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Prime basi di contabilità e bilancio (3 a H )

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Academic year: 2022

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(1)

Avvertenze per lo studio di questi appunti [disponibili (a colori) suwww.carlomassa551821.altervista.org)

Nel tentativo di rendere più comprensibili e meno pesanti gli argomenti ho, qua e là, adottato semplificazioni a volte brutali. Lo studente fanatico diligente può, se vuole, ovviare alle qui non poche lacune e imprecisioni studiando anche il libro di testo o, meglio, navigando intelligentemente su internet (Wikipedia è quasi sempre ok;

andare a leggere altri siti è, invece, spesso pericoloso e prima di farlo è quindi consigliabile chiedere un parere sull’attendibilità della fonte a me o ad altri che dell’argomento ne sappiano molto più di voi) o chiedendomi approfondimenti“personalizzati”, anchesucosequi nontrattate.

Alcuni punti di queste pagine risulteranno non chiari alla prima lettura, sia perché oggettivamente non semplici, ma a volte perché per la loro completa comprensione è necessaria la conoscenza di punti successivi

(parafrasando Excel: ci sono, qua e là, alcuni “riferimenti circolari”); motivo in più per leggere più d’una volta l’intero documento.

Ho fatto ampio uso delle parentesi per permettere, saltandone il contenuto (scritto in questo colore e con carattere diverso e ridotto), una rilettura più fluida del testo; ciò che è scritto nelle parentesi, però, non è trascurabile e quindi è necessario che lo studiate e capiate. Le soli parti la cui mancata assimilazione non deve preoccuparvi troppo ai fini della preparazione scolastica (ma la cui comprensioneècomunqueassai utile per non parlare a vanvera di economia)sono quelle scritte in verde, grassetto e con questo carattere e, purtroppo per voi, sono molto poche rispetto alle altre.

Quando ho utilizzato un vocabolo il cui significato ho ritenuto possibile esservi ignoto, ho provveduto a inserire tra parentesi (scritta in carattere corsivo, rosso e ancora più piccolo) almeno un suo sinonimo; l’ho fatto anche nella speranza che, leggendo queste pagine, riusciate almeno a espandere il vostro vocabolario; per stimolarvi maggiormente provvederò a chiedervi il significato di tali vocaboli nelle verifiche.

Alcuni concetti li ho ripetuti più volte; l’ho fatto non (solo) per demenza senile ma per aumentare la probabilità, ritrovandoli più volte e scritti in modo diverso, che li assimiliate meglio o, almeno, che vi diventino meno estranei. Con lo stesso fine ho anche spesso provveduto a inserire vari richiami a paragrafi precedenti, invitando così, a volte anche in modo esplicito, chi legge a un sempre utile ripasso.

Prime basi di contabilità e bilancio

(3a H 2020 – 2021)

INDICE

0) VALORE, PREZZO E DENARO (recupero di concetti fondamentali degli anni scorsi)

0.1 L’attività umana e l’economia 0.2 I “beni” e i “beni economici” 2 0.3 I “beni comuni” e i “beni privati” 0.4 L’utilità decrescente dei beni e il valore 5

0.5 Valore e prezzo 0.6 Beni di consumo e beni di produzione 7

0.7 Le aziende 8

1) IL PIU’ IMPORTANTE DEI FATTORI PRODUTTIVI: IL LAVORO

1.1 Produzione, Lavoro, Capitale e risorse naturali: una visione storica 10

1.2 In quali forme viene offerto il lavoro: lavoro dipendente e lavoro autonomo 16

2) NECESSITA’ E VALORE DELLE INFORMAZIONI (DEI “DATI”) 17

3) IL SISTEMA INFORMATIVO 18

2.1 A ogni decisione le sue informazioni 2.2 Una possibile classificazione delle decisioni 19

(2)

4) PATRIMONIO E REDDITO 5) DATI DI STOCK E DATI DI FLUSSO 21 6) DATI PATRIMONIALI E DATI REDDITUALI 7) COME SI DESCRIVE UN’AZIENDA 22 8) PATRIMONIO (o capitale) LORDO, DEBITI E PATRIMONIO (o capitale) NETTO

8.1 Il patrimonio lordo 8.2 I debiti 22

8.3 Il capitale (o patrimonio) netto 24

9) RICAVI, COSTI E REDDITO 25

10) CONTABILITA’ E CONTABILITA’ GENERALE (Co.Ge.) 27

11) REDAZIONE DEL BILANCIO e PARTITA DOPPIA 29

12) ANCORA SULLE REGOLE DI REGISTRAZIONE IN PAERTITA DOPPIA 30

12.1 Il conto

12.1.a I conti patrimoniali 12.1.b I conti economici (o di reddito) 31

13) UN ALTRO ESEMPIO (F.F. Garden di Flora Fito) 36

14) ANCORA SU REDDITO E PATRIMONIO (repetita juvant) 39

15) I RICAVI E I COSTI NON SONO QUELLI DELLA MAESTRA (e il suo “guadagno” non è il nostro “reddito) 39

16) SCRITTURE D’ESERCIZIO e SCRITTURE DI ASSESTAMENTO 41

17) CHIUSURA e successiva RIAPERTURA DEI CONTI 42

17’) La riapertura dei conti patrimoniali 43

18) DESTINAZIONE DEL REDDITO 44

19) PATRIMONIO NETTO 45

19’) Le riserve NON sono scorte di denaro 46

20) LE VARIE VOCI IN CUI (formalmente) SI DIVIDE IL PATRIMONIO NETTO

20.1 Capitale sociale e riserva sovrapprezzo azioni 20.2 Riserve di rivalutazione 47 20.3 Riserva legale 20.4 Riserve statutarie 20.5 Altre riserve 20.6 Utili o perdite portati a nuovo 50

21) RISERVE OCCULTE 51

22) UNA (più) RAGIONEVOLE SUDDIVISIONE DEL NETTO 52

23) SULLA VERIDICITA’ DEI BILANCI

23.1 Sul “giusto” valore dei beni 23.2 Sul bilancio “giusto” (corretto) 52

24) SUL “FALSO IN BILANCIO” 53

25) PUBBLICITA’ DEL BILANCIO

25.1 Funzionedellapubblicitàdelbilancio 25.2 Come si adempie all’obbligo di pubblicità 55 25.3 Bilancio ordinario, bilancio abbreviato e bilancio delle micro-imprese 57 26) I DUE PRINCIPI BASE E GLI ALTRI PRINCIPI DI REDAZIONE DEL BILANCIO

26.1 Il principio della prudenza 26.2 Il principio della continuità 58

26.3 Cosa sono i princìpi contabili 26.4 Quali princìpi (O.I.C. o I.A.S) si adottano in Italia 60

26.5 Due diverse “filosofie” di bilancio 61

27) RIPASSO E APROFONDIMENTO DEL CONCETTO DI INTERESSE

27.1 Cosa è l’interesse (nel suo significato più noto e superficiale) 63

27.2 Cosa è l’interesse (nel suo significato meno noto ma più profondo) 65

28) IL “V.A.N.” E LA VALUTAZIONE DEI BENI DI INVESTIMENTO 66 28.1 Le tre componenti del tasso d’interesse (tasso d’inflazione, prezzo per il rischio e tasso “puro”) 67

(3)

0. Valore, prezzo e denaro.

0.1

L’attività umana e l’economia

Il poeta per poetare ha bisogno di mangiare, ed in più di carta e penna ne fa uso esagerato.

(Il poeta produce poesia e consuma cibo, carta e inchiostro).

Qualsiasi attività umana, anche la più nobile ed elevata, si concretizza inevitabilmente in attività di produzione e di consumo. Senza sufficiente cibo, senza carta e senza inchiostro, Dante e Shakespeare non avrebbero prodotto le loro opere, lasciando di sé solo le loro ossa.

Poetessa ben satolla e Tutto ciò che, senza carta e

munita di carta e penna penna, resterebbe del poeta

I soldi non si mangiano; i soldi non riparano dal freddo; i soldi non tolgono il mal di denti (né per via orale, né per via rettale); i soldi non profumano le ascelle; i soldi non riparano i rubinetti ecc. ecc. Gli spaghetti si mangiano; un piumino ci tiene al caldo; un analgesico lenisce (= attenua)il mal di denti; un deodorante ascellare agevola la socializzazione; il servizio dell’idraulico ripara il rubinetto ecc. ecc.

Non sono i soldi a soddisfare le esigenze umane, bensì i beni. I soldi servono per facilitare gli scambi, cioè gli acquisti e le vendite; servono a rendere più efficiente l’attività di produzione e di consumo, perché senza scambi ognuno dovrebbe prodursi da sé gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti e la riparazione del rubinetto; i soldi, facilitando le relazioni fra le persone, rendono più fluida ed efficiente l’attività umana, ma in sé servono a nulla perché non hanno alcun valoreintrinseco.

L’inutilità dei soldi L’utilità dei beni

I beni (gli spaghetti, i piumini, i farmaci, i deodoranti, i servizi di riparazione ecc.) non esistono in natura, e allora per ottenerli l’uomo, la natura, la deve modificare.

La natura è mamma buona solo di quegli stronzetti dei puffi, ma è matrigna carogna di noi umani: la lasciassimo fare moriremmo quasi tutti di fame e malattie varie prima d’arrivare ai 40 anni, come è accaduto per decine di migliaia d’anni e fino a non molti secoli fa. I beni, non esistendo in natura, li dobbiamo produrre noi umani modificando l’ambiente naturale.

La Natura nella fantasia. La Natura nella realtà

Per produrre i beni servono il lavoro e altri beni, non i soldi: i soldi non avvitano i bulloni, non piegano le lamiere, non cementano i mattoni, non fanno andare i motori ecc.

A produrre i beni sono il lavoro umano e il “capitale”, cioè altri beni come chiavi inglesi, camion, edifici, robot, software, cemento,materieprimeecc..Isoldi, infatti, non rientrano nel concetto di capitale ma di “capitale finanziario”, che ètutt’altracosae che, in sé, serve a nulla.

I soldi non producono i beni Sono il lavoro e il capitale

a produrre i beni

(4)

Poiché, come si legge sotto l’ultima immagine, sono il lavoro e il capitale che permettono all’aziendadiprodurreibeni (fisici o servizi che siano) che usiamo per vivere, allora in questo blocco di appunti parleremo principalmente di beni, di aziende, di capitale e di lavoro; in considerazione poi del fatto che “i soldi, facilitando gli scambi e quindi le relazioni fra le persone, rendono più fluida ed efficiente l’attività umana”, tratteremo anche di moneta, crediti e mercato finanziario.

Alcune delle prossime pagine ve le ho già proposte l’anno scorso, ma ritengo prudente presentarle di nuovo alla vostra attenzione: la loro assimilazione è fondamentale, e dovete impegnarvi a fondo perché, come anche quella con tutte le immagini, non sono facili come potrebbero apparire a un lettore superficiale.

Se la comprensione dell’economia (intendendo per economia lo studio di come una società decide che cosa produrre, come produrre e per chi produrre (1)) non è facile, ciò è dovuto anche al fatto che quasi tutti (alla televisione, sui giornali, a scuola, in famiglia, al bar ecc.) ne parlano credendo di dire cose sensate e non si accorgono, invece, di sparare quasi sempre enormi sciocchezze.

Chi non ha alle spalle anni e anni di studi medici non si metterebbe mai a discutere di quali sono i sistemi migliori per normalizzare il battito cardiaco in caso di fibrillazione atriale; invece un po’ tutti, anche senza aver studiato economia, si sentono di dire la loro, ad esempio, su cosa si dovrebbe fare per ridurre la disoccupazione, e così chi di economia ne capisce è costretto a sentire, magari pronunciate da qualche “esperto” alla televisione o da qualche politico in parlamento, un sacco di idiozie megagalattiche del tipo che “bisogna lasciare andare in pensione prima i lavoratori per fare posto ai disoccupati”.

Immagina ora questa scena:

sei in macchina, accendi la radio e ti capita di sintonizzarti su un canale nel momento in cui la conduttrice chiede ai due “esperti”, ospiti della trasmissione: “ … ma allora, in conclusione, quali sono le cause dell’insonnia e quali i rimedi che si possono suggerire?” Il primo esperto risponde: “Il fatto che i disturbi del sonno siano sempre più diffusi fra la nostra popolazione è principalmente dovuto alla recente accelerazione del moto rotatorio del sole intorno alla terra che causa significative alterazioni nel metabolismo umano. Il rimedio all’insonnia è, quindi, utilizzare orologi a velocità variabile, sincronizzati con il mutante movimento del sole”;

interviene il secondo ospite: “Ciò che ha detto il prof. Mentechiara è innegabile, e una dimostrazione è che il problema dell’insonnia non si è aggravato fra le popolazioni dell’Oceania, proprio per effetto del fatto che all’accelerazione del moto solare nell’emisfero boreale si contrappone un rallentamento del sole nell’emisfero australe”.

Arrivi a casa, convinto di aver ascoltato una trasmissione comica non particolarmente divertente; sali le scale, entri in cucina dove, con la televisione accesa, ti accoglie tua madre:

“Hai sentito cosa hanno deciso all’ONU? L’ha proposto Xi Jinping, ma sono stati tutti d’accordo, anche gli USA: fra due settimane, quando la luna sarà piena, verrà bloccata nel cielo così che tutte le notti dell’anno saranno rischiarate dalla sua luce e si potrà risparmiare fino al 53,97% dell’energia elettrica consumata per illuminare le strade del mondo. Non ti sembra un’idea straordinaria?”

(1) La“Economia”, intesacome“scienza economica”, è stata definita in tanti modi; la definizione riportata è di Stanley Fischer e Rudiger Dornbusch (“Economics”, pag. 3, McGraw-Hill 1983); quando parlerò di “economia” come disciplina di studi, darò al termine questo significato, anche ben espresso da Sergio Ricossa: “L’economia è la scienza che studia come l’uomo affronta la scarsità”.

(5)

Stupefatto, esci di casa e ti accorgi che tutti ormai usano orologi a velocità variabile causando casini incredibili e si aspettano che la prossima luna rimarrà piena tutte le notti. A questo punto, consapevole di aver seguito le lezioni di geografia astronomica alle medie con scarsa attenzione,perscrupolovaisuWikipediaepoiancheinbibliotecaaconsultareuntestodiastronomia;

è come pensavi, sono tutti pazzi e sei tu ad aver ragione: è la terra che gira intorno al sole, è la rotazionedellaterrasulsuoasseadeterminareilgiornoelanotteefermarelalunanonèpossibile.

La situazione descritta non è, ovviamente, pensabile che si verifichi realmente; ma lo stato d’animo che vivresti se si realizzasse sarebbe analogo a quello di chi ha studiato (e capito) l’economia e vive oggi nel mondo reale: ascolta corbellerie in quasi tutte le trasmissioni, legge idiozie sui giornali, frequenta persone la gran parte delle quale crede a quelle sciocchezze e vede i governi di un po’ tutto il mondo prendere spesso decisioni economiche sbagliate.

Ma perché l’economista è condannato a vivere questa esperienza che, invece, all’astronomo o al medico viene risparmiata? Perché le idee e le teorie astronomiche e la scienza medica nulla hanno a che fare, almeno da qualche secolo, con il potere di governo, mentre le idee e le teorie economiche hanno ancora, e avranno sempre, molta influenza sul potere politico.

E’ naturale che millenni fa fosse tanto diffusa l’idea errata che il sole girasse intorno alla terra:

le conoscenze scientifiche erano scarsissime e l’apparire dell’alba a Est e del tramonto a Ovest portava a quella convinzione. Se oggi tutti sanno che è la terra a girare intorno al sole e che è il suo girare su sé stessa ad alternare il giorno con la notte, è perché gli astronomi, grazie a osservazioni e riflessioni più attente, lo hanno capito molti secoli fa, e successivamente questa conoscenza si è potuta diffondere anche fra i non esperti in quanto nessuno, almeno negli ultimi secoli,avevaunqualcheinteressechelagentecontinuasseacrederenell’idea(geocentrica)sbagliata.

Per l’economia le cose funzionano diversamente dall’astronomia e dalla medicina: alcune idee antiche continuano purtroppo a dominare e a essere comunemente ritenute corrette nonostante da tempo ne sia stata dimostrata la falsità. Ed è così perché in tanti, e principalmente coloro che hanno o che cercano il potere di governo, hanno interesse che i concetti corretti non si diffondano.

Con questi appunti tento, fra le altre cose, di dare il mio minuscolo contributo a modificare questo stato di cose.

(6)

0.2

I “beni” e i “beni economici”.

Un bene è qualsiasi cosa, materiale o immateriale, che soddisfa un bisogno Quando l’uso di un bene da parte di qualcuno non limita la possibilità di consumare

lo stesso bene da parte di altri, allora quel bene non è un “bene economico”.

Così, ad esempio, non sono beni economici la luce del sole o l’aria: entrambi certamente sono

“beni”, in quanto soddisfano esigenze umane; ma dal momento che quando tu prendi il sole e respiri l’aria non limiti le mie possibilità di fare altrettanto, allora significa che la luce del sole e l’aria sono beni sovrabbondanti rispetto alle esigenze, non sono cioè scarsi, e quindi non sono beni economici.

Quando un bene è, invece, scarso rispetto ai desideri degli uomini, allora quello è un

“bene economico”.

Attenzione, quindi: se parlo di “beni economici” non alludo a beni acquistabili a poco prezzo, ma a qualsiasi bene che non sia disponibile per tutti in modo gratuito, cioè senza che qualcuno si sforzi per produrlo, sia che costi molto come una Ferrari sia che costi pochissimo come un chiodo.

Così, sono beni economici, ad esempio, un’auto, una casa, ma anche un ponte, una visita medica, una scatola di abbracci del Mulino Bianco, un trattore, un posto al concerto di Ligabue, un muletto, una telefonata al cellulare, un taglio di capelli, una vacanza a Milano Marittima ecc.

Poiché i beni economici (ma d’ora in poi, per comodità, li chiamerò semplicemente “beni”, dal momento che i beni non economici qui non ci interessano) la natura non li mette a disposizione (alzi la mano chi, avendo voglia di una mela, l’ha presa da un albero cresciuto spontaneamente), i beni devono essere prodotti, e sono le “aziende” a farlo

I beni possono essere sia fisici sia beni non materiali, cioè “servizi” (in quasi tutte le aree economicamente sviluppate oltre i tre quarti del valore prodotto dalle aziende assume la forma di servizi). La caratteristica che distingue i servizi dagli altri beni è il fatto che nei servizi il momento dell’utilizzo non può essere distinto dal momento della produzione (detto in altre parole: non si possono fare scorte di servizi). In entrambi i casi, comunque, si utilizzano input per ottenere output: lo fa l’impresa edile che trasforma il valore di mattoni, cemento e lavoro nel valore di una casa,lo fa il taxista che trasforma il valore della benzina, dell’usura dell’auto e del suo lavoro nel valore della corsa che porta il cliente da piazza Fontanesi alla stazione Mediopadana. Nel primo caso l’output prodotto è fisico e nel secondo caso no, è un servizio, ma ugualmente gli input (la gru, l’auto, i mattoni, il carburante, il lavoro ecc.) si sono trasformati in un output (la casa e il servizio di trasporto) di valore normalmente superiore (se il reddito aziendale è positivo).

0.3 I “beni comuni” e i “beni privati”. (forse l’argomento lo tratterete in Relazioni Internazionali;

io ne parlerò solo su richiesta e se rimarrà tempo)

(7)

0.4

L’utilità decrescente dei beni e il valore.

Un concetto semplice e perfino banale, ma centrale perlacomprensionedell’economia èquello della “utilità marginale decrescente dei beni”, cioè il fatto che la soddisfazione che otteniamo dalla prima mela (o dal primo iPad o dal primo scooter o dalla prima giornata a Mirabilandia o dal primo quello che ti pare)

è maggiore di quella che ci dà la seconda mela(o il secondo iPad o il secondo scooter o la seconda giornata a Mirabilandia o il secondo quello che ti pare); e ancor meno ne otteniamo dalla terza mela ecc. ecc.

Questo concetto ne introduce un altro, pure importantissimo:

non esiste il valore oggettivo (certo, giusto) di un bene.

Qualsiasi economista che non sia un ciarlatano (= buffone, fanfarone)sa che il concetto di valore “vero” di un bene o, come anche si dice, di “giusto” valore, è un non senso, un’idea tanto assurda quanto diffusa fra chi non ha studiato economia. E il valore “oggettivo”, certo, non esiste non solo perché per me un concerto con musiche di Mozart vale molto di più di un concerto di Luciano Ligabue mentre per te è il contrario (come dire che il valore dei beni è soggettivo), ma non esiste per almeno altri due motivi:

1. perché il valore che diamo a un bene è in funzione della maggiore o minore disponibilità che abbiamo dello stesso bene (è il concetto visto prima dell’utilità marginale decrescente);

2. perché il valore di un bene dipende anche dalla disponibilità di altri beni (se, ad esempio, venisse a mancare la benzina, il valore delle biciclette aumenterebbe mentre quello degli scooter diminuirebbe).

Per capire l’economia è fondamentale comprendere che il valore dei beni, cioè delle cose e dei servizi che desideriamo (da un astuccio alla zappa, da un caffè al bar a un volo a New York), non è oggettivo, non è cioè un dato certo che può essere misurato.

Tra le domande “qual è il valore di quel bene?” e “qual è il colore di quel camaleonte?” quella con più senso è di gran lunga la

seconda (= è molto più intelligente la seconda). Ad essa, infatti, pur non potendosi rispondere una volta per tutte poiché il colore del camaleonte cambia in funzione dell’ambiente in cui è inserito, è pur sempre almeno possibile rispondere univocamente caso per caso:“lì, tra le foglie verdi (rosse), quel camaleonte è ora oggettivamente di colore verde

(rosso)”.

Quanto invece al valore di un bene, esso non è determinabile oggettivamente nemmeno se riferito a un determinato contesto ambientale e temporale; ad esempio: non solo il valore che ha in questo istante una bottiglia da 33 cl d’acqua Ferrarelle sugli scaffali dell’Esselunga a Reggio è diverso da quello cheoralastessabottigliahaneldistributoreautomaticoascuola,ma nonsipuònemmenodirecheoggiquiascuolaquellabottigliavalga 0,35: 0,35èilsuoprezzo, ma il prezzo è una cosa, altra cosa è il valore.

(8)

0.5

Valore e prezzo

Il prezzo alla “macchinetta” di 35 cent ci dice solo che per il venditore (per l’azienda “Il Buon Ristoro” che distribuisce le bibite a scuola) il valore della bottiglia è inferiore a 0,35 € (altrimenti non la scambierebbe per 35 cent)

e che invece per te (per il compratore) sono i 35 cent che valgono meno della bottiglia (altrimenti non avresti chiesto di uscire dall’aula per scambiare 0,35 € con la bottiglia); e nello stesso istante in cui per te quella bottiglia d’acqua vale più di 0,35 €, per il tuo compagno di banco – che non ha sete o che non disdegna l’acqua del rubinetto – vale meno. A essere “oggettivo” è solo il prezzo (che, comunque, varia nel tempo e da luogo a luogo), mentre il valore è sempre soggettivo, variando anche da persona a persona

(oltre che da luogo a luogo e da momento a momento).

Al contrariodellatemperatura, del peso, della lunghezza ecc.di unbene (dati, questi, oggettivi, cioè che possono essere misurati con certezza), il valore non è una caratteristica intrinseca del bene. L’uomo ha impiegato migliaia di anni per arrivare a capirlo, tanto è vero che fino a poco più di due secoli fa molti economisti pensavano che esistesse il “giusto prezzo” delle cose (il “giusto” prezzo del pane, il “giusto” stipendio, l’equo compenso per il lavoro ecc.). Ancora oggi, in realtà, sono in tanti a credere che si possa determinare il valore di un bene, ma come ho già detto questo capita perché solo una piccola parte della popolazione studia (e, soprattutto, comprende) l’economia.

0.6

Beni di consumo e beni di produzione.

Pure importante è avere chiara la distinzione fra “beni di consumo” e “beni di produzione”

(quest’ultimi chiamati spesso “beni di investimento”). La differenza fra gli uni e gli altri non sta nella loro natura bensì nella loro destinazione, tant’è che sarebbe più chiaro chiamarli “beni per consumo”

e “beni per produzione”.

La distinzione, infatti, sta nello scopo per il quale si usa il bene: se il bene serve direttamente per soddisfare un bisogno è un bene di consumo, ma se lo stesso bene è utilizzato per produrne un altro, allora il primobeneèdi produzione (e quindi in realtà serve comunque per soddisfare un bisogno, ma in modo indiretto).

Uno stesso bene, quindi, può essere l’una e l’altra cosa: se l’Audi Q3 è usata unicamente dal bamboccione mantenuto dai genitori per spassarsela con gli amici, quell’auto è un bene di

consumo; se invece l’Audi è usata dal taxista per lavoro, allora è un bene di produzione; se vado al Sigma e compro della frutta per mangiarla, compro un bene di consumo; se la stessa cosa la fa il gelataio di Rivalta per fare il gelato alla pesca, allora le pesche da lui comprate al Sigma sono un bene di produzione.

Tipico bene di consumo Tipico bene di produzione

Faccio notare che, in base a questa definizione, il lavoro (ad esempio quello svolto dal magazziniere del Sigma di Rivalta) è un bene di produzione allo stesso modo di un camion, di un muletto o delle uova per la Barilla.

(9)

Come già detto, un bene (sia materiale, sia servizio) è qualcosa che soddisfa esigenze umane, direttamente (se bene di consumo, come il panino della paninara) o indirettamente (se bene di produzione, come la farina per il fornaio o i recipienti di plastica in cui la paninara tiene i panini).

Ora, per finire il ripasso di argomenti antichi, resta solo da recuperare il concetto di azienda di produzione (ché di quelle di erogazione non ci occupiamo), cioè l’organismo che produce i beni utilizzando lavoro e altri beni e che, come vedremo, ha l’obiettivo di ottenere una produzione di beni (un

output) complessivamente di valore maggiore del valore totale dei beni e del lavoro (cioè degli input)

consumati per produrre.

0.7

Le aziende.

La definizione di azienda che massimizza il rapporto efficacia / lunghezza credo sia:

“organismo che utilizza beni e lavoro per produrre qualcosa che soddisfa esigenze umane”

Se ci pensate un po’, in tale definizione è possibile far rientrare soggetti come la Ryanair ma anche la vostra famiglia, la Vodafone, il comune di Reggio Emilia, o ancora la Casa di Carità di S. Girolamo e lo stato italiano.

Evidentemente, saranno diverse le esigenze che le varie aziende tendono a soddisfare [ad esempio e nell’ordine delle aziende citate appena sopra: esigenze di trasporto (la Raynair), di mangiare un pasto al rientro da scuola (la tua famiglia), di comunicare rapidamente con una persona distante (la Vodafone), di camminare per strade non ingombre di rifiuti (il comune di Reggio), di dare sollievo ai più sfortunati (la casa di Carità) e, infine, di essere protetti dai delinquenti (lo stato italiano)], così come diverse saranno la qualità e la quantità dei beni e del lavoro utilizzati per produrre, ma è indubbio che tutti i soggetti descritti sono, sulla base della definizione data,

“aziende”. Un’utile distinzione può poi essere fatta, all’interno del vastissimo universo delle aziende, fra le aziende di “erogazione” e quelle di “produzione”:

le aziende di erogazione hanno come scopo la soddisfazione di esigenze umane;

le aziende di produzione hanno come scopo il profitto e, per perseguirlo(= per cercare di

ottenerlo), soddisfano esigenze umane

In altre parole, tutte le aziende producono beni e soddisfano bisogni, ma per le aziende di produzionelasoddisfazionedelleesigenzealtruièsolounmezzo(= lo strumento) enonilfine(= lo scopo).

(10)

Ecco quindi, ad esempio, che l’organismo famiglia Rossi è certamente un’azienda di erogazione, in quanto le produzioni di beni e servizi

che in essa si attuano (colazione mattutina, spaghetti aglio-olio- peperoncinopercena,lavaggiobiancheria,cambiopannoliniecc.) hanno l’unico fine di soddisfare delle esigenze umane. E così anche la Casa di Carità di S. Girolamo, il comune di Reggio Emilia e lo stato italiano (chiedendo scusa alla Casa di Carità per l’accostamento indegno coi due enti pubblici impositori) sonoaziendedierogazione poiché producono beni e servizi senza avere come scopo il profitto.

Al contrario, la Ryanair e la Vodafone – ma anche il fornaio, la birreria, la discoteca o il caldarrostaio ambulante – sono aziende di produzione, in quanto si danno da fare per soddisfare i desideri altrui allo scopo di arricchirsi, cioè ottenere un profitto (guadagno).

Da quanto detto qui e nel paragrafo precedente si deduce che, mentre le aziende di produzione utilizzano solo beni di produzione, quelle di erogazione usano sia beni di produzione (la lavatrice, le pentole, il gas ecc.) che di consumo (il televisore, le mutande, la Nutella ecc.).

Alcuni soggetti possono vestire, in momenti diversi, ora l’abito di azienda di produzione ora quello di azienda di erogazione. Ciò è evidente nel caso del signor Mauro, l’idraulico che ieri pomeriggio, agendo come azienda di produzione, ha prodotto il servizio di riparazione di un rubinetto a casa mia e che alla sera, agendo come azienda di erogazione, ha prodotto il servizio di ninna nanna a suo figlio di dieci mesi. Si può quindi dire che:

quando si agisce (si consuma o si produce) con lo scopo ultimo di soddisfare i bisogni (propri o altrui) allora si riveste l’abito dell’azienda di erogazione. Come voi che mangiate la merenda, io che taglio l’erba a casa mia, la nonna che prepara la torta di mele per la nipote, la nipote che mangia la torta di mele (e che si scorda di ringraziare la nonna), il missionario che insegna a leggere ai bambini kenioti, l’Associazione Ricerca sul Cancro che ricerca nuovi sistemi di cura della malattia ecc.;

quando l’azione è sì volta (= indirizzata, finalizzata)a soddisfare i bisogni, ma ha per scopo finale l’arricchimento, allora chi agisce riveste l’abito dell’azienda di produzione. Come il merendero che porta a scuola i panini, io che – a pagamento – taglio l’erba a casa vostra, il fornaio che prepara la torta di mele per il cliente, l’Oxford Institute che insegna l’inglese ai bambini italiani, la Barilla S.p.A. che studia nuove merendine da lanciare sul mercato ecc.).

Non dovete pensare però che tale distinzione sia sempre netta e precisa. Non sono poche, infatti, le aziende e le attività che presentano caratteristiche ambigue, per le quali la collocazione in una piuttosto che nell’altra categoria è alquanto dubbia.

(11)

1. Il più importante dei fattori produttivi: il lavoro

1.1) Produzione, lavoro, capitale e risorse naturali: una visione storica.

Al concetto di “lavoro” io, qui, do il significato di attività umana, intellettuale o fisica, volta a fini produttivi. Alla base di qualsiasi attività produttiva vi sono, necessariamente:

- dei beni (il capitale, il cui valore siamo abituati a leggere a sinistra – “attivo” o “impieghi” – della situazione patrimoniale di qualsiasi azienda) e questo “capitale” lo dovete correttamente intendere come l’insieme di beni prodotti e utili alla futura produzione (i macchinari, i trattori, le strade, i canali di irrigazione, gli edifici, gli aratri, le zappe, le navi, gli impianti minerari, le fornaci, le scorte di sementi, le vigne, le stalle, le greggi, i computer, i software, le antenne telefoniche, gli aerei, i satelliti spaziali, le dighe, i rinforzi artificiali degli argini dei fiumi, i tralicci dell’alta tensione, le centrali elettriche, gli ombrelloni e i pedalò in spiaggia, i sentieri tracciati in montagna, l’acceleratore di particelle del CERN a Ginevra ecc.);

- del lavoro, nel significato espresso poche righe sopra.

Questi beni e questo lavoro vengono organizzati e coordinati nell’attività produttiva aziendale, e che si tratti di azienda di produzione o di azienda di erogazione (e anche qui, se ti sfugge la differenza, vai a gli appunti vecchi di almeno tre anni) cambia ben poco.

E’ certo, però, che un contributo necessario all’attività produttiva lo danno anche le risorse naturali (senza la luce del sole, l’aria dell’atmosfera ecc. non ci sarebbe nemmeno la vita sul pianeta, e da qui la certezza della loro indispensabilità anche ai fini della produzione), ma altrettanto certo è che il valore relativo delle risorse naturali (cioè il loro valore in rapporto a quello degli altri due fattori produttivi lavoro e capitale) è andato, nella storia del genere umano, sempre più declinando fino a divenire, oggi, quasi trascurabile [tanto è vero che, spesso, gli abitanti dei paesi più ricchi di risorse naturali (diverse dalla luce del sole o dall’aria, che sono le più importanti e uniformemente distribuite), paesi come tanti dell’Africa e del Sud America o la Russia ecc. sono molto più poveri (hanno a disposizione molti meno beni e quindi hanno una qualità materiale di vita inferiore) degli abitanti di paesi quasi sprovvisti di risorse naturali (come la Svizzera, il Giappone o la stessa Italia)].

Nell’epoca preistorica, quando l’uomo era nomade e non ancora agricoltore, il valore dei (pochissimi) beni che utilizzava per vivere proveniva infatti quasi interamente dalla natura [le bacche che raccoglieva nei boschi, il servizio di “abitazione” che otteneva dalle caverne, qualche uovo rubato dai nidi, la carne di qualche topo o lucertola che riusciva a catturare e poco altro].

Poi, a partire dal neolitico e cioè circa 10.000 anni fa, con la “Rivoluzione agricola” in alcuni millenni il contributo offerto dalla Natura al valore dei beni disponibili e utili alla vita dell’uomo si è ridotto gradualmente (attenzione: si è ridotto non in termini assoluti ma solo in termini relativi, cioè in rapporto all’importanza degli altri due fattori, il lavoro e il capitale): è certo che il valore dei beni disponibili è aumentato enormemente (tanto che la popolazione umana in quei pochi millenni si è moltiplicata di un fattore 10, dai pochi milioni dell’epoca pre-agricola alle decine di milioni presenti all’inizio dell’era storica, cioè, circa, 5.000 anni fa; si stima, poi, che all’inizio del XVIII secolo, cioè dopo pochi altri millenni, gli abitanti dell’intero pianeta fossero circa 500 milioni) e che il modo di vivere è, in quelle migliaia d’anni, molto cambiato, ed è altrettanto certo che il merito maggiore della produzione dei beni che l’uomo riusciva a ottenere dopo l’avvento dell’agricoltura non spettava più alle risorse naturali ma era passato al lavoro (da contadino) e al capitale (l’aratroeglialtripurrozzierudimentalibenistrumentali, i primicanaliirrigui, leprimestradeecc.).

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Lerisorsenaturali,però,finoacircatresecolifa (cioèfinoall’iniziodellaRivoluzioneIndustriale,“la più rivoluzionaria delle rivoluzioni”, nelleparolediCarloM.Cipolla)contribuivanoancorain modosignificativo, anchesenonpiù prevalente,allaproduzione.

Negli ultimi due o tre secoli, infine, il modo in cui l’uomo vive sulla Terra si è enormemente trasformato, molto di più di quanto abbia fatto nelle decine di migliaia d’anni dell’intera epoca preistorica come pure nelle migliaia di anni che separano il mondo del mio trisnonno Prospero

(nato appena all’inizio dell’800 e morto “solo” 150 anni fa) da quello dei primi faraoni egizi o dei primi re o imperatori (etruschi, persiani o delle Tonghe che fossero).

Se Giulio Cesare o Alessandro Magno o perfino Mosè fossero stati catapultati nel tempo fino a essere ospiti di mio trisnonno Prospero nella sua casa in via Emilia S. Pietro 7, in quella casa e in quella Reggio di due secoli fa si sarebbero ambientati in poco tempo, e ciò in quanto sarebbero stati in grado di capire rapidamente quel mondo di inizio Ottocento: certo, il calesse di Prospero e le poche carrozze che circolavano erano un po’ diverse da quelle dei loro tempi, ma il modo di viaggiare era comunque identico (se ci si muoveva sul terreno si doveva ancora farlo solo o a piedi o col cavallo, e se si andava per mare le navi erano solo un po’ più grandi di duemila anni prima, ma erano ancora in legno e a spingerle era pur sempre o il vento o la forza delle braccia dei rematori), come assai simile era il sistema per far luce di notte (con candele e lanterne, e l’unica cosa diversa era che nelle lanterne mio trisnonno bruciava più spesso olio minerale e più di rado quello vegetale; le candele, invece, erano ancora le stesse), e come assai simili erano le attività lavorative [ la gran parte delle persone lavorava ancora la terra e lo faceva, più o meno, nello stesso modo in cui la si lavorava duemila anni prima (con tecniche agrarie abbastanza simili e la sola energia delle braccia e degli animali da tiro), mentre la parte della popolazione che non faceva il contadino era una minoranza: qualcuno era artigiano (il fabbro, il sarto, il maniscalco, il produttore di candele ecc.), qualcuno commerciante, qualcuno oste, c’era poi il barbiere-cavadenti, il muratore, il cuoco, l’attore, il musicista, lo spazzacamino, il contabile ecc.]e,contadinoono,seun qualsiasi lavoratore dell’antichità si fosse trovato nell’epoca di mio trisnonno sarebbe riuscito a guadagnarsi da vivere facendo ancora il suo solito mestiere, ne sarebbe stato capace perché quell’attività era cambiata assai poco e così le sue conoscenze sarebbero risultate adeguate.

Poi, nel giro di pochissime generazioni (sono solo quattro quelle che separano me dal mio trisnonno), il modo di vivere è cambiato assai più di quanto abbia fatto prima in migliaia d’anni; il buon Prospero, tornasse a vivere, del mondo di oggi capirebbe invece nulla e non saprebbe minimamente cavarsela,nonostantelecapacitàprofessionali che tutti, nella sua epoca, gli riconoscevano; tanto di ciò che per noi è normale e ovvio lo sbigottirebbe: i treni, le automobili, i trattori, gli aerei, la luce elettrica, i frigoriferi, i telefoni, i televisori, i cinema, i computer, le biro, le vaccinazioni, i social-network, le previsioni del tempo, i supermercati ecc. sono tutte cose che non era statoin gradonemmenodiimmaginare,elasuameravigliasarebbebenpocominorediquellacheavrebbe Giulio Cesare alla vista del nostro mondo. Cesare e Prospero, nonostante i quasi due millenni che li separano, hanno vissuto in mondi molto più simili fra loro di quanto non lo siano il nostro e quello di due secoli fa.

La causa della differenza fra il mondo di oggi e quello del passato sta principalmente nell’enormemente accresciuta capacità di produrre beni e di inventarne di nuovi e capaci di soddisfare sempre nuove esigenze, non di rado prima del tutto inavvertite in quanto nemmeno immaginate.

A sua volta questo incredibile aumento della capacità produttiva è il frutto di una straordinaria accumulazione di conoscenze e di capitale, e la maggiore enfasi deve essere data al progressivo incremento di conoscenze, cioè di capitale umano.

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Per farsi un’idea di quanta conoscenza in più noi oggi abbiamoadisposizione rispettoall’uomo del passato,basta riflettere sulfatto che mentre finoa pochisecoli fa era possibile, per le menti migliori (come quella di un Leonardo da Vinci o Pico della Mirandola), conoscere praticamente tutto ciò che l’uomo aveva scoperto e capito fino ad allora, oggi, invece, il più geniale e colto dei viventi è in possesso solo di una frazione piccolissima della conoscenza complessiva, tant’è che il ricorso alla “specializzazione” è sempre più indispensabile. Archimede dominava tutta la matematica, l’astronomia, la fisica, la botanica, la medicina ecc. del suo tempo; Newton, duemila anni dopo, ai primi del ‘700, sicuramente conosceva tutta la Fisica e forse sapeva tutto della chimica allora conosciuta, ma certamente non molto sapeva di botanica, medicina ecc.; un bravo medico di fine ‘800 poteva ancora possedere tutte le nozioni professionali allora conoscibili, ma per giungere a questo livello di preparazione nel suo campo certamente doveva rassegnarsi ad avere notevoli lacune in astronomia, in matematica, in chimica, in fisica e in qualsiasi altra disciplina diversa dalla scienza medica; quasi sicuramente Einstein conosceva tutta la Fisica teorica d’inizio ‘900, ma già non era al corrente di tutti gli allora più recenti sviluppi della Fisica sperimentale e non era certo ferrato in chimica e in quasi tutti gli altri campi della conoscenza (di economia, ad esempio, sapeva quasi nulla e capiva ancor meno); oggi un premio Nobel di qualsiasi disciplina è ferratissimo solo su un qualche particolare aspetto della sua scienza, ma di molti altri conosce solo le linee generali e alcuni li ignora totalmente.

L’enorme conoscenza oggi a disposizione (enorme rispetto al passato, ché rispetto a quella che ancora è da scoprire è sempre men che minuscola) è, quindi, ora estremamente frammentata fra tantissimi soggetti, distribuita fra una miriade di persone tutte singolarmente sprovviste delle informazioni e del sapere minimo necessario anche per la più banale delle produzioni. Da qui la necessità di rendere sempre più semplice, libera e rapida la circolazione delle informazioni, perché più è estesa la rete di collegamenti e meglio è: più efficiente sarà l’intero sistema produttivo anche perché, avendo le informazioni valore, più soggetti ne sono in possesso e più la ricchezza complessiva aumenta e si diffonde.

I due ingredienti della crescita economica, e cioè l’accumulazione di sempre maggior capitale e l’accumulazione di sempre maggior conoscenza, sono fra loro strettamente legati, e lo si può verificare con un semplice esempio: la produzione di legna da ardere per soddisfare il bisogno di riscaldamento.

Un lavoratore sprovvisto totalmente di capitale non può far altro che raccogliere rami caduti o tuttalpiù spezzare con le mani quelli più bassi degli alberi: in una mattina di lavoro difficilmente potrebbe raccogliere e portare a destinazione più di qualche decina di chili di legna, oltretutto di cattiva qualità (troppo marcia quella raccolta, troppo piccola quella dei rami spezzati), e così sarà probabilmenteingradodiscaldarelasuacasasolounpaiodigiornateeacostodiriempirladifumo.

Un lavoratore che abbia a disposizione un po’ di capitale, come una accetta ben affilata e un po’

di corda, nella stessa mattinata può abbattere un albero, tagliarlo a pezzi e con la corda trascinare fino a casa qualche quintale di legna di qualità migliore con la quale scaldarsi per una decina di giorni e senza affumicarsi.

Un lavoratore con una sega a nastro e un autocarro dotato di raccoglitore a ragno o con benna a polipo, in mezza giornata riesce a farsi una scorta di qualche decina di quintali sufficiente per tutto l’inverno.

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Un lavoratore che abbia a disposizione un drone che fotografa dall’alto il bosco e che grazie a un sofisticato software individui gli alberi più vecchi o comunque più adatti all’abbattimento e comunichi, tramite segnali radio gestiti da una rete di satelliti geo-stazionari, la loro posizione a degli autocarri con guida automatica e dotati di attrezzatura per il taglio e il carico, in quella mattinata di lavoro è in grado di produrre decine di tonnellate di ottima legna, sufficienti per riscaldare tutto un villaggio per alcuni inverni.

Per raccogliere i rami da terra o per spezzarli dai tronchi con le mani non ci vuole una gran scienza: lo sapeva già fare, nell’Etiopia di tre milioni d’anni fa, la mitica Lucy, peccato però che né lei né i suoi colleghi australopitechi avessero accumulato la conoscenza necessaria per accendere il fuoco.

Già usare un’accetta e una corda non è da tutti, ma basta un po’ d’esercizio e impara perfino Pasquale. Più difficile, invece, è produrre l’accetta e la corda: per farlo occorre un “sapere” non banale, tanto è vero che per ottenere questi strumenti, questo capitale, i discendenti di Lucy hanno impiegato quasi tre milioni di anni, essendo arrivati ad accumulare le necessarie conoscenze (il necessario capitale umano) soltanto nel neolitico, circa 10.000 anni fa (ma l’accetta era, a quel tempo, fatta con una pietra tagliente legata a un bastone da una scorza vegetale o da una liana). Ci vollero, poi, altre migliaia d’anni per imparare a produrre attrezzi simili ma più efficienti, quali le accette in ferro, le corde di canapa e i carri trainabili dai buoi, che ancora usavano i boscaioli ai tempi di mio trisnonno Prospero.

Usare una sega a nastro con motore a scoppio e guidare un automezzo è ancor più difficile di usare accette, corde e carri coi buoi; il lavoratore che usa l’odierno capitale, pertanto, deve essere più istruito e così maggiore sarà il periodo di tempo necessario per renderlo produttivo.

Ma ben più rilevante è l’incremento di conoscenze necessarie per produrre l’autocarro e la sega a nastro rispetto a quelle che erano sufficienti per ottenere il carro e l’accetta, eppure queste conoscenze aggiuntive l’uomo è riuscito ad accumularle in due o tre secoli, un tempo minimo se rapportato ai millenni che sono stati necessari per arrivare all’accetta.

L’epoca attuale credo stia sperimentando un’ulteriore accelerazione della velocità di accumulazione della conoscenza e, seppure forse in misura minore, del capitale (particolarmente in Asia e Africa), tanto è vero che, tra non molti anni e come descritto poco sopra, per produrre legno sufficiente per tutti basterà il lavoro di pochi (ex) boscaioli che, grazie a un capitale assai elevato e sotto forma di un sistema complessissimo di attrezzature automatiche e sempre più autonome anche nelle decisioni [frutto,questo, dell’avanzamento della A.I.(italicamenteI.A., Intelligenza Artificiale)], si limiteranno a controllare l’intero processo produttivo, magari standosene a casa propria e mentre allattano il figlio.

Che sia l’accumulo di capitale oppure l’accumulo di conoscenza, si tratta comunque di risorse

“risparmiate”, ossia (= cioè) non consumate immediatamente perché “investite” in valore che sarà utile anche in futuro: scavareuncanalediirrigazioneimponel’usodirisorse (il lavoro degli operai, i carri per trasportare la terra ecc.) che potrebbero essere impiegate in altro modo così da soddisfare immediatamente dei bisogni (invece di scavare, quelle persone potevano ballare e cantare sui carri come a Carnevale producendo una momentanea e sana allegria lungo le vie della città): l’avere “sacrificato”, accantonato, quel valore

(il tempo degli operai e i carri) per la produzione del canaleha sì ridotto la soddisfazione dei bisognidi oggi (una sfilata di carri carnevaleschi immette allegria) ma permetterà di soddisfare più bisogni in futuro (grazie all’aumento della produzione di grano, fragole e zucchine).

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E così, anche le energie dedicate allo studio (se produttivo di conoscenza utile, ché se ti impegni nello studio dell’oroscopo o dei più recenti sviluppi della canzone neo-melodica napoletana è meglio che vada a ballare, che almeno ci guadagni in salute fisica e mentale) sono un investimento possibile solo attraverso il risparmio, il non consumo della risorsa tempo (l’unica realmente scarsa) impiegata in attività divertenti.

Da qui una duplice e inattaccabile verità, riconosciuta da tutti gli economisti, siano essi

“liberisti” (neo o non neo), “marxisti” (neo o non neo), “keynesiani” (neo o non neo) o quel che vi pare (e qualunque significato si voglia dare a queste definizioni) e ripudiata, almeno nell’ultimo mezzo secolo, da tutti i politici italiani:

- il risparmio (nel significato di mancato consumo immediato della produzione) è necessario per garantire l’incremento dei consumi futuri e quindi la sua carenza (la sua insufficienza) provocherà, presto o tardi, certamente una loro riduzione (o, nella migliore delle ipotesi, un loro minor aumento);

- lo stimolare i consumi di una collettività finanziandoli in deficit (cioè attraverso la distribuzione di risorse ottenute indebitandosi, e quindi non frutto di una propria precedente produzione ma di una produzione precedente altrui) è, salvo rari casi particolari (ma che Keynes fece credere abituali, ingannando così da par suo, cioè genialmente, buona parte dei successivi economisti keynesiani), solo un buon sistema per garantire minore ricchezza o perfino maggiore povertà in futuro a quella collettività.

Ho già scritto che il tempo è l’unica vera risorsa scarsa, ora ritengo opportuno chiarire questo concetto.

Che il tempo sia una risorsa, è innegabile: nulla può essere prodotto all’istante, qualsiasi produzione richiede, poco o tanto, tempo.

Che sia una risorsa scarsa è altrettanto certo, e così rimarrà – scarsa – in eterno, salvo l’improbabile scoperta della pietra filosofale.

Che, poi, sia l’unica risorsa scarsa lo si deduce partendo da quanto scritto nelle pagine precedenti (sul declino dell’importanza relativa delle risorse naturali) e riflettendo sul fatto che anche quelle cosiddette “naturali” (ediversedallalucedelsole,dall’ariaedall’acqua del mare) sono risorse create, inventate dall’uomo: il petrolio, ad esempio, c’è sempre stato, ma per millenni l’uomo ha considerato quei pochi terreni in cui affiorava naturalmente come privi di valore perché sterili, non coltivabili. Il valore, il petrolio, l’ha ottenuto dall’intelligenza umana che, col tempo, ne ha compreso l’utilità e ha anche capito come estrarlo dai giacimenti più profondi. La stessa cosa vale per il rame, il ferro, la grafite e gli altri minerali da sempre presenti in natura, per migliaia di anni utili a nulla e solo negli ultimi tempi intensamente impiegati in tante produzioni industriali “inventate” dall’intelligenza umana. Ecco perché si può dire che la risorsa che ha fornito anche quasi tutte le risorse naturali, la risorsa originaria, la risorsa delle risorse, è sempre e solo l’intelligenza umana, generatrice di conoscenza.

E poiché non ci sono evidenti limiti all’intelligenza e quindi alla conoscenza, ne consegue che l’unica risorsa limitata nel tempo è proprio il tempo degli umani. Le altre cosiddette risorse derivano tutte dal valore del lavoro, in particolare di tipo intellettuale (da non confondere, mi raccomando, con il lavoro dei così detti intellettuali)

Nella prossima pagina vi propongo uno schema di suddivisione dei fattori produttivi in cui la maggiore attenzione l’ho data al fattore lavoro: dopo che avrete studiato il prossimo capitolo

(pagine da X a Y) dovreste essere in grado di comprenderne totalmente i termini.

(16)

A proposito di lavoro e capitale, ricordatevi che si dicono “labour intensive” o, al contrario,

“capital intensive”leaziende,leattivitàeisettoriproduttivicheimpieganoinmodonettamente prevalente il fattore lavoro rispetto al fattore capitale (nel primo caso) o viceversa (nel secondo).

Dipendenti (o subordinati)

Artigiani

Commercianti

Autonomi

(o indipendenti)

Iscritti in "albi" pubblici (medici, avvocati, ingegneri e varie altre categorie "protette")

Non iscritti in "albi"

[informatici, consulenti azien - dali (mktg, fisco, organizzazione) artisti, sportivi prof. ecc.]

erogazione (As s ociazioni, Onlus ecc.)

Beni di produzione a rapido uso (Capitale circolante)

P ro d u zi o n e

Gratuito A pagamento (in az. sia di prod.,

sia di erogazione)

(in famiglia e altre az. di

Capitale Lavoro

Beni di produz. a lento consumo (Immobilizzazioni)

Imprenditori

Professionisti Operai

Impiegati Quadri Dirigenti

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1.2) In quali forme viene offerto il lavoro.

Il lavoro proviene (l’economista dice è “offerto”)

dalle persone: un futuribile (non poi tanto, in realtà)robotche svolgesse impeccabilmente le mansioni di cameriere al ristorante rientrerebbe, come fattore produttivo, nel capitale e non certo nel lavoro, così come pure il contributo alla produzione agricola offerto nel passato dal bue che tirava l’aratroproveniva dal capitale e non dal lavoro (capitale era sia l’aratro sia il bue).

In quasi tutto il mondo (a eccezione della Mauritania e poche altre zone) la schiavitù è ormai solo un ricordo del passato (remoto, in Europa, o prossimo, negli USA ma non solo), perciò il valore dei lavoratori non lo si trova più, come capitale, nel “Dare” (a sinistra) dello stato patrimoniale dell’azienda in cui prestano la loro attività.

Come richiamo di ragioneria, prova ora a capire queste righe a carattere ridotto e riquadrate:

il valore professionale di un dipendente può oggi influire sullo stato patrimoniale del datore di lavoro solo se il lavoratore (magari per un malriposto timore di licenziamento o per eccessiva arrendevolezza) si accontenta di uno stipendio inferiore di quello che il datore sarebbe disposto a pagargli: in questo caso sarebbe logico considerare il valore capitalizzato della differenza fra stipendio potenziale e stipendio effettivo come un elemento attivo patrimoniale (da far magari confluire nella voce “avviamento”) che, come contropartita, costituirebbe un incremento del netto (e che, per il principio di prudenza, formerebbe una riserva occulta e non sarebbe evidenziata nel bilancio civilistico reso pubblico).

Le persone, poi, possono offrire il lavoro alle aziende (e qui parlo di aziende in senso lato, cioè comprendendo sia quelle di produzione sia quelle di erogazione) o gratuitamente (il volontario della Croce Rossa) o, come avviene più spesso, in cambio di un compenso (l’impiegato del Credem o della stessa Croce Rossa).

Quando illavorononè svolto gratuitamente,l’accordo (cheavendocontenutoeconomicoèancheuncontratto)

tra il lavoratore e il soggetto che lo paga per utilizzare il suo servizio è normalmente regolato:

- o da un “contratto di lavoro dipendente(art. 2094 c.c. “E’ prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”): è un contratto di questo tipo quello, ad esempio, tra il sig. Guido Guidotti che guida l’autobus che ti porta a Rivalta e l’azienda di trasporto SETA S.p.A.;

- oppure da un “contratto d’opera(art. 2222 c.c. “Con il contratto d’opera una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente”): è un contratto di questo tipo quello, ad esempio, stipulato tra la ditta (artigiana) GreenGardenGigaTrees di Pino Quercioni & C. s.n.c. e me (che rivesto così il ruolo di “committente”) per la rimondadelsecco(=l’asportazione,l’eliminazionedeiramisecchioammalorati)della magnolia secolare che ho in giardino.

Dilavoro,soprattuttodipendente,parleremodiffusamenteinquarta;oratorniamoallacontabilità.

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