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Quali emergenti emergono di più

Nel documento Giugno 2013N. 4 (pagine 56-64)

2. L’industria mondiale è diventata multipolare

2.4 Quali emergenti emergono di più

Ma che cosa succede all’interno dei due grandi gruppi di paesi fin qui osservati in termini di capacità di appropriarsi di una quota crescente della domanda globale? La questione assume un rilievo particolare per i 29 emergenti, poiché è tra questi che si realizza negli ultimi anni lo sviluppo in-dustriale, mentre negli altri non avviene o per lo meno non nella stessa misura. Prima di tutto, è il caso di mostrare l’evo-luzione del peso relativo sulle esporta-zioni (le quote di mercato) delle principali aree in cui possono essere ripartiti i 29 e del G10, con riferimento a un mercato-mondo che in questo caso coincide con la

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Tabella 2.3

Quote di mercato: giù il G10, su gli emergenti

(Composizione % delle esportazioni manifatturiere)

Quota % export dell'area sul totale export delle aree considerate (Dollari correnti)

Media Media Media Media

1980- 1994- 2006-

2009-1982 1996 2008 2011

G10 86,7 78,9 61,2 56,7

Sud Est asiatico 3,0 10,6 20,0 22,5

Europa dell'Est 4,7 3,3 7,3 7,5

America latina 3,3 4,1 4,9 5,2

Africa e Medio-Oriente 1,5 2,0 4,6 5,3

Asia occidentale 0,7 1,2 2,1 2,8

Dati ordinati in base alla media 2006-2008.

Per la composizione delle aree si veda nota 18 a pag. 57. Fonte: elaborazioni CSC su dati UNTrade.

le esportazioni di ciascuna area includono sia quelle verso l’esterno sia quelle verso l’interno, per fornire una misura del peso complessivo delle economie appartenenti a ciascuna area sul totale degli scambi.

Se ne ricava un quadro coerente con i dati già illustrati con riferimento ai livelli della pro-duzione; ma anche indicazioni più specifiche, giacché i flussi commerciali misurano anche la capacità di competere sui mercati internazionali.

La prima indicazione è che le esportazioni del mondo avanzato nel 1980 corrispondevano quasi al 90% delle esportazioni totali e attualmente coprono poco più della metà (la perdita è di trenta punti percentuali tondi), a fronte di un aumento delle quote di esportazione di tutte le aree in cui sono suddivisi i 29. La misura di questa contrazione, assai più consi-stente di quella osservata nel caso della produzione per l’aggregato che comprende UE-15, Stati Uniti e Giappone (Tabella 2.1), è coerente col quadro disegnato nelle pagine prece-denti: la crescita delle quote di mercato delle economie emergenti dipende dalla loro ca-pacità di intercettare la domanda estera sia sui mercati dell’area avanzata (tanto che l’aumento strutturale del loro grado di apertura complessivo è costituito prevalentemente dalla crescita delle esportazioni) sia sui mercati di altri emergenti.

La seconda indicazione è che la crescita del peso commerciale delle diverse aree dei 29 è for-temente differenziata: è massima nel caso del Sud Est asiatico ed è minima nel caso dell’Asia occidentale. Dunque, il riequilibrio commerciale rispetto agli avanzati si realizza attraverso un processo di diffusione pressoché a tutti i 29 della “capacità di esportare” beni manufatti, ma in presenza di una enorme varianza.

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La proliferazione degli accordi regionali e bilaterali

Gli accordi regionali (Regional Trade Agreements – RTA) hanno caratterizzato in maniera preminente l’architettura del sistema del commercio multilaterale negli ultimi decenni. In base a quanto riportato dal WTO1, al gennaio 2013 esistevano 546 RTA notificati (quelli per cui è stato ufficialmente avviato il processo negoziale ma non ancora concluso), di cui 354 risultavano in vigore.

Le politiche commerciali tra nuovo regionalismo e bilateralismo

1 WTO, RTA Database.

18La composizione delle aree è la seguente. Asia sud-orientale: Cina, Filippine, Indonesia, Malesia, Tailandia, Viet-nam. Asia occidentale: Bangladesh, India, Pakistan. Europa dell’Est: Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Slovacchia, Ucraina e Ungheria. America latina: Argentina, Brasile, Colombia, Messico, Perù, Venezuela. Africa e Medio-Oriente: Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Iran, Marocco, Sud Africa, Turchia.

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La proliferazione di accordi commerciali regionali su scala mondiale registrata fin dai primi anni Novanta ha posto in luce la questione dei suoi possibili effetti sul commercio multila-terale e sulla globalizzazione dei mercati. Il fenomeno, definito come “nuovo regionalismo”, implica una maggiore cooperazione e integrazione all’interno di una determinata area o tra diverse aree economiche. Al riguardo, si distingue abitualmente tra l’integrazione indotta dall’adozione di politiche specifiche, che scaturisce da accordi di cooperazione formali, e l’in-tegrazione spontanea di taluni mercati, determinata da dinamiche di crescita regionali e dal-l’emergere di reti di produzione trans-nazionali e dei flussi di investimento a esse relativi. L’importanza della questione deriva dalla misura in cui gli accordi regionali riflettono la rilevanza crescente di realtà locali rispetto ai processi di globalizzazione, frapponendosi alle politiche commerciali che, attraverso il GATT prima e la creazione del WTO poi, si erano certamente schierate a sostegno del multilateralismo. In questo quadro, le inquie-tudini di volta in volta sollevate sulla tendenza in atto sono legate all’eventuale irrever-sibilità del processo di frammentazione degli scambi commerciali, e al fatto che all’emergere di un nuovo regionalismo si siano affiancate, soprattutto nel periodo più recente, spinte protezionistiche.

Alcuni degli effetti di ambedue i fenomeni sono in parte simili e, in alcuni casi, amplifi-cati dalla loro sovrapposizione: gli accordi regionali e bilaterali tendono a produrre la con-centrazione degli scambi all’interno di una determinata area, contrapponendosi alla loro diffusione su scala globale, così come le misure difensive deliberatamente contrastano l’accesso a un determinato mercato. Talvolta, inoltre, l’intensificarsi della cooperazione economica a livello regionale è la risposta che le economie più deboli e dunque più vul-nerabili tendono a dare per attenuare l’impatto della globalizzazione sui loro mercati.

Le ragioni della proliferazione degli accordi regionali e bilaterali e le caratteristi-che degli accordi di “nuova generazione”

Varie sono le ragioni che possono spiegare il massiccio incremento degli accordi di li-bero scambio siglati su base bilaterale o regionale. Tra queste, la frammentazione degli Stati dell’Europa centro-orientale e dell’ex Unione Sovietica, per cui i rapporti commer-ciali tra Stati che prima avvenivano in un sistema di libero scambio di fatto sono stati so-stituiti da decine di accordi formali tra le varie economie in transizione. Un’altra importante causa è legata alla propensione dei principali paesi avanzati a ricercare ac-cordi con le economie in via di sviluppo parallelamente al proseguimento dei negoziati ScenarInd cap2 6 2013:Layout 1 30/05/13 14:49 Pagina 58

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e lo stallo ormai prolungato del Doha Round hanno indubbiamente spostato l’attenzione verso gli accordi bilaterali e regionali, divenuti il principale strumento di politica com-merciale in grado di garantire comunque un certo grado di liberalizzazione degli scambi con i mercati ritenuti strategici. In particolare il consolidarsi dello sviluppo industriale in paesi emergenti ha di fatto trovato nello strumento dell’accordo bilaterale o regionale l’u-nica sponda in grado di affiancare il processo di industrializzazione.

Le caratteristiche distintive degli accordi di libero scambio realizzati nella fase più re-cente riguardano sia il campo di applicazione dei trattati che la collocazione geografica delle aree e dei paesi coinvolti. La nuova generazione di accordi ha puntato a realizzare un livello maggiore di integrazione tra i partner, con la finalità di estendersi oltre la ri-duzione delle barriere al commercio. Sebbene anche in passato gli accordi avessero l’o-biettivo di rafforzare la cooperazione in altri campi rispetto all’accesso al mercato, includendo intese negli ambiti monetario e finanziario e, in taluni casi, la realizzazione di progetti comuni nei settori dell’energia o della politica industriale, ciò che appare ef-fettivamente nuovo negli accordi di ultima generazione è che in molti di essi la riduzione delle barriere daziarie al commercio è vincolata alla liberalizzazione in altri ambiti, quali quello degli ostacoli non tariffari, degli investimenti esteri, degli appalti pubblici e del commercio di servizi.

Ulteriore caratteristica degli accordi siglati negli ultimi anni è il coinvolgimento di paesi molto spesso non appartenenti alla stessa regione geografica nè ad aree attigue. Inoltre, la maggior parte di tali accordi è stata conclusa tra paesi con livelli di sviluppo e di ric-chezza pro-capite molto diversi tra loro. Va tuttavia rilevato come il fattore della vici-nanza o contiguità geografica giochi un ruolo spesso determinante per il grado di integrazione delle aree. Le intese regionali che interessano paesi appartenenti alla stessa area geografica sono per loro natura più propense a raggiungere un livello di interrela-zione più complesso e approfondito rispetto agli accordi tra aree discontinue, potendo far leva, tra l’altro, su legami economici pregressi, affinità socio-culturali, omogeneità di in-teressi nei confronti di paesi terzi. Inoltre, la creazione, in questi casi, di regioni ad alta integrazione economica e di organismi di coordinamento di natura sovranazionale rende possibile l’affermarsi di politiche commerciali comuni verso l’esterno, a differenza di quanto avviene con accordi di libero scambio di natura puramente bilaterale.

Gli orientamenti più recenti della politica commerciale bilaterale dell’UE

L’Unione europea non ha fatto eccezione alle tendenze che hanno visto l’intensificarsi del dialogo commerciale bilaterale e che ha portato, soprattutto nella fase successiva al

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Doha Round, al rafforzamento della politica commerciale proprio in questo ambito. Gli ac-cordi conclusi più di recente sono quelli con Corea, Singapore e Comunità andina e nu-merosi sono i negoziati in corso2.

Per quanto riguarda il nuovo orizzonte della politica commerciale UE, è di assoluto ri-lievo il peso che stanno assumendo gli accordi con le economie più avanzate. Già con l’Accordo di Libero Scambio con la Corea, entrato in vigore nel 2011, e il Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA) con il Canada, in fase avanzata, l’Unione europea ha sancito l’interesse a guardare non solo verso le aree emergenti ma anche verso i mer-cati maturi. Tale tendenza sta subendo un radicale rafforzamento con la prospettiva di accordi con Stati Uniti e Giappone che saranno al centro dell’agenda di politica com-merciale dell’UE nei prossimi anni3. Si tratta di due accordi di portata storica, per vari or-dini di motivi. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, sarà la prima volta che l’UE negozierà un’intesa con un partner di equivalente peso economico. In tale chiave vanno letti i po-tenziali effetti dirompenti di una maggiore integrazione tra le due aree transatlantiche sugli equilibri economici a livello globale e, soprattutto, sul ruolo che l’area commerciale del Sud Est asiatico ha ricoperto negli ultimi anni.

Lo scenario che si presenta è certamente complesso, anche in considerazione del pari in-teresse con cui gli Stati Uniti guardano al Pacifico, al Sud Est asiatico, alla Cina e all’In-dia per incrementare il loro export, e in particolare all’accordo di partenariato trans-pacifico (TPP) in corso di negoziato4. La portata di tale accordo, grazie al quale si giungerebbe all’integrazione di due aree che, con l’inclusione del Giappone, rappresen-tano quasi il 40% del PIL globale, muterebbe in larga misura gli equilibri del commercio mondiale5. Gli effetti di un’integrazione transatlantica tra UE e Stati Uniti sarebbero tut-tavia ancora più rilevanti, se si considera che le due economie rappresentano oggi oltre il 50% del PIL mondiale, il 30% del commercio globale e quasi il 70% dello stock di IDE mondiali6.

Altro fattore distintivo degli accordi che l’UE si appresta a negoziare con Stati Uniti e Giappone riguarda le premesse da cui originano e gli obiettivi che si prefigurano. In

am-2 Tra i principali, gli Accordi di Libero Scambio con Canada, India, Malesia, Mercosur, Tailandia, Ucraina e Vietnam.

3 Per quanto riguarda il Giappone, la decisione formale per l’avvio dei negoziati è stata presa a marzo 2013. In relazione agli Stati Uniti, l’avvio dei negoziati è indicato entro giugno 2013.

4 Si tratta dell’Accordo di Libero Scambio che coinvolge, oltre agli Stati Uniti, Australia, Brunei, Canada, Cile, Ma-lesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam. A marzo 2013 il Giappone ha annunciato ufficial-ScenarInd cap2 6 2013:Layout 1 30/05/13 14:49 Pagina 60

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bedue i casi il nodo fondamentale da sciogliere per giungere a una più marcata integra-zione tra le parti non concerne il livello di proteintegra-zione daziaria, già mediamente basso da ambo le parti, ma piuttosto l’abbattimento delle barriere non tariffarie e la necessità di convergenza degli standard tecnici, che rappresentano, sebbene in diversa misura, i veri ostacoli per l’accesso ai mercati giapponese e americano.

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L’orientamento geografico dei maggiori esportatori emergenti

Ma qual è l’evoluzione degli scambi tra le diverse aree all’interno dei 29? Chi commercia quanto e con chi?19

Per rispondere occorre effettuare l’analisi della destinazione e della provenienza degli scambi con l’estero relativi ai singoli principali paesi, cioè i primi dieci esportatori tra i 2920. Vengono prese in considerazione la dinamica tra la metà degli anni Novanta (media 1994-96) e l’inizio del decennio in corso (media 2009-11) e gli scambi con tutte le stesse aree in-dividuate in precedenza, G10 incluso. Viene costruito un indice di orientamento geografico (IOG) rapportando la quota manifatturiera che ciascun paese detiene in ciascuna area di de-stinazione delle sue esportazioni alla corrispondente quota detenuta dall’intero mondo21. L’indice, analogo a un coefficiente di specializzazione (in questo caso geografica), misura dunque se la presenza commerciale relativa di un paese in una determinata area (quota delle esportazioni/importazioni verso quell’area rispetto al totale) è superiore, uguale o inferiore a quella media mondiale. Per valori di IOG superiori a 1 risulta un orientamento verso l’area maggiore di quello medio di tutti gli altri paesi e viceversa per valori inferiori a 1 (Tabella 2.4). Il quadro che emerge può essere così tratteggiato. Primo: esiste una forte sovrapposizione della specializzazione geografica tra flussi in entrata (import) e in uscita (export), eviden-ziata nelle tavole da un riquadro; nella maggior parte dei casi, con l’eccezione degli scambi che riguardano l’Asia occidentale, l’esistenza di rapporti commerciali più stretti riguarda cioè sia le esportazioni sia le importazioni, configurando così una vera e propria integra-zione. Secondo: è individuabile, per lo più in entrambe le direzioni degli scambi, un forte orientamento dei paesi esaminati verso l’area territoriale di appartenenza (integrazione

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19La distinzione tra paesi avanzati e paesi emergenti qui effettuata limita la possibilità di isolare aree territoriali che corri-spondano a sistemi economici produttivamente integrati. Ciò perché molti dei grandi sistemi economici emergenti, nel quadro del nuovo multiregionalismo dello sviluppo industriale, sono connessi sia a economie del G10 sia a economie dei 29. Così, il Messico emergente appartiene sul piano commerciale all’area nordamericana (G10); mentre le economie del Sud Est asiatico sono fortemente integrate non solo al Giappone (G10) ma anche a Corea e Taiwan (che risultano escluse da entrambi i gruppi), e quelle dell’Est europeo ancora al G10 (Europa occidentale e soprattutto Germania). In questo contesto la misura utilizzata del “grado di connessione” commerciale tra le aree qui delimitate sottostima l’effet-tiva consistenza dei diversi sistemi economici che si stanno delineando a livello globale (che includono ogni volta insieme economie avanzate ed emergenti), rafforzati anche dal crescente orientamento nelle politiche commerciali verso accordi a scala regionale (si veda il riquadro “Le politiche commerciali tra nuovo regionalismo e bilateralismo”).

20L’analisi esclude gli Emirati Arabi Uniti (al quinto posto della graduatoria dei principali esportatori), per i quali non risultano disponibili dati di fonte UNTrade per gli anni Novanta. Questa esclusione fa rientrare il Brasile nel gruppo dei primi dieci esportatori.

“locale”), Cina esclusa. Terzo: sia per l’import sia per l’export i valori dell’IOG aumentano sempre per gli scambi tra i paesi appartenenti al Sud Est asiatico (ma non per la Cina), men-tre diminuiscono sempre, anche se restano tuttora molto alti, all’interno dell’area Est eu-ropea (che include la Russia). Quarto: emerge un orientamento crescente e a senso unico (export) dei paesi del Sud Est asiatico (Cina inclusa) verso i mercati dell’Asia occidentale, cui corrisponde invece una despecializzazione dell’India nelle esportazioni verso la stessa area, India che ne è la principale economia. Quinto: è alta e in aumento la specializzazione Scenari industriali n. 4, Giugno 2013

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Tabella 2.4

Come i principali emergenti orientano gli scambi con l’estero

(Indice di orientamento geografico* degli scambi di manufatti per i primi dieci paesi esportatori emergenti, media 2009-2011, dollari correnti; tra parentesi media 1994-1996)

Indice di orientamento geografico delle esportazioni manifatturiere: 2009-2011

Paese Area di destinazione

di origine America latina Sud Est asiatico Europa dell’Est Asia occidentale G10 Africa e M.O.

Cina 1,76 (1,36) 1,08 (0,83) Russia 0,78 (1,92) 2,33 (3,80) 2,91 (2,29) 2,44 (1,60) Messico 1,02 (0,74) 1,81 (1,58) India 0,83 (3,42) 4,57 (2,62) Tailandia 2,40 (0,83) 1,92 (1,21) 1,26 (1,16) Malesia 2,15 (0,89) 1,53 (0,84) Polonia 3,07 (4,20) 1,28 (1,24) Rep. Ceca 3,27 (8,85) 1,27 (0,98) Turchia 2,08 (3,91) 1,05 (1,08) 2,59 (2,10) Brasile 6,76 (5,47)

Indice di orientamento geografico delle importazioni manifatturiere: 2009-2011

Paese Area di destinazione

di origine America latina Sud Est asiatico Europa dell’Est Asia occidentale G10 Africa e M.O.

Cina 1,09 (0,97) Russia 2,89 (8,87) 0,96 (1,56) Messico 1,31 (1,37) India 1,23 (0,54) 4,49 (5,62) Tailandia 1,42 (0,83) Malesia 1,29 (0,66) Polonia 2,20 (2,96) 1,18 (1,12) Rep. Ceca 3,05 (6,97) 1,09 (0,99) Turchia 2,40 (2,88) 1,94 (1,13) 1,38 (0,76) Brasile 3,16 (3,15) 1,00 (0,43)

* Rapporto tra quota dello scambio di un paese verso un’area e quota dello scambio del mondo verso la stessa area. Nei riquadri i valori maggiori di 1 sia per le esportazioni sia per le importazioni.

Per la composizione delle aree si veda nota 18 a pag. 57. Fonte: elaborazioni CSC su dati UNTrade.

nell’interscambio del Messico e dei paesi Est europei (Russia esclusa) verso il G10; ciò ri-flette gli scambi del primo con gli Stati Uniti e dei secondi verso l’area europea. Sesto: non è individuabile invece un forte orientamento verso il G10 dell’area asiatica, con l’eccezione dello IOG appena superiore a 1 (ma crescente) della Cina dal lato, però, delle importazioni. Settimo: è in crescita l’orientamento di molti dei paesi considerati verso l’area africana e me-diorientale.

Dunque, all’integrazione commerciale del complesso delle economie emergenti con quelle avanzate corrisponde anche un parallelo processo di integrazione tra i 29 emergenti. L’in-tensità e la direzione dei processi di orientamento commerciale subiscono comunque va-riazioni nel tempo: alcuni legami intra-area si affievoliscono, altri si rafforzano.

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