Stabat illic in Baxani palacio Ecelinus de Romano et habuit fratrem suum Albricum, Wecilum de Prata, Ansedisium de Guidotis et alios multos amicos suos, viros probos et sapientes, quorum consilio procedebat.
La scena, brevemente riportata da Rolandino nel secondo libro della Cronica, sembra ispirata ai romanzi di Chrétien de Troyes: vi troneggia la statica figura di Ezzelino, il dominus, circondato e rassicurato dai suoi amici più fidati, grazie al cui consiglio procedeva.1 E tra questi consiglie-ri di Ezzelino, il cronista non manca di sottolineare quali fossero, in quel delicato frangente politico, i principali: oltre al fratello Alberico, Anse-disio de’ Guidotti e Guecello da Prata. La fedeltà di Guecello era ricam-biata da quello stretto vincolo che legava gli uomini appartenenti ad una stessa fazione politica e, in definitiva, alla medesima sorte. Nel maggio dello stesso anno in cui Rolandino riporta questa scena, il 1228, lo stesso Ezzelino, Alberico suo fratello, e Ansedisio de’ Guidotti erano stati scelti da Guecello da Prata e da suo fratello Federico per costituire la terna arbitrale chiamata a definire una vertenza di confini che si prolungava da quattordici anni, cioè dal momento in cui i due fratelli avevano stabi-lito la divisione degli allodi paterni tra i rami Prata e Porcia-Brugnera.2
1. Rolandini, Cronica, ii, 13, trad. it., M. Fiorese, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2004. 2. Il primo intervento di Ezzelino sulle questioni patrimoniali della famiglia da Prata risale al 21 settembre 1214, quando viene chiamato a presiedere il lavoro di due gruppi di periti di parte incaricati di definire i confini tra i beni dei fratelli Guecello da Prata e Federico di Porcia (cfr. G. Bianchi, Documenti per la storia del Friuli dal 1200 al 1400, Udine, per cura del Municipio, 1850, i, doc. 17, alla data 1214). La conterminazione non trovò evidentemente il consenso dei due fratelli se il 20 maggio del 1228 decisero di ricorrere nuovamente ad Ezzelino per definire i rispettivi diritti nella zona a cavallo del fiume Livenza, tra Ghirano di Prata e Maron (cfr. E.S. di Porcia degli Obizzi, I primi da Prata e Porcia, Udine, Tipografia D. Del Bianco, 1904, doc. 16, p. 108, e sostanzialmente concorde, Giambattista Verci, Storia
degli Ecelini [Codice diplomatico eceliniano], Bassano, nella stamperia Remondini, 1779,
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Così com’era stato per il 1214, i Friulani continuavano a riporre piena fiducia nella famiglia da Romano, tanto da impegnarsi entrambi, nell’at-to di compromesso, con una onerosa stipulazione penale che li avrebbe costretti a pagare rispettivamente mille marche d’argento nel caso non avessero accettato le determinazioni del verdetto stragiudiziale. Le rela-zioni tra i Prata-Porcia e i da Romano, dopo le tensioni legate alle guerre tra Treviso e il Patriarcato nell’ultimo quarto del xii secolo, si erano conservate buone per almeno tutta la prima metà del secolo successivo. Come figura eminente e garante per il comune di Treviso di cui era stato podestà fino al 1192, il padre di Ezzelino iii, Ezzelino il Monaco, aveva negoziato nel 1193, e con esiti non del tutto sfavorevoli per la famiglia friulana, una concordia con il comune di Treviso.3 La vicenda di Guecel-letto ha molte caratteristiche comuni con quella del Monaco. Entrambi sono attivi nella seconda metà del xii secolo nel quadro territoriale della Marca provenendo da aree periferiche, e giocano un ruolo importante nello scontro tra comune di Treviso in fase di espansione ed i poteri che lo circondano.4 Nella dialettica tra potenti famiglie radicate nel territorio e nascita dei comuni, spesso il Monaco e Guecelletto riescono a prendere il sopravvento, inserendosi come molte altre famiglie di optimates nel governo di Treviso (Guecelletto è podestà nel 1179, Ezzelino il Monaco prima console tra il 1186 e 1187 e quindi, come abbiamo visto, podestà nel biennio 1190-1192). Prata e da Romano compaiono stabilmente nelle turbinose vicende dell’ultimo quarto del xii secolo mutando partito in ragione delle opportunità che possono offrire le alleanze filo trevigia-ne e filo padovatrevigia-ne, decisi trevigia-nel perseguire i progetti di una egemonia territoriale o almeno locale. Nel 1165 si erano scontrati faccia a faccia sulle grave del Piave: Ezzelino ii assieme a Gherardo di Camposampie-ro ancora con le insegne del comune di Treviso, Guecelletto da Prata in quanto capitano di un esercito di collegati Conegliano-Bellunesi. Il patto di cittadinatico sottoscritto dal Prata nel 1165 lascia intendere
3. Sulle vicende che portarono Ezzelino il Monaco alla carica podestarile di Treviso, vedi tra l’altro la sintesi di D. Canzian, I da Romano e le città della marca in Ezzelini, Signori della
Marca nel cuore dell’impero di Federico ii, Milano, Skira, 2001, p. 76, per i riferimenti alla
ricca bibliografia sul tema. Rimane essenziale sull’argomento A. Castagnetti, I da Romano
e la loro ascesa politica (1074-1207), in Nuovi Studi Ezzeliniani, i, Roma, Istituto storico
italiano per il Medioevo, 1992, in part. pp. 28-36, per le vicende d’interesse. Sulle relazioni tra la famiglia da Prata e i da Romano, cfr. anche R. Härtel, I da Romano e i poteri al di là
del Livenza, in Nuovi Studi Ezzeliniani, i, pp. 349-351.
4. Su Guecelletto cfr. L. Zanin, Le origini dei signori da Prata e il loro ruolo nelle
vicende del Friuli fra i secoli xi e xiv, in P.C. Begotti (a cura di), Una signoria territoriale nel Medioevo. Storia di Prata dal x al xv secolo, Prata di Pordenone, Comune di Prata di
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sia le dimensioni della disfatta dei Friulani, come il rilievo politico che nel frattempo la famiglia aveva assunto.5 Condizioni durissime: oltre al consueto obbligo di residenza periodica dei Prata con i loro uomini in Treviso, appare delinearsi l’inglobamento delle terre di famiglia nel
districtus trevigiano, significato anche dall’applicazione della collecta
sulle terre di famiglia, così come si faceva per i villaggi su cui Treviso aveva la piena giurisdizione. Ma il dato politico più evidente riguarda l’obbligo de «illi de Prata» di aprire i propri castelli per far fronte alla guerra che si stava preparando contro il patriarca di Aquileia e i Padova-ni. Appare chiaro già da questi vincoli, come il ruolo della famiglia fosse destinato ad assumere una importanza regionale. I Prata controllano l’area mediana del fiume Livenza, intaccando a partire dal 1188 lo stesso
districtus trevigiano grazie ad una iniziativa patriarcale che, giocando
dall’altra sponda, li vincola ad un omaggio che ha tutto il sapore di una precisa volontà di raccogliere attorno a sé un potente alleato contro i progetti egemonici di Treviso. Se infatti il castello di Prata (e forse quello di Porcia) rientra tra le disponibilità della famiglia con titolo di piena proprietà assieme all’ambito immediatamente circostante della signoria rurale, l’investitura del patriarca Gotifredo amplia i territori dei Prata aggiungendo all’originario allodio i beni della chiesa di Aquileia a Porcia (e nel suo distretto) e a Brugnera (e nel suo distretto), beni, come specifica il documento, che si trovano sia in Friuli come fuori dei suoi confini. Un atto dunque pensato per costituire una entità cuscinetto tra il cuore del patriarcato e la comitatinanza trevigiana, una vera e propria testa di ponte attestata ben oltre il fiume Livenza.6 Quella che appare è una situazione di chiara ambivalenza su cui Guecelletto riesce a fonda-re le basi di un potefonda-re che viene riconosciuto anche ai livelli superiori sia dal comune di Treviso come dal patriarca di Aquileia. Non si tratta solo della capacità di relazione tra forze concorrenti, ma di un potere reale che si manifesta mediante il controllo di uomini e di castelli. Un prestigio che si propone verso l’esterno con gli strumenti del linguaggio simbolico che circoscrive l’appartenenza ad una élite che dal Duecento è sempre meglio riconoscibile. Una chiara rappresentazione di questo ruolo si percepisce nelle città della Marca in occasione del Congresso di
5. Il documento è stato pubblicato da A. Castagnetti, Le città della Marca veronese, Verona, Libreria universitaria editrice, 1991, in appendice, doc. ii.
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Venezia, occasione nella quale, secondo il cronista dell’Historia Ducum,7
si sancì la pace tra Federico Barbarossa e Alessandro iii alla presenza dei maggiori signori laici ed ecclesiastici. In quella sede l’aristocrazia dell’Impero diede un chiaro ritratto di sé, stabilendo una precisa scala di dignità con inizio dagli ufficiali pubblici e giungendo alla fine con i si-gnori locali. L’ordine viene esplicitato dal numero degli homines o milites che ognuno poteva ostentare. Nel quadro regionale, il vescovo di Verona vanta un seguito di 25 uomini, quello di Padova di 26 e quello di Treviso di 20. Fra i massimi vassalli dell’imperatore il duca di Carinzia – stretto parente del Barbarossa – schiera 125 uomini. Gli può essere accostato solo un estense, Alberto di Obizzo – marchese e conte – con 110 uomini. I conti di Verona dispongono di un seguito di 30 uomini. L’altra grande famiglia comitale, quella di Treviso è rappresentata da Schinella (15 uomini) e Manfredo (13). Ad essi sono associati i da Camino (30 uomini) e lo stesso Guecelletto da Prata con 25 uomini.8 La facoltà di disporre di clientele armate e di basi militari è un elemento che, più dello stesso dominio sulla terra, consente dunque ai Prata di ritagliarsi un ruolo sulla scena regionale. Nell’ultimo quarto del xii secolo matura da un lato il legame sempre più stretto con i patriarchi di Aquileia, e dall’altro l’adesione alla pars imperii che troverà un riconoscimento ufficiale con la nomina a vicario imperiale del figlio di Guecelletto mezzo secolo più tardi. Sulla vicinanza al patriarca di Aquileia di Guecelletto non c’è ora-mai alcun dubbio. Nel 1183 assieme, a Guecello da Camino e a Tisolino di Camposampiero, i Prata guidano la scorta armata che accompagna il patriarca Gotifredo ed i vescovi di Vicenza e Feltre (con rispettivi cu-riali) all’investitura imperiale di Obizzo d’Este, che avviene a Verona, in «palatio Sancti Zenonis».9 Accompagnato dai suoi più potenti vassalli,
Gotifredo offre una precisa rappresentazione del suo potere in ambito «extra regionale», consentendo ai rappresentanti delle tre famiglie di figurare tra i massimi fideles dell’imperatore che per l’occasione erano accorsi da tutta l’Italia nordorientale.
Un elemento forse non messo abbastanza in luce fino ad oggi dagli studi sulla famiglia, è che rispetto alla concreta disponibilità di benefici fondiari, pur consolidata con l’anzidetta investitura patriarcale del 1188,
7. Cfr. Historia Ducum Veneticorum, a cura di H. Simonsfeld, in mgh, Scriptores, xiv, Hannoverae, Impensis Bibliopolii Hahniani, 1883, pp. 84-89; cfr. pure Historia ducum
Veneticorum, in Testi storici veneziani (xi-xiii secolo), ed. e trad. it., L.A. Berto, Padova,
cleup, 1999.
8. Castagnetti, Le città della Marca veronese, p. 170.
9. Per il documento, cfr. Ludovico Antonio Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, i, Modena, nella stamperia ducale, 1717, p. 35.
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l’importanza politica della famiglia nel quadro territoriale continua ad emergere soprattutto grazie alla disponibilità di uomini: i Prata restano insomma nella documentazione duecentesca prima di tutto, «signori della guerra». Nelle negoziazioni che seguono agli scontri dell’ultimo decennio del xii secolo, gli uomini di Prata compaiono ben due volte attraverso una specifica accezione di masnadieri militari. Nel 1193 «illi de Prata» provocarono nel distretto trevigiano danni per 5 mila lire di denari («comburendo ed incidendo in terris nostris», lamenta il podestà di Treviso. Pochi anni dopo segue l’ulteriore pacificazione tra il comune di Treviso e i da Prata («tam liberis quam servis») riguardo ai danni pro-vocati nell’inziativa militare svolta nel tentativo di recuperare il castello di Brugnera.10 Con la divisione tra il ramo dei Prata con quello di Porcia e i suoi lunghi strascichi arbitrali, si addivenne ad una separazione delle masnade accedenti al fondo.11 Per avere una rappresentazione almeno parziale della familia del ramo dei Porcia dobbiamo traguardare la metà del secolo. Nel 1248 quella che appare come una parte, pur considere-vole, di persone appartenenti al castello di Porcia e alle contermini ville di Talponedo, Pieve di Palse, Roraipiccolo, Roraigrande, Fontanafredda, Cordenons, Malnisio, Pozzo e Caporiacco (località ben più distante), giurano fedeltà – «prout servi Dominis faciunt» – ai fratelli Guido e Fe-derico di Porcia. Pur trattandosi di un elenco cospicuo, sappiamo che si trattava solo di una parte della rilevante disponibilità di uomini della famiglia agnatizia. Di certo i Prata disponevano di analoghe masnade nel castello omonimo e in quello pedemontano di Calaresio (oggi Monte-reale Valcellina) ma anche in quello «lagunare» di San Stino e nella villa
10. di Porcia degli Obizzi, I primi da Prata e Porcia, docc. viii e ix.
11. Il tema delle masnade in Friuli è stato al centro di uno specifico interesse tra la fine del xix e l’inizio del xx secolo. Il maggiore lavoro si deve a A. Battistella, La servitù di
masnada in Friuli, Venezia, Istituto veneto di arti grafiche, 1908 e A. Battistella, Nuovi regesti riguardanti la servitù di masnada, Udine, Tip. Giuseppe Vatri, 1909. Per quel che
riguarda sondaggi specifici: V. Joppi, Dei servi di masnada in Friuli e specialmente della
famiglia Caporiacco, Udine, Tip. G.B. Doretti, 1898, e V. Joppi, I signori di Montereale e i loro servi di masnada, Venezia, Stab. Tip. Ferrari, Kirchmayr e Scozzi, 1890, A. De Pellegrini, Documenti e regesti sui servi di masnada della nobile famiglia dei Prata di Porcia e Brugnera,
Udine, prem. tip. fratelli Tosolini, 1909. Per quel che riguarda la divisione delle masnade afferenti ai fondi, casi analoghi, per limitarci agli inizi del xiii, sono ben documentati in Friuli. Cfr. in part. Biblioteca Comunale di Udine (=bcud), Fondo Joppi, b. 711, f. 8, Divisione
dei beni e dei servi fatta da Duringo di Mels (1214); f. 11, Divisione dei fratelli Aldrico e Varnerio di Polcenigo (1222); f. 14, Patti tra Enrico il vecchio di Villalta e Guglielmo di Fontanabona della divisione dei figli nascituri dei loro servi che incontrassero matrimonio
(1235); f. 15, Patti tra il patriarca di Aquileia e il conte di Gorizia sulla proprietà dei figli
nascituri tra Stefano di Castelnovo e da sua moglie Inghelanda di Pinzano (1240); e oltre
f. 20, Convenzione tra signori di Moruzzo e Strassoldo per la divisione degli uomini di
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di Corbolone sul passo del fiume Livenza, quest’ultimi donati obtorto
collo al patriarca Gregorio di Montelongo dopo la definitiva sconfitta di
Ezzelino.12 Ecco dunque l’elenco dei servi che giurano fedeltà suddivisi per località, all’interno del quale già sono individuabili alcune differenze in termini di importanza:
Dominus Tomasutus filius olim Domini Jacobi de Purcillis, Dominus Rustigelus et Enricus et Spagnolus fratres filii olim Domini Arduini de Porcillis, Armuinus et Petrus fratres filii olim Redulfi, Dominus Redulfus filius olim Domini Erman-ni, Sclavatus et Leonardus eius frater, Dominus Lutprandus filius olim Domini Jacobini, Almericus filius olim Vecelli de Ruraio, Vecelo ejus filius, Piçolus et Almericus et Antonius fratres filii olim Henrici de Puteo, çulianus et Marquar-dus et Simeon et Joannes ac varnerius fratres filii olim Bartholomei de Ruraio, Almericus de Carulo Brugnita filius olim Dominici, Fabius de Talponeto, Gerardus qui dicitur Dainutus sartor de Purcillis, Jacobus eius filius et Jacobus et Varien-dus et MoranVarien-dus et Enricus ac Valerius fratres filii Domini Varnerii de Malnisio, Arnoldus, Marcus et Delmarius fretres filii olim Domini Coradi Rufoni. Item Redulfus de Plebe et Bonisardus fratres filii Domini Enrici de Plebe, Enricus qui dicitur Rochetus filius olim Domini Odorici de Cavriago, Hermanus et Campus fratres filii Domini Pugognete, Richerius qui dicitur Ruto filius olim Almerici Frantore, Pucardus Romani, Johannes filius olim Odorici, Boanij, Dominicus Maglus filius olim Boni Fabri, Coradus filius olim Almerici de Aldruna, Andrea ejus filius, Dominus Sclavolinus de Purcillis, Dominus Vera filius olim Domini Sclavolini, Dominus Coradus filius Domine Berte, çorçinus de Fontanafrigida et Petrus eius filius, Minçocus filius Domini Richerij de Purcillis, Jacobinus fi-lius olim Johannis Boni, çorçinus de Andreana, Pilligrinus de Ruraio Maiore et Frugerius eius frater, Pilligrinutius eius consanguineus, Tavanelus frater Curadi Jacubinus filius Domine Elice de Curtenaonis, Radivus filius olim Domine Berte de Curtenaonis, Varientus filius Domine Coile de Curtenaonis, Articus filius olim Domini Adelarti aiusdem loci, Alexander filius Domini de Malniso, Richerius filius olim Domini Amedei de Purcillis.13
12. La donazione del castello di San Stino (San Steno) e della villa di Corbolone «et homines eorum de masnada in castro et in locis predictis et eorum pertinentiis ed adjacentiis ex utraque parte flumine Liquentia» pertinenti fino al mare viene sancita da un atto del 26 giugno 1260 dai figli di Guecellone da Prata. Cfr. Giambattista Verci, Storia della marca
Trevigiana e Veronese, Venezia, presso Giacomo Storti, 1786, ii, p. 35, n. ci.
13. Del documento, ora non più disponibile, ne ha lasciato una trascrizione Antonio De Pellegrini nella raccolta A. De Pellegrini, Documenti di jus servile, Udine, Tip. Del Patronato, 1908, p. 19, doc. i. Per quel che riguarda la disponibilità dei Porcia su servi in Caporiacco, quest’ultima può essere posta in relazione ad una permuta tra le due famiglie di Prata e Porcia avvenuta nel 1190; cfr. E. Contelli, Pasiano nell’età di mezzo, Pordenone, Grafiche editoriali artistiche pordenonesi, 1976, p. 21 e P.C. Begotti, Acque e mulini nel
Friuli occidentale del Medioevo. Riflessioni storiche in una prospettiva europea, «La
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Mentre formule coeve evidenziano la struttura di questi giuramen-ti di dipendenza rurale con forgiuramen-ti dipendenze dal lessico feudale, quella di Porcia può esser riportata alla struttura dell’hominitium che proprio negli stessi anni, è oggetto di una specifica attenzione da parte giurista Martino da Fano.14 Si tratterebbe, secondo il giurista marchigiano, di una formula consuetudinaria propria dei non liberi utilizzata per creare legami di asservimento ex causa homitiae contrapposti a quelli più noti propri del retaggio feudale, conseguenti al giuramento ex causa fidelitate. La distinzione tra le due diverse forme contrattuali si sostanza inoltre per l’assenza della componente rituale, e soprattutto, in termini oggettivi, per la mancanza della configurazione sinallagmatica connessa alla prestazio-ne previo corrispettivo. Siamo insomma in un ambito giuridico diverso da quello della fedeltà feudale anche se i piani non possono dirsi separati a prescindere. L’elenco dei servi di Guido e Federico di Porcia è infatti un in-sieme composito, che pur riunendo uomini e donne di servizio domestico o rurale si presta ad alcune considerazioni. La più ovvia è la coesistenza nell’elenco di servi individuati semplicemente per l’appartenenza ad un luogo da altri contraddistinti dal titolo di dominus. La varietà dell’impiego delle figure dipendenti e le rispettive «scalate» ed emancipazioni sono un tratto saliente dei secoli xii-xiii, e non sorprende constatare una posizione dissimile all’interno dello stesso insieme degli uomini asserviti.15
Un piccolo dossier di sei documenti, parzialmente inediti, ci consente di seguire con un qualche dettaglio in più rispetto alla situazione generale le vicende del «domino» Rustichello «quondam Arduini» da Porcia, che assieme ai fratelli Spagnolo ed Enrico figura tra i primi uomini dei Porcia nell’homitium del 1248. Il posto di rilievo occupato da Rustichello e solo in secondo luogo dai suoi fratelli trova conferma in una serie di atti datati tra la metà e la seconda metà del xiii secolo nell’ambito della signoria
territoriale dei Porcia. La tipologia degli atti in cui Rustichello si impegna
14. Sul trattato di Martino da Fano, cfr. M. Bellomo, Aspetti dell’insegnamento giuridico
nelle Università medievali, i, Reggio Calabria, Parallelo 38, 1974, p. 63. L’opera del giurista
marchigiano è stata messa in luce da C.E. Tavilla, «Homo alterius»: i rapporti di dipendenza
personale nella dottrina del Duecento. Il trattato «De hominiciis» di Martino da Fano, Napoli,
Edizioni scientifiche italiane, 1993, ed è stato poi ripreso da E. Conte, Servi medievali, Roma, Viella, 1996, pp. 185-187.
15. Cfr. il caso toscano in P. Brancoli Busdraghi, «Masnada» e «boni homines»
come strumento di dominio delle signorie rurali in Toscana (secoli xi-xiii), in G. Dilcher,
C. Violante (a cura di), Strutture e trasformazioni della signoria rurale nei secoli x-xiii, Bologna, Il Mulino, 1996, pp. 298-330. È utile ricordare le considerazioni del Brancoli Busdraghi a p. 295 sull’organizzazione delle masnade nei nuclei della signoria, forme