• Non ci sono risultati.

La programmazione sociale.

La programmazione sociale è sicuramente uno degli elementi essenziali da prendere in considerazione ai fini delle politiche sociali, visto che nell'evoluzione del sistema degli Stati moderni le istituzioni pubbliche hanno costituito i punti fermi dei sistemi giuridico amministrativi.

Purtroppo oggi sussistono numerosi ostacoli che si frappongono ad una corretta programmazione, come ad esempio la crisi economica che stiamo vivendo, che è molto spesso tale da impedire una qualsiasi programmazione territoriale di sviluppo a lungo termine, oppure le scarse risorse economiche a disposizione.

Tuttavia, allo stesso momento, si sottolinea che sarebbe necessario uno sforzo di collaborazione istituzionale tra pubblico e privato, tenendo conto delle relazioni tra i vari sistemi, e che l'ente locale dovrebbe cercare di sviluppare la propria azione in funzione di azioni coordinate e convergenti verso obiettivi comuni di sviluppo della comunità18. Si sottolinea infatti la

necessità di attuare una “azione sociale” diretta a far si che ogni 18 Vedi A.Mari, “La programmazione sociale”, capitolo 2 “L'integrazione delle

intervento converga verso uno sviluppo sociale che l'ente locale deve garantire.

Con la legge 328/2000 si ritrovano numerosi riferimenti a questi aspetti che risultano essere delle attività proprie dei Comuni, come ad esempio: la programmazione e progettazione del sistema dei servizi locali a rete di concerto con tutte le risorse umane e finanziarie presenti sul territorio e con i soggetti istituzionali, ed altresì l'organizzazione ed attuazione dei servizi e delle prestazioni.

Tuttavia la novità non sta tanto nel nuovo modo di fare politica sociale sul territorio, tramite l'organizzazione, la programmazione e la gestione dei servizi, quanto piuttosto nella modalità con cui tale azione viene svolta, quindi con la collaborazione e la cooperazione delle risorse del territorio. Queste ultime dovranno essere valorizzate e coordinate e lo stesso ente locale dovrà porsi come obiettivo generale il benessere della comunità territoriale piuttosto che la propria azione politico-amministrativa, la quale dovrà essere attuata in funzione del benessere pubblico, come momento di integrazione tra soggetti sociali ed istituzioni.

Quando si parla di programmazione generale si intendono quelle attività che sono legate all'elaborazione, all'approvazione e alla

realizzazione di Piani e programmi territoriali; in particolare nel settore sociale essa costituisce “l'anello di congiunzione tra politica e amministrazione”19. Questo significa che la politica

sociale sceglie i settori di intervento e gli obiettivi da raggiungere, collocandosi quindi a monte della programmazione.

Pertanto “se un tempo programmare...significava analizzare i

bisogni, individuare gli obiettivi, stabilire regole, indicare i percorsi, organizzare le risorse, attivare le procedure secondo imperativi dall'alto che fornivano l'input verso il basso, oggi programmare è sempre più l'esito di un processo di coinvolgimento dei diversi attori dove una razionalità ex ante stabilisce solamente le regole generali e i vincoli nonché gli obiettivi di fondo da perseguire”20.

Per tale motivo la programmazione sociale necessita di alcuni adempimenti standardizzati, come la volontà di agire guardando al futuro, scegliere gli obiettivi sulla basi di una valutazione di interessi e di tendenze e programmare secondo principi di uguaglianza e sussidiarietà, in modo flessibile e consono alla reale dimensione dei fenomeni sociali su cui si interviene.

Di conseguenza l'intervento pubblico nel campo sociale risulta essere il risultato dell'azione congiunta delle attività e degli atti di diversi soggetti.

19 Vedi A.Mari, “La programmazione sociale”, cap.4 “I modelli e i metodi di programmazione”, pp.91 e seguenti, Maggioli Editore, 2012.

Effettivamente il processo programmatorio è particolarmente complesso ed è rimasto inalterato anche dopo la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, poiché coinvolge ancora tutti i livelli di governo. Infatti la nuova formulazione dell'art.117 della Costituzione assegna alla legislazione esclusiva dello Stato materie quali l'immigrazione e la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni riguardanti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; inoltre il nuovo art.118 costituzionalizza il principio di sussidiarietà sia nella sua accezione verticale, poiché il competente decisore pubblico deve essere il più vicino possibile al destinatario della decisione, sia nella sua accezione orizzontale, in quanto le attività di interesse generale devono essere svolte dai privati prima che intervengano i poteri pubblici (anche se in entrambi i casi si ha comunque un potere pubblico diverso chiamato ad intervenire in funzione sussidiaria laddove i primi titolari non riescano ad attuare gli interventi).

Tutto ciò comporta dei momenti di raccordo tra i vari livelli di governo e nel settore che più ci interessa, vale a dire quello sociale, tale raccordo è rappresentato principalmente dalla programmazione, la quale tramite i vari Piani nazionali, regionali e di zona raccorda le varie competenze e titolarità.

Infine, quando si parla di programmazione, ci si ispira anche al modello dell'integrazione. La materia del sociale infatti deve necessariamente essere garantita a tutti i cittadini, indipendentemente da fattori territoriali: ecco perché la sua attribuzione è ripartita tra Stato, Regioni e Enti locali. Sulla base di questo modello essa viene considerata comune a tutti i livelli, con la differenza che ogni livello, essendo più generale rispetto a quello inferiore, avrà un punto di vista più ampio relativamente alla materia da gestire.

3.1 Il ruolo dell'amministrazione centrale.

In un sistema come quello italiano l'amministrazione centrale è chiamata a svolgere un ruolo rilevante in riferimento alla programmazione sociale, anche se il susseguirsi di notevoli trasformazioni negli ultimi anni hanno sottolineato come non esistano competenze stabili nel tempo.

Infatti la seconda metà degli anni Novanta del secolo scorso è stata caratterizzata da un ampio riordino: sono stati emanati numerosi atti che hanno inciso sulle competenze statali ed inoltre è stato riformato il titolo V della seconda parte della Costituzione, che costituisce il più importante punto di riferimento per la ricostruzione delle attuali competenze centrali.

Più specificatamente questo testo incide sulle competenze centrali in materia di servizi sociali sotto vari profili: innanzitutto si sottolinea la competenza esclusiva dello Stato in riferimento alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”; è stato disposto che “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali,...lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”; inoltre vengono fatte salve alcune funzioni amministrative, necessarie ad assicurare l'esercizio unitario, che non vengono direttamente attribuite ai Comuni; ed infine sono previsti poteri sostitutivi del Governo nei confronti delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni per la “tutela dei servizi essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Ovviamente questi settori di intervento sono stati delineati per grandi linee, quindi si pone il problema della “misura” dell'attribuzione. A tale proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sottolineato come l'inserimento del secondo comma dell'art.117 del nuovo titolo V della Costituzione,

riguardante la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, attribuisce al legislatore statale uno strumento importante per garantire una uniformità di trattamento sul piano dei diritti di tutti i soggetti, anche se il sistema risulta caratterizzato da un livello accresciuto di autonomia regionale e locale21.

Tuttavia lo Stato non può, in linea di principio, avere proprie strutture di erogazione: l'intervento diretto è infatti possibile solo in via sostitutiva. Esso può essere ammesso per specifiche attività di ricerca e di sperimentazione oppure nell'ambito di programmi straordinari per lo sviluppo e la crescita, o ancora per fornire assistenza tecnica alle Regioni e agli Enti locali.

Da questa situazione emerge quindi la necessità che vi siano comunque apparati centrali per lo svolgimento dei relativi compiti.

A tale proposito va fatto riferimento al decreto di riforma organica dell'organizzazione del Governo che, nel 1999, aveva individuato un'area funzionale da affidare ad un solo Ministero (quello del welfare: lavoro, salute e politiche sociali), che prevedeva, tra le altre cose, la definizione di “principi ed obiettivi 21 Vedi A.Mari, “La programmazione sociale”, cap.4 “I modelli ed i metodi di

della politica sociale, criteri generali per la programmazione della rete degli interventi di integrazione, controllo e vigilanza amministrativa e finanziaria sugli Enti di previdenza ed assistenza obbligatoria e sulle organizzazioni non lucrative di utilità sociale”. Si dimostra quindi come l'organizzazione dell'amministrazione centrale venga quasi sempre decisa al momento della formazione dei Governi; allo stesso modo non esiste un disegno organizzativo stabile e quindi di volta in volta si stabilisce il numero e la dislocazione degli apparati centrali incaricati delle politiche sociali.

3.2 Il ruolo del Terzo settore.

Tra gli anni Ottanta e Novanta, alla luce delle nuove esigenze a cui ho accennato, venne ampiamente sostenuto da più parti il dovere dello Stato di garantire e sviluppare la presenza privata sul piano sociale, anche a causa del fatto che esso diventava sempre più residuale rispetto alle risposte e alle richieste dei cittadini.

Nascono infatti nuove esigenze di partecipazione alla vita democratica e nuove forme di volontariato la cui azione non trova spazio nel sistema così strutturato, ma allo stesso tempo si assiste alla crisi dello stesso sistema, delle ideologie politiche e degli ideali pubblici.

In questo contesto nasce la collaborazione con il Terzo settore che viene definito come “una terza via tra intervento pubblico diretto e

libero mercato...che, tuttavia, ha ancora un profilo incerto” poiché “la stessa legislazione in materia si presenta in modo frammentato e stenta a trovare caratteristiche unitarie, per cui ricostruire le posizioni e le situazioni giuridiche dei soggetti del Terzo settore, i rapporti sia con le amministrazioni pubbliche sia con i cittadini e le persone, costituisce uno dei problemi cardine22”.

Nonostante ciò il Terzo settore viene definito come “quel

variegato complesso di organizzazioni non a scopo di lucro che operano, prevalentemente, nel campo sociale secondo differenti orientamenti culturali e che consentono alla persona di esprimere liberamente il proprio desiderio di solidarietà verso gli altri23”.

Pertanto è necessario un complessivo riassetto dell'organizzazione e dislocazione dei servizi.

Sarà necessario riorganizzare la competenza istituzionale a livello territoriale in modo tale da sviluppare un affiancamento con il privato sociale, per fare sì che quest'ultimo si ponga come alternativa per l'istituzione di servizi che il pubblico ha difficoltà a coprire e per far sì che diventino una risorsa importante per il territorio.

22 Vedi A.Mari, “Terzo settore (volontariato e non profit), in “I diritti della persona”, a cura di P.Cendon, Torino, 2005.

In questo senso si sottolinea, infine, che uno degli aspetti più innovativi della legge 328/2000 sta proprio nel riconoscimento dei soggetti del privato sociale e della loro azione sul territorio per promuovere una società che si organizzi “dal basso”, promuovendo servizi anche fuori dalla volontà pubblica con l'unico scopo di porre i cittadini al centro della società.

3.3 La programmazione substatale.

L'attuale modello di programmazione che prendiamo come riferimento è quello delineato dalla legge 328/2000.

Esso si fonda sul coordinamento tra i vari livelli di governo, tra le politiche sociali e gli ambiti contigui e tra il mondo pubblico e i soggetti privati.

Il quadro che emerge da questa normativa risulta abbastanza preciso, poiché ad ogni livello di governo vengono attribuite delle competenze di programmazione ma, allo stesso tempo, si adottano notevoli strumenti di collaborazione.

In particolare gli Enti locali, e nello specifico soprattutto i Comuni, sono spesso considerati l'elemento cardine di tutte le politiche sociali perché sono loro che intrattengono i maggiori rapporti con le organizzazioni private. Queste ultime infatti collaborano, con modalità di volta in volta diverse, alla programmazione pubblica e

alla sua realizzazione.

3.3.1 La programmazione degli Enti locali.

Quando si parla di programmazione locale si fa essenzialmente riferimento a quella dei Comuni che costituiscono i centri propulsori della programmazione e della gestione dei servizi sociali.

Nel corso degli anni infatti le Province hanno sempre più rivestito un ruolo “marginale”, delineato dalla Regione, consistente nel concorrere alla programmazione altrui e nel dargli semplicemente attuazione nelle materie in cui la Provincia è investita di competenze amministrative: così ad esempio interviene nell'ambito della programmazione comunale, contribuisce alla individuazione degli ambiti territoriali di riferimento della programmazione comunale, rileva, elabora e analizza i dati relativi ai bisogni e alle risorse.

Per quanto riguarda i Comuni invece, già il d.lgs. 112/1998 aveva ad essi conferito compiti di progettazione e realizzazione dei servizi sociali, che sono stati confermati e in un certo senso ampliati con la legge 328/2000.

In particolare questa legge ha individuato un'”area” quale ambito della programmazione sociale dei Comuni. Si tratta di un'area

sovracomunale che non coincide solitamente con la Provincia e denominata ambito territoriale di riferimento (coincidente spesso con i distretti sanitari).

Alla base di questa scelta legislativa c'è solitamente il principio dell'economicità, efficace soprattutto nei Comuni con densità demografica molto bassa24, e, ovviamente, risulta determinante la

necessità di bisogni omogenei.

Una volta individuato l'ambito territoriale di riferimento, i Comuni che ne fanno parte attuano un iter molto complesso, che giunge (tramite accordi di programma) al perfezionamento del Piano di zona.

L'approvazione di quest'ultimo è rigorosamente procedimentalizzata ed impone numerosi adempimenti, come ad esempio la verifica del contesto socio-economico con riguardo alla domanda e quindi ai bisogni, il controllo del proprio territorio e delle sue peculiarità sia in relazione alla situazione sociale ed economica, sia relativamente al contesto istituzionale e politico. L'ente locale quindi dovrà pianificare un'azione integrata, avvalendosi di tutte le risorse e nello specifico di quelle degli Enti locali che a vario titolo operano sul territorio.

Quindi, in generale, la programmazione è il risultato di interazioni 24 Vedi A.Mari, “La programmazione sociale”, pp.75 e seguenti.

tra numerosi organi, uffici e strutture e ovviamente del sociale. Programmare, quindi selezionare i bisogni, e collegarvi i servizi sono attività che hanno come obiettivo finale quello di orientare l'azione pubblica verso scelte ponderate, che rispondano ad effettive e reali esigenze.

È per questo che una programmazione efficace è necessariamente fondata su una giusta analisi dei bisogni e delle risorse da utilizzare per soddisfarli, consentendo in questo modo di effettuare interventi mirati e avviando percorsi tesi a rendere più efficienti i sistemi di attuazione dei servizi sociali.

3.4 I metodi di programmazione.

La metodologia della programmazione è ispirata alla logica del procedimento amministrativo.

In questo modo vengono infatti soddisfatte sia esigenze strutturali, poiché il percorso è attuato in fasi che consentono di identificare i vari passaggi, sia funzionali, perché si garantisce il giusto raccordo tra i diversi livelli di governo per far sì che partecipino alle decisioni tutti gli attori a vario titolo coinvolti. L'intervento pubblico in campo sociale è infatti il risultato dell'azione congiunta delle attività e degli atti di diversi soggetti: è un meccanismo complesso che comporta necessariamente dei

momenti di raccordo tra i diversi livelli di governo.

Nel settore sociale i tre principali livelli di programmazione sono posti dalla legislazione in sequenza logica: il Piano nazionale attua la Costituzione e la legislazione e costituisce il presupposto per i Piani regionali; questi ultimi danno attuazione al Piano nazionale e costituiscono il presupposto per i Piani di zona, i quali a loro volta attuano i Piani regionali e costituiscono il presupposto dell'azione dell'amministrazione sociale25.

La prima fase da prendere in considerazione è sicuramente quella preparatoria.

Nel contesto del nuovo sistema di interventi integrati nel campo sociale, un fattore importante è costituito dall'acquisizione delle informazioni e dei dati di base per l'elaborazione dei programmi e dei progetti. Perciò il momento conoscitivo dovrebbe essere una costante, per far sì che poi si promuovano indagini specifiche per l'elaborazione dei singoli Piani.

La necessità di questa fase si evince anche dalle disposizioni che affidano l'adozione dei Piani sociali allo strumento dell'accordo di programma.

Infatti il procedimento per arrivare a tale accordo26 pone una

25 Vedi A.Mari, “La programmazione sociale”, pp.110 e seguenti, Maggioli Editore, 2012.

26 La procedura per arrivare all'accordo è prevista dal d.lgs. n. 267/2000, Testo unico sugli Enti locali.

particolare attenzione alla fase preliminare prevedendo che il Presidente della Regione o il Presidente della Provincia o il Sindaco debbano convocare una conferenza tra i rappresentanti di tutte le amministrazioni interessate: si tratta di una verifica preliminare di fattibilità per individuare i percorsi più idonei per adottare il Piano attraverso l'accordo.

È quindi una fase che ha lo scopo di sondare le posizioni dei convocati al fine di porre le premesse e le condizioni per l'elaborazione e la sottoscrizione dell'accordo, tant'è che si allarga la partecipazione anche ad altri soggetti come le organizzazioni di volontariato, gli organismi non lucrativi di utilità sociale, gli organismi di cooperazione e gli Enti di promozione sociale.

Ulteriore fase da prendere in considerazione è quella dell'iniziativa e dell'avvio della programmazione sociale.

L'iniziativa spetta agli organi di vertice: ad esempio nella programmazione nazionale questa è ravvisabile nella deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri, nelle Regioni l'atto di iniziativa può essere affidato alla deliberazione della Giunta, mentre a livello locale è ravvisabile nella prima deliberazione dell'assemblea convocata per verificare la possibilità di addivenire all'accordo. Perciò in tutti i casi l'iniziativa è affidata all'organo politico di vertice.

Il momento più delicato, tuttavia, è costituito dalla fase istruttoria di elaborazione dei programmi sociali, la cui funzione è quella di trovare il giusto equilibrio tra l'interesse pubblico perseguito dall'amministrazione e gli altri interessi coinvolti nel processo programmatorio.

I programmi sociali infatti seguono un iter di approvazione che vede coinvolti numerosi soggetti, pubblici e privati.

La normativa prevede un tipo di azione caratterizzata da uno scambio costante di informazioni, dalla cooperazione e dalla concertazione dei vari attori.

Ad esempio, come ho già accennato, il Piano nazionale per i servizi sociali è adottato previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente in materia, sentiti gli altri Ministri interessati.

Successivamente sono acquisiti l'intesa con la Conferenza unificata Stato-Regioni-Autonomie locali ed i pareri degli Enti e delle associazioni nazionali di promozione sociale maggiormente rappresentativi, delle associazioni di rilievo nazionale che operano nel settore dei servizi sociali e delle organizzazioni sindacali.

È evidente quindi che questa fase è molto delicata.

programma (Piano) quale atto conclusivo dell'iter procedimentale.

Il legislatore stabilisce da ultimo le forme di adozione e di approvazione dei programmi sociali, i quali assumono forme diverse a seconda dell'ambito territoriale a cui il Piano fa riferimento (avremmo infatti il Piano nazionale, quello Regionale e quello di Zona che avrò modo di spiegare più avanti).

CAPITOLO 4