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Qualificazione fiscale delle entrate degli enti locali: applicabilità dell’Iva

L’analisi della gestione delle entrate degli enti locali passa anche per la questione della tipologia di prestazioni che sono soggette o meno alla imposta sul valore aggiunto161.

L’ente locale, nel momento in cui eroga un servizio o cede un bene, anche nell’ambito delle attività istituzionali svolte a titolo oneroso,

158 Cfr. Cass. sent. n. 775/2011. 159 P. B

ORIA, La potestà regolamentare e l’autonomia tributaria degli enti locali,

in Riv. dir. trib., 5/2013; F. CAROTTI, La potestà tributaria delle Regioni e degli

Enti Locali, in Foro it., parte V, col. 31, 2010; A. FANTOZZI, Riserva di legge e nuovo riparto della potestà normativa in materia tributaria, in Riv. dir. trib., 2005; V. FICARI, L’autonomia normativa tributaria degli enti locali e la legge finanziaria 2007, in Rass. trib., 3/2007.

160 Cfr. Cons. di Stato, Sez. V, sent. 02/02/2012. 161 Sul punto si v. A.D

AGNINO, La soggettività tributaria passiva dello Stato e degli altri Enti Pubblici, in Dir. e Prat. Trib., 2004, 4; L.FERRAJOLI, L’iva negli enti locali, II ed., Maggioli, Rimini, 1997; L. FERRAJOLI, L’iva negli enti locali - Adempimenti generali - Regime delle singole attività - Circolari, risoluzioni e giurisprudenza, III ed. aggiornata con l. 18 febbraio 1999 n. 28, Maggioli, Rimini, 1999.

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viene qualificato come soggetto passivo Iva. D’altronde la stessa normativa in tema Iva dispone espressamente l’applicabilità dell’imposta anche ad enti “pubblici”162

, e ciò pone questioni di non poco momento: dalla qualificazione dell’attività svolta dall’ente alla qualificazione della tipologia di “entrata” dello stesso.

Secondo il comma 1, dell’art. 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività agricole di cui all’art. 2135 e commerciali di cui all’art. 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa, oltre alle prestazioni di servizi organizzate in forma d’impresa ma non rientranti nell’art. 2195 c.c. Dunque l’applicabilità o meno dell’imposta porta alla necessità di inquadrare l’ente sia sotto il profilo della soggettività passiva d’imposta alla luce della normativa nazionale e comunitaria, sia come soggetto garante della corretta applicazione dell’imposta, nell’ipotesi in cui lo stesso svolga l’attività a livello solo istituzionale.

Uno dei punti nodali della questione attiene alla qualificazione della tipologia di entrata dell’ente: da ciò ne discende la possibilità di dare applicazione o meno al tributo in oggetto. Nel caso in cui il Comune effettua una cessione di bene o una prestazione di servizi a fronte di un corrispettivo, esso sarà soggetto passivo Iva. Ma il

162 Ai sensi dell’art. 4, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, per gli enti non

commerciali si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali (o agricole). Ciò vale a dire che le operazioni effettuate in ambiti diversi da quello commerciale (o agricolo) non assumono rilevanza ai fini Iva e quindi non si rendono obbligatori gli adempimenti da questa previsti (tenuta dei registri, fatturazione, annotazione, ecc.). Alla regola generale della imponibilità Iva delle sole operazioni compiute nell’esercizio di attività commerciale il legislatore affianca una generica presunzione di “commercialità” introducendo il principio della imponibilità delle attività svolte dall’ente in favore dei soci e da questi remunerate specificamente. Più precisamente si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti di enti non commerciali verso pagamento:

• di corrispettivi specifici (non si tratta delle quote ordinarie che pertanto rimangono escluse da Iva);

• di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto.

In questo ultimo caso deve essere assoggettata ad Iva la parte differenziale tra contributo ordinario e supplementare.

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discrimen tra mero corrispettivo (qualificabile come “negoziale”)

ed un tributo non è sempre di agevole definizione.

Si è potuto vedere nel corso del lavoro, come gran parte dei tributi locali siano caratterizzati dalla fruizione di un determinato servizio e dalla destinazione del gettito alla copertura del servizio stesso163. Generalmente l’attività svolta dall’ente è estranea dal campo di applicazione del tributo tranne che nella ipotesi in cui l’attività pubblica di cessione di beni e di prestazione di servizi venga esercitata in concorrenza con altri operatori economici, solo in questo caso il Comune dovrà corrispondere l’imposta, al fine di non provocare una distorsione nel sistema economico.

In base a quanto statuito dalla normativa in materia di Iva, il presupposto fondamentale per l’applicazione per determinate attività svolte dagli enti non commerciali è il requisito della “commercialità”: potrà essere assoggettata ad Iva anche un’attività connessa ai bisogni collettivi pubblici indivisibili svolta dal Comune, allorché abbia il carattere della commerciabilità.

163 Sul punto si rimanda al precedente paragrafo, in cui è stata analizzata la

disciplina attinente al tributo corrisposto per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il quale viene qualificato come “corrispettivo” nei casi in cui il Comune offra l’ulteriore servizio di smaltimento dei rifiuti c.dd. speciali.

Sulla questione della rilevanza ai fini Iva del tributo sull’igiene ambientale si v. G.GIANGRANDE, Ancora sulla natura tributaria della Tia: riconoscimento del privilegio e rilevanza ai fini Iva, in Dir. e Prat. Trib., 2012, 4, in cui l’A., in commento alla sentenza n. 2320 del 17 febbraio 2012 della Cassazione, sostiene che essa «appare alquanto innovativa, in quanto si discosta dalle precedenti pronunce che riconducono la rilevanza ai fini iva della Tariffa esclusivamente all’esistenza o meno della natura tributaria in capo a tale onere. La Corte sottolinea, testualmente, che l’assoggettamento ai fini iva dell’importo corrisposto per lo smaltimento dei rifiuti – così come la eventuale natura privatistica del soggetto che gestisce il servizio – prescinde dalla natura tributaria o meno di tale onere. In tal senso, stabilisce che l’assoggettamento ad iva dell’importo corrisposto non è elemento dirimente per qualificare la natura tributaria dell’onere dovuto, atteso che una simile previsione era stata introdotta quando era ancora in vigore la TARSU, la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa. Parimenti, non rileva, per la corretta qualificazione di tributo dell’onere dovuto, la eventuale natura privatistica del soggetto gestore del servizio. La Corte costituzionale riconosce, in particolare, l’assenza del presupposto soggettivo dell’iva esclusivamente qualora l’attività di gestione dei rifiuti sia svolta dai Comuni in veste di pubbliche autorità, e non anche a quella esercitata da una società commerciale aggiudicataria di pubblica concessione». Si v. ancora sulla questione M. LOVISETTI, L’individuazione della natura

giuridica di un’entrata e le conseguenze in ordine alla giurisdizione, all’individuazione degli atti impugnabili e all’applicabilità dell’iva: il caso della tariffa rifiuti, in Corr. Trib., 1, 2005; S. CARREA, L’applicazione dell’Iva sulla Tia, tra diritto interno e diritto dell’Unione Europea, in Dir. e Prat. Trib., 5, 2011.

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Si pensi, a titolo esemplificativo, al servizio di asilo nido svolto dal Comune: esso diventa servizio rilevante ai fini Iva se non è reso gratuitamente164, ma detta attività rientra nel regime di esenzione165 a causa della rilevante utilità sociale e culturale nei confronti dei cittadini.

Si pensi, ancora, al servizio idrico integrato (distribuzione di acqua, fognatura e depurazione) e somministrazione di energia elettrica, calore-energia e gas: anche qui, se il servizio è reso a fronte di un corrispettivo sarà rilevante ai fini Iva. Nel caso di specie, non sussiste per l’ente l’obbligo di emissione della fattura, se non è richiesta dal cliente-fruitore a norma dell’art. 22 n. 2 del d.P.R. n. 633 del 1972. In dette circostanze l’ente ha la facoltà di optare per l’emissione di bollette-fatture, le quali avranno l’esatto contenuto identico di una normale fattura e ne assolveranno anche le funzioni. Le bollette-fatture, in base a quanto stabilito dagli artt. 23 e 24 d.P.R. n. 633 del 1972, potranno essere annotate cumulativamente nel registro delle fatture166.

Si noti come nella fattispecie in esame vi sia una alternanza tra la disciplina pubblicistica e privatistica: se da un lato l’ente locale agisce come un operatore economico privato in regime di concorrenza, vedendosi applicare l’Iva a fronte della percezione di un corrispettivo, dall’altro si applicano di alcuni aspetti del regime pubblicistico di ente impositore, poiché gli viene concessa la facoltà di porre in essere la riscossione mediante ruoli esattoriali. Se l’ente optasse per questa forma di riscossione, la registrazione dei corrispettivi dovrà essere effettuata annotando nell’apposito registro, entro 30 giorni dal compimento della effettiva operazione, l’ammontare dei versamenti eseguiti dall’esattore.

164 La gratuità o l’onerosità del servizio si desume alla luce del comb. disp.

dell’art. 4 comma 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, la Circolare Ministeriale del 22 maggio 1976 n. 18/360068 e del D.M. del 31 dicembre 1983 relativo alla individuazione delle categorie di servizi pubblici locali a domanda individuale.

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L’esenzione viene disposta in base all’art. 10 n. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972.

166 Cfr. A. C

ARRABINO, Enti locali: fatture, esonero da scontrino e ricevuta fiscale; contabilità unificata, sezionale o separata - Dichiarazione e detrazione iva, in Foro it., Rep. 1995.

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Orbene, al fine di analizzare la casistica dell’applicazione dell’Iva all’Ente locale, si noti come emergono due tipologie di requisiti principali, che fungono da indicatori per qualificare l’operazione come presupposto o meno dell’imposta.

Il primo riscontro che deve essere effettuato per verificare il posizionamento ai fini Iva dell’ente locale è di natura soggettiva, nel senso che si deve ricercare la sussistenza di quei requisiti connessi alla natura del soggetto che servono a qualificare questo come imprenditore. Nella specie, il requisito da rispettare è solamente quello dell’abitualità dell’attività esercitata, non essendo sempre necessaria, ai fini fiscali, la sussistenza di un’organizzazione imprenditoriale167

. In altri termini, il soggetto attivo è qualificato imprenditore in senso fiscale senza esserlo anche ai fini civilistici, in quanto il requisito dell’organizzazione, decisivo a tali ultimi fini, non lo è sotto il profilo tributario168. Non è necessario, peraltro, a tal fine, che la funzione organizzativa dell’imprenditore costituisca un apparato strumentale fisicamente percepibile, poiché quest’ultimo può ridursi al solo impiego di mezzi finanziari, sicché la qualifica di imprenditore va attribuita a chi utilizzi e coordini un proprio capitale per fini produttivi169. Il secondo requisito ha natura oggettiva, dunque al fine di verificare la sussistenza di un’attività rientrante nella c.d. attività d’impresa dell’Ente vengono in considerazione le norme dettate dal Codice civile. In particolare l’art. 2135 c.c. sull’attività agricola, l’art. 2195 c.c. sull’attività industriale di produzione di beni o servizi, attività di trasporto per terra, aria o acqua, attività bancaria o assicurativa, ed attività ausiliarie a quelle appena elencate.

Per qualificare un’attività come imprenditoriale e quindi rilevante ai fini Iva, dal punto di vista soggettivo deve trattarsi di attività abituale, mentre dal punto di vista oggettivo, deve trattarsi di

167 Cfr. A. B

ALDASSARI, La soggettività tributaria dello stato e degli enti territoriali in materia di iva e di imposte sui redditi, in Foro it., Rep. 1993.

168 Cfr. A. C

ONTRINO, Incertezze e punti fermi sul presupposto soggettivo dell’imposta sul valore aggiunto, in Dir. e Prat. Trib., 3, 2011.

169 Cfr. Corte di Cassazione, sent. n. 8193 del 29 agosto 1997 e risoluzioni n.

148/E del 20 maggio 2002, n. 204/E del 20 giugno 2002 e n. 273/E del 7 agosto 2002.

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un’attività qualificata come imprenditoriale dal Codice civile, non essendo necessarie ulteriori indagini sulle modalità di organizzazione dell’attività stessa.

Il testo unico sull’Iva contiene disposizioni specifiche riguardo gli enti locali all’art. 4, comma 4, in cui si fa riferimento in primis agli “enti, pubblici o privati, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali” e poi agli enti che hanno quale oggetto principale attività istituzionali ben precise ma svolgono anche attività non istituzionali (sia commerciali che non). Tale disposizione considera come effettuate nell’esercizio di impresa solo le cessioni di beni e le prestazioni di servizi realizzate nell’esercizio di attività commerciali o agricole170

. La norma in

170 Art. 4 d.P.R. n. 633 del 1972 «Esercizio di imprese:

Per esercizio di imprese si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l’esercizio di attività, organizzate in forma d’impresa, dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.

Si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio di imprese:

1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all’art. 2507 del Codice civile e dalle società di fatto;

2) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole.

Si considerano effettuate in ogni caso nell’esercizio di imprese, a norma del precedente comma, anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società e dagli enti ivi indicati ai propri soci, associati o partecipanti.

Per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.

Agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività:

a) cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali,

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sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati;

b) erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore;

c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;

d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti; e) trasporto e deposito di merci;

f) trasporto di persone;

g) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio;

h) servizi portuali e aeroportuali; i) pubblicità commerciale;

l) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.

Non sono invece considerate attività commerciali: le operazioni relative all’oro e alle valute estere, compresi i depositi anche in conto corrente, effettuate dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi; la gestione, da parte delle Amministrazioni militari o dei corpi di polizia, di mense e spacci riservati al proprio personale ed a quello dei Ministeri da cui dipendono, ammesso ad usufruirne per particolari motivi inerenti al servizio; la prestazione alle imprese consorziate o socie, da parte di consorzi o cooperative, di garanzie mutualistiche e di servizi concernenti il controllo qualitativo dei prodotti, compresa l’applicazione di marchi di qualità; le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle assemblee nazionali e regionali; le cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte costituzionale, nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali; le prestazioni sanitarie soggette al pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria erogate dalle unità sanitarie locali e dalle aziende ospedaliere del Servizio sanitario nazionale. Non sono considerate, inoltre, attività commerciali, anche in deroga al secondo comma:

a) il possesso e la gestione di unità immobiliari classificate o classificabili nella categoria catastale A e le loro pertinenze, ad esclusione delle unità classificate o classificabili nella categoria catastale A10, di unità da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato, di complessi sportivi o ricreativi, compresi quelli destinati all’ormeggio, al ricovero e al servizio di unità da diporto, da parte di società o enti, qualora la partecipazione ad essi consenta, gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento, personale, o familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito indirettamente dai soci o partecipanti, alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni;

b) il possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziaria, ovvero attività di indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate.

Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considera commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti degli stessi soggetti indicati nel secondo periodo del quarto comma.

Le disposizioni di cui ai commi quarto, secondo periodo, e sesto si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:

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esame è chiara specialmente nel punto in cui statuisce che, in ogni caso, devono essere considerate commerciali anche le attività che in base al Codice civile non sarebbero tali ma lo sono alla luce della normativa in materia di Iva. Si nota, dunque, come venga specializzata la nozione di attività commerciale, individuata (al di fuori di quella delineata dalla normativa civilistica) sulla scorta dei già enunciati requisiti: soggettivo (abitualità) ed oggettivi.

L’ente locale viene per questo considerato “imprenditore” non tout

court, ma limitatamente all’attività che incarna i requisiti richiesti

dalla normativa in materia di Iva, è sufficiente che l’attività svolta sia di natura oggettivamente commerciale. Difatti lo stesso art. 4 citato, elenca una serie di attività che, ancorché esercitate da un ente pubblico, sono qualificate come “commerciali” (a titolo

a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;

b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge; c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente ogni limitazione in funzione della temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;

e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, secondo comma, del codice civile , sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell’articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e