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Una questione di credibilità

L O ‘ SPETTACOLO ’ DELL ’ ESILIO

2. Una questione di credibilità

A proposito di eventi inverosimili, i versi iniziali di Tr. III 8 ci presentano una ‘fantasia poetica’ che l’esule, alle prese con il disperato desiderio di rivedere Roma e i propri cari, improvvisamente concepisce; il poeta vorrebbe ora essere dotato della possibilità di volare (vv. 1 ss.):

nunc ego Triptolemi cuperem consistere curru, misit in ignotam qui rude semen humum; nunc ego Medeae vellem frenare dracones, quos habuit fugiens arce, Corinthe, tua; nunc ego iactandas optarem sumere pennas,

sive tuas, Perseu, Daedale, sive tuas: ut tenera nostris cedente volatibus aura

aspicerem patriae dulce repente solum, desertaeque domus vultus memoresque sodales

caraque praecipue coniugis ora meae. stulte, quid haec frustra votis puerilibus optas,

quae non ulla tibi fertque feretque dies?

La realizzazione delle circostanze di cui racconta il mito (il carro di Trittolemo, i draghi di Medea, le ali di Perseo e di Dedalo) viene, questa volta, giudicata impossibile: la brusca domanda che ai vv. 11 s. il poeta rivolge a se stesso compromette l’illusoria

in definitiva illusoria a sua volta, perché assorbita nell’universo letterario […]. […] la via per dire di sé in poesia passa attraverso una precisa condizione, il trasferimento dentro l’universo della letteratura […]. A ben vedere, Ovidio con questo non fa che procedere a una sorta di riformulazione di secondo grado dello spazio autonomo della letteratura, del suo diritto a presentare la finzione come verità, senza dover obbedire alle leggi del reale e del verisimile»; sul rapporto tra finzione (letteratura) e realtà nelle opere dell’esilio, cfr. in generale quanto già osservato supra, pp. 9 ss.; sul ‘ribaltamento’ del medesimo rapporto come tratto distintivo della poetica e dell’estetica ovidiane, cfr. parimenti supra, p. 72 n. 31.

‘visione’ dei versi precedenti, rigettando recisamente – considerando addirittura sciocchi e puerili – i desideri espressi dall’esule.21 Anche in Tr. IV 7 una nutrita serie di storie e di situazioni mitiche (la testa di Medusa, Scilla, la Chimera, i Centauri, Gerione, Cerbero, la Sfinge, le Arpie, i Giganti, Gige, il Minotauro) viene menzionata allo scopo di garantire la fiducia che l’esule continua a nutrire nei confronti di un amico (vv. 11 ss.):

quod precor, esse liquet: credam prius ora Medusae Gorgonis anguinis cincta fuisse comis,

esse canes utero sub virginis, esse Chimaeram, a truce quae flammis separet angue leam,

quadrupedesque hominis cum pectore pectora iunctos, tergeminumque virum tergeminumque canem, Sphingaque et Harpyias serpentipedesque Gigantas,

centimanumque Gygen22 semibovemque virum. haec ego cuncta prius, quam te, carissime, credam

mutatum curam deposuisse mei.

Il poeta costruisce, questa volta, un adynaton veramente tale: piuttosto che credere al tradimento dell’amico, l’esule sarebbe disposto a considerare vere le innumerevoli storie fantastiche del mito, popolate da esseri mostruosi dotati di piedi teste braccia in abbondanza; i numerosi aggettivi composti plurisillabici utilizzati nel brano vogliono per l’appunto trasmettere l’immagine di una realtà inesistente, fantastica, impossibile.23

21

Anche in Am. III 6.13 ss., rivolgendosi ad un amnis che gli impediva il passaggio e dunque l’accesso alla domina, Ovidio esprimeva una serie di desideri assai simili a quelli del nostro passo, parimenti segnalandone il carattere irrealizzabile: nunc ego, quas habuit pinnas Danaeïus heros, / terribili densum

cum tulit angue caput, / nunc opto currum, de quo Cerealia primum / semina venerunt in rude missa solum. / prodigiosa loquor, veterum mendacia vatum, / nec tulit haec umquam nec feret ulla dies; il passo

di Tr. III 8, così come quello di Am. III 6 e quello di Tr. IV 7 che stiamo per citare, vengono presi in esame da ROSATI 1979 (pp. 127 ss.), che a partire da essi svolge alcune importanti osservazioni sul tema del rapporto fra realtà e finzione nell’opera di Ovidio; per un confronto tra i passi di Tr. III 8 e Am. III 6, cfr. già LEE 1949 (p. 114: «the echo is probably unconscious») e – più utilmente – FRINGS 2005, pp. 223 ss.

22

Per la forma corretta di questo nome, cfr. quanto argomentato dallo stesso ROSATI 1979, p. 130 n. 43.

23 I vv. 16 e 18 del brano sopra riportato ricordano da vicino il celebre verso dell’Ars (II 24: semibovemque virum semivirumque bovem, ad indicare il Minotauro) oggetto dell’episodio raccontato da

È curioso il fatto, non certo sfuggito alla critica, che molte delle storie menzionate dall’esule nei due passi ora citati costituiscano oggetto di trattazione (o comunque di accenno) da parte dello stesso poeta nelle Metamorfosi:24 anche Ovidio, attraverso il poema delle mutatae formae, ha infatti contribuito alla ‘creazione’ di quel mondo immaginario che viene ora esplicitamente riconosciuto come falso, frutto della fantasia dei poeti (i mendacia vatum di Am. III 6.17). In quel poema, per l’appunto, il nostro autore si era fatto narratore di storie incredibili, spettacolari, il cui carattere ‘meraviglioso’ veniva costantemente segnalato nel corso del testo stesso: la cosiddetta ‘poetica della spettacolarità’, che costituisce un aspetto centrale del poema metamorfico, «si realizza sì nella visualizzazione degli eventi, ma facendo leva soprattutto sul mirum, sulla meraviglia che caratterizza la realtà rappresentata»;25 il ‘pubblico’ di Ovidio – costituito tanto dai personaggi interni al poema, che ascoltano le storie narrate da altri personaggi, quanto dai lettori ‘esterni’ dell’intera opera – viene sottoposto all’ascolto e alla lettura di vicende la cui verosimiglianza risulta in qualche caso posta legittimamente in dubbio.26 Al termine del racconto di Leuconoe intorno alla metamorfosi di Clizia, per esempio, le ascoltatrici di quella storia reagiscono in due modi diversi (Met. IV 271 ss.):

24 Sul passo di Tr. IV 7, cfr. quanto notato da D

AVISSON 1980-81, pp. 126 s.: «eight of the monsters listed appear in the Met. [in nota i passi precisi]. Although Ovid did not write the Met. to convince his readers that such creatures exist, he entertained the possibility of their existence for the purposes of that poem»; cfr. anche ROSATI 1979, p. 130 n. 43: «che insomma qui [scil. nel passo di Tr. IV 7] Ovidio voglia alludere specificamente alla presenza di quei miti nei suoi stessi testi a me pare molto probabile» (segue la citazione di paralleli, tratti dalle Metamorfosi e dalle altre opere ovidiane, che dimostrano la ripresa, nel nostro passo, di termini ed espressioni già utilizzate dal poeta); sul passo di Tr. III 8, cfr. quanto lo studioso parimenti osserva a p. 128 n. 41: «non sfuggirà né che due dei miti che egli ora elenca (Trittolemo e Perseo) già in am. III 6, 13 ss. […] erano definiti menzogne dei poeti, né soprattutto che tutti erano stati da lui stesso accolti nelle Metamorfosi».

25 R

OSATI 1983, p. 152 (su questo aspetto del poema ovidiano, da vedere l’intera sezione intitolata ‘Lo spettacolo della metamorfosi’, pp. 129 ss.); sul ‘vocabulary of surprise’ rintracciabile nelle Met. si era già soffermato ANDERSON 1963, p. 4; alla ‘poetica della spettacolarità’ fa riferimento anche HARDIE 2002b, p. 173: «the reader’s view is frequently focalised and guided through the astonished gaze of spectators within the text, so inviting our own presence at the visual feast of the poem»; cfr. anche HARDIE 2002a (pp. 38 ss.), che ricollega questo aspetto della poesia ovidiana a determinate tendenze ‘estetiche’ tipiche della prima età imperiale.

26 Sul ruolo del ‘pubblico’ nelle Met., lo studio di riferimento è costituito da W

HEELER 1999; per la suddivisione delle varie tipologie di pubblico si veda in particolare, alle pp. 74 ss., la sezione intitolata ‘Levels of Audience’: decisiva, in particolare, la distinzione fra la ‘narratorial audience’ (p. 78: «it shares with the narrator a willingness to entertain the “reality” of the story-world. This is not to say that it is naive and credulous, but rather that it is able to suspend its disbelief and to be enchanted by the poet’s song») e la ‘internal audience’ (p. 79: «it is well known that the Ovidian narrator frequently allows secondary narrators to tell stories to audiences inside the poem’s narrative. It is consequently necessary to distinguish between the external narrative frame and internal narrators and audiences»).

dixerat, et factum mirabile ceperat aures; pars fieri potuisse negant, pars omnia veros posse deos memorant.

C’è da notare innanzitutto l’attributo riferito al factum, alla storia narrata: esso è

mirabile, desta cioè la meraviglia tanto delle sorelle e delle ancelle di Leuconoe, che

costituiscono l’audience ‘interna’ al poema, quanto – si deve credere – del pubblico dei lettori ‘esterni’, parimenti impressionati dal racconto metamorfico;27 allo stesso tempo va rimarcata la reazione di una delle due partes in cui si dividono le ascoltatrici, che molto semplicemente non crede a quanto narrato. Parimenti ‘bipartito’ risulta l’effetto generato negli ascoltatori da Acheloo, non appena conclusa la narrazione di un altro

factum mirabile (VIII 611 ss.):

amnis ab his tacuit; factum mirabile cunctos moverat: inridet credentes, utque deorum spretor erat mentisque ferox, Ixione natus ‘ficta refers nimiumque putas, Acheloe, potentes esse deos’ dixit, ‘si dant adimuntque figuras.’ obstipuere omnes nec talia dicta probarunt, ante omnesque Lelex animo maturus et aevo sic ait: ‘inmensa est finemque potentia caeli

non habet et, quidquid superi voluere, peractum est.’

Ad essere discussa, in questi versi, non è semplicemente l’attendibilità della storia narrata da Acheloo, la metamorfosi di Perimele in isola; l’irriverente Piritoo mette anzi in dubbio la credibilità della metamorfosi in quanto tale, in quanto ‘fenomeno’ causato

27 In riferimento a metamorfosi, cfr. anche IV 747 (at pelagi nymphae factum mirabile temptant), IX 394

(dumque refert Iole factum mirabile…) e il passo che stiamo per citare; ad essere ‘meravigliati’ sono talvolta gli stessi personaggi che subiscono la metamorfosi: cfr. e.g. II 353 (le Eliadi: dumque ea

mirantur, complectitur inguina cortex), V 206 (Astiage: marmoreoque manet vultus mirantis in ore, su

cui si veda la n. di ROSATI 2009 ad loc.: «lo stupore di Astiage di fronte al «corpo di marmo» del nemico presuppone l’altro motivo ecfrastico dell’ammirazione-stupore di fronte all’opera d’arte»; cfr. già supra, p. 33), VII 292 (Aeson miratur); espressioni di meraviglia da parte del narratore, tanto ‘esterno’ quanto ‘interno’, ricorrono frequentemente anche nel corso del racconto, spesso in enunciati parentetici (su cui si veda lo studio complessivo di VON ALBRECHT 1963): cfr. e.g. VI 583 (mirum potuisse), VII 130 (quodque

magis mirum est), XI 51 (mirum!), XIV 406 (dictu mirabile); altri passi sono raccolti dal già citato

dagli dèi, incapaci – secondo il giudizio del personaggio – di ‘dare e togliere le forme’.28 È piuttosto notevole il fatto che, attraverso le parole del suo personaggio, Ovidio metta in questione la veridicità, la credibilità del suo intero poema, di cui si suggerisce la natura fittizia (ficta refers), fornendo ai lettori la possibilità di ‘schierarsi’ a favore del dissacrante Piritoo o del più giudizioso Lelege.29

Se dunque l’‘autocosciente’ poeta delle Metamorfosi poteva permettersi di sollevare dubbi intorno all’attendibilità del proprio stesso poema e delle ‘meravigliose’ storie che vi si narrano, di gran lunga più urgente risulterà il problema di credibilità che, come abbiamo visto nei passi sopra riportati, parimenti si pone al poeta esule, testimone e ‘narratore’ di eventi al limite del verosimile. Nelle opere dell’esilio, per l’appunto, la tendenza alla valorizzazione dell’elemento incredibile e ‘spettacolare’ (che, oltre a derivare dalla generica predilezione per il mirum che Ovidio dimostra di nutrire fin dalle

Metamorfosi, si spiega tenendo conto della volontà, da parte dell’esule, di fornire ai

lettori e ad Augusto l’immagine di una realtà ‘estrema’, ‘invivibile’, che infine a buon diritto il poeta chiede di abbandonare) si scontra con la necessità, percepita dall’esule, di risultare allo stesso tempo credibile, pena il fallimento della propria strategia comunicativa; va a mio parere senz’altro rilevato, in sostanza, il delicato equilibrio – perseguito da Ovidio nelle elegie dell’esilio – fra rappresentazione ‘spettacolare’ ed urgenza ‘persuasiva’.

28 Sul passo di Met. VIII si sofferma utilmente W

HEELER 1999, pp. 167 ss.; lo studioso giustamente segnala la centralità del brano, che propone una riflessione valida per l’intero poema: «two general types of audience can be discerned: believers and disbelievers. The tension between a skeptical and a credulous reading of the Metamorphoses receives its fullest exposition during an altercation at the banquet of Achelous, an episode that is generally recognized as the center of the poem»; sul passo, cfr. anche FEENEY 1991, pp. 229 ss. («the Metamorphoses’ challenges to our belief in its fiction are relentless, for Ovid continually confronts us with such reminders of his work’s fictional status»; segue la discussione del brano di Met. VIII); GILDENHARD – ZISSOS 2004, pp. 67 s. («in effect, this deorum spretor […] questions the entire ‘truth-value’ of Ovid’s poem»); sul riferimento ‘intratestuale’ rintracciabile nell’espressione ‘dant adimuntque figuras’, cfr. la n. di KENNEY ad loc.: «il soggetto del poema (I 1-2). L’occhiolino intertestuale al lettore non potrebbe essere più chiaro senza diventare goffamente ovvio».

29 Cfr., su questo punto, F

EENEY 1991, pp. 230 s.: «by splitting our response up into these two polarized alternatives he is making us realize that to swim successfully in the sea of the Metamorphoses we must be both Lelex and Pirithous. Readers tend to be either Lelex or Pirithous. […] no matter how often Ovid reminds us, either through his own voice or by allusion, of the fictional status of his poem’s events, we still give enough credence to these events to be impelled to keep reading, to discover what ‘happened’ next. The double vision that comes from being both Lelex and Pirithous may indeed be seen as a necessary condition for reading any fiction»; sulla complicazione derivata dalla caratterizzazione ‘negativa’ di Piritoo, l’irriverente deorum spretor, cfr. WHEELER 1999, p. 170: «if Pirithous is a skeptic and skeptics are impious, what implications does this have for Feeney’s point that to swim in the sea of the Metamorphoses we must be both Lelex and Pirithous? How is this possible, if to be Pirithous is to be a contemptuous blasphemer of the gods? Is one supposed to identify with such a character? Is one supposed to listen to Lelex with the same skepticism?».

La dialettica tra mirum e fides (nel senso appunto di ‘credibilità’) risulta centrale in alcune elegie di ex P. IV, sulle quali vorrei infine soffermarmi;30 come si vede, la problematica ora individuata continua a suscitare la considerazione dell’esule fino all’ultima raccolta inviata da Tomi. Non sarà certo un caso, d’altro canto, se la rivendicazione della veridicità dei ‘resoconti’ forniti risulta particolarmente accentuata in una raccolta il cui ‘proemio al mezzo’ (ex P. IV 8) orgogliosamente riafferma – come abbiamo visto – la facoltà ‘creatrice’ di cui sono in possesso i poeti, in grado di ‘plasmare’ la realtà e di rendere ‘effettivi’ (‘reali’) gli eventi della storia;31 il rischio è infatti quello di trasmettere l’idea che anche la ‘realtà’ narrata e descritta nei carmi dell’esilio (il mondo di Tomi e dintorni) è frutto della ‘fantasia’ del poeta, che ne ha creato un’immagine non autentica, bensì fittizia: a questo rischio l’esule cerca di ovviare, in ex P. IV, attraverso alcune strategie in parte inedite.

L’epistola precedente il ‘proemio al mezzo’ (ex P. IV 7) è indirizzata a Vestale, il centurione primipilo che ebbe un ruolo decisivo nella riconquista della città tracia di Egiso nel 12 d.C.32 Prima di rievocare, in un brano esemplare quanto ad ‘epic in elegy’,33 le gesta memorabili compiute dal centurione in occasione di quella battaglia, che vengono così consegnate all’eternità (vv. 53 s.: vincitur Aegisos, testataque tempus

30 Si tratta di ex P. IV 7, 9 e 10; sull’aspirazione alla credibilità rintracciabile in queste tre elegie, cfr. già

FRÄNKEL 1945, p. 134; sulle medesime elegie si sofferma parimenti GAHAN 1978, pp. 200 ss.: «in all three letters in fact Ovid is anxious to defend the complaints he has made about Pontus and its climate» (p. 201); sul concetto di fides applicato all’elegia erotica latina, cfr. quanto già argutamente osservato da ALLEN 1950, pp. 146 s.: «fides is the word which in Latin comes nearest to expressing the idea contained in our word “sincerity”, but there is an important difference. Fides contains simultaneously the ideas of “sincerity” and “persuasiveness.” […] Fides involves a relationship between the speaker and his audience; it means both good faith on the part of a speaker and the acceptance by an audience of his pretension to speak in good faith».

31 Su ex P. IV 8, cfr. supra, pp. 71 ss.

32 Ovidio costituisce la principale fonte degli eventi legati ad Egiso (per i quali cfr. S

YME 1978, pp. 81 ss.), di cui viene menzionata la cattura da parte dei barbari in ex P. I 8.11 ss.; dopo un tentativo di riconquista per mano del re trace Remetalce (o di suo figlio Coti, il destinatario di ex P. II 9), la città venne definitivamente liberata in seguito all’invio di un contingente agli ordini di Vitellio (cfr. ex P. IV 7.27 s.); in quest’occasione si distinse per l’appunto Vestale, il destinatario della nostra epistola, che ricopriva la carica di primus pilus in una delle legioni. La genealogia di Vestale è controversa: quel che è certo, egli faceva parte della dinastia dei Cottii, re alpini (cfr. il v. 6 della nostra elegia: Alpinis iuvenis

regibus orte; così pure il v. 29: progenies alti fortissima Donni), sulla quale lo studio di riferimento è

costituito da LETTA 1976(albero genealogico a p. 68); per un inquadramento della figura di Vestale, si vedano il comm. di HELZLE 1989 all’elegia (pp. 156 s.) e GALASSO 2008a, pp. XLIII s.

33 Per tutti i rimandi ‘epici’ rintracciabili nel resoconto dei vv. 15 ss. si veda W

ILLIAMS 1994, pp. 36 ss.: «through Ovid’s allusive use of diction in lines 15-54, Vestalis’ exploits are given a highly stylized epic dimension which, as the closing couplet informs us, is as decisive in establishing Vestalis’ heroic status as his contribution was to the conquest of Aegisos. […] The kind of epic hero which Vestalis becomes in P. 4.7 simply does not exist outside the world of literary invention».

in omne / sunt tua, Vestalis, carmine facta meo), l’esule coglie l’occasione fornita dalla

seconda ‘visita’ di Vestale in terra pontica34 per prenderlo a testimone di alcuni ‘fatti’ di cui il poeta ha già avuto modo di lamentarsi nel corso delle raccolte precedenti (vv. 1 ss.):

missus es Euxinas quoniam, Vestalis, ad undas, ut positis reddas iura sub axe locis,

aspicis en praesens, quali iaceamus in arvo,

nec me testis eris falsa solere queri. accedet voci per te non irrita nostrae,

Alpinis iuvenis regibus orte, fides. ipse vides certe glacie concrescere Pontum,

ipse vides rigido stantia vina gelu; ipse vides, onerata ferox ut ducat Iazyx

per medias Histri plaustra bubulcus aquas. aspicis et mitti sub adunco toxica ferro

et telum causas mortis habere duas.

atque utinam pars haec tantum spectata fuisset, non etiam proprio cognita Marte tibi!

Gli elementi descrittivi menzionati da Ovidio in questi versi sono gli stessi che già si incontrano in Tr. III 10: tornano ad essere segnalati il congelamento del Danubio, l’‘indurimento’ dei vini, il passaggio dei barbari attraverso il fiume ghiacciato, le frecce avvelenate.35 Questa volta, tuttavia, non è l’esule ad esserne l’unico testimone: anche Vestale, inviato nei luoghi dell’esilio di Ovidio, può vedere (aspicis en praesens; ipse

vides, ripetuto in anafora; aspicis; utinam … tantum spectata fuisset) e garantire

34 Secondo S

YME 1978 (pp. 82 s.), a Vestale sarebbe stato conferito l’incarico di praefectus orae

maritimae; ma cfr. il comm. di HELZLE 1989, p. 157: «since all evidence is inconclusive and one cannot be sure whether such praefecti would have had civil as well as military powers it might be worth suggesting another post for him. Ovid’s phrase Missus es (1) might suggest that Vestalis was a legatus

legionis». 35

Per il congelamento del Danubio e il passaggio dei barbari sul fiume ghiacciato, passo completo riportato supra, p. 92; per l’indurimento dei vini, cfr. – sempre di Tr. III 10 – i vv. 23 s. (nudaque

consistunt, formam servantia testae, / vina, nec hausta meri, sed data frusta bibunt); per le frecce

avvelenate, i vv. 63 s. (pars cadit hamatis misere confixa sagittis: / nam volucri ferro tinctile virus inest); per i paralleli che di questi elementi si riscontrano nella descrizione virgiliana della Scizia in Georg. III, cfr. – oltre alla bibliografia citata supra, p. 91 n. 6 – WILLIAMS 1994, p. 35 n. 66.

l’effettiva ‘veridicità’ (v. 6: fides) di quegli aspetti incredibili e ‘spettacolari’ della realtà pontica che in Tr. III 10 l’esule per la prima volta dichiarava di aver visto (si rammenti, di quell’elegia, il v. 37: vidimus ingentem glacie consistere pontum; da confrontare con il v. 7 della nostra epistola: ipse vides certe glacie concrescere Pontum). L’intera sezione ‘celebrativa’ che segue il nostro passo risulta introdotta, quasi spiegata, dalla volontà dell’esule di dimostrare la conoscenza ‘empirica’ (v. 14: cognita) che Vestale ha fatto dei pericoli e delle difficoltà di cui la regione pontica è tanto ricca.36