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La pubblicità del bilancio

25.1 Funzione della pubblicità.

E’ la necessità di avere e di dare informazioni, quindi l’esigenza di conoscere, che porta alla redazione del bilancio. Il bilancio viene prima redatto dagli amministratori, poi approvato dall’assemblea dei soci (se l’azienda veste l’abito giuridico di società) e infine reso pubblico (se la società è una società di capitali, cioè una S.p.A., una S.r.l. o una Società Cooperativa) per dare informazioni a chiunque sia interessato, e i soggetti maggiormente interessati all’azienda e quindi al suo bilancio sono:

a) i soci (i proprietari dell’azienda), che anche sulla base del bilancio valutano le capacità degli amministratori e, in assemblea, decidono se lasciare o togliere loro l’incarico;

b) lo stato, che anche sulla base del bilancio determina quante imposte l’azienda deve pagare;

c) le banche, cheanchesulla base delbilanciostabilisconoquantocreditoèprudenteconcedere

all’azienda;

d) i fornitori, che anche sulla base del bilancio decidono quanto credito di fornitura concedere al cliente.

Oltre a questi soggetti, possono poi essere interessati a conoscere il bilancio anche:

e) i risparmiatori, per valutare l’opportunità di investire la loro liquidità diventando soci (azionisti, nel caso di azienda con forma giuridica diS.p.A.)oppurecreditori(obbligazionisti, la veste più usuale dei finanziatori non aziendedicredito)dell’azienda;

f) i dipendenti e i loro sindacati, anche al fine di meglio modulare le pretese salariali;

g) i concorrenti, anche per meglio programmare la propria attività;

h) i clienti, per valutare l’affidabilità del loro fornitore;

i) i curiosi, i giornalisti (che purtroppo raramente sono curiosi e così si limitano a scrivere a pagamento ciò che l’azienda di cui scrivono o, più raramente, qualche suo nemico gli detta) e altri per le ragioni più varie.

25.2 Come si adempie all’obbligo di pubblicità.

In considerazione del fatto che vi è un interesse generale alla conoscenza dei bilanci, la normativa italiana impone a non poche aziende di renderli pubblici attraverso il loro deposito nel “Registro delle imprese” tenuto dalla C.C.I.A.A. (la camera di commercio, per i pignoli Camera di

Commercio,Industria,Artigianato e Agricoltura, ente pubblico della cui quasi totale inutilità tutti, tranne me e pochi altri, fanno finta di non accorgersi). Al prezzo di pochi euro chiunque può accedere, via Internet, ai bilanci depositati.

L’obbligo riguarda solo le aziende aventi veste giuridica di società di capitali [quindi le:

S.p.A.(Società per Azioni), S.r.l. (Società a responsabilità limitata), S.c. (Società cooperativa), oltreallerareS.a.p.a.(Societàinaccomanditaperazioni)

eS.r.l.s.(Societàaresponsabilitàlimitatasemplificata)] e quelle sole società di persone [cioè le s.n.c. (società in nome collettivo),

les.a.s. (societàinaccomanditasemplice)eles.s. (societàsemplici)]chefraisocisiritrovanounasocietàdicapitali.

Detto in altro modo, a negativo: le ditte individuali e le società di persone (se non partecipate da società di capitali) non devono rendere pubblici i loro bilanci.

Attenzione, non sto dicendo che le ditte individuali e la gran parte delle società di persone (cioè tutte meno quelle con società di capitali fra i soci) non abbiano alcun obbligo di dichiarare i propri dati di bilancio: il fatto che non debbano renderli disponibili a tutti (attraverso il deposito presso il registro delle imprese della CCIAA) non significa che non siano obbligate, ad esempio, a dichiararli all’agenzia delle entrate (cioè al ministero delle finanze, la vorace bocca dell’insaziabile Leviatano) in sede di dichiarazione dei redditi o ad altre autorità pubbliche per altri motivi.

Questo diverso trattamento non è motivato dalle dimensioni aziendali (ci sono tante s.r.l. più piccole di alcune s.n.c.) bensì dal fatto che le società di capitali sono dotate di “autonomia patrimoniale perfetta” mentre quelle di persone ne hanno una imperfetta e nelle ditte individuali l’autonomia patrimoniale proprio non c’è. Nell’ipotesi che ti ricordassi nulla in fatto di autonomia patrimoniale, ti riassumo qui il concetto, brutalizzandolo un po’: l’autonomia patrimoniale è la separazione fra il patrimonio della società e quello dei suoi soci.

Quando, come nelle società di capitali, l’autonomia patrimoniale è perfetta, allora i creditori della società che non riescono a ottenere da lei quanto a loro spetta non potranno mai e in alcun modo seccare i soci (il fornitore che legittimamente pretende 100.000 € da una s.r.l. insolvente può solo togliersi la soddisfazione di chiederne il fallimento, ottenuto il quale, con ogni probabilità, dei suoi 100.000 € non riceverà nemmeno quanto gli è costata la pratica legale), i quali potranno così serenamente continuare a godersi il loro patrimonio personale stappando champagne per brindare alla faccia dei creditori impuffettati dalla società.

Quando invece, come nelle società di persone, l’autonomia patrimoniale è imperfetta, allora il creditore che non sia riuscito a ottenere dalla società quanto gli spetta può agire anche sui soci, attaccando il loro personale patrimonio (i loro depositi bancari, il loro appartamento al mare, bottiglie di champagne in cantina comprese, la collezione di tabacchiere antiche ereditata dal nonno ecc.). Quel poco di autonomia patrimoniale che c’è nelle società di persone serve infatti solo a imporre ai creditori, per poter attaccare il patrimonio dei soci, di richiedere e ottenere preventivamente il fallimento della società.

Nelle ditte individuali, poi, ai fini dei rapporti con i creditori non c’è alcuna distinzione fra patrimonio aziendale e personale dell’imprenditore [vi è, quindi, “confusione patrimoniale”, ma solo dal punto di vista giuridico, perché contabilmente la separazione deve invece essere nettissima: nel bilancio aziendale non si deve trovare traccia né di beni personali dell’imprenditore nello stato patrimoniale, né di eventuali ricavi o spese personali (pensione, stipendi, acquisto dell’auto e spese per vacanze a Ibiza per la figlia diciottenne e viziata ecc.) nel conto economico].

Chiarita la faccenda della diversa autonomia, solo un attento e sagace studente può aver già intuitoilmotivopercuilalegge impone la pubblicità dei bilanci alle sole società di capitali (oltre a quelle di persone che fra i soci hanno una società di capitali). A chi non è attento o sagace a sufficienza faccio rilevare che chi ha rapporti d’affari con una società di persone è interessato (per effetto della non perfetta autonomia patrimoniale) non soltanto a conoscere le condizioni economiche-patrimoniali della società ma anche di quelle personali dei soci. Ecco allora che per offrire i dati necessari per valutare la rischiosità di un rapporto d’affari con una società di persone bisognerebbe obbligare anche i soci a rendere disponibili le informazioni sulle proprie condizioni personali (quali beni possiedono, quali debiti hanno, quanto guadagnano e in che modo ecc.) a cani e porci, e questo comporterebbe una pesante e dunque inaccettabile violazione della privacy.

Poiché nel caso delle società di persone l’obbligo di rendere pubblico il bilancio ha quindi una utilità ben più scarsa rispetto al caso delle società di capitali, ecco che ha senso obbligare alla pubblicità solo le seconde.

L’estensione dell’obbligo di pubblicità alle società di persone partecipate da società di capitali, infine, è certamente sensato: una S.r.l. o una S.p.A che sia socia, anchesoloallo 0,1%,diunas.n.c.

rischia, in caso di fallimento della s.n.c., di dover pagare interamente i debiti della partecipata

(qualsiasi creditore di una s.n.c. fallita ha, per effetto della “responsabilità solidale e illimitata dei soci di questa, il diritto di pretendere da uno qualsiasi di essi anche l’intero ammontare del proprio credito), pertanto chi intrattiene rapporti d’affari con la s.r.l. che è socia di una s.n.c. deve avere la possibilità, al fine di valutare correttamente i rischi che corre, di conoscere non solo i dati di bilancio della S.r.l. o della S.p.A. ma anche quelli della s.n.c. di cui la società di capitali è socia. (Nonostante l’argomento appena trattato non sia importanteaifini dellacomprensionedeibilanci, verificateugualmentediaverlo effettivamente compreso: è un utile esercizio di logica).

25.3 Ilbilancio“ordinario”,ilbilancio“abbreviato”equellodelle micro-imprese.

In funzione delle dimensioni, un’azienda con forma giuridica di società di capitali deve rendere pubblici i propri dati di bilancio seguendo uno dei tre schemi previsti dal legislatore:

1. le aziende più grandi devono presentare il bilancio “ordinario” (sulla base degli articoli 2423, 2424 e 2425 del codice civile);

2. le aziende più piccole possono adottare il bilancio delle “micro-imprese” (art. 2435 ter c.c.);

3. tutte le altre, cioè quelle di dimensioni intermedie, possono utilizzare lo schema del “bilancio abbreviato” previsto dall’articolo 2435bisdel codice.

Ovviamente, è comunque possibile per le imprese di dimensioni medie o piccole adottare uno schema di bilancio superiore a quello loro naturale (anche la più “micro” delle aziende può, se vuole, pubblicare i suoi dati seguendo lo schema del bilancio ordinario).

Nella tabella qui sotto trovate i limiti dimensionali previsti dal legislatore italiano.

Parametri quantitativi

Tipo di bilancio Bilancio delle micro-

imprese Bilancio in forma

abbreviata Bilancio ordinario Totale attivo

patrimoniale Fino a 175.000 € Fino a 4.400.000 € Oltre 4.400.000€ Totale ricavi

netti Fino a 350.000 € Fino a 8.800.000 € Oltre 8.800.000 € Numero medio

dipendenti (nell’anno) Fino a 5 Fino a 50 Oltre 50 Documenti di

bilancio obbligatori

Stato patrimoniale abbreviato Conto economico abbreviato

Stato patrimoniale abbreviato Conto economico abbreviato Nota integrativa abbreviata

Stato patrimoniale Conto economico Nota integrativa Rendiconto finanziario Relazione sulla gestione

Affinché un’azienda sia obbligata a passare a uno schema di bilancio “superiore” è necessario che superi per due anni di seguito almeno due di questi tre limiti.