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A proposito del Costituto senese del 1309-1310 Attilio Bartoli Langeli

Nel documento Historiae scritti per gherardo ortalli (pagine 140-152)

Il tema degli statuti cittadini in volgare è del più grande interesse, sia sotto il profilo politico e istituzionale che in termini di storia della lingua e dell’alfabetizzazione.1 Non pretendo di affrontarlo nell’insieme; offro solo qualche considerazione sul primo e più rilevante degli statuti cittadini in volgare, il Costituto senese del 1309-1310. Pubblicato due volte a distanza di un secolo, una prima nel 1903 da Alessandro Lisini, operosissimo storico di Siena,2 e una seconda nel 2002 da Mahmoud Salem Elsheikh, italianista attivo nell’Opera del Vocabolario Italiano,3 quel monumento pretende di essere indagato in tutti i suoi risvolti. Né le due edizioni, entrambe otti-me – l’una più empirica, l’altra ineccepibile – autorizzano a lasciare da parte il manoscritto originale, oggi diviso in due tomi di pari consistenza (Siena, Archivio di Stato, Statuti, nn. 19 e 20): un mastodonte di 540 carte, alto 41-42, largo 28-29 e spesso 15 centimetri. Il testo si compone di 6 «distinzioni» (quelle che negli altri statuti sono i «libri») e si conclude col

Sindacamento, per un totale di 2024 capitoli; in testa è l’indice dei capitoli.

Il tutto è opera di un notaio, Ranieri di Ghezzo Gangalandi.

1. Confido che un contributo in materia di statuti sia un buon modo per figurare in questa sede, poiché Gherardo Ortalli è, fra le altre cose, l’inventore e direttore del Corpus statutario delle Venezie e l’interprete acutissimo del rapporto tra statuti locali e dedizioni a Venezia. Riprendo per l’occasione parte di quanto dissi al convegno Siena nello specchio

del suo Costituto in volgare del 1309-1310 (Siena, 28-30 aprile 2010), atti mai pubblicati.

2. Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel mcccix-mcccx, a cura di A. Lisini, 2 voll., Siena, tip. e Lit. Sordomuti di L. Lazzeri, 1903. L’edizione Lisini seguiva a poca distanza quella del più antico statuto senese conservato, in latino: Il Costituto del Comune

di Siena dell’anno 1262, a cura di L. Zdekauer, Milano, Hoepli, 1897 (rist. anast. Bologna,

Forni, 1974 e 1983).

3. Il Costituto del Comune di Siena volgarizzato nel mcccix-mcccx, ed. critica a cura di M.S. Elsheikh, 4 voll., Siena, Fondazione Monte dei Paschi di Siena, 2002. Qui, vol. iii, pp. 1-20, c’è la mia descrizione de I manoscritti del Costituto; il presente testo discende da quella collaborazione e dalle curiosità che mi vennero in quell’occasione.

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Il Costituto – così a Siena chiamavano lo statuto; anzi, per la precisio-ne, lo chiamavano constoduto, parola ripetuta tutte e 297 le volte in cui essa ricorre nel volgarizzamento – è un prodotto del governo popolare e guelfo che si era instaurato nel 1287: detto regime «novesco» perché nove erano i Priori, tre per terzo, eletti ogni due mesi. La decisione di volgarizzare il Costituto fu presa nell’ambito della procedura di revisio-ne allora vigente. La commissiorevisio-ne incaricata di rivedere il Costituto era quella dei Tredici emendatori. I Tredici erano nominati entro l’aprile e dovevano chiudere il loro lavoro entro metà maggio. Così avvenne anche nel 1309; ma quei Tredici, oltre a emendare, in più ebbero l’idea rivolu-zionaria, non sappiamo se autonomamente o per imbeccata superiore. I Tredici ordinarono al Camerlengo e ai Quattro provveditori di «fare scrivere, a l’expese del Comune di Siena, uno statuto del comune di nuovo in volgare di buona lettera grossa, bene legibile et bene formata, in buone carte pecorine». Il «di nuovo» traduce il latino de novo, e sta a significare «da capo a fondo», oggi diremmo ex novo. Questa agionta finale al cap. 134 della Dist. i è datata «mcccviiii, indictione vii, del mese di magio».4

Immediatamente il Camerlengo e i Quattro provveditori identificarono il notaio adatto alla bisogna, e fu Ranieri di Ghezzo Gangalandi (un nota-io tra i miglnota-iori, sul quale non mi dilungo). Gli diedero mandato di «vol-gariçare et scrivere uno constoduto», e lui alla fine firmerà ripetendo esattamente le parole del mandato: «questo constoduto fue volgarizato et scritto per me Ranieri Ghezi Gangalandi». Così nella dichiarazione incipitaria, scritta per ultima.5

Ranieri cominciò nel luglio 1309, se egli dichiara di aver compiu-to la prima metà del lavoro «ne’ sei ultimi mesi correnti anni Domini mcccviiii» (l’anno finanziario iniziava con il 1° gennaio e non col 25 marzo, capodanno secondo lo stile dell’incarnazione, seguito a Siena). Lo concluse entro il giugno successivo: l’altra metà, infatti, certifica di averla fatta «ne’ li primi sei mesi correnti anni Domini mcccx, indictione viii». Rispettava in tal modo esattamente l’ordine dettato nell’agionta al cap. 134, rivolto in verità al Camerlengo e ai Quattro provveditori: quelli in carica a partire dalle calende di luglio 1309 «sieno tenuti et debiano fare scrivere per la metià almeno al suo tempo», mentre «lo rimanente del detto statuto, el quale rimarrà a scrivere» sarà compito dei

successi-4. Ed. Elsheikh, i, pp. 122-123. L’aggiunta non è ben distinguibile nel continuum del testo: si sconta, qui come altrove, la rinuncia da parte dell’editore a «marcare» in qualche maniera gli stacchi tra testo di partenza e aggiunte successive, a favore di una stretta fedeltà all’assetto del manoscritto.

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vi (in carica dal 1° gennaio al 30 giugno 1310) «farlo compire et scrivere». Il Gangalandi volgarizzò un esemplare-minuta fornitogli dai Tredici, e scrisse a buono il testo da lui stesso volgarizzato. Lo scrisse in maniera così perfetta e pulita da far supporre una prima stesura su carta, a mo’ di minuta. Ma egli dovette anche inserire, cioè volgarizzare e scrivere, ulteriori aggiunte in corso d’opera. Furono le deliberazioni di rilevanza statutaria assunte dal Consiglio della campana e dei Cinquanta per terzo una volta finito il mandato dei Tredici e cioè a partire dal luglio 1309, fino all’estremo del suo stesso mandato, 30 giugno 1310. È per questo motivo che il notaio Ranieri lasciò abbondanti carte bianche al termine di ciascuna Distinzione. Le ultime provvisioni consiliari che egli inserì sono datate 2, 9, 17 e 18 giugno 1310.6

I Consigli dunque lavorarono di fretta, prossima la scadenza della scrittura del Costituto volgare; e ancor più di fretta dovette lavorare il povero Gangalandi, che fu messo a dura prova nella sua duplice veste di traduttore e di scrittore. Si approfittò della circostanza per produrre riforme per via consiliare, facendole immettere nel constoduto in via di completamento; di qui la trafelata volata finale. Queste reiterate delibe-razioni consiliari in corso d’opera dimostrano la straordinarietà dell’o-perazione del 1309. Il Costituto volgare in fieri dovette essere inteso dal reggimento senese come un’occasione unica, da non perdere. Non era un libro di servizio, uno fra i tanti di ordinaria amministrazione, che si succedevano anno dopo anno; faceva sì parte della «catena statutaria», ma in posizione così peculiare da essere inemendabile; e ci si chiede fra l’altro se esso abbia avuto vigenza reale, se sia mai stato usato. Aveva insomma un valore più simbolico che funzionale. Nonostante questo e anzi proprio per questo vi s’infilò dentro più cose possibile, ripensando fino all’ultimo i contenuti ch’esso doveva trasmettere.

Siamo ora in grado di sviluppare il discorso che ci sta a cuore in questa occasione: sul senso del volgarizzare il Costituto. Un senso schiettamen-te politico,7 che però si fa forte di un dato culturale. Per comprendere

6. Capp. ii.366, v.509-512, i.586 (è quello famoso «di correre el palio ne la festa di Sancta Maria del mese d’agosto»), ii.367: ed. Elsheikh, i, pp. 404-412 e 609-624; ii, pp. 524-528.

7. Per questo profilo mi giovo assai di uno scritto agile e leggero del massimo studioso della storia politica di Siena: M. Ascheri, Il Costituto nella storia del suo tempo, in M. Ascheri, C. Papi, Il «Costituto» del Comune di Siena in volgare (1309-1310). Un episodio di storia

della giustizia?, Firenze, Aska, 2009, pp. 9-62, in part. p. 53. Qui Ascheri riprende e articola

quanto già da lui scritto nel contesto dell’edizione Elsheikh, del 2002: Il Costituto di Siena:

sintesi di una cultura giuridico-politica e fondamento del «Buon governo», iii, pp. 23-57;

e nella relazione Gli statuti delle città italiane e il caso di Siena, in E. Mecacci, M. Pierini (a cura di), Dagli statuti dei ghibellini al Costituto in volgare dei Nove, con una riflessione

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questo dato «di partenza», occorre iniziare da una breve rassegna delle volgarizzazioni statutarie senesi e, più ampiamente, toscane (piacerebbe allargare la visuale all’altro centro importante di produzione statutaria in volgare, ossia Venezia, arrivando per esempio a Spalato; sarà per un’altra volta).

Infatti il Costituto volgare del 1309-1310 non è un apax, al contrario.8

Esso è annunciato da un buon manipolo di volgarizzamenti statutari pro-dotti tra gli ultimi anni del Due e i primi del Trecento da vari organismi di Siena: le Arti dei carnaioli e dei lanaioli, l’ufficio della Gabella, la so-cietà del Padule di Orgia, la comunità di Montagutolo dell’Ardenghesca, l’Ospedale di Santa Maria della Scala.9 Nel frattempo si muoveva anche Firenze: ne fanno fede il Libro degli ordinamenti della Confraternita di Santa Maria del Carmine di fine secolo xiii e, coevo al Costituto senese, lo statuto dell’Arte degli oliandoli. Nel decennio successivo, mentre a Siena vedevano la luce lo statuto di Chiarentana in Val d’Orcia e un se-condo statuto dell’Ospedale della Scala, a Pistoia si scriveva in volgare lo statuto dell’Opera di San Jacopo, a Pisa il breve del porto di Cagliari. Meno rettilineo è il tracciato dei volgarizzamenti «pesanti», quelli di statuti di Comune e di Popolo. Solo Pisa, a quanto pare, vanta una redazione in volgare dello statuto comunale alla stessa altezza cronolo-gica del Costituto senese, che attende di essere pubblicata e studiata.10

Firenze, dopo il volgarizzamento progressivo degli ordinamenti di Giano della Bella, arriverà a uno statuto comunale in volgare, opera di Andrea Lancia, solo nel 1355, quarantacinque anni dopo il Costituto senese. Nel frattempo, 1339, Siena produceva un secondo statuto volgare. Le due

in volgare del 1309-1310 (Siena, Archivio di Stato, 20 aprile 2009), Siena, Accademia senese degli Intronati, 2009, pp. 65-111.

8. La divagazione che segue ha illustri precedenti: basti citare Piero Fiorelli, il maestro in materia, e i suoi saggi La lingua del diritto e dell’amministrazione (in Storia della lingua

italiana, Einaudi, 1994) e Gli «Ordinamenti di giustizia» di latino in volgare (1995), ora

ripubblicati, e così ancor meglio apprezzabili, nella raccolta dei suoi scritti Intorno alle

parole del diritto, Firenze-Milano, A. Giuffrè Editore, 2008, risp. pp. 1-66 e 229-278. Sul

tema, la novità recente più significativa è la monografia di F. Bambi, Una nuova lingua per

il diritto. Il lessico volgare di Andrea Lancia nelle Provvisioni fiorentine del 1355-57, Milano,

A. Giuffrè Editore, 2009: un modello di ricerca che piacerebbe veder applicato ai rapporti tra il Costituto volgare e la statutaria latina senese.

9. Molti dei quali compresi nei tre volumi degli Statuti senesi scritti in volgare editi da Polidori e Banchi tra il 1863 e il 1877. L’ultimo citato gode di una edizione recente: M. Pellegrini, La comunità ospedaliera di Santa Maria della Scala e il suo più antico

statuto (Siena, 1305), Pisa, Pacini, 2005. Nella Prefazione ad essa (pp. 9-16) avanzavo

considerazioni simili a quelle esposte qui.

10. Ascheri sospetta che essa sia addirittura antecedente: Il Costituto nella storia del

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esperienze senesi sollecitarono – e andiamo fuori di Toscana, nelle terre della Chiesa – l’emulazione di Perugia: il primo tentativo, nel 1312, abor-tì; ebbe esito il secondo, ed ecco lo statuto volgare del Comune e Popolo di Perugia del 1342. Nelle terre della Chiesa, peraltro, il volgarizzamento più rilevante (in quanto non più espressione di un’autonomia municipale, ma di un governo statuale) è quello delle Costituzioni egidiane, ossia dettate dal cardinale Albornoz, del 1357 o poco dopo.

La panoramica abbraccia realtà istituzionali abbastanza disparate, da comuni di città a comuni rurali a universitates e organismi cittadini, per non dire dello stato della Chiesa. Il fenomeno degli statuti in volgare in terra toscana ha coordinate abbastanza chiare. Esso fa perno su Siena e, a distanza, su Firenze.11 Nelle due città s’impianta in istituzioni mino-ri per approdare poi ai vertici dell’organizzazione politica. Il Costituto senese, in particolare, pare la presa d’atto di un modus statuendi ormai solidamente diffuso nella città e nel suo territorio; che poi, beninteso, sia molto più che una soluzione di rimorchio, lo dimostra il fatto che Firenze avrebbe toccato quell’esito molto più tardi. Diverso, apparentemente, il caso di Pisa, sul quale però il giudizio deve essere sospeso in attesa che si studi quel frammento di statuto che si diceva.

Ma il primato senese è fuori discussione. Piero Fiorelli ha calcolato che Siena da sola ha prodotto i due quinti degli statuti volgari di tutta Italia scritti entro il 1375.12

Il gioco tra latino e volgare, in materia statutaria, non si presenta in maniera univoca. Il prius latino ha da esserci, trattandosi di scritture di tipo lato sensu documentario e di pertinenza notarile; è normale, così, che il volgarizzamento affianchi il testo latino, si aggiunga ad esso. Que-sto avviene per il Costituto senese: Gangalandi volgarizza un antigrafo latino preesistente, quale che sia, e ulteriori materiali anch’essi in latino notarile; semmai il dato specifico consiste nel fatto che volgarizzatore e scrittore coincidano nella medesima persona – lo stesso avviene con Andrea Lancia a Firenze nel 1355. Ma le varianti non mancano.

Una, straordinaria, non l’ho citata sopra perché troppo arretrata

ri-11. Il gemellaggio tra Siena e Firenze è ribadito da due altri testi volgari, che segnalo volentieri. La bolla pontificia con le indulgenze per il giubileo del 1300 fu volgarizzata, in una sorta di volantino pubblicitario (così Ascheri, Il Costituto nella storia del suo tempo, p. 16) nelle due città: il «manifesto» senese era noto per merito di Mahmoud Salem Elsheikh (Testi senesi del Duecento e del primo Trecento, «Studi di filologia italiana», xxix, 1971, pp. 113-145, in part. pp. 131-132); quello fiorentino l’ha rivelato di recente Federico Canaccini (Matteo d’Acquasparta tra Dante e Bonifacio viii, Roma, Antonianum, 2008, p. 159, cfr. pp. 36-38). Se ne attende un’edizione comparata.

12. Intorno alle parole del diritto, p. 24, nota 124. Qui, in una postilla a p. 67 e nella nota 6, p. 231, appunti sul totale approssimativo degli statuti volgari.

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spetto al nostro ambito cronologico: è il Breve di Montieri del 1219. Si tratta, per dirla con Duccio Balestracci, di

una lunga minuta redatta in volgare per servire alla stesura dello statuto [...] uno scheletro di redazione statutaria assemblata in volgare (quasi una silloge delle osservazioni verbali degli statutari) per essere successivamente tradotta nella versione «ufficiale» ed aulica in latino.13

Uno statuto che nasce volgare per essere tradotto in latino.

Altre volte la mozione del volgarizzare è così forte che l’approdo al volgare elimina il precedente latino: è il caso dello statuto dell’Arte fio-rentina di Calimala, 1334. Esso è il risultato del mandato conferito a tre mercanti di volgarizzare lo statuto latino

con belle e sustanziali parole mercantili, detraendone il multiplicare delle pa-role, e ponendovi parole convenevoli come a loro parrà che meglio stia, secondo il vero intendimento, e non mutando la sustanza del fatto. E recato il detto statuto in volgare sermone per li detti officiali, come detto è, abbia e avere debbia il detto statuto intelletto mercantile; e altro statuto non debbia avere né tenere la detta arte, il quale sia scritto in grammatica.14

La coesistenza paritaria di uno statuto latino e di uno statuto volgare, che è la fattispecie normale, è invece sancita, ad esempio, dall’Ospedale di Santa Maria della Scala, nel 1305. Si era deliberato, sta scritto, «che tutti li sopradetti ordinamenti e statuti e constitutioni e provisioni deb-biano essare scritte in uno libro […] per gramatica, e in uno altro libro […] per volgare». Si noti che la mano che realizza i due libri statutari, quello in latino e quello in volgare, è la stessa; e non pare, fra l’altro, es-ser mano di notaio, ma di un amanuense professionale. Non è chiaro se lo statuto volgare sia la traduzione del testo latino o se le due redazioni procedano in parallelo, su due binari coordinati ma autonomi. Quando, nel 1318, si rifece lo statuto, si adottò la procedura del volgarizzamento a distanza: prima la chiusura e approvazione del testo latino, poi la tra-duzione in volgare. Nulla di simile è detto nel 1305.

Insomma, le situazioni sono disparate; e, quando si sia in grado di co-noscerle bene, rivelano precise volontà politiche. Veniamo dunque alla

13. D. Balestracci, Cilastro che sapeva leggere: alfabetizzazione e istruzione nelle

cam-pagne toscane alla fine del Medioevo, xiv-xvi secolo, Pisa, Pacini, 2004, p. 25. Il libretto di

Balestracci è l’ultima ricognizione del rapporto tra alfabetizzazione e scrittura volgare in Toscana, un tema che conta un’ampia letteratura.

14. Citato da Fiorelli, Intorno alle parole del diritto, pp. 20-21, note 102-103, dall’ed. Emiliani Giudici del 1861.

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volontà politica, al programma ideologico che è alla base del Costituto senese del 1309-1310.15

Tutto sembra lampante:

el quale statuto sia et stare debia legato ne la Biccherna, acciocché le povare persone et l’altre persone che non sanno gramatica, et li altri, e’ quali vorranno, possano esso vedere et copia inde trare et avere a·lloro volontà.

Una delle tante dichiarazioni di principio che motivano il volgarizza-re.16 È giusto valorizzarla, come hanno fatto a più riprese vari studiosi. Fiorelli:

La priorità di Siena ha la sua giustificazione in tutto un quadro di cultura politica e civica in cui gl’ideali del buon governo, come vengono offerti a una riflessione comune nelle tavolette di Biccherna o nei grandi affreschi del palazzo pubblico, così vengono presentati nel volgarizzamento del costituto a una lettura comune di tutto il popolo.17

Balestracci:

Tutto questo significa, in sostanza, mettere il documento a disposizione di gente che si presuppone non sappia il latino e che quindi sia formata da «povare persone» esponenti del mondo della produzione e del commercio; ma presup-pone anche, al tempo stesso, che la redazione sia a disposizione di persone suf-ficientemente alfabetizzate da essere in grado di leggerla e, eventualmente, di ricopiare ciò che, di essa, interessa loro.18

15. Per ciò che segue, mi avvalgo soprattutto di F. Bambi, Un costituto davvero per

tutti?, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 33-34, 2004-2005,

pp. 1239-1249; e di Ascheri, Il Costituto nella storia del suo tempo. In quest’ultimo Ascheri mostra, rispetto a quanto da lui scritto in precedenza, un più preciso convincimento circa la finalità politica del Costituto: valga il sottotitolo del volumetto, Un episodio di storia

della giustizia?

16. La più vicina è quella che si legge nello statuto dell’Ospedale senese del 1305; ma l’anonimo traduttore non si fa capire. Si delibera, sta scritto, di fare un libro in latino e uno in volgare «a ciò che coloro li quali sanno gramatica e li altri lettarati possano di ciò avere pieno e chiaro intendimento». Da cui risulterebbe, poiché «lettarati» equivale a «coloro li quali sanno gramatica», un volgarizzamento per i soli esperti di latino! Sicuramente rimase nella penna dello scrivente il prefisso negativo: «lettarati» sta per «illettarati», errore del tutto plausibile. Emendando «li altri [il]lettarati», il brano va inteso «sia coloro che sanno il latino sia gli altri, che non lo sanno». Chiosa infatti lo statuto del 1318: «a ciò che tutti li frati e familiari del detto Ospitale possano leggere et intendere quelli, imperciò che tutti non sono letterati».

17. Fiorelli, Intorno alle parole del diritto, p. 25. 18. Balestracci, Cilastro, p. 28.

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Lo scopo del volgarizzare è «democratico»: anche etimologicamen-te e non solo politicamenetimologicamen-te, volgarizzare vale democratizzare. È bello immaginare il libro dello statuto volgare a disposizione di tutti, e i citta-dini e contacitta-dini in fila per poterlo sfogliare e trovarvi quel tale capitolo. Nulla di tutto ciò.19 Se così fosse andata davvero, entro poco tempo quei libri si sarebbero ridotti a scartafacci miserevoli. Invece lo stato di conservazione del manoscritto del Costituto (così come di quello dello statuto dell’Ospedale) è ottimo, e si consideri che quel migliaio di pagine formavano un unico libro, non due come oggi; i segni dell’usura sono

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