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Quando la sinistra incontra i palestinesi: tempi, ragioni e scelte

Capitolo VII-Europa unita e nuovi nazionalismi

2) Quando la sinistra incontra i palestinesi: tempi, ragioni e scelte

Racconterà nel suo libro Antonio Rubbi, in seguito responsabile della Sezione esteri del PCI, che il partito prese contatti con i palestinesi relativamente tardi, se si pensa che i contatti con i vari paesi arabi esistevano dagli anni '50: prima con i partiti fratelli, poi dopo l'esperienza con il FLN algerino e la nuova politica di amicizia con i non-allineati, anche con altre forze e governi “progressisti”. Longo incontrerà a Roma nel Novembre 1969 una delegazione di Al Fatah, il partito di Yasser Arafat, venuta in Italia per la conferenza “Mediterraneo '70” poi ricambiata con un incontro con il leader palestinese ad Amman a Dicembre. In quell'occasione il PCI registrò la chiusura da parte dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ad ogni soluzione politica e all'abbandono della lotta armata, proposta che distingueva il partito dalla sinistra extraparlamentare. Dopo diverse manifestazioni e iniziative di base nacque nel 1969 il Comitato Italiano per la Solidarietà con il Popolo Palestinese, che adottò in sostanza la formula di Al Fatah per la liberazione della Palestina dal Sionismo e per la edificazione di un nuovo stato laico e democratico con un posto per tutti. Questo programma, che presupponeva che Israele non ci fosse più, era irricevibile per i partiti ma possibile con la forma del comitato, alla cui direzione vi erano membri di PCI, PSIUP, PSI, DC.341

Non sembra un caso invece che la sinistra extraparlamentare si interessi (e si innamori) della resistenza palestinese nel Settembre 1970 durante il quale i fedayn combattono per non essere massacrati contro le truppe di re Hussein di Giordania, dopo che il regno hascemita era stato il principale rifugio e base delle operazioni dell'OLP. Cioè quando si contrappone militarmente a un regime arabo, in questo caso fra i più conservatori. La nuova sinistra vi vede materializzate ed esplose quelle contraddizioni che da decenni covavano nella regione, dove si riteneva che le borghesie nazionali tanto vituperate e i militari avessero continuato a sfruttare le masse e ad obbedire al gioco delle superpotenze tanto nei regni ancora “feudali”, quanto nei paesi del “socialismo arabo”.

In effetti le organizzazioni che componevano la “nuova” OLP, presieduta e riorganizzata dal 1968 da Arafat, erano molto diverse per estrazione sociale, metodi e obiettivi da quelle nato dopo la guerra del 1948. La maggior parte dei palestinesi viveva nei campi profughi nei paesi arabi circostanti, altri vivevano nei villaggi non sgomberati in Israele o nei Territori occupati, alcune famiglie generalmente agiate si erano trasferite nei paesi del Golfo, come il Kuwait, diverse migliaia erano emigrati in Europa. Argomentava la Castellina dopo il viaggio in Giordania: «La forte incidenza di un

339 Potere Operaio, a.III n.43, 25 Settembre-25 Ottobre 1971, p.30 340 Lotta Continua, a.I n.122, 6 Settembre 1972, p.1

341 Vedi “La scoperta del movimento palestinese” in A. Rubbi, Con Arafat in Palestina, Roma, Editori riuniti, 1996

gruppo sociale così particolare come i rifugiati rende difficile applicare gli schemi di interpretazione tradizionali, in quanto non esiste né un vero proletariato né uno strato propriamente contadino. Ma anche la borghesia[...] è una borghesia tutta particolare».342

E' dai campi profughi che nascono le organizzazioni politico-militari che conquisteranno l'egemonia del movimento scalzando la vecchia OLP di Shukeiri (ex- ministro saudita) che era invece l'espressione dei ricchi palestinesi del Golfo (fra i quali comunque si continuano a cercare finanziatori) e marionetta nelle mani dei regimi arabi. La principale è Al Fatah, nazionalista democratica e socialista moderata, la più numerosa e forte; quindi il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), guidato da George Habbash, discendente da un movimento del socialismo arabo passato al marxismo, che rimarrà il secondo partito ma subirà diverse scissioni e contrasti interni sia sulla preminenza politico/militare, sia sull'alleanza con alcuni regimi arabi come la Siria; da questo gruppo si originerà la terza forza per consensi il Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP), fondato da Nayef Hawatmeh, il più coerentemente marxista-leninista, spesso accusato di avere un profilo troppo intellettuale, il primo a porsi da subito l'obiettivo di un collegamento con la sinistra israeliana. Nel giudizio della sinistra extraparlamentare, oltre che le posizioni ideologiche, aveva un peso molto grande il rapporto con i regimi arabi. Massimo Pieri, militante di Pot.Op., scrive nel suo libro Internazionalismo e Rivoluzione Palestinese (edito nel 1976 ma formato da scritti di anni precedenti), delle varie posizioni su questo argomento:

La prima raggruppa la vecchia dirigenza dell'OLP e alcuni quadri delle nuove organizzazioni: essa è sostanzialmente legata alla parte retriva dello schieramento arabo, cioè l'Arabia Saudita e gli emiri del Golfo Persico. La seconda comprende buona parte di Al Fatah ma anche di altre organizzazioni come il FPLP e cerca sostanzialmente un compromesso fra tutto ciò di tradizionale che esiste all'interno del mondo arabo e le esigenze specifiche e oggettivamente in contraddizione con i regimi arabi del popolo palestinese. La terza tendenza, minoritaria, raccoglie una parte di Al Fatah e buona parte del FPLP e FDLP. Essa mette in discussione l'insieme dei regimi arabi, di quelli reazionari in particolare e cerca di legare la lotta nazionale allo sviluppo della lotta per una trasformazione sociale e di classe di tutto il Medio Oriente.343

Per la sinistra extraparlamentare la questione si pone in termini classisti, che in un'enunciazione schematica si trovano nella quarta di copertina del libro di Pieri:

Esiste oggi nel Medio Oriente la borghesia araba-israeliana e d esiste il proletariato arabo- israeliano; ed è a questo che la sinistra rivoluzionaria fa riferimento contro l'imperialismo comunque mascherato, filorusso o filoamericano, per la vittoria della sinistra araba- israeliana .344

Il PCI, era accusato di schierarsi rispetto ai blocchi invece che alla contraddizione di classe, e quindi su un generico filo-arabismo ma aveva in realtà su posizioni molto più critiche rispetto a questi regimi. Vedeva nella lotta dei palestinesi non solo l'obiettivo della liberazione nazionale ma anche quello di una rivoluzione democratica e sociale autentica, appoggerà Al Fatah perché si trattava del partito più rappresentativo ed anche quello considerato più “ragionevole” nei metodi e nelle prospettive345. I gruppi

extraparlamentari criticheranno aspramente questa formazione indicandola come espressione delle borghesia nazionale e riproposizione del “socialismo arabo” mentre

342 L. Castellina in Il Manifesto, a.II n.10-11, Ottobre-Novembre 1970, p.29

343 M. Pieri, Internazionalismo e rivoluzione palestinese : la causa dell'autodeterminazione nella lotta di

classe, Roma, Stampa centrografico gpr, 1976, p.64

344 Ivi

daranno il loro appoggio ai due Fronti e in particolare al FDLP (LC dirà che una sua delegazione abbia partecipato al suo I convegno a Torino nel 1970346). Ovviamente

questa impostazione aveva diverse sfumature: il Manif. era ad esempio molto più aperto nei confronti di Al Fatah e non insultava Arafat, ma si poneva anche meno il problema della lotta di classe in Israele. Dall'altra parte Pot.Op. era quello più rigidamente marxista nelle valutazioni, interessato ad un immediato allargamento della lotta negli altri paesi arabi e nello stato ebraico. Bisogna ricordare che la Cina, ritenuta dalla sinistra extraparlamentare protettrice di ogni rivoluzione, fu in effetti la prima a sostenere i palestinesi, molti anni prima dei sovietici (che cominciarono solo dopo la guerra del '67); ma aiuti, armi e istruttori andavano proprio alle forze non comuniste, prima l'OLP di Shukeiri poi Al Fatah347. In questa ottica sia il sionismo che il

panarabismo, ai quali si riconosceva una generica utilità progressista nel lontano passato, erano ritenute nefaste mistificazioni alimentate per salvare le borghesie araba e israeliana dallo scontro con il proletariato dei propri paesi. Naturalmente anche su questo tema vi saranno toni diversi, fra quelli che lo trattano come un non-problema e una maggioranza dichiaratamente antisionista.

Sulle soluzioni proposte in merito alla questione israelo-palestinese si può dire che i gruppi extraparlamentari siano stati favorevoli alla nascita di unico stato plurinazionale, la stessa posizione dei movimenti di liberazione, non tanto però come risultato della distruzione di Israele348 ma come quello di un processo rivoluzionario che

investisse e rifondasse le istituzioni e gli stati dell'intera regione. Solo dopo il 1973-74, con le prime ipotesi sulla nascita di una entità nazionale palestinese in Cisgiordania e Gaza, alcuni in questa area politica cominciano a pensare inevitabile una soluzione a due stati, pur non rinunciando alla loro trasformazione socialista. Fra i primi ad andare verso queste conclusioni Massimo Pieri349. Il PCI invece era favorevole a questo tipo di

soluzione in qualche modo dall'inizio, riconoscendo il diritto all'esistenza di Israele, ed assume ufficialmente questo obiettivo nel 1973350.

Gli atteggiamenti della nuova sinistra si ritrovano anche nel linguaggio usato: si parla sia di “rivoluzione” che di “resistenza” palestinese (e gli stessi palestinesi utilizzano i due termini quasi come sinonimi), ma è molto più frequente il secondo (forse testimone nel tempo di un ridimensionamento degli obiettivi). Lo stesso vale per i termini “proletariato” e “popolo”, si cerca di utilizzare il primo per marcare il proprio punto di vista ma si userà maggiormente il secondo (come già si faceva per il Vietnam, la Cina ecc.).