• Non ci sono risultati.

Strategie signorili e strutture di potere in una donazione cluniacense del 1115

Nel documento Historiae scritti per gherardo ortalli (pagine 89-101)

Federico Pigozzo

Un recente scavo d’archivio fra le carte del monastero veneziano di Santa Croce ha permesso di individuare una copia cinquecentesca de-gli atti con cui, nel 1115,1 alcuni esponenti della famiglia da Carbonara donarono allo stesso monastero e alla chiesa di Cluny il piccolo cenobio familiare di San Bartolomeo di Crespignaga,2 nel pedemonte trevigiano. I documenti ritrovati, dei quali si dà edizione in appendice, sono contenuti nel Chatastichum sive memorialium omnium privilegiorum,

instrumentorum et scripturarum concernentium iura et iurisdictiones pertinentes ad ecclesiam et monasterium Sancte Crucis Venetiarum,

compilato nel 1531 dal notaio Bartolomeo de Zambertis: sebbene dunque non si tratti di una copia autentica dell’originale, ma di una copia sem-plice redatta ad uso amministrativo interno, si può ugualmente ritenere la fonte altamente attendibile, con modeste incertezze essenzialmente sulla grafia dei nomi, non tali, comunque, da compromettere l’intellegi-bilità del negozio e la riconoscil’intellegi-bilità dei protagonisti.

Il documento era noto all’erudizione trevigiana fin dal xviii secolo, grazie ad uno scorretto transunto accolto nei Documenti trivigiani,3 ma-noscritto del canonico Rambaldo Avogaro degli Azzoni.4 L’esame

dell’ar-1. Venezia, Archivio di Strato (=asve), Corporazioni Religiose, Santa Croce di

Venezia (=Santa Croce), b. 1, “Chatastichum sive memorialium omnium privilegiorum,

instrumentorum et scripturarum concernentium iura et iurisdictiones pertinentes ad ecclesiam et monasterium Sancte Crucis Venetiarum”, cc. 5v-8r.

2. Un profilio bibliografico ed archivistico sul monastero si trova in P.A. Passolunghi, Il

monachesimo benedettino nella Marca trevigiana, Treviso, Istituto di studi sulla cultura e

sulle tradizioni popolari della Marca Trevigiana, 1980, pp. 79-81.

3. Treviso, Biblioteca Capitolare (=bctv), Miscellanea, Rambaldo Azzoni Avogaro

«Documenti trivigiani», i, pp. 381-383.

4. Per un rapido profilo biografico del canonico vedi la scheda curata da L. Moretti,

Azzoni Avogaro Rambaldo, in Dizionario Biografico degli Italiani, 4, Roma, Istituto della

88 pigozzo

chivio veneziano di Santa Croce ha offerto anche una bella testimonian-za sull’origine del sunto del canonico Avogaro degli Azzoni: alla fine del registro cinquecentesco è infatti conservata, in carattere del xviii secolo, la minuta della lettera con la quale il solerte, ma evidentemente poco pratico di paleografia, corrispondente del canonico trevigiano pro-cedeva a tradurre i punti principali del documento.5 L’inaffidabilità del sunto settecentesco era ben presente alla ricerca storica più recente: Gerolamo Biscaro, agli inizi del secolo scorso, segnalava errori di inter-pretazione e rilevanti confusioni onomastiche.6 Come si vedrà, proprio questi errori hanno impedito finora di apprezzare a pieno l’importanza dei documenti stessi.

La donazione del 1115, una delle primissime di area veneta in favo-re dell’abbazia di Cluny,7 si pone in un momento particolare della vita dell’istituzione religiosa veneziana, giungendo a pochissimi anni dalla sua stessa istituzione. Infatti, solo nel 1109 i tre fratelli Badoero, Gio-vanni e Pietro Badoer avevano fatto dono di una chiesa privata, Santa Croce di Luprio, al priorato cluniacense francese di La Charité-sur-Loire, presso Nevers, disponendo che nei pressi vi fosse costruito un mona-stero.8 Pertanto, il priore Domenico e l’avvocato Leone, che ricevettero la donazione del 1115, possono essere individuati come i protagonisti della fondazione e dei primissimi anni di vita del monastero. Fino alla metà del secolo le notizie sul monastero sono relativamente scarse: si sa che con ogni probabilità ricevette la visita di un priore cluniacense nel 11389 ed è citato nella bolla di Lucio ii del 14 aprile 1144 che confermò i possessi del cenobio francese («In Veneciis, ecclesiam Sancte Crucis cum appendiciis suis»).10

5. asve, Santa Croce, b. 1, cc. 41r-42v.

6. G. Biscaro, Le temporalità del vescovo di Treviso, «Archivio Veneto», s. v, 12, 1936, p. 21. 7. P.A. Passolunghi, Alle origini della presenza di San Benedetto di Polirone nel

Trevigiano, «Studi trevisani», 1, 1984, p. 10.

8. «Sequenti anno [1109] Badoarius ecclesie sancti Leonis vicarius, Iohannes et Petrus Badoario fratres, Deo et abbati sancte Marie de Caritate, ordinis cluniacensis, ecclesiam Sancte Crucis in Luprio, pro çenobio costruendo, concesserunt» (Andreae Danduli,

Chronica per extensum descripta: aa. 46-1280 d.C., a cura di E. Pastorello, Bologna,

N. Zanichelli, 1938-1942, p. 226); G. Spinelli, I monasteri benedettini fra il 1000 e il 1300, in F. Tonon (a cura di), Contributi alla storia della chiesa veneziana, 2, La chiesa di Venezia

nei secoli xi-xiii, Venezia, Studium cattolico veneziano, 1988, p. 111.

9. D. Rando, Una chiesa di frontiera. Le istituzioni ecclesiastiche veneziane nei secoli

vi-xii, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 195.

10. G. Fornasari, Fondazioni cluniacensi non dipendenti da San Benedetto di Polirone

studi di storia historiae. s critti per gherard o ortalli

strategie signorili in una d onazione cluniacense del 1115 89

Per quanto riguarda l’accrescimento del patrimonio, nel 1118 tale Gio-vanni di Domenico e la moglie Maria donarono una porzione di laguna di loro proprietà al priore Domenico, di cui si ricorda anche il cognome (Ruibullo);11 nel 1141 il nuovo priore Rainaldo ricevette da Vangerio di Anzerello un terreno sito a Zignano, nel territorio di Piove di Sacco, e subito dopo i monaci Marco e Gualtiero, «ordinarios atque dispensato-res monasterii» investirono a livello Giovanni, figlio del donatore, degli stessi beni;12 nello stesso 1141 la chiesa e il monastero «Sancte Crucis de Luvrio» furono beneficiati dalla donazione della moglie di Vitale Falier e nel febbraio 1145, il nuovo preposto del cenobio, prete Guglielmo, fece quietanza ad alcuni esponenti della famiglia Falier del lascito della loro congiunta;13 infine nel 1147 Viviano di Inglebardo da Zignano cedette un terreno nella medesima località ai rappresentanti del monastero, «don-no Alberto et don«don-no Marco cameriarios et administratores Sancte Cru-cis de Venecia».14 Come si può vedere, i pochi documenti sopravvissuti restituiscono l’immagine di un’istituzione in piena crescita e già dotata di un’amministrazione economica articolata.

L’attento spoglio dell’archivio di Santa Croce non ha permesso di rin-tracciare altre notizie sulla gestione del monastero di San Bartolomeo di Crespignaga: un tardo processo del 1633 mostra le monache del terzo ordine, subentrate nella gestione del monastero di Santa Croce di Ve-nezia, intente a rivendicare contro il vescovo di Treviso le proprietà dei beni dell’ormai scomparso monastero di San Bartolomeo fra quelle del priorato di San Giacomo e Bartolomeo di Crespignaga.15 Poiché gli unici documenti che le consorelle riuscirono ad esibire a sostegno delle loro richieste furono i due atti di donazione del 1115, che qui si pubblicano, si può ritenere che fin da subito il monasteriolo trevigiano sia sfuggito

monachesimo cluniacense, Atti del convegno internazionale di Storia medioevale (Pescia,

Universitas Internationalis Coluccio Salutati, 26-28 novembre 1981), Cesena, Badia di Santa Maria del Monte, 1985, pp. 96-97.

11. Codex publicorum (Codice del Piovego), i (1282-1298), a cura di B. Lanfranchi Strina, Venezia, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, 1985, proc. 3, p. 29.

12. asve, Santa Croce, Pergamene, b. 1, alla data.

13. asve, Santa Croce, Atti, b. 1, «Chatastichum sive memorialium omnium privilegiorum, instrumentorum et scripturarum concernentium iura et iurisdictiones pertinentes ad ecclesiam et monasterium Sancte Crucis Venetiarum», cc. 12v-13r; Corporazioni Religiose,

San Zaccaria, Pergamene, b. 2, perg. 49.

14. asve, Santa Croce, Pergamene, b. 1, alla data.

90 pigozzo

al controllo dell’ente monastico veneziano.16 È probabile che i da Car-bonara siano stati presto reinvestiti dei beni oggetto della donazione e che col tempo abbiano riacquistato, quasi certamente per usucapione, la piena proprietà del monasteriolo di famiglia: a togliere ogni dubbio provvede il fatto che un discendente dei donatori del 1115, Bonifacino da Crespignaga, nel 1198 effettuava un atto di disposizione dei propri beni proprio «Crispignage sub porticu monasteri»17 e che due anni dopo una sentenza arbitrale di Ezzelino ii da Romano sulla divisione dei beni familiari degli stessi da Crespignaga disponeva la ripartizione a metà dei mansi del monastero tra lo stesso Bonifacino e il fratello Gerardino.18

Spostando l’attenzione sui donatori, questi erano esponenti del casato degli avogari del vescovo di Treviso,19 uno dei primissimi gruppi paren-tali ad essere qualificati col termine di «domus» nella documentazione del xii secolo.20 Proprio Valperto Montaguerra, citato nella donazione del 1115, compare in qualità di «tutor et provisor sue domus» in un atto di incerta datazione (1116 o 1118), relativo alla donazione di beni al mona-stero dei Santi Secondo ed Erasmo di Venezia in esecuzione delle volontà testamentarie del defunto Bertaldo Malsperone.21 Va notato che il confe-rimento di beni trevigiani al monastero di Santa Croce suscita una certa perplessità, poiché sebbene si inserisca in un contesto generale di atti di liberalità in favore del monaschesimo cluniacense, si caratterizzò per la scelta di un collegamento con Cluny non mediato dalla potentissima abbazia cluniacense di San Benetto di Polirone.

Eppure un parente dei donatori, l’arcidiacono Bertaldo da Carbonara, nel 1089 aveva oblato la propria porzione della chiesa di Sant’Elena di Tessera a Polirone, facendovi poi professione monastica e negli anni successivi a più riprese i fratelli Melio, Compagno e Gero da

Carbona-16. asve, Santa Croce, Atti, c. 1r. Vedi anche Passolunghi, Il monachesimo benedettino, pp. 79-81.

17. Treviso, Archivio di Stato (=astv), Corporazioni religiose soppresse, San Paolo di

Treviso, b. 1, perg. 15.

18. E. Cristiani, La consorteria da Crespignaga e l’origine degli Alvarotti di Padova, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1, 1967, doc. 8, p. 203.

19. Sugli avogari del vescovo di Treviso resta fondamentale Biscaro, Le temporalità, pp. 1-72; utili spunti su uno dei rami della famiglia enucleatosi nel xii secolo in Cristiani,

La consorteria da Crespignaga, pp. 1-64.

20. A. Castagnetti, Regno, signoria vescovile, arimanni e vassalli nella saccisica dalla

tarda età longobarda all’età comunale, Verona, Libreria universitaria editrice, 1997,

pp. 354-355.

21. Santi Secondo ed Erasmo, a cura di E. Malipiero Ucropina, Venezia, Comitato per la pubblicazione delle fonti relative alla storia di Venezia, 1958, doc. 3, p. 10.

studi di storia historiae. s critti per gherard o ortalli

strategie signorili in una d onazione cluniacense del 1115 91

ra ne avevano seguito l’esempio, donando la loro quota della cappella familiare di Tessera.22 Le benemerenze acquisite alla fine dell’xi secolo dalla famiglia da Carbonara erano tali che ben sei esponenti di essa sono menzionati nel «Liber vitae» del monastero di San Benedetto tra i «fideles nostri pre ceteris familiaribus»:23 il già ricordato Melio, coi tre figli Almerico, Odolrico ed Enrico, il figlio di Compagno, Wicardo, e il figlio di Gero, Ruggero.24 Il legame dei da Carbonara con il monastero mantovano si rafforzò anche in occasione del passaggio alle dipendenze polironiane del monastero veneziano di San Cipriano di Murano, che infatti fu beneficato nel 1095 da Oza moglie di Gero da Carbonara, alla presenza dei nipoti Almerico ed Enrico, figli di Melio.25

È lecito quindi chiedersi se e quali furono le motivazioni che spinsero un ramo della famiglia da Carbonara a smarcarsi dalla linea filopoliro-niana, nonostante uno dei donatori del 1115, Bonifacio figlio di Bertal-do, avesse a sua volta provveduto ad un piccolo donativo fondiario nel 1106.26

I documenti che qui si editano per la prima volta si rivelano fondamen-tali per dare una risposta all’interrogativo, poiché consentono di chiarire il legame di parentela che univa i tre donatori del monastero di Crespignaga. Fino ad oggi, infatti, la cattiva traduzione disponibile indicava i fratelli Valperto Montaguerra e Bertaldo da Carbonara come figli di un defunto «Carbone»,27 non altrimenti attestato nelle fonti. Ora invece sappiamo che il padre dei due fratelli si chiamava Carlo e che doveva essere con buona probabilità il fratello di Bertaldo, padre del terzo donatore. È allora

possi-22. Biscaro, Le temporalità, pp. 20-22; Passolunghi, Alle origini, pp. 1-8.

23. Sulle problematiche di interpretazione del ruolo di fideles del monastero vedi G. Gardoni, Élites cittadine fra xi e xii secolo: il caso mantovano, in A. Castagnetti, A. Ciaralli, G.M. Varanini (a cura di), Medioevo. Studi e documenti, ii, Verona, Libreria universitaria editrice, 2007, pp. 290-292.

24. A. Mercati, L’evangeliario donato dalla contessa Matilde a Polirone, «Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le province modenesi», 7, 4, 1927, pp. 1-17, poi in A. Mercati, Saggi di storia e letteratura, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1951, pp. 221; P. Bonacini, Il monastero di San Benedetto Polirone nel quadro di relazioni con

l’aristocrazia italica, in P. Golinelli (a cura di), Storia di San Benedetto Polirone. Le origini (961-1125), Bologna, Pàtron, 1998, pp. 121-122.

25. A. Gloria, Codice diplomatico padovano, i, Dal secolo sesto a tutto l’undicesimo, Venezia, Deputazione veneta di storia patria, 1877, n. 315, p. 339; Bonacini, Il monastero

di San Benedetto Polirone, p. 122.

26. A. Gloria, Codice diplomatico padovano dall’anno 1001 alla pace di Costanza (25

giugno 1183), i, Venezia, Deputazione veneta di storia patria, 1879, ii, 1, 24, p. 20; Bonacini, Il monastero di San Benedetto Polirone, p. 122.

92 pigozzo

bile identificare i due fratelli, «Bertaldo et Carlo germani», presenti il 31 dicembre 1090 ad un placito tenuto a Padova da Enrico iv28 ed elencati tra il fiore dell’aristocrazia veneta schierata sul fronte filomperiale dopo Eze-lo i da Romano29 e l’avogaro del vescovo patavino, Uberto da Fontaniva,30

e prima di Giovanni da Vidor, noto miles imperiale.31

Come è noto il 1090 è l’anno del deciso intervento di Enrico iv nel cuore della regione veneta, tradizionale enclave filoimperiale dove ne-gli ultimi tempi il partito canossiano stava raccone-gliendo proseliti, per compattare le fila dei propri sostenitori e preparare il vittorioso scontro di Trecontadi, che si tenne con ogni probabilità nel 1091 ai confini dei comitati di Padova, Vicenza e Verona.32

La fase del conflitto fra Papato e Impero che infiammò la pianura padana nell’ultimo scorcio dell’xi secolo sembra quindi delineare, nel comitato trevigiano, la compresenza di due rami della famiglia da Carbo-nara, l’una capeggiata da Melio, che fino al 1087 compare nella veste di avogaro del vescovo di Treviso,33 legata al monastero di San Benedetto di Polirone e di conseguenza al partito canossiano,34 l’altra guidata da Bertaldo e dal fratello Carlo, schierata su posizioni filoimperiali.

In effetti, già da tempo la presenza di Melio da Carbonara fra i fideles di Polirone aveva suscitato perplessità, dato lo schieramento decisamen-te favorevole all’imperatore del vescovo di Treviso Gumpoldo.35 Adesso,

28. Giovanbattista Verci, Storia degli Ecelini, iii, Codice diplomatico eceliniano, Bassano, nella stamperia Remondini, 1779, doc. viii, p. 18; Gloria, Codice diplomatico padovano, i, doc. 305, p. 330; I placiti, iii, 2, doc. 469, p. 402.

29. A. Castagnetti, I da Romano e la loro ascesa politica (1074-1207), in Nuovi studi

ezzeliniani, a cura di G. Cracco, Roma, nella sede dell’Istituto storico italiano per il

Medioevo, 1992, i, pp. 15-39.

30. S. Bortolami, Un prolifico lignaggio di Avvocati ecclesiatici: i signori Da Fontaniva

nei secoli xi-xiii, in E. Martellozzo Forin (a cura di), Da signori feudali a patrizi: I Da Fontaniva tra Medioevo e Rinascimento, Fontaniva (pd), Comune di Fontaniva, Assessorato

alla Cultura e Pubblica istruzione, 2010, pp. 19-45.

31. D. Rando, Contado, comune, chiesa cittadina nelle vicende dei da Vidor dei secoli xi-xiii, in D. Gasparini (a cura di), Due villaggi della collina trevigiana. Vidor e Colbertaldo, Vidor, Comune di Vidor, 1989, ii, pp. 43-61, ora in D. Rando, Religione e politica nella Marca. Studi su Treviso e

il suo territorio nei secoli xi-xv, ii, Società e istituzioni, Verona, Cierre, 1996, pp. 145-175.

32. A. Castagnetti, Guelfi ed Estensi nei secoli xi e xii. Contributo allo studio dei rapporti

fra nobiltà teutonica ed italica, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi conti e visconti nel Regno Italico (secoli ix-xii), Roma, Istituto storico italiano per

il Medioevo, 2003, iii, pp. 63-64. 33. bctv, Archivio, perg. 4.

34. Bonacini, Il monastero di San Benedetto Polirone, pp. 121-122.

studi di storia historiae. s critti per gherard o ortalli

strategie signorili in una d onazione cluniacense del 1115 93

dunque, si può dare maggior evidenza al fatto che almeno dal gennaio 1093 il filoimperiale Bertaldo da Carbonara era subentrato nel ruolo di avogaro del vescovo Gumpoldo in sostituzione di Melio, relegato al più modesto ruolo di avogaro della canonica trevigiana.36 Con tutta la prudenza resa necessaria dalla lacunosità delle fonti, è possibile ipo-tizzare anche una strategia matrimoniale di collegamento fra Bertaldo da Carbonara e i principali esponenti del partito filoimperiale. Infatti è interessante notare che uno dei maggiori sostenitori della dinastia salica nell’Italia nord-orientale, Ezelo i da Romano, aveva sposato una donna di legge romana, la medesima professata dai da Carbonara, che anzi co-stituivano il casato di maggior prestigio nel comitato trevigiano legato a questa legge. Inoltre un Bertaldo di legge romana era presente nel 1085 alla cospicua donazione di beni al monastero di Sant’Eufemia di Villa-nova da parte del consorzio familiare dei da Romano.37 Dalla donazione del 1085 apprendiamo poi che la moglie di Ezelo, Ermiza, disponeva di grosse proprietà nel cuore della signoria fondiaria del marito, nel tratto finale della Valsugana:38 ebbene, anche Valperto «de loco Crispignaga», da identificare col Valperto Montaverra qui ricordato, una generazione dopo Ermiza risultava in possesso di consistenti beni situati nel medesi-mo tratto vallivo.39

Per finire i documenti conservati nell’archivio di Santa Croce si rivela-no preziosi perché permettorivela-no di gettare urivela-no sguardo sulle strutture di potere signorile. Protagonisti del primo atto sono i tre cugini, Bonifacio Malsperone, Valperto Montaguerra e Bertaldo, che effettuarono l’obla-zione del compendio immobiliare «pro anime parentorum nostrorum et anime nostre mercede», obbligandosi alla pena del doppio del valore in caso di violazione degli impegni assunti. Nel secondo atto, invece, ad ob-bligarsi sono tutti coloro che a vario titolo («liberi aut servi») risultavano alle dipendenze dei da Carbonara. Fra questi, al livello più basso, un piccolo nucleo di rustici, sette dei quali sono indicati nominativamente, si impegna a restituire nelle mani del priore di Santa Croce i terreni del monastero ricevuti a vario titolo: alcuni di essi erano probabilmente di condizione servile, perché nelle testimonianze di un processo del 1190 gli

G.M. Varanini (a cura di), Storia di Treviso, ii, Il Medioevo, Venezia, Marsilio, 1991, p. 95. 36. Treviso, Archivio della Curia Vescovile, Diplomatico, Atti episcopali, alla data; A. Sartoretto, Antichi documenti della diocesi di Treviso (905-1199), Treviso, Tip. Editrice Trevigiana, 1979, doc. v, pp. 158-160.

37. Verci, Codice diplomatico, doc. vii, p. 17. 38. Verci, Codice diplomatico, p. 12.

94 pigozzo

«homines monasterii» che si recavano ad eleggere il mariga del villaggio di Crespignaga erano contrapposti agli «alii liberi homines».40

Alle spalle di questi servi, tuttavia, emergono le figure di tali Roticherio e Stefano, che intervengono in qualità di fideiussori tanto per gli impegni dei rustici, quanto per quelli dei signori da Carbonara. Accanto a loro, in posizione di parità ed egualmente fideiussori nei confronti dei donatori, figurano due personaggi che apparentemente nulla hanno a che fare col contesto locale di Crespignaga: si tratta di Mezelo da Brusaporco,41 villag-gio situato una ventina di chilometri a sud, e di Alingerio da Robegano,42

villaggio a circa 50 chilometri in direzione di Venezia.

Purtroppo nessun altro documento conserva memoria di questi dipen-denti dei da Carbonara, ma alcuni atti di fine xii secolo possono fornire illuminanti indizi sul loro ruolo. Innanzitutto un Giovanni, identificabile forse come il figlio di questo Mezelo, deteneva alla metà del secolo un terreno dal consorzio Tempesta-da Crespignaga, discendente degli stessi signori da Carbonara attori dalla donazione al monastero di Santa Croce.43 Un altro Mezelo da Brusaporco, poi, è esplicitamente menzio-nato nel 1184 fra i servi di masnada di Bonifacino da Crespignaga.44 Da altri documenti risulta che questo secondo Mezelo, con ogni probabilità un discendente del primo, ricopriva l’importante ruolo di amministrato-re dei beni familiari nel villaggio di Brusaporco, coordinando i vassalli locali45 e imponendo il banno signorile su un bosco della zona.46

Per quanto riguarda invece Alingerio da Robegano, è significativo trovare un altro personaggio originario della medesima località, tale «Teupo de Robegano», presente nel 1174 alla vendita dei beni bellunesi di Cesana appartenti a Guglielmino Tempesta, altro discendente dei donatori del 1115. Anche in questo caso, Teupo appare come garante del rispetto delle obbligazioni assunte dal «dominus» da parte degli «homi-nes de masnata» che venivano ceduti assieme ai terreni.47

40. Bassano, Archivio di Stato, Fondo Alvarotti, b. 1, perg. 7. 41. Oggi Castelminio, frazione di Resana (tv).

42. Frazione di Salzano (ve).

43. I beni un tempo detenuti da Giovanni di Mezelo (all’epoca quindi già morto), secondo una ripartizione del dicembre 1168, furono attribuiti al ramo da Crespignaga del consorzio (Cristiani, La consorteria da Crespignaga, doc. 1, p. 195).

44. astv, Corporazioni religiose soppresse, San Paolo di Treviso (=San Paolo), Pergamene, b. 1, perg. 5.

45. astv, San Paolo, Pergamene, b. 1, perg. 12. 46. astv, San Paolo, Pergamene, b. 1, perg. 7.

Nel documento Historiae scritti per gherardo ortalli (pagine 89-101)