientifico del progetto e del gruppo di valutazione, la teoria del programma e gli strumenti utilizzati, gli esiti, per poi sviluppare il contesto e il percorso di riflessione che ha portato alla proposta e realizzazione di un diverso piano di valutazione del Progetto locale.

Il quinto capitolo racconta dello sviluppo del piano di valutazione partecipata per il Progetto locale di Napoli, e gli esiti del processo valutativo. Nella prima parte la definizione del mandato valutativo, il disegno di ricerca valutativa, le fasi, gli

(12)

strumenti, la filosofia sottesa, la struttura del report di accompagnamento alla valutazione del Progetto locale presentato al Comune di Napoli; nella seconda sono presentati gli esiti del percorso valutativo, organizzati in un percorso che mette in relazione, per ciascun ambito di obiettivi, gli elementi di contesto e di processo con i risultati raggiunti e i cambiamenti attivati dal progetto.

Il sesto capitolo trae spunto dalla pratica valutativa realizzata per il Progetto locale di Napoli per aprire una riflessione sul senso stesso della valutazione, in particolare della valutazione partecipata, cercando conferme nel quadro teorico ma anche piste di analisi e di intervento rispetto alla pratica valutativa, per provare a dare risposta agli interrogativi sollevati e cercare soluzione ai limiti incontrati nella pratica.

(13)

1. LE POLITICHE DI INCLUSIONE PER LA POPOLAZIONE ROM,

SINTI E CAMINANTI IN ITALIA ED IN EUROPA

1.1 La popolazione rom e le politiche di integrazione in Europa e in Italia

Dal Vocabolario Sociale “Rom è il nome collettivo di uno dei principali gruppi della popolazione di lingua romanes. I rom (plurale ròma o romà) costituiscono una nazione senza Stato divisa in piccole comunità tra Europa e America che hanno assunto usi, costumi e tradizioni diverse attraverso contaminazioni e interscambi con le popolazioni dei Paesi con cui hanno convissuto”5. Quando si parla di “zingari”, o di rom, si parla di una realtà molto eterogenea difficilmente inquadrabile in puntuali categorie storiche, antropologiche e sociali univoche. Rom, sinti, travellers, zigani, gypsies, gitanos, sono solo alcuni dei termini utilizzati per denotare popoli che non parlano tutti la stessa lingua, non professano tutti la stessa religione né sono per la maggior parte nomadi; hanno inoltre tratti somatici diversificati, vivono in – o provengono da – zone geografiche estremamente distanti tra loro e sono caratterizzati da livelli di sviluppo socio-economico distinti, per quanto una grande parte di loro viva in condizione di estrema povertà. La loro origine è questione ancora controversa. Supportati dagli studi dei linguisti, molti storici ritengono che gli zingari appartengano a un ceppo indoeuropeo. Se è vero però che – come sostiene il linguista e ziganologo Lapov (Lapov 2004) – già al

(14)

momento della partenza dall’originaria patria indiana essi non possedevano più un’identità comune ben definita, è certo che questa si sia ulteriormente differenziata nella lunga peregrinazione verso e nel nostro continente, entrando a contatto con gli autoctoni – e non solo con gli autoctoni – delle varie Regioni europee. In tutte le lingue europee è presente un termine più o meno equivalente all’italiano “zingari” (tsiganes, gypsies, gitanos, cigani ecc.), anche e se è evidente che i gruppi di persone così denominate presentano, da un Paese all’altro, enormi differenze. Secondo Piasere, la flessibilità della struttura concettuale ha permesso di includervi persone con diversità culturali anche notevoli, «il cui unico tratto comune è consistito, forse, in una stigmatizzazione negativa da parte di chi non si considerava zingaro» (Vitale 2010). Se “zingari” e “nomadi” sono i nomi utilizzati dai gagè6, questi gruppi si riferiscono invece a se stessi in vario modo; il termine

più comune, e di più ampia portata, è comunque “rom”, che in lingua romanì significa “uomo”. Per quanto riguarda l’Italia, i gruppi zingari sono relativamente pochi: a una maggioranza rom si affianca una presenza non troppo consistente di sinti – prevalentemente al Centro e Nord Italia – e una minima rappresentanza di caminanti (solo in Sicilia). Recentemente, pertanto, i documenti ufficiali italiani utilizzano l’acronimo RSC (Rom, Sinti e Caminanti) per indicare sinteticamente il complesso delle etnie storicamente presenti in Italia. A livello Europeo, infine, quando si parla di tutti i gruppi nel loro insieme, viene utilizzato il termine “Roma” (plurale di rom in lingua romanì). La difficoltà di definire univocamente la popolazione di cui stiamo trattando ci segnala l’importanza di muoversi con cautela quando si adottano generalizzazioni sulla cultura, la società, l’educazione dei gruppi rom, e in particolare in fase di progettazione di percorsi e politiche di inclusione. È anche per questo che questa “galassia di gruppi” è stata definita una sorta di “mondo di mondi”7 costituito da comunità con specifiche caratteristiche spesso legate alle proprie – storicamente connotate – modalità di rapporto con la comunità maggioritaria e circostante8 (Bravi 2009).

6 Gagè è il termine utilizzato dai rom per indicare le persone non rom.

7 Piasere, L. Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom, L'ancora, Napoli 1999

8 Bravi L. Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia,

(15)

Le presenze rom in Europa

Tra tutte le minoranze etniche in Europa, la minoranza rom è, numericamente, senz’altro la più grande e allo stesso tempo la meno tutelata. Gli ultimi dati relativi all’indagine del Consiglio Europeo del 2010 ci parlano di una presenza intorno ai 10 milioni di individui in tutta Europa. La gran parte della popolazione rom vive nelle Regioni orientali e centrali europee, mentre porzioni relativamente modeste nell’Europa occidentale. Uno dei principali problemi con cui ci si deve confrontare nell’affrontare le questioni che riguardano le popolazioni rom è quello della pressoché totale assenza di dati certi. Secondo il rapporto No data – No progress del 2010, nell’ambito della Decade of rom inclusion 2005-2015 sostenuto dalla Open Society Fondation, «la carenza di dati sulle comunità rom rimane il maggiore ostacolo per valutare condizioni di vita e costituisce un limite, per i governi, alla messa in atto di politiche appropriate e alla possibilità di valutarne l’impatto»9. Ciò è dovuto a fattori di varia natura. Un primo aspetto da tenere in debita considerazione sono le strategie mimetiche messe in atto dalla maggioranza degli appartenenti ai gruppi in oggetto, allo scopo, laddove è possibile, di poter essere assimilati formalmente al resto della popolazione. Inoltre, «rispetto ad altre popolazioni, l’unico strumento possibile per attribuire l’identità rom a una data persona è proprio l’auto-ascrizione: un francese, un marocchino, un kazako hanno un’entità statale di riferimento, un documento che prova l’appartenenza a un dato Paese, una lingua comune di riferimento; oppure è il caso degli appartenenti alla religione ebraica, esiste una fede comune alla quale fare riferimento e che in un certo senso fa da collante rispetto all’identificazione di una persona in quanto appartenente a un gruppo. Per i rom, minoranza priva di territorio, tutto ciò è impossibile»10.

9 Mcdonald C., Negrin K., No Data—No Progress: Country Findings, Open society foundations, https://www.opensocietyfoundations.org/reports/no-data-no-progress-country-findings, 2010

(16)

I rom oggi in Italia

Secondo i dati forniti dal Consiglio d’Europa e dall’Anci, nel 2010 in Italia si stima una presenza di 130/150 mila rom, ma secondo alcuni la stima è ottenuta per difetto. Per l’Opera Nomadi, infatti, il dato realistico è intorno alle 170.000 presenze, una stima che terrebbe conto di quanti preferiscono non esplicitare la propria appartenenza a tali gruppi per il timore di ricevere una stigmatizzazione negativa11. Secondo un rapporto del Ministero dell’interno dell’aprile 2006, i rom, i sinti e i caminanti dovrebbero complessivamente attestarsi intorno alle 140.000 unità, dato confermato anche dalla Comunità di Sant’Egidio e da Anci, come risulta dal Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e caminanti in Italia12 redatto dalla Commissione straordinaria per la tutela e la

promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica (2011), mentre per alcune realtà attive nel campo dei diritti questo ultimo dato risulterebbe sottostimato, a causa delle “strategie mimetiche” che mettono in atto gli appartenenti a tali gruppi, onde evitare pregiudizi e stereotipi.

In relazione alla loro cittadinanza e al periodo di immigrazione possono essere distinti tre gruppi principali:

cittadini italiani: un primo gruppo, composto da circa 60-70 mila persone – 

rom e sinti – presenti in Italia da centinaia di anni e distribuito su tutto il territorio nazionale;

extra-comunitari (ma anche apolidi o in parte italiani le nuove generazioni): un 

secondo gruppo, costituito da circa 70-90 mila rom balcanici arrivati negli anni Settanta, Ottanta e Novanta, in particolare, in seguito alla disgregazione della ex-Jugoslavia; si stabiliscono principalmente nel Nord Italia;

11 Presidenza del Consiglio dei Ministri – Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, Relazione Al

Presidente Del Consiglio Dei Ministri , Roma 2012

12 Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, Approvato il 9

febbraio 2011, Senato Della Repubblica Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani

(17)

cittadini europei: gruppo di migrazione più recente, composto di rom di nazionalità romena e bulgara e presenti prevalentemente nelle grandi città (Milano, Torino, Roma, Napoli, Bari).

In generale si può sostenere che i rom siano più diffusi al Centro e al Sud Italia, mentre i sinti vivano per lo più al Nord. I “caminanti”, piccoli venditori ambulanti, stimabili attorno alle 6.000 unità, vivono prevalentemente in Sicilia e a Milano13.

A questa complessa storia migratoria corrisponde una popolazione caratterizzata dall’eterogeneità dei gruppi, dalla loro varietà linguistico-dialettale, nonché da rilevanti differenze culturali e di status giuridici: cittadini italiani; cittadini stranieri appartenenti ad altri Paesi dell’UE; stranieri/cittadini di Paesi extra-comunitari; stranieri/con riconoscimento del diritto di asilo; apolidi.

All’interno di ciascun gruppo, vi è una miriade di gruppi e sottogruppi, caratterizzati da una serie di somiglianze, che includono la lingua, le modalità di vita e l’organizzazione familiare, ma anche di differenze, soprattutto culturali, costruite sulla base delle diverse traiettorie migratorie vissute dai singoli gruppi famigliari. Si tratta quindi di comunità altamente diversificate, tanto che è difficile che vengano riconosciute dalle stesse forme di rappresentanza comuni.

Abbandonato da anni il nomadismo (rimasto residuale in una minoranza di popolazione), gli ambienti di vita delle comunità rom e sinti sono molteplici, con macroscopiche differenze tra città e città. Per quanto in questi ultimi anni si sia da più parte sottolineata la necessità di migliorare le condizioni abitative, tra un quarto e un quinto della popolazione complessiva, circa 40.000 soggetti, vive ancora in campi che vantano caratteristiche estremamente diverse e, in generale, condizioni di vita piuttosto precarie. Si tratta di campi abusivi, senza le minime condizioni igieniche, di campi attrezzati e dotati di servizi (generalmente carenti), di campi cresciuti su terreni acquistati dalle stesse famiglie rom e sinti.

13 Guida del Progetto Nazionale di inclusione scolastica e sociale dei bambini RSC, Firenze, Centro

(18)

Per la maggior parte dei rom di ultimo ingresso, resta pendente la questione fondamentale della regolarizzazione. Per esempio per coloro che sono nati in Italia e vissuti nei campi irregolari, l’acquisizione della cittadinanza italiana, al compimento del diciottesimo anno, è ostacolata dall’impossibilità di produrre l’apposita documentazione che attesti la residenza continuativa in Italia nel corso dei 18 anni di vita. Per quanto riguarda gli apolidi “di nazionalità non determinata”, che sono privi di permesso di soggiorno, è necessario che siano regolarizzati o che ricevano documenti non in deroga, ma identici a quelli degli altri cittadini. La minaccia costante di espulsione dall’Italia, la relazione stretta tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, le difficoltà di accesso ai servizi di base (tra cui quelli socio-sanitari) costituiscono ostacoli concreti ad una positiva integrazione/inclusione sociale.

Un dato invece certo che riguarda queste popolazioni è che la grande maggioranza dei RSC non pratica, ormai da anni, il nomadismo. Secondo il Ministero dell’Interno, in Italia le famiglie che ancora viaggiano in carovana rappresentano il 2-3% della popolazione complessiva: le famiglie appartenenti a gruppi nomadi sono pochissime e riguardano solo alcuni gruppi di Sinti giostrai e Rom Kalderasha. Entrambi i gruppi, peraltro, sono presenti in Italia da diversi anni e in gran parte in possesso della cittadinanza italiana»14. Questione differente – da considerare altra dal fenomeno del nomadismo – è lo spostamento forzato che molte famiglie subiscono in seguito all’allontanamento dal luogo nel quale si erano stabilite.

Proprio la mancata comprensione di questo fenomeno – o, talvolta, lo sfruttamento di tale errata convinzione come pretesto – ha portato le politiche locali a immaginare per i rom degli spazi lontani dalla città, i cosiddetti campi nomadi, dove permettere la sosta temporanea. Questi hanno aggravato la condizione di marginalità e precarietà degli abitanti, accentuando la separazione, la diffidenza e l’incomunicabilità tra il “mondo rom” e quello gagè: “i “campi” hanno 14 Rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, Senato Della

Repubblica Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani, Approvato il 9 febbraio 2011

(19)

rappresentato una dispendiosa risposta abitativa che ha aumentato la segregazione e la chiusura da ogni relazione e opportunità sociale. Oltre che molto costose per l’amministrazione e per le vite di chi le subisce, queste modalità di intervento non rispondono all’idea di soluzione abitativa che si è andata promuovendo secondo le raccomandazioni internazionali e nella Strategia nazionale per l’inclusione di rom, sinti e caminanti 2012-2020, nelle quali si segnala l’esigenza di prevenire l’esclusione e la ghettizzazione evitando di far risiedere i rom sulla base della propria origine etnica o in aree inappropriate e insalubri.15

A livello di politiche locali emergono numerose impreparazioni e contraddizioni nell’utilizzo di strumenti utili ad affrontare e gestire le problematiche connesse alla complessa e articolata presenza rom: non si danno forme di coordinamento orizzontale fra gli enti locali, né forme di corresponsabilità e governance multi-livello fra Istituzioni ordinate verticalmente. L'ANCI ha chiesto più volte nel corso degli anni maggiore formazione, informazione, scambio di buone prassi, linee di indirizzo per i Comuni16. Le conseguenze della frammentazione degli interventi sociali sono estremamente gravi per le comunità rom più povere, le quali subiscono gli esiti delle forti disuguaglianze non solo di reddito, ma anche sanitarie, abitative, scolastiche e occupazionali (OSCE 2008).

Un tratto importante che caratterizza la popolazione rom è l’altissima percentuale di minori: non a caso le popolazioni rom vengono definite “un popolo di bambini”.

Secondo le stime di Opera nomadi, riportate nel Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di rom, sinti e caminanti in Italia (Senato della Repubblica, 2011), le comunità dei rom e sinti sono caratterizzate dalla presenza di un’alta percentuale di minori. Il 60% della popolazione rom e sinti ha meno di 18 anni; di questi, il 30% ha un’età compresa tra gli 0 e i 5 anni, il 47% tra i 6 e i 14 anni, il 23% tra i 15 e i 18 anni. La percentuale dei minori RSC al di sotto dei 16 15 Vulpiani P., Sgomberi: principi e linee guida per la tutela dei diritti umani; in Quaderno Collana LIL

Quaderni di Informazione Rom e Sinti UNAR n.3, ISTISSS editore, Roma 2013

(20)

anni (45%) risulterebbe essere tre volte superiore rispetto alla media nazionale (15%) per lo stesso gruppo di età (Consiglio dei Ministri, 2012). Complessivamente, il numero dei bambini e i ragazzi minorenni appartenenti a queste diverse comunità si aggirerebbe intorno ai 70.000 soggetti. Un numero significativo che necessita di attenzioni e di condizioni di crescita adeguate. Le problematiche delle generazioni più giovani sono strettamente collegate alle condizioni sociali degli adulti e delle comunità di appartenenza e il ventaglio dei diritti inevasi risulta molto ampio. In campo sanitario le condizioni di salute dei bambini rom sono notevolmente peggiori di quelle della maggioranza della popolazione, come risulta anche da indicatori quali il minore peso dei bambini alla nascita, l’aspettativa di vita più breve, la mortalità infantile più elevata, una maggiore diffusione delle malattie croniche e di malattie infettive quali bronchiti, infezioni intestinali, tonsilliti. Risultano inoltre una bassa copertura vaccinale e una crescente esposizione al rischio di malattie in passato sconosciute come HIV/AIDS e altre sessualmente trasmissibili o la diffusione delle tossicodipendenze (Presidenza del consiglio dei ministri et al., 2009).

Le politiche di integrazione in Europa ed in Italia

Le politiche di inclusione rivolte alle popolazioni rom hanno avuto negli ultimi anni in Italia un’importante ridefinizione verso strategie complesse di medio e lungo periodo, con l’intento di superare le precedenti politiche centrate sull’emergenza. L’impulso più incisivo è stato senza dubbio quello ricevuto da organismi europei, che, oltre a indirizzare al Governo italiano numerosi richiami al rispetto e alla tutela della minoranza rom, nel corso degli ultimi anni hanno elaborato importanti linee di indirizzo a livello europeo sollecitando i singoli Stati membri a prevedere Strategie Nazionali mirate e sostenibili. «Per conseguire progressi significativi nell'integrazione dei rom, è giunto il momento di fare un passo avanti: garantire che le politiche di integrazione nazionali, regionali e locali si concentrino sui rom in modo chiaro e specifico e affrontino le esigenze dei rom con misure esplicite dirette a prevenire e compensare gli svantaggi che colpiscono

(21)

tale popolazione. Un approccio mirato, nell'ambito della strategia generale di lotta contro la povertà e l'esclusione»17.

Nel 2008, nel primo Summit comunitario su roma and travellers svoltosi a Bruxelles, fu definita la creazione di una Piattaforma Europea per l’inclusione dei rom, comprensiva dei Governi Nazionali, della stessa Unione Europea, delle Organizzazioni Internazionali e dei rappresentanti dell’associazionismo rom e pro-rom. Sempre nel 2008, a conclusione dell’Incontro di Cordoba, sono stati approvati i 10 Common Basic Principles on Roma Inclusion. L’obiettivo dei “10 princìpi” è quello di offrire alle Istituzioni dell’Unione Europea e agli Stati membri una guida per le politiche volte all'inclusione dei rom. Nonostante i “princìpi” rappresentino una dichiarazione politica non vincolante dal punto di vista giuridico, gli Stati si sono impegnati ad adottarli come piattaforma di base per future iniziative.

I “10 princìpi fondamentali” prevedono: politiche costruttive, pragmatiche e non discriminatorie; approccio mirato, esplicito, ma non esclusivo; approccio interculturale; prospettiva finalizzata al mainstreaming; consapevolezza della dimensione di genere; divulgazione di politiche basate su dati comprovati; uso di strumenti comunitari; coinvolgimento degli Enti regionali e locali; coinvolgimento della società civile; partecipazione attiva dei rom.

Il dibattito comunitario è culminato nella elaborazione della EU Framework for National Roma Integration Strategies, la “Cornice Comunitaria per le Strategie di Integrazione Nazionale dei Rom” (5 aprile 2011), che prevede un impegno senza precedenti per tutti gli Stati membri dell’Unione Europea in materia di promozione dell’inclusione delle comunità RSC, nei rispettivi territori nazionali. Nel dicembre 2013, inoltre, il Consiglio Europeo adotta una Raccomandazione su misure efficaci per l’integrazione dei rom negli Stati membri18 contenente orientamenti specifici per aiutare gli Stati membri ad aumentare e accelerare gli sforzi in questa

17 Commissione Europea al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e

al Comitato delle Regioni, Comunicazione n. 173 del 5 Aprile 2011

(22)

direzione. Gli Stati membri sono quindi esortati ad adottare misure mirate per colmare il divario fra i rom e il resto della popolazione. La Raccomandazione potenzia la Cornice Comunitaria per le Strategie di Integrazione Nazionale dei Rom, approvato dagli Stati membri tra il 2011 e il 2012, definendo le condizioni per un’inclusione effettiva dei rom in tutti i Paesi. Il documento chiede agli Stati membri di realizzare le azioni previste e di stanziare a favore dell’inclusione dei rom non solo fondi dell’UE ma anche fondi nazionali e del terzo settore, un fattore chiave identificato dalla Commissione nella valutazione delle strategie degli Stati membri.

In Italia, fino al momento dell’approvazione della Strategia Nazionale nel 2012, non vi è mai stata una seria e articolata policy a favore e tutela della minoranza rom. Innanzitutto è importante sottolineare come la minoranza rom non sia mai rientrata tra le minoranze riconosciute e tutelate giuridicamente dal nostro ordinamento. Il concetto generale di minoranza in Italia è infatti legato alla peculiarità linguistica e trova il suo fondamento nell’Articolo 6 della Costituzione, ma la Legge n. 482 del 15 dicembre 1999 recante nome “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche-storiche” riconosce e tutela 12 minoranze linguistiche, escludendo la lingua romanè, facendo prevalere nell'interpretazione dell'Art.6 il principio della “territorialità”, che di fatto esclude dal dettato normativo la minoranza dei rom in quanto “minoranza diffusa”, ossia priva di una concentrazione territoriale stanziale riconoscibile.

Sul fronte delle politiche, per anni il Governo italiano ha evitato di intervenire in maniera articolata, operando tuttalpiù, con singoli provvedimenti basati su un approccio di tipo securitario ed emergenziale. Sebbene infatti siano state implementate a livello locale anche significative e positive esperienze di percorsi e progetti rivolti alle popolazioni rom, l’azione a livello nazionale è stata spesso caratterizzata da percorsi inefficaci, se non palesemente “segreganti” e in contrasto con il diritto internazionale. In questo senso, è il periodo delle misure dell’Emergenza Nomadi varate nel 2008 che ha rappresentato l’apice di un approccio improntato alla sicurezza e al controllo. La stagione “emergenziale” inizia il 21 maggio 2008, quando l’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio

(23)

Berlusconi dichiara lo «stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nelle Regioni Lazio, Campania e Lombardia. Con le ordinanze che accompagnano il decreto presidenziale, i prefetti di Roma, Napoli e Milano vengono nominati commissari delegati per la realizzazione di tutti gli interventi necessari al superamento dello stato di emergenza»19. L’Emergenza nomadi, inizialmente di durata annuale, viene rinnovata nel maggio del 2009 ed estesa alle Regioni Veneto e Piemonte, e nel dicembre 2010 viene ulteriormente rinnovata fino al 31 dicembre 2011.20 Il Consiglio di Stato italiano il 16 novembre 2011 ha bocciato le misure emergenziali che erano state varate oltre 3 anni prima. Il Consiglio ha giudicato illegittime le misure “perché non fondate su una reale emergenza legata alla presenza di popolazioni rom e sinti”21.

Il tramonto della stagione emergenziale, avvenuto a colpi di sentenze di Tribunali, si affianca, nell’arena europea, a un incremento dell’attenzione nei confronti dei rom da parte della Commissione Europea, un processo precedentemente avviato in occasione dell’allargamento dell’UE ai Paesi dell’Est Europa culminato nell’aprile del 2011 con la Comunicazione 173 Framework for National Roma Integration Strategies. Come detto, il documento afferma che l’inclusione dei rom rientra tra le priorità dell’Unione Europea, richiedendo agli Stati membri di presentare entro la fine del 2011 un piano strategico composto da interventi integrati tra loro. Il Governo italiano adotta la Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, dei Sinti e dei Caminanti nel febbraio del 2012.

Il documento presentato dal Governo italiano, per tramite dell’Ufficio Nazionale Anti Discriminazioni Razziali (UNAR) presenta un approccio fondato sui diritti umani e prevede l’adozione di interventi integrati tra loro che si articolano sulle 4 aree cardine indicate dalla Commissione Europea (alloggio, salute, impiego e istruzione) . L’obiettivo generale della Strategia Nazionale è di «promuovere la

19 Decreto Del Presidente Del Consiglio Dei Ministri, Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione

agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lazio e Lombardia; 21 maggio 2008 GU Serie Generale n.122 del 26-05-2008

20 Associazione 21 Luglio, Rapporto annuale 2014, Roma, 2014. 21 Ibidem

(24)

parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale della comunità RSC, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita, renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione e la partecipazione alla vita politica e sociale del Paese, nonché favorire il godimento dei diritti garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia». Tra i principi fondamentali della Strategia Nazionale si rilevano l’impegno ad abbandonare definitivamente l’approccio emergenziale improntato a una logica di sicurezza e controllo. Attraverso un approccio integrato e fondato sui principi della concertazione e del coinvolgimento di tutte le parti interessate, sono state definite quattro azioni di sistema finalizzate a: aumentare il capacity building istituzionale e della società civile per l’integrazione dei rom; promuovere un sistema integrato permanente di reti e centri territoriali contro le discriminazioni; programmare una strategia integrata di informazione, comunicazione e mediazione allo scopo di abbattere pregiudizi e stereotipi; elaborare e sperimentare un modello di partecipazione delle comunità rom ai processi decisionali nazionali e locali. Queste azioni di sistema hanno lo scopo di sostenere azioni specifiche all’interno di quattro linee di intervento settoriali riguardanti l’istruzione, il lavoro, la salute e l’alloggio.

La struttura organizzativa della Strategia Nazionale include: una Cabina di regia interministeriale, organo di coordinamento e di indirizzo politico, coadiuvata per il coordinamento e l’operatività dal Punto di Contatto Nazionale; una Cabina di Regia composta dalla Conferenza Nazionale delle Regioni, l’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani) e l’UPI (Unione delle Province Italiane); un Forum delle Comunità Rom, Sinti, Caminanti (RSC) (che non si è ancora costituito N.d.a) con funzioni di interfaccia, relazione e concertazione con i Tavoli nazionali e con la Cabina di regia; Tavoli tematici nazionali sui quattro assi di intervento settoriale coordinati dai Ministeri di riferimento; gruppi di lavoro ad hoc sullo status giuridico dei RSC, sul gap statistico e sui fondi europei; Tavoli Regionali, con la partecipazione degli uffici regionali interessati, delle Amministrazioni periferiche dello Stato, delle Province e dei Comuni, unitamente alla società civile. La Strategia Nazionale prevede «la declinazione di singole strategie regionali, in

(25)

linea con quella nazionale, di coordinamento dell’attività di molteplici soggetti territoriali», a cui delega l’azione pratica nelle aree critiche del lavoro, della casa, delle condizioni sanitarie e dell’accesso all’istruzione. «Tale scelta prevede la possibilità di costituire sui singoli territori appositi tavoli di lavoro regionali dove confluiscono, interfacciandosi reciprocamente, le diverse competenze, esperienze e peculiarità degli attori istituzionali e sociali e si realizza la concreta attuazione sui territori degli obiettivi specifici contenuti nei singoli assi di intervento». In questo contesto si assicura il protagonismo positivo e la presa in carico dell’amministratore pubblico quale strada necessaria per traghettare le tante situazioni problematiche rom verso il traguardo dell’inserimento nella società italiana ed anche quale strumento di consapevolezza e responsabilità civica su cui fare leva contro il pregiudizio e la discriminazione. In sintesi, la Strategia Nazionale delinea una nuovo modello di governance sussidiaria e integrata che, facendo perno sull’UNAR, intende coinvolgere in un sistema bidirezionale di partecipazione condivisa il sistema delle autonomie locali (Regioni Province e Comuni), le parti sociali (organizzazioni sindacali e datoriali), le ONG di settore e le associazioni di rappresentanza delle comunità RSC.

Nell’ambito della Strategia Nazionale i 4 assi di intervento – istruzione, lavoro, salute e abitazione – discendono direttamente dalle linee di indirizzo dell’Unione Europea individuati nella Cornice europea. Gli assi di intervento sono stati articolati, al loro interno, in 12 obiettivi specifici.

In particolare, per l'interesse del tema specifico di questa tesi, all'interno dell'Asse 1. Istruzione: «Aumentare la quantità e qualità delle opportunità educative e il numero di studenti RSC iscritti nelle scuole di ogni ordine e grado, favorendone la frequenza e il successo scolastico e la piena istruzione», sono esplicitati i seguenti obiettivi specifici: «Favorire processi di pre-scolarizzazione e di scolarizzazione dei bambini rom e sinti, promuovendo l’accesso (le iscrizioni, la frequenza, i risultati) non discriminatorio alle scuole di ogni ordine e grado e contrastando l’abbandono scolastico dei minori RSC nelle scuole primarie e secondarie»; «Accrescere la partecipazione dei giovani RSC all’istruzione

(26)

universitaria, ai percorsi di alta formazione e di formazione/lavoro, anche mediante l’accesso agli strumenti del prestito d’onore, delle borse di studio e di altre opportunità e agevolazioni previste dalla normativa vigente»; «Favorire il confronto e la cooperazione tra Istituzioni scolastiche, territorio extra-scolastico, famiglie e comunità RSC».

1.2 Istruzione e popolazione rom: percorsi dal dopoguerra a oggi

Gli studi che segnano l’inizio della cosiddetta “pedagogia zingara” in Italia sono stati intrapresi dalla pedagogista Karpati; la studiosa individua nella progettazione educativa specifica rivolta ai minori “nomadi” lo strumento d’inserimento sociale e di “civilizzazione” degli zingari22. Nel 1963 nasce a Bolzano l’Opera Nomadi, ente morale a partire dal 1970, che inizia a coordinare il processo di scolarizzazione dei bambini rom e sinti. Furono quindi attivate le classi Lacio Drom (“buon viaggio” in romanì) in seguito all’accordo tra Ministero della Pubblica Istruzione, Istituto di Pedagogia di Padova e Opera Nomadi. Le classi Lacio Drom rappresentarono di fatto classi differenziali, per soli bambini zingari, dove l’educazione diventava una sorta di “rieducazione”, si mirava a “incentivare la maturazione dello zingaro a livello sociale perché a causa della sua cultura lo zingaro è in ritardo, è un bambino che deve essere educato a crescere, a recuperare il suo gap”23 con il resto della società. Nel 1971 il numero delle classi Lacio Drom impegnate nel condurre rom e sinti verso l’inserimento in classi comuni salì da 11 a 60 ma il progetto di queste classi “speciali” si rivelò ben presto un fallimento. Già nel 1976 Canevaro scriveva come in quel periodo sia «stato fatto per varie situazioni un gran ricorso all’educazione speciale perché è servita e serve come binario di 22 Bravi L., Tra inclusione ed esclusione. Una storia sociale dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia,

Unicopli, Milano 2009

23 Sigona N., Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l’invenzione degli

(27)

scambio, che consente all’educazione di non ripensarsi, di non rimettersi in gioco; ed è servita a costruire delle teorie pedagogiche speciali, costruite non tanto come risposte specifiche, quanto come corpi separati»24. A metà degli anni Settanta prende quindi l’avvio un’inversione di tendenza e molte classi Lacio Drom vengono chiuse: classi speciali restavano attive solo in caso di “gravi problematiche” fino a quando, nel 1982, non vengono definitivamente abolite. L’eliminazione delle ultime classi Lacio Drom avviene nel 1982 con la firma di una nuova Convenzione fra Ministero della Pubblica Istruzione e Opera Nomadi, nella quale viene stabilito che i fanciulli “zingari e nomadi”, in età di obbligo scolastico, debbano essere da allora in poi inseriti in classi comuni, prevedendo l’utilizzo degli insegnanti di sostegno25 al fine di agevolare l’inserimento scolastico degli alunni in difficoltà. Nel 1986 viene emanata dal Ministero della Pubblica Istruzione la Circolare 20726, con oggetto la scolarizzazione degli alunni zingari e nomadi nella scuola materna, elementare e secondaria di primo grado, che favorisce “una organizzazione didattica flessibile, all’interno della quale i momenti di rapporto individuale siano ridotti al minimo indispensabile per accedere alla forma di partecipazione più allargata; vanno pertanto privilegiati i gruppi di livello, le classi aperte, l’accesso a forme di organizzazione a tempo pieno o a tempo prolungato». Alla fine degli anni '80 giungono sollecitazioni e indicazioni dalle raccomandazioni del Consiglio d’Europa sull’inserimento dei bambini rom nelle scuole e sui percorsi interculturali, recepite da due circolari – la n. 301 del 1989 e la n. 205 del 1990 – del Ministero della Pubblica Istruzione. Oggi, sono due i documenti che definiscono il quadro normativo e i principi generali dell’integrazione scolastica di bambini di differenti provenienze culturali, compresi i minori RSC. Il primo è la Circolare del Ministero dell’Istruzione n. 24: Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, 1 marzo 2006. Il secondo documento di indirizzo generale è La via

24 Canevaro A., I bambini che si perdono nel bosco: identità e linguaggi nell'infanzia, Firenze, La Nuova

Italia, 1976

25La Convenzione del 1982 prevedeva tra l'altro– al posto dell’affiancamento di insegnanti specializzati – quello di insegnanti di sostegno preparati per problematiche legate ad handicap e disabilità.

26MIUR, Scolarizzazione degli alunni zingari e nomadi nella scuola materna, elementare e secondaria di I

(28)

italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, a cura dell’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’educazione interculturale (Ministero dell’istruzione 2007), all’interno del quale sono esplicitati i principi e le azioni che definiscono il “modello nazionale” per l’accoglienza e l’integrazione di minori di origini culturali diverse, compresi i gruppi RSC. Nel documento citato è indicata l’opportunità di promuovere azioni sui temi del pregiudizio e delle discriminazioni: «L’anti-gitanismo assume l’aspetto di una forma specifica di razzismo che l’educazione interculturale deve contrastare, anche attraverso la conoscenza della storia delle popolazioni Rom e Sinti». Il Ministero dell’Istruzione ha inoltre sottoscritto accordi di collaborazione con associazioni di settore, tesi a perseguire il comune obiettivo della scolarizzazione per i minori RSC, ed è orientamento attuale del Ministero dell’Istruzione quello di allargare il più possibile lo spettro degli interlocutori attivi, coinvolgendo nella sottoscrizione di intese una pluralità di partners competenti e presenti, con le proprie risorse, su una molteplicità di territori italiani. Tra le varie indicazioni per un nuovo approccio all’interculturalità, molte sono rimaste inevase e poco si è fatto per permettere una loro reale e completa esecuzione. Nonostante infatti l’apertura mostrata dalle normative che regolano la scuola in fatto di accoglienza delle diversità, nella realtà si registrano ancora prassi (come la creazione “informale” di percorsi separati per soli rom, l’accompagnamento assegnato ad insegnanti di sostegno per disabili, procedure di pulizia e di cambio del vestiario all’ingresso in classe ecc.) che rafforzano la stigmatizzazione e la concezione del bambino rom come differente e “peggiore”.

Negli ultimi dieci anni la presenza dei minori rom nella scuola italiana è esigua, e in continua diminuzione. Il numero complessivo degli alunni rom è diminuito del -5,6% dall’anno scolastico 2007/08 al 2013/14, ma la diminuzione è ancor più sensibile nei segmenti scolastici delle scuole dell’infanzia e della primaria. Le secondarie di secondo grado, seppur con un sensibile aumento nell’ultima annualità, ci parlano di una presenza veramente esigua di ragazzi rom in quest’ordine di scuola. Come viene evidenziato nella stessa indagine del MIUR «questo dato ripropone degli interrogativi sull’efficacia delle politiche di inclusione

(29)

e scolarizzazione attuate (ma a volte solo proclamate) in questi anni e sulla mancanza di una valutazione e di un’analisi critica delle azioni»27.

Tra i motivi di esclusione dei bambini rom al sistema scolastico vi sono ragioni strutturatesi negli anni, da ricercare sia nelle origini culturali di questa popolazione (la lingua prevalentemente orale, il modello educativo rom metodologicamente in antitesi con il modello educativo della scuola italiana,..) sia nel diffuso pregiudizio storico di cui sono oggetto le persone di origine rom, sia nell'adozione di politiche di integrazione che di fatto spesso hanno invece rafforzato il reciproco pregiudizio e distanza culturale tra la scuola e la popolazione rom: l’obbligo scolastico è spesso legato all’ottenimento di permessi e/o servizi socio-sanitari, ed è sicuramente questo uno dei principali motivi che tuttora spingono le famiglie rom a iscrivere i propri figli a scuola. «I genitori attribuiscono alla scuola una funzione strumentale, non le attribuiscono una funzione educativa e certamente diffidano di quella culturale»28. Imparare a leggere e scrivere viene ritenuto, non da tutte le famiglie ma da una gran parte di queste (anche tra coloro che risiedono stabilmente nel nostro Paese), un passaggio formativo importante ma non fondamentale. Maggiormente, importante – tanto per le famiglie quanto per i bambini – è invece vivere il contesto scolastico senza dover rinunciare all’educazione rom nelle sue peculiarità fondamentali29. La manifesta resilienza dei minori rom nei confronti della scolarizzazione deve essere letta anche alla luce del fatto che, fin da subito, il bambino incontra un contesto non solo differente dal proprio ma chiaramente ostile. L’antiziganismo di cui è pervasa la società italiana – e non solo – al bambino rom viene manifestato fin dai suoi primi anni nella scuola primaria, e coinvolge i coetanei con i quali condivide situazioni, ambienti, strumenti e tempi scolastici, le loro famiglie e, talvolta, gli insegnanti e il personale scolastico nel suo complesso30.

27 MIUR, Alunni con cittadinanza non italiana. Approfondimenti e analisi. Rapporto nazionale A.s.

2013/2014, Quaderni ISMU, Roma 2015

28 Ceccatelli Gurrieri G., Fra zingari e gage. Vita quotidiana e interventi istituzionali in un campo nomadi

a Firenze, Loggia dei Lanzi, Firenze 2000

29 Saletti Salza C., Bambini del campo nomadi : romà bosniaci a Torino, CISU, Roma 2003 30Leonardo Piasere, I rom d'Europa. Una storia moderna, Laterza, Roma 2009

(30)

1.3 La popolazione rom a Napoli e le politiche di inclusione locali

Napoli, Roma e Torino, sono le città che insieme equivalgono al quasi 30% della popolazione RSC in Italia, cioè dei 24.248 RSC presenti in Italia, e quasi il 40% dei 29.435 RSC secondo la popolazione corretta in Italia. Questo significa che 4 su 10 RSC presenti insistono nei Comuni di Napoli, Roma e Torino. La popolazione censita in Campania è di circa 1500 persone, a fronte della popolazione presente stimata in circa 4000 unità, di queste la quasi totalità vive nella Provincia di Napoli, di cui 600 censiti e 2500 abitanti nel Comune di Napoli, il restante nell'anello attorno alla città.

A Napoli, secondo la ricerca sul disagio abitativo realizzata da Anci nel 2013, a fronte di una popolazione Rom stimata di circa 3.000 unità, erano presenti un campo comunale attrezzato e una struttura di accoglienza (che ospitavano in totale 642 abitanti) e sei insediamenti spontanei di grandi dimensioni31. Mentre secondo le stime di progetti sul campo, la presenza stanziale di Rom a Napoli ammontava nel 2010 a circa quattromila persone32.

Dall'indagine sugli insediamenti abitativi rom e sinti in Italia, realizzato da Anci nel 2014, gli insediamenti a Napoli sono 14, suddivisi per tipologia di insediamento: nessuna abitazione in edilizia, nessun insediamento spontaneo riconosciuto, 6 campi attrezzati, 8 insediamenti spontanei non riconosciuti; un'alta concentrazione della popolazione rom e sinta rispetto alla Regione Campania, in cui si trovano in totale 18 insediamenti, di cui 8 campi attrezzati e 11 insediamenti spontanei non riconosciuti33.

31 Dalla Zuanna G. (a cura di), La popolazione in forte disagio abitativo in Italia. La condizione dei

richiedenti asilo, dei rifugiati e dei Rom, Cittalia Fondazione Anci Ricerche, Roma 2013.

32 Fonte: elaborazione Iref Acli su dati di enti istituzionali e associativi, anno 2010

33 Giovannetti M., Marchesini N., Emiliana Baldoni E., Gli Insediamenti Rom, Sinti E Caminanti In Italia,

(31)

Dalla stessa indagine ricaviamo che nella città di Napoli la quasi totalità degli insediamenti sono stabili: di questi, 8 sono esistenti da meno di 10 anni, 6 da più di 10 anni, per il 70% su proprietà pubbliche e per il restante 30% in aree private di terzi. Gli insediamenti informali più numerosi sono nei quartieri di Scampia, Gianturco e Barra. Le strutture predisposte dal comune sono a Secondigliano, dove nel 2000 è stato costruito un “villaggio della solidarietà” che ospita settecento persone in novantadue container; e a Soccavo, dove dal 2005 più di cento persone vivono in un’ex scuola, con una media di due nuclei familiari per ogni aula.34 Negli insediamenti nella città metropolitana si possono trovare sei campi in cui è garantito il servizio di accompagnamento a scuola di minori, in due insediamenti attività di assistenza sociale e in sette attività di scolarizzazione, mediazione scuola-famiglia, in tre lo sportello sociosanitario, ma in nessuno attività di alfabetizzazione o percorsi di integrazione socio-lavorativi né formazione professionale; gli insediamenti sono provvisti in soli due casi di illuminazione pubblica, in nessun insediamento sono presenti fontanelle pubbliche, con acqua potabile, ed in soli tre insediamenti sono presenti generatori autonomi, solo due insediamenti sono provvisti di energia elettrica, acqua, servizi igienici, fognature.

La presenza dei rom a Napoli è riconducibile ai due grandi eventi migratori dall'est Europa verso l'Italia: uno negli anni 2000, con l'esodo dalla guerra in ex-Jugoslavia dovuto all'accentuarsi della marginalizzazione della popolazione rom durante i conflitti etnici, per cui dal 2000, è iniziata una massiccio esodo di Rom jugoslavi in Italia, e Napoli è stata tra le mete prescelte. Attualmente, vi sono circa duemila Rom jugoslavi insediati nel Napoletano, di cui 450 nei Villaggi di Accoglienza organizzati dal Comune, mentre i rimanenti si sono stabilizzati in accampamenti di fortuna.

L'altro afflusso è dovuto all’ingresso della Romania nella UE, per cui fin dal 2002 vi sono stati flussi migratori di Rom rumeni in Italia, ingressi divenuti via via più consistenti all’indomani dell’ingresso della Romania nella UE. Attualmente

(32)

sono censiti circa 2000 Rom rumeni, insediati in cinque accampamenti spontanei e in un centro di prima accoglienza per i Rom rumeni: 150 persone nella ex-scuola di Soccavo. I trenta minori del campo frequentano la scuola; gli abitanti usufruiscono dei servizi essenziali, delle utenze domestiche e dei servizi sociali. Le condizioni di vita sono migliori rispetto agli altri campi, e questo di Soccavo rimane l’unico campo di accoglienza per i rom rumeni a Napoli e provincia. I Rom italiani vivono nella quasi totalità in abitazioni proprie o in affitto, e la maggior parte di loro non vive a Napoli ma nella provincia.

A Scampia si trova il cosiddetto villaggio comunale attrezzato di via Circumvallazione Esterna. E’ l’unico campo attrezzato e autorizzato di Napoli (l'altra struttura autorizzata è la ex-scuola Deledda). Fu consegnato nel giugno del 2000 con delibera del Comune, che istituì l’Ufficio Rom comunale e introdusse il patto di cittadinanza. Le famiglie abitano in container attrezzati per i normali servizi igienici e sono presenti acqua e luce. Esso ospita circa 450 persone di provenienza serba. Sono rom dasikhanè, ovvero serbi di religione cristiano ortodossa. Il 30% circa dei residenti è composto da bambini iscritti alla scuola dell’obbligo (circa 140) e la frequenza è pari al 70% degli iscritti. Sempre a Scampia, vi è un secondo campo, spontaneo. Esso ospita circa 700 persone, suddivise in cinque insediamenti a ridosso dell’uscita dell’asse mediano. Sono nella quasi totalità Rom dasikhanè, a parte una minoranza di khorakhanè (musulmani) di provenienza macedone, Manjup; nel campo vivono in condizioni molto precarie, in roulotte o in altre abitazioni arrangiate, non vi sono servizi igienici attrezzati né energia elettrica. Il livello di regolarizzazione è molto basso, anche se qualcosa si è riuscito a fare in termini di promozione scolastica dei bambini.

Oltre ai Rom jugoslavi, vi è anche la presenza di Rom rumeni. Sono giunti a Napoli successivamente agli jugoslavi, e si sono concentrati nella zona di via Ponticelli. La sistemazione precaria, le condizioni degradanti, un rapporto conflittuale con la popolazione limitrofa residente, ha provocato il loro sgombro, a seguito di un incendio avvenuto nel 2008. Lo sgombero ha disperso i Rom in

(33)

diverse zone di Napoli. Quattrocentocinquanta di essi vivono nel campo spontaneo di Poggioreale, 250 nella zona del cimitero e 200 nella ex-fabbrica. Negli insediamenti spontanei, non vi sono servizi essenziali come acqua, luce, gas e fognature e le famiglie vivono in piccole baracche. La frequenza scolastica è bassa e lo status di cittadini europei li agevola relativamente, in quanto pochi sono in regola con l’iscrizione anagrafica. Sempre rumeni sono i circa 200 Rom che vivono nel campo di Barra - S Maria del Pozzo. Si trovano nelle stesse condizioni dei precedenti campi rumeni, ma il tasso di frequenza scolastica è superiore, grazie agli interventi dell’associazionismo.35 A questo panorama si devono aggiungere in tempi molto recenti, durante la triennalità del Progetto, nuovi sgomberi dei campi spontanei dovuti alle ordinanze emergenziali, allo stato dei campi stessi, ad incendi di cui ancora si ignora la natura.

Figura 1. Gli insediamenti informali e i campi ufficiali a Napoli36

(nella rappresentazione grafica sono assenti alcuni insediamenti abusivi descritti nel testo)

35 AA.VV a cura di, Rom,sinti,caminanti e comunità locali studio sulle condizioni di vita e sull’inserimento

nella rete dei servizi socio-assistenziali nel mezzogiorno Report Finale irefricerche, Roma – Maggio 2010

(34)

Le politiche locali napoletane

Nel 2002 è nato l’ufficio Rom e Patti di cittadinanza, con delibera del Comune. La nascita di un ufficio dedicato prende atto della complessità crescente nel gestire flussi consistenti di popolazioni Rom provenienti dall’estero. La strategia del patto di cittadinanza si basa sulla relazione con i rappresentanti delle Comunità, per la costruzione di un reciproco impegno tra le parti. Da parte del Comune, vi è la presa in carico dell’emergenza sanitaria, educativa e giuridica che la questione Rom comporta; da parte delle comunità Rom, la decisione di avviare un percorso (o quantomeno uno sforzo) di fuoriuscita dalle condizioni di marginalità e di isolamento in cui versano – talvolta di illegalità. Il patto trae origine dalla convinzione che i Rom non sono criminali da recludere, ma persone che chiedono di essere accolte e integrate pienamente nella società italiana. In concreto, i progetti avviati dal Comune in relazione ai Rom si sono mossi lungo tre direttrici: la tutela sanitaria, la lotta alla dispersione scolastica e la regolarizzazione anagrafica.

In materia sanitaria, sono spesso precarie le condizioni delle famiglie Rom jugoslave e rumene che si accampano nel napoletano, sopratutto per le famiglie che vivono nei campi non autorizzati: molte vivono in baracche fatte di lamiera, in zone prive di acqua, elettricità e servizi igienici. Per tale ragione, con il Commissario prefettizio per l’emergenza Rom di Napoli è stato creato un servizio di vigilanza sociale che effettua periodicamente il censimento dei campi, autorizzati e spontanei, con l’ausilio di operatori di terzo settore - Caritas, Opera nomadi e Comunità di sant’Egidio. Il monitoraggio permette di constatare le condizioni sanitarie in cui versano le famiglie Rom e di approntare gli intervento dovuti, che normalmente si attivano a due livelli: un primo livello di pronto soccorso, per i casi di emergenza; un secondo livello di prevenzione e di cura, che vorrebbe assumere nel tempo natura ambulatoriale e di educazione sanitaria. A fronte di ciò, il Comune di Napoli ha deciso di istituire il Sasci, l’organo di coordinamento per le politiche sanitarie rivolte agli immigrati nei dieci distretti

(35)

metropolitani, con lo scopo di coordinare gli interventi, favorire il diritto all'accesso alle prestazioni sanitarie. Il Servizio per le attività socio-sanitarie per gli immigrati (Sasci) nasce come attuazione della normativa nazionale e regionale in materia di immigrazione, a partire dalla legge Turco-Napolitano per arrivare alle legge 286. Con queste leggi, lo stato estende la copertura sanitaria anche agli immigrati irregolari. Tra l’altro, i Rom rumeni che dal 1 gennaio 2008 vivono in Italia da più di tre mesi (in forma non autorizzata) non possono più usufruire del codice Stp riservato agli extracomunitari, proprio perché sono diventati comunitari; e se non hanno un regolare contratto di lavoro, si arriva al paradosso che non possono essere iscritti al sistema sanitario. Con intervento legislativo nazionale – ratificato dalle Regioni con apposite delibere - si è pertanto provveduto a che i cittadini rumeni stabilmente presenti in Italia ma sprovvisti di contratto di lavoro possano accedere alle prestazione previste dalla legge 286/1998 (ginecologia e ostetricia; tutela della salute dei minori; vaccinazioni preventive; interventi di profilassi internazionale; profilassi e cura malattie infettive) attraverso il passaggio da straniero con Stp a comunitario con codice Eni (europeo non iscritto). In termini di statistiche sanitarie, dal 2008 al 2010, dei 662 STP che sono stati assistiti, l’80% sono Rom jugoslavi abitanti nei campi. Nel distretto 48 hanno usufruito dei servizi sanitari quasi seicento Rom. Per quanto riguarda il dato dei minori occorre tener conto del modello insediativo dei Rom, in cui la migrazione è familiare e i minori sono in una percentuale molto maggiore del resto della popolazione straniera. Per tale ragione, le condizioni igieniche dei bambini e dei ragazzi rom sono state oggetto di attenzione da parte dell’Asl di Napoli, al punto tale che è stato aperto un ambulatorio pediatrico dedicato nel 2001. Sono oramai dieci anni che esso opera sul fronte delle vaccinazioni e della normale cura pediatrica, e nel 2009 sono state erogate oltre 400 prestazioni sanitarie. L’ambulatorio pediatrico dedicato è stato affiancato in questi anni da tre centri vaccinali (a Scampia, a Chiamano e a Piscinola-Marianella) e da due consultori. Il 39% delle prestazioni specialistiche erogate nel 2010 sono state di natura odontoiatrica, un dato quasi triplo a quello degli altri distretti sanitari in materia di odontoiatria per immigrati.

Riferimenti

Documenti correlati

Per quanto riguarda l’infanzia in Italia, le mappe e le pagine di quest’ultima edizione dell’Atlante mostrano con abbondanza di dati e di riferimenti puntuali i danni provocati

LICEO CLASSICO

Organizzazione logistica e segreteria organizzativa del convegno locale delle associazioni NATs del Dipartimento di Lima; diffusione di esperienze positive in tema di

Corso su metodologie tecniche di gestione imprenditoriale; supporto logistico corso di tessitura a mano; Supporto logistico nell’organizzazione di 5 incontri

Essere in grado di utilizzare la programmazione ad oggeti per implementare sistemi che simulino oggetti e situazioni tipici di altre discipline con riferimento alla

Liceo Scientifico – Liceo Scienze applicate Liceo Scientifico ad indirizzo Sortivo Sportivo Istituto Tecnico dei Trasporti e della Logistica.. Via Scipione Dal Ferro, 10/2

Scuola paritaria – Ente Gestore: Fondazione Elide Malavasi MODULO DI APPRENDIMENTO 3 – Teoria degli automi e calcolabilità. COMPETENZE ABILITÀ

Il laureando potrà iniziare le attività inerenti la tesi di laurea non meno di 6 (per le tesi compilative) o 8 (per le tesi sperimentali) mesi prima della data della seduta.. Sarà