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Prove generali di Bail-in: il caso delle banche Italiane

Nel documento Le crisi bancarie (pagine 104-124)

LE CRISI BANCARIE: ALCUNI ASPETTI TECNICO OPERAT

3.3 Prove generali di Bail-in: il caso delle banche Italiane

3.3.1 Crisi di Veneto Banca S.p.a e Banca Popolare di Vicenza S.p.a

Il 23 giugno 2017 il Consiglio di Sorveglianza del Meccanismo di Vigilanza Unico europeo ha dichiarato la “prossimità al dissesto” per Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A. Lo stesso giorno il Comitato di Risoluzione Unico, Autorità europea per la gestione della crisi delle banche, ha accertato la non sussistenza dell’interesse pubblico all’avvio di una procedura di risoluzione, passando la gestione dei passi successivi della crisi delle due banche a livello nazionale.

Il Governo Italiano e la Banca d’Italia, in stretta collaborazione e in costante dialogo con le autorità europee, hanno deciso l’avvio della procedura di liquidazione coatta amministrativa prevista dal Testo unico bancario e dal Decreto Legge 25 giugno 2017, n. 99 (DL in quanto segue). Questa soluzione è stata predisposta in pochi giorni, dopo l’abbandono dell’ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, perseguita nei mesi precedenti, determinata dall’evoluzione delle valutazioni delle Autorità europee in materia di perdite “probabili nel futuro prossimo”, un concetto introdotto dalla nuova normativa sulla gestione delle crisi, che ne impone la copertura con capitali privati. Sulla stima di queste perdite si sono registrate prolungate discussioni tecniche e divergenze di opinione; la stima iniziale (1,2 miliardi) è aumentata considerevolmente a seguito dell’analisi del piano di ristrutturazione, effettuata dalle autorità europee ai fini della quantificazione del fabbisogno di capitale e della valutazione di “viability” delle due banche.

La crisi delle due banche venete è stata generata dall’aumento del rischio di credito generato dalla gravissima recessione che ha colpito il Paese, da comportamenti scorretti e irregolari

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degli amministratori e dei dirigenti (emersi negli ultimi quattro anni) come crediti erogati con modalità anomale, non di rado in conflitto di interessi; inadeguate modalità di determinazione del prezzo delle azioni; operazioni di ricapitalizzazione cosiddette “baciate”, non dedotte dal patrimonio.

Nel caso di Veneto Banca i primi forti segnali di scadimento della situazione tecnica vennero da accertamenti ispettivi condotti nel 2013 dalla Banca d’Italia, che fecero emergere il fenomeno delle “azioni finanziate”136: essa non aveva dedotto dal patrimonio di vigilanza il

capitale raccolto a fronte di finanziamenti da essa stessa erogati ai sottoscrittori delle sue azioni. Alla Banca Popolare di Vicenza lo stesso abuso è stato individuato agli inizi del 2015 a seguito di un‘ispezione di vigilanza, condotta da personale della Banca d’Italia sotto richiesta del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU) per approfondire aspetti problematici emersi nel corso del 2014.

I gravi comportamenti tenuti dalle due banche nella determinazione del prezzo e nella mancata deduzione dei finanziamenti di azioni sono particolarmente significativi in quanto hanno danneggiato la clientela, minandone la fiducia. Il fattore che, in termini quantitativi, più di ogni altro ha determinato l’abbattimento del patrimonio dei due intermediari è stato il deterioramento della qualità del credito. In sintesi, i crediti deteriorati sono derivati in gran parte dagli effetti della crisi economica sulle imprese affidate e dalla volontà della banca di sostenere il territorio.Alla fine del 2016 i crediti deteriorati dei due intermediari superavano i 18 miliardi ed erano pari, rispettivamente per BPV e per VB, al 35% e al 39% del complesso dei prestiti (a fronte del 17,3% del sistema). Su questi crediti erano state rilevate perdite per 8,5 miliardi (4,6 per BPV e 3,9 per VB). Il credito erogato in conflitto di interesse raggiungeva, sulla base dei verbali ispettivi, valori nell’ordine di alcune centinaia di milioni

136 Ovvero operazioni “baciate”, esse non sono più vietate per legge dal 2008, a patto che i relativi

finanziamenti siano autorizzati dall’Assemblea straordinaria, nel rispetto delle condizioni previste dal codice civile (art. 2358) e che le azioni non siano conteggiate nel patrimonio di vigilanza.

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di euro.I portafogli di crediti deteriorati si caratterizzavano per una ridotta incidenza delle posizioni di maggiore ammontare e quanto alla distribuzione geografica, il credito deteriorato era concentrato nel Nord-Est.

Fonte: Segnalazioni di Vigilanza consolidate.

Per far fronte al deflusso di liquidità, a febbraio 2017 è stata emessa una prima tranche di obbligazioni garantite dallo Stato per complessivi € 6,5 miliardi. A marzo le banche hanno richiesto e ottenuto l’autorizzazione a emetterne una seconda per complessivi € 3,6 miliardi. Alla data della liquidazione le banche avevano emesso obbligazioni garantite dallo Stato per 8,6 miliardi.

Il 10 febbraio 2017 Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno presentato un complesso piano quinquennale di ristrutturazione “progetto Tiepolo” basato sulla fusione tra i due intermediari. Tale piano – oggetto di confronto con la BCE già nei mesi precedenti – ipotizzava un fabbisogno patrimoniale di 4,7 miliardi necessari ad assorbire le perdite derivanti dalla pulizia del portafoglio crediti e far fronte ai costi di ristrutturazione (riduzione della rete territoriale e degli organici). Poiché non riuscivano a reperire risorse private per il finanziamento del piano di ristrutturazione, il 17 marzo le due banche hanno presentato

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istanza di ricapitalizzazione precauzionale al Ministero dell’Economia e delle Finanze. Dopo mesi di confronto tra le banche, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Banca d’Italia, la BCE e la Commissione Europea, quest’ultima ha ritenuto che non sussistessero le condizioni per autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale. Il 25 giugno le due banche sono state poste in liquidazione. La soluzione della crisi è consistita nella liquidazione coatta amministrativa delle due banche resa possibile dall’acquisizione da parte di Intesa S. Paolo, disponibile all’intervento a condizione di non peggiorare la propria situazione patrimoniale ed esposizione al rischio di credito. Il costo della crisi aziendale è così stato fatto ricadere in primo luogo sugli azionisti e sui detentori di obbligazioni subordinate delle due banche in quanto gli orientamenti della Commissione europea sull’applicazione della disciplina sugli aiuti di Stato, prevedono che gli Stati membri possono intervenire a sostegno di liquidazioni bancarie solo a condizione che ad azionisti e creditori subordinati sia stato imposto il burden

sharing, cioè l’assorbimento delle perdite nella massima misura necessaria. I diritti di questi

sono stati mantenuti nella liquidazione e potranno essere soddisfatti solo nell’eventualità in cui lo Stato recuperi integralmente quanto versato a supporto dell’intervento e siano stati soddisfatti gli altri creditori.

Nel caso specifico, le azioni e le obbligazioni subordinate delle due banche non vengono trasferite a Intesa, ma rimangono nella liquidazione. Per effetto delle ingenti perdite accumulate dalle due banche e del fatto che lo Stato, a fronte dell’esborso per cassa e delle garanzie verso Intesa, si inserisce nel passivo della liquidazione e viene soddisfatto prima degli azionisti e dei creditori subordinati, le liquidazioni non disporranno con tutta probabilità di risorse sufficienti a soddisfare le pretese di azionisti e creditori subordinati. Viene pertanto rispettato uno dei principi ispiratori della normativa europea, che per combattere fenomeni di azzardo morale prevede che gli oneri ricadano in primo luogo sulla proprietà e sui sottoscrittori di strumenti patrimoniali delle istituzioni in crisi.

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La procedura prevede delle tutele per gli investitori al dettaglio (persone fisiche, imprenditori individuali, imprenditori agricoli e coltivatori diretti) che hanno sottoscritto o acquistato obbligazioni subordinate direttamente dalle due banche in liquidazione prima del 12 giugno 2014 (data di pubblicazione della direttiva BRRD) e ne hanno conservato la titolarità fino all’avvio della liquidazione. Il meccanismo di ristoro è a carico del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti e prevede per gli obbligazionisti subordinati al dettaglio la possibilità di accendere alternativamente a:

• una procedura arbitrale per accertare la violazione, da parte della banca emittente, degli obblighi di commercializzazione (informazione, diligenza, correttezza e trasparenza) previsti dalla legge. Se viene verificata la violazione, l’investitore potrà recuperare tutto il proprio investimento al netto di oneri, spese e differenziali di rendimento;

• un meccanismo di indennizzo forfettario attraverso il quale viene corrisposto circa l’80% del corrispettivo pagato per l’acquisto delle obbligazioni. L’indennizzo forfettario è riservato agli investitori che nel 2014 avevano un patrimonio mobiliare inferiore a 100.000 euro o hanno dichiarato un reddito imponibile inferiore a 35.000 euro. L’istanza di erogazione dell’indennizzo deve essere presentata entro il 30 settembre 2017. Intesa ha inoltre manifestato la disponibilità a farsi carico del rimborso del restante 20%.

Il Governo Italiano ha deciso di affiancare un aiuto di Stato alla procedura di liquidazione coatta, indispensabile per individuare un acquirente e preservare la continuità operativa delle due aziende, che sarebbe venuta meno in caso di liquidazione “atomistica”.

Caduta l’ipotesi della ricapitalizzazione precauzionale, la liquidazione “atomistica” ovvero la vendita nel tempo da parte dei commissari liquidatori dei singoli cespiti aziendali, sarebbe stata l’unica alternativa alla soluzione prescelta. Questa avrebbe comportato l’immediata cessazione dei rapporti con depositanti e debitori - circa 100. 000 piccole e medie imprese e

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circa 200.000 famiglie sarebbero state costrette a restituire per intero i crediti (circa 26 miliardi) causando diffuse insolvenze e i depositanti non protetti dalla garanzia, insieme con gli obbligazionisti senior, avrebbero dovuto attendere i tempi della liquidazione (vari anni) per ottenere il rimborso (circa 20 miliardi)- con rilevante impatto sul tessuto economico, occupazione e sul PIL, un intervento obbligatorio del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi per 10,4 miliardi, problemi rilevanti per il sistema dei pagamenti nazionale, elevati rischi di contagio. Sono stati invece tutelati i depositanti, gli obbligazionisti senior e larga parte dei sottoscrittori al dettaglio di obbligazioni subordinate, grazie alla previsione di forme di ristoro a favore della clientela che aveva sottoscritto tali obbligazioni prima del 12 giugno 2014, è stato infine preservato il credito a famiglie e imprese.

Come accennato sopra, attività e passività delle due banche- ad eccezione di alcune poste- sono state ceduta ad Intesa; L’acquirente è stato selezionato sulla base di una procedura aperta, trasparente, concorrenziale e non discriminatoria, che ha coinvolto sei potenziali acquirenti, tra cui cinque primari gruppi bancari italiani ed esteri e un grande gruppo assicurativo italiano. A conclusione del processo sono pervenute due offerte di acquisto vincolanti, tra queste, l’offerta di Intesa è risultata nettamente la migliore, in quanto idonea ad assicurare la continuità aziendale e a minimizzare le componenti da lasciare in capo alle due Banche in liquidazione.

Intesa ha acquisito il compendio aziendale delle due banche e delle relative società controllate (Banca Apulia S.p.A. e Banca Nuova S.p.A, SEC Servizi S.c.p.a., Servizi Bancari S.c.p.a. e, subordinatamente all’ottenimento delle relative autorizzazioni, banche con sede in Moldavia, Croazia e Albania) al valore simbolico di 1 euro.

Nel dettaglio si riporta un prospetto riassuntivo della situazione patrimoniale al 31 marzo 2017 dei due gruppi bancari, nel quale si individuano i valori che entrano nel perimetro della cessione e quelli che, per differenza, rimangono in carico alle bad bank (Tav. 1). Si tratta di

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attivi per un valore provvisorio di 45,9 miliardi, composti principalmente da crediti verso banche (3,8 miliardi), crediti in bonis verso la clientela (30,1 miliardi), attività finanziarie (8,8miliardi), e per la parte restante da poste di varia natura. Il totale comprende crediti in

bonis di minore qualità, che hanno una probabilità relativamente elevata di trasformarsi in

partite deteriorate c.d. crediti “high risk”, Intesa ha la possibilità di retrocedere questi attivi alla liquidazione; il valore definitivo degli attivi acquisiti da Intesa potrebbe pertanto essere inferiore a 45,9 miliardi.

Intesa ha altresì acquisito passività per complessivi 51,3 miliardi, composte principalmente da debiti verso banche (9,3 miliardi) e verso clientela (25,8 miliardi) e da titoli in circolazione (11,8 miliardi).

Lo sbilancio tra attività e passività acquisite rappresenta un credito di Intesa nei confronti delle liquidazioni ed è stato provvisoriamente quantificato in 5,4 miliardi. Il valore potrà essere definito con precisione in esito alle eventuali retrocessioni di poste per le quali è stata prevista tale possibilità in capo a Intesa e alla due diligence. Il credito di Intesa nei confronti delle liquidazioni è garantito dallo Stato sino a un importo massimo di 6,4 miliardi.

Le poste dell’attivo e del passivo escluse dal perimetro acquisito da Intesa sono rimaste nelle liquidazioni delle due banche. L’attivo, provvisoriamente fissato in 11,6 miliardi, è composto da crediti deteriorati (9,9 miliardi di valore netto contabile, 17,8 di valore lordo) e da alcune partecipazioni ed interessenze non strategiche (1,7 miliardi). Quest’ultima componente include le partecipazioni detenute dalle due banche venete in Banca Intermobiliare e Farbanca; queste due banche continuano a operare regolarmente, anche grazie al supporto finanziario fornito da Intesa.

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Tav. 1: Attività e passività delle banche venete e perimetro acquisito da Intesa S. Paolo

(Dati consolidati al 31 marzo 2017)

Fonte: “Informazioni sulla soluzione della crisi di Veneto Banca S.p.A. e Banca Popolare di Vicenza S.p.A.”, Banca d’Italia, Luglio 2017.

È previsto che sulla base di un successivo decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, i commissari liquidatori cedano i crediti deteriorati delle liquidazioni alla Società di Gestione delle Attività S.p.A., SGA,intermediario finanziario integralmente controllato dal MEF. S.G.A. potrà gestire i crediti deteriorati in un’ottica di ottimizzazione del recupero su un orizzonte temporale medio-lungo, con la possibilità di ottenere tassi di recupero più alti di quelli conseguibili attraverso una cessione immediata sul mercato. Il passivo provvisorio delle liquidazioni ammonta a 11,7 miliardi circa ed è composto dalle passività delle due banche non cedute a Intesa, ovvero i patrimoni netti (4,0 miliardi), le passività

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subordinate (1,2 miliardi), la parte dei fondi relativa a rischi non trasferiti all’acquirente (1,1 miliardi), e il credito erogato da Intesa a fronte dello sbilancio (5,4 miliardi).

A queste poste potrà aggiungersi l’ulteriore debito nei confronti dello Stato in relazione agli esborsi a titolo di eventuale escussione delle garanzie prestate nell’ambito dell’intervento, a fronte dei quali lo Stato acquisirà un credito nei confronti dei soggetti sottoposti a liquidazione, recuperabile a valere sulle somme realizzate dalla liquidazione degli attivi.

Riassumendo, l’acquisto riguarda un perimetro segregato che esclude i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili e esposizioni scadute), le obbligazioni subordinate emesse, partecipazioni e altri rapporti giuridici considerati non funzionali all'acquisizione. A titolo di ristoro per i piccoli risparmiatori detentori di obbligazioni subordinate emesse dalle due banche, Intesa stanzierà complessivamente 60 milioni di euro, che includono un importo come proprio intervento in aggiunta alla quota parte prevista del contributo del sistema bancario. Il perimetro oggetto di acquisto riguarda in particolare:

- crediti in bonis diversi da quelli ad alto rischio per circa 26,1 miliardi di euro,

- attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro,

- attività fiscali per circa 1,9 miliardi di euro,

- debiti verso clientela per circa 25,8 miliardi di euro,

- obbligazioni senior per circa 11,8 miliardi di euro,

- raccolta indiretta per circa 23 miliardi di euro, di cui circa 10,4 miliardi di risparmio gestito,

- circa 900 sportelli in Italia e circa 60 all’estero, inclusa la rete di filiali in Romania,

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Le condizioni e termini del contratto garantiscono la totale neutralità dell’acquisizione rispetto al Common Equity Tier 1 ratio e alla dividend policy del Gruppo Intesa Sanpaolo, prevedendo in particolare:

- un contributo pubblico cash a copertura degli impatti sui coefficienti patrimoniali, tale da determinare un Common Equity Tier 1 ratio phased-in pari al 12,5% rispetto alle attività ponderate per il rischio (RWA) acquistate. Il contributo, contabilizzato - sulla base del principio contabile IAS 20 - come apporto al conto economico, è pari a 3,5 miliardi di euro non sottoposti a tassazione;

- un ulteriore contributo pubblico cash a copertura degli oneri di integrazione e razionalizzazione connessi all’acquisizione, che riguardano tra gli altri la chiusura di circa 600 filiali e l’applicazione del Fondo di Solidarietà in relazione all’uscita, su base volontaria, di circa 3.900 persone del Gruppo risultante dall’acquisizione, nonché altre misure a salvaguardia dei posti di lavoro. Il contributo, anch’esso contabilizzato - sulla base del principio contabile IAS 20 - come apporto al conto economico, è pari a 1,285 miliardi di euro non sottoposti a tassazione.

- garanzie pubbliche, per un importo corrispondente a 1,5 miliardi di euro dopo le imposte, volto alla sterilizzazione di rischi, obblighi e impegni che coinvolgessero Intesa Sanpaolo per fatti antecedenti la cessione o relativi a cespiti e rapporti non compresi nelle attività e passività trasferite.

- imposte differite attive delle banche acquisite pienamente usufruibili da Intesa Sanpaolo;

- il diritto per Intesa Sanpaolo di modificare il perimetro dell’operazione dopo la data di esecuzione ove necessario al fine di ottenere le incondizionate approvazioni antitrust. L’intervento per cassa dello Stato è pari a circa 4,8 miliardi di euro, di cui 3,5 miliardi a copertura del fabbisogno di capitale generatosi in capo a Intesa per effetto dell’acquisizione

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e 1,3 miliardi volti a sostenere le misure di ristrutturazione aziendale che Intesa dovrà attivare per rispettare gli impegni assunti nell’ambito della disciplina europea sugli aiuti di Stato. Lo Stato concede a Intesa una garanzia sul credito da quest’ultima erogato alle Banche in liquidazione (5,4 miliardi, elevabile fino a 6,4 miliardi). Infine, lo Stato concede a Intesa varie garanzie a fronte di rischi di varia natura per un valore atteso (fair value) complessivo di 400 milioni e un valore massimo ipotetico di circa 6 miliardi. Tali garanzie rispondono anche all’esigenza di sopperire a una serie di carenze informative che, data la rapidità con cui è stato necessario condurre l’asta competitiva, non è stato possibile colmare prima della presentazione delle offerte. Il credito dello Stato è preferito agli altri creditori delle liquidazioni, a esclusione di quelli prededucibili, e concorre con Intesa secondo l’ordine previsto dal Decreto Legge. Ipotizzando che il recupero sugli attivi della liquidazione sia in linea con il valore medio del tasso di recupero sulle sofferenze registrato dal sistema bancario italiano nel decennio 2006-2015, lo Stato recupererebbe il denaro investito137.

Concludendo, l’operazione nel suo complesso, e in particolare la scelta di erogare un aiuto di Stato nell’ambito di una procedura di liquidazione nazionale, è pienamente conforme con la normativa europea ed è stata valutata compatibile con le norme sugli aiuti di Stato dalla Commissione Europea. Gli orientamenti sugli aiuti di Stato al settore bancario contenuti nella Comunicazione dell’agosto del 2013 consentono – a determinate condizioni – l’erogazione di sostegno pubblico finalizzato all’uscita ordinata della banca in crisi dal mercato.

Con la procedura adottata è stata preservata la continuità dei rapporti di clientela esistenti, sono state evitate gravi ricadute della crisi sul tessuto economico di insediamento delle due

137 Al riguardo, l’evidenza empirica disponibile indica che la percentuale di valore dei crediti deteriorati che

può essere recuperata mediante un approccio “paziente” è molto più elevata di quanto possa essere ottenuto cedendo questi attivi pro soluto sul mercato e di quanto stimato (18% in via provvisoria e 22% in via definitiva) nel caso della risoluzione delle quattro banche avvenuta nel novembre 2015;

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banche, attenuati gli effetti sulla compagine dei dipendenti, minimizzato il costo complessivo di soluzione della crisi.

Il Comitato di Risoluzione Unico avrebbe potuto attivare una procedura di risoluzione, ma in questo caso ha deciso che non ne esistessero i presupposti. La normativa non definisce criteri oggettivi per stabilire la presenza o meno “dell’interesse pubblico” alla risoluzione – per valutare cioè se siano presenti significativi rischi di natura sistemica. La decisione viene presa dal Comitato di Risoluzione Unico sulla base di una propria valutazione. Nel caso delle banche venete ha ritenuto che non vi fosse interesse pubblico considerando, tra l’altro, che l’operatività delle due banche era limitata solo ad alcune aree del territorio nazionale; ha pertanto deciso che la crisi delle due banche dovesse essere gestita a livello nazionale. Il governo italiano a sua volta ha stabilito che una liquidazione “atomistica” avrebbe comportato forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo, di carattere sociale e occupazionale, determinando un grave turbamento dell’economia nell’area di operatività delle due banche.

Grazie a ciò non è stato necessario applicare lo strumento del bail-in. È stata dunque assicurata la totale salvaguardia delle passività non coperte dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (depositi di importo superiore ai 100.000 euro, obbligazioni ordinarie), detenute prevalentemente da famiglie e imprese di piccola e media dimensione.

3.3.2 Il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena

Tra febbraio e luglio 2016 la Banca Monte dei Paschi di Siena, MPS, è stata sottoposta alla prova di stress condotta dall’Autorità Bancaria Europea, ABE, in cooperazione con la BCE e le autorità di vigilanza nazionali. L’obiettivo della prova era di valutare la resilienza delle banche dell’UE e la loro capitalizzazione in condizioni critiche.

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Lo scenario avverso di questo esercizio si basava su ipotesi severe con riguardo all‘evoluzione dell’attività economica e dei tassi d’interesse a lungo termine; il relativo approccio prevedeva di non considerare eventuali azioni che le banche avrebbero posto in essere per attenuare gli effetti negativi degli shock ipotizzati. In questo scenario ipotetico alla fine del 2018 MPS avrebbe mostrato un significativo peggioramento della situazione patrimoniale, con un capitale di qualità primaria CET1 fully-loaded pari al -2,4% delle attività ponderate per il rischio. Nello scenario di base, invece, il CET1 ratio si sarebbe

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