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1.3. Buone prassi nella presa in carico: percorsi paralleli verso l’autonomia

1.3.4. Quali interventi concreti per promuovere l’autonomia?

Il momento dello “sgancio”, quindi dell’uscita dei ragazzi dall’accoglienza al momento della maggiore età è un momento difficoltoso in vista del quale bisogna preparare il ragazzo in anticipo. È

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con l’uscita dal progetto che inevitabilmente si è davanti agli effetti e all’efficacia delle scelte educative, degli sforzi compiuti e delle risorse messe in gioco dal ragazzo e dagli educatori e operatori. La presa in carico dei MSNA è come una corsa a cui partecipano tutti (ente d’accoglienza, minore, educatore, ecc.) e la cui meta è la maggiore età. Il livello di autonomia e di integrazione sul territorio del ragazzo al momento dello sgancio dipendono fortemente dalle scelte prese prima a livello individuale ed educativo. La preparazione a questo momento è lunga (anche se non sempre come nel caso dei MSNA tra i 16 e i 18 anni) e per essere efficace sul lungo termine deve essere strutturata e progressiva. All’uscita i ragazzi si devono scontrare nuovamente con la loro storia e rivalutare il progetto migratorio e i suoi esiti. Certo, nel periodo dell’accoglienza hanno stretto relazioni e conosciuto italiani, connazionali e stranieri, però adesso si ritrovano a dover fronteggiare la difficoltà di trovare una soluzione abitativa e lavorativa. Al livello emotivo, rivivono sensazioni quali distacco, allontanamento e solitudine che mette nuovamente e ulteriormente a dura prova il loro benessere psico-fisico. Per tutti questi motivi la presa incarico di un MSNA presuppone intrinsecamente un accompagnamento progressivo al momento dello sgancio e un piano individualizzato alle esigenze e competenze del ragazzo ai fini della sua autonomia. Se non vi è una corretta preparazione e costruzione dello sgancio, il rischio è quello di destinare il ragazzo alla marginalità e disagio, se non alla criminalità. Alla luce di queste considerazioni, molte comunità hanno scritto e partecipato a progetti ad hoc dedicati alla fase successiva alla seconda accoglienza. Molti interventi sono stati attuati quali: progetti-ponte miranti all’inserimento abitativo e lavorativo; inserimento in centri di accoglienza per adulti siti preferibilmente presso lo stesso territorio, interventi di mediazione nel mercato immobiliare privato, ecc. A fianco a questi tentativi esistono anche percorsi progressivi di sgancio che durano dai 16 ai 18 anni e che vanno dalla seconda accoglienza alla semi-autonomia o autonomia guidata e infine all’alta autonomia o sgancio definitivo. Queste fasi di progressivo sgancio vengono attuate in delle strutture particolari e con una progressiva riduzione del supporto educativo da parte della comunità al fine di stimolare il grado di autonomia, auto organizzazione e gestione autonoma della propria quotidianità e dell’appartamento. Questo percorso è parte del progetto educativo e mira all’acquisizione di competenze che si rifanno al modello della progettazione efficace della vita proposto da Smith27 ovvero: gestione delle risorse date (appartamenti, servizi socio-sanitari, trasporto pubblico, servizi pubblici, gestione del denaro, tirocinio, ecc.) e del tempo (organizzazione della giornata e del tempo personale rispetto a impegni e appuntamenti), gestione personale (cura della propria persona in senso olistico, consapevolezza delle proprie competenze e limiti in modo da migliorarsi e rendersi adeguati alle situazioni e contesti in cui sono chiamati a mettersi in gioco) e interpersonale (competenze relazionali). Tuttavia, per vari motivi

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che spesso vengono ricondotti alla mancanza di fondi e di risorse a disposizione, non tutti i ragazzi possono beneficiare di questo percorso. Infatti, quando ci sono le strutture per la semi autonomia o l’alta autonomia si tratta di appartamenti che quindi non possono ospitare gli alti numeri delle comunità di accoglienza. Così, quando si ha la disponibilità di inserimento in questo tipo di strutture, si fa una selezione e si scelgono i ragazzi che hanno dimostrato precedentemente una buona attitudine all’autonomia e alla buona gestione delle risorse date e di quelle personali. Il ragazzo scelto quindi passa dalla comunità della seconda accoglienza a un appartamento (il più delle volte) in cui convive con pochi altri e in cui la presenza di una figura di riferimento qual è l’educatore o l’operatore è ridotta e limitata a poche ore al giorno. Pertanto, il ragazzo è chiamato a organizzarsi in autonomia il proprio tempo per rispettare i propri impegni, gestire il denaro dato in base alle proprie spese, ecc. La fase della semi-autonomia è come un incubatore in cui stimolare e incoraggiare l’autonomia del ragazzo che ha l’occasione di sperimentarsi e di mettersi in gioco con il supporto e l’accompagnamento dell’educatore. Questi osserva il percorso del ragazzo, gli dà consigli e lo indirizza ai servizi sul territorio rispetto alle sue esigenze e impegni dal punto di vista sanitario, formativo e burocratico-amministrativo. Il ragazzo si organizza per andare da solo a scuola, a fare la spesa, e, se fattibile tramite il trasporto pubblico, dal medico, ecc. L’educatore fa un lavoro preliminare di orientamento ai servizi del territorio, di conoscenza di beni e servizi nelle vicinanze, luoghi in cui fare le spese, la scuola, ecc. In seguito, dovrà essere il ragazzo a muoversi in autonomia. La semi-autonomia consiste proprio nell’avere un supporto educativo meno presente, nel disbrigare alcune pratiche da solo, nel cucinare, pulire e tenere in ordine, nell’autogestirsi in un appartamento e nel rapportarsi con un numero minore di persone rispetto alle comunità residenziali. Questi appartamenti sono gestiti solitamente dal privato sociale e hanno costi di gestione inferiori rispetto alle comunità in quanto le spese sono minori, i ragazzi sono di meno, e il personale è ridotto e limitato ad alcuni momenti della giornata. Esempi di appartamenti di semi-autonomia si trovano in molte città tra cui Milano, Modena, Napoli, Torino, Trento e Venezia. A Napoli questi appartamenti, che di solito sono beni sottratti alla criminalità, vengono utilizzati nell’ambito del progetto “Integra” e destinati all’abitazione sociale di ragazzi tra i 16 e i 18 anni. L’esperienza napoletana degli appartamenti ha come obiettivo principale il raggiungimento dell’autonomia lavorativa nonché abitativa e socio- relazionale. Pertanto, durante il periodo di permanenza dei ragazzi in questi appartamenti, il supporto dell’educatore è rivolto alla ricerca lavoro, all’attivazione di tirocini che possano concludersi con un’assunzione (a tal fine la comunità educativa ha preventivamente stretto accordi e convenzioni con varie aziende del territorio), alla ricerca di una successiva soluzione abitativa. A Modena, invece gli educatori puntano molto sulla gestione autonoma dei soldi. Pertanto, quando lo ritengono il caso, fanno gestire al ragazzo l’intero stipendio, mentre in altri casi lo co-gestiscono loro insieme al ragazzo

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spingendolo ad accantonarne una parte per delle spese volte all’autonomia (come il conseguimento della patente di guida). L’attenzione alla gestione economica è molto importante, perché bisogna abituare i ragazzi a responsabilizzarsi anche da questo punto di vista. Molte sono state le iniziative in questo senso, tra cui quella torinese di intestare al ragazzo un libretto postale di risparmio. Le strutture di alta-autonomia, invece, prevedono un supporto educativo ancora inferiore e limitato all’esperienza lavorativa già avviata o da avviare e alla ricerca della casa. In generale, la figura dell’educatore è quasi assente, i costi di gestione sono bassi e i ragazzi sono chiamati a provvedere quasi in completa autonomia a loro stessi. Questo tipo di accoglienza talvolta si protrae anche dopo la maggiore età per un periodo comunque non maggiore a un anno. Sono casi abbastanza rari e anche gli appartamenti di alta-autonomia sono piuttosto rari e prevedono un numero ancora inferiore a quello degli appartamenti di semi-autonomia. Di solito vi accede chi prima era in un appartamento di semi autonomia e per cui si riscontra una criticità particolare nonostante le qualità e l’impegno dimostrati. A Torino, ad esempio, nell’ambito del “Progetto Tenda” viene prevista un’accoglienza per cinque MSNA in semi-autonomia e due in sgancio. Un’altra esperienza molto positiva è quella di Modena, in cui il Comune ha previsto una fase di semi-autonomia per i ragazzi tra i 16 e i 18 anni e di alta autonomia per quelli dai 18 ai 19. Per questi ultimi, i posti sono cinque e il costo dell’affitto è interamente pagato dal Comune. Il progetto si basa su una convenzione tra il Comune e la struttura che mette a disposizione i posti letto. Tuttavia, i fondi del Comune possono anche essere dati a chi trova una sistemazione presso altri alloggi o in affido. Semplicemente, invece che pagare un posto letto in una struttura, si dà al ragazzo la somma che gli spetta dopo aver verificato che l’affidatario o colui presso cui vive è a posto con la legge e con i documenti. In questa fase, il Comune si adopera anche riguardo all’inserimento lavorativo e ad assegnare un corredo minimo e 250 euro mensili per le spese e il vitto. Il monitoraggio viene effettuato dagli assistenti sociali del Comune e dagli educatori dell’ufficio comunale per gli inserimenti lavorativi. Quando il ragazzo comincia un tirocinio finalizzato all’inserimento lavorativo può uscire dall’accoglienza se trova un alloggio con contratto di affitto. A questo progetto, per le risorse messe in gioco e l’importanza dell’opportunità offerta, accedono i ragazzi che i servizi conoscono già dalla seconda accoglienza o dalla semi-autonomia. La scelta ricade quindi su dei ragazzi che sono stati circa due anni in accoglienza e hanno dimostrato impegno, maturità, autonomia e buona gestione di sé e delle risorse dedicategli. L’esperienza trentina invece punta al sostegno dei neomaggiorenni in tempi più ristretti. Infatti, secondo le linee guida provinciali per l’accoglienza dei MSNA, nel passaggio alla maggiore età è possibile prevedere un’accoglienza in alta autonomia per chi deve terminare il proprio progetto educativo (per esempio il tirocinio) o ha dei problemi di salute e per un periodo non superiore ai sei mesi. In questi casi si cerca di collocare il neomaggiorenne in appartamenti autonomi gestiti dall’Associazione Provinciale per i

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Minori Onlus, in delle strutture per adulti come quelle per richiedenti Asilo o in posti letto in comunità educative. Se invece il ragazzo non ha questi requisiti lo si indirizza verso appartamenti per lavoratori a canone agevolato o si fa leva sulla rete dei connazionali e parenti. Anche a Genova i neomaggiorenni vengono accolti per un arco di tempo breve (dai tre ai sei mesi) e di solito vengono collocati in appartamenti del terzo settore quali alloggi protetti o alloggi sociali. I primi sono simili agli appartamenti di autonomia guidata ma l’affiancamento dell’educatore è più costante e interessa anche alcune aree della gestione della quotidianità. Il rischio è quello di perpetrare un progetto educativo già conclusosi al termine della seconda accoglienza piuttosto che fare un ulteriore passo e spingere definitivamente il ragazzo verso la piena autonomia. Negli alloggi sociali, invece, non viene offerto altro supporto al di là della soluzione abitativa. Si tratta di appartamenti co-gestiti da vari enti del terzo settore. Il rischio qui, all’inverso degli alloggi protetti, è la totale mancanza di un supporto educativo che affianca e monitora il ragazzo, supportandolo durante il progetto individualizzato e calibrato sulla sua persona. Proprio a causa della mancanza di un progetto educativo su cui pianificare la permanenza in questi appartamenti sociali, succede spesso che a fronte di un contributo di 70 euro mensile i ragazzi rimangano anni in questi alloggi. Così facendo, si tradisce il progetto educativo e non si responsabilizza il ragazzo rispetto alla realtà del mercato immobiliare e lavorativo.

1.3.5. La rivoluzione della presa in carico: come rimodellare i tradizionali