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Questioni inerenti al principio di offensività: diritto sovranazionale e obblighi di incriminazione.

LA CONTROVERSA DISCIPLINA IN MATERIA DI TERRORISMO

1. Questioni inerenti al principio di offensività: diritto sovranazionale e obblighi di incriminazione.

L’irrompere del diritto sovranazionale nel sistema penale rende incompleta un’indagine sulla portata del principio di offensività nel nostro ordinamento che non tenga conto dell’incidenza delle fonti internazionali nella legislazione interna.

Com’è noto, dall’adesione ai Trattati istitutivi dell’Unione europea e alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) discende l’obbligo per il legislatore nazionale

ex art. 117, primo comma, della Carta fondamentale (letto unitamente

173 G. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 150 afferma che «non sono né la teoria del bene giuridico (in sé considerata), né la teoria del danno (in sé considerata) a poter decidere da sole della legittimità degli oggetti di tutela penale. A decidere dei presupposti della criminalizzazione sono, piuttosto, argomentazioni e scelte assiologiche che hanno a che fare col modo di concepire la democrazia costituzionale e, soprattutto, con le sue modalità di funzionamento concreto».

174 Di contrario avviso, G. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 149, secondo cui gli spazi di discrezionalità politico-democratica non andrebbero riempiti «con una precostituita grammatica penale imposta dall’alto di una presunta verità scientifica o filosofica».

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all’art. 11 con esclusivo riferimento al diritto dell’Unione europea) di rispettare il diritto sovranazionale che da tali ordinamenti scaturisce175 nell’interpretazione fornitane dalle Corti europee. Il richiamo è, da un lato, alla Corte di Lussemburgo, dall’altro alla Corte di Strasburgo, detentrici del monopolio sull’interpretazione, rispettivamente, del diritto dell’Unione europea e della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.

Invero, ancorché in ambito sovranazionale non si faccia riferimento alcuno al principio costituzionale di offensività, il concreto dispiegarsi delle fonti europee, in senso ampio intese, richiama sovente temi connessi ai contenuti del principio.

Si pensi, in tal senso, alla questione circa la sussistenza di obblighi di incriminazione del legislatore nazionale rispetto a condotte offensive di beni giuridici e diritti riconosciuti come fondamentali in ambito sovranazionale.

Se nell’ordinamento interno il tema del bene giuridico assume generalmente rilievo al fini di circoscrivere l’area del penalmente rilevante176, è interessante rilevare come, al contrario, nella prospettiva

175 Sul fondamento costituzionale del diritto dell’Unione europea e del diritto che promana dalla CEDU, v. ex multis Corte cost. (22 ottobre) 24 ottobre 2007, n. 348 e Corte cost. (22 ottobre) 24 ottobre 2007, n. 349.

176 Nell’ordinamento nazionale non riceve, infatti, generali consensi l’interpretazione secondo cui dal riconoscimento di diritti fondamentali nella Carta costituzionale si potrebbe desumere la sussistenza di impliciti obblighi di tutela penale di beni siffatti: sul punto v. supra cap. I, parte I, § 5.

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sovranazionale la tutela di diritti fondamentali assurga spesso a fattore espansivo del diritto penale.

Il riferimento è, in primis, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che in più occasioni, pur in assenza di indicazioni in tal senso rintracciabili nel documento normativo, ha posto in capo agli Stati aderenti alla Convenzione obblighi di incriminazione a tutela di diritti ivi sanciti177.

Più nel dettaglio, secondo l’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi in seno alla Corte EDU, gli Stati firmatari dovrebbero non soltanto astenersi dalla violazione dei diritti fondamentali (obblighi

negativi), ma altresì attivarsi per prevenire violazioni simili e, nell’eventualità, provvedere ad una efficace repressione delle stesse (obblighi positivi), facendo, in talune circostanze, imprescindibile ricorso alla sanzione penale178.

La portata innovativa di un’impostazione simile ben si comprende laddove si presti attenzione al “capovolgimento” di prospettiva nella protezione dei diritti fondamentali: in passato tutelati “dal” diritto penale, oggi tutelati “mediante” il diritto penale179.

177 Per una ricostruzione della giurisprudenza sul punto, V. G. DE VERO, La giurisprudenza della Corte di

Strasburgo, in G. de Vero-G. Panebianco, Delitti e pene nella giurisprudenza delle Corti europee, Torino, 2007, pp. 28 ss.

178 C. PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale, Pisa, 2009, pp. 174 ss.

179 In questo senso, Ibidem, pp. 176-177; F. VIGANÒ, Il diritto penale sostanziale italiano davanti ai

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Nella stessa direzione si inscrive il diritto dell’Unione europea, rispetto al quale la questione degli obblighi di incriminazione assume interesse ancor maggiore, giacché oggi, superando le antiche “incertezze” sul punto, l’entrata in vigore del Trattato firmato a Lisbona nel 2007 consente di parlare a pieno titolo di “diritto penale europeo”.

Analogamente a quanto riscontrato con riferimento alla giurisprudenza della Corte EDU, incidenze del diritto europeo sul diritto penale si rinvenivano ancor prima del menzionato Trattato, giacché, pur mancando un referente normativo che attribuisse competenze penali all’Unione, la Corte di Giustizia aveva più volte affermato l’obbligo degli Stati membri di predisporre tutele penali a presidio di interessi europei.

In particolare, ad una prima fase in cui la Corte di Lussemburgo si limitava ad invitare gli Stati membri ad apprestare sanzioni effettive ed efficaci dinanzi a violazioni del diritto comunitario, è seguita l’affermazione del principio di “assimilazione sanzionatoria”, alla cui stregua gli Stati membri dovrebbero parificare le conseguenze discendenti dalla violazione del diritto europeo alle infrazioni del diritto nazionale (garantendo effettività, proporzionalità e capacità dissuasiva della misura

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adottata), poi sfociato nella espressa affermazione di obblighi di penalizzazione a tutela di determinati interessi180.

Nel ragionamento della Corte, simili obblighi di incriminazione trovavano fondamento nell’art. 4 TUE (ex art. 10 TCE) che, sancendo il principio di leale cooperazione, comporta l’obbligo degli Stati di adottare le misure necessarie per rendere effettivo il diritto europeo, ricorrendo, quando necessario, allo strumento penale181.

Il cammino intrapreso dalla Corte di Lussemburgo per la tutela di interessi dell’Unione ha, poi, trovato sbocco nel pieno riconoscimento della competenza penale europea per le materie individuate nel Trattato di Lisbona. Uno sguardo alle norme ivi contenute consente di apprezzare immediatamente la differenza tra gli obblighi di penalizzazione, di matrice giurisprudenziale, discendenti dall’appartenenza al Consiglio d’Europa e gli obblighi che potrebbero trovare fondamento nel menzionato Trattato, giacché la competenza penale dell’Unione europea non risulta strettamente limitata alla tutela di quei diritti fondamentali che, mutuando il lessico nostrano, possono senz’altro assurgere al rango di beni meritevoli di tutela penale.

180 V. C. PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale, cit., pp. 193 ss. Sul punto, v. anche A. GULLO,

Deflazione e obblighi di penalizzazione di fonte UE, in www.dirittopenalecontemporaneo.it, 10 febbraio 2016.

181 Per una ricostruzione sul tema e un’analisi dei casi in cui la Corte di Giustizia ha riconosciuto la sussistenza di obblighi di incriminazione, v. G. PANEBIANCO, La giurisprudenza della Corte di

Lussemburgo, in G. de Vero-G. Panebianco, Delitti e pene nella giurisprudenza delle Corti europee, cit., pp. 95 ss.

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Ed infatti, l’art. 83 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) attribuisce competenza penale agli organi europei in due direzioni differenti.

Il paragrafo 1 dell’art. 83 delinea la cosiddetta competenza

autonoma, prevedendo la possibilità dell’Unione europea di dettare norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in una serie di materie espressamente indicate (ma suscettibili di ampliamento), riguardanti settori di criminalità particolarmente grave e che presentano dimensione transnazionale.

Un secondo ambito di competenze è delineato dal paragrafo 2 dell’art. 83, che prevede la possibilità di un intervento del legislatore penale europeo mediante norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni «Allorché il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale si rivela indispensabile per garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione». È questa la cosiddetta competenza penale accessoria.

Orbene, dall’esercizio di competenze penali in sede europea discende, quale naturale precipitato, l’impossibilità per gli Stati membri di formulare quelle valutazioni relative alla necessità e meritevolezza di tutela penale che, stante la portata invasiva della sanzione criminale, dovrebbero

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rappresentare momento fondamentale nella scelta dello ius terribile in luogo di strumenti extrapenali. Ed infatti, sebbene l’Unione si rivolga ai legislatori nazionali, non potendo introdurre fattispecie incriminatrici direttamente applicabili ai singoli, gli Stati membri non possono discostarsi dalle opzioni di criminalizzazione adottate sul piano sovranazionale.

In casi simili, la scelta degli interessi la cui protezione merita sanzione penale è rimessa al legislatore europeo, la scelta della soglia di tutela da apprestare per gli interessi in rilievo è rimessa al legislatore europeo: evidente è la tensione tra un’impostazione siffatta e i principi che reggono la materia penale in ambito nazionale, ove le problematicità maggiori si colgono rispetto ai principi di legalità e di offensività.

Più in generale, la tendenza degli ordinamenti sovranazionali all’imposizione di obblighi di penalizzazione, oltre a sovrastare la discrezionalità politico criminale del legislatore nazionale, si pone in “controtendenza” rispetto a quei fondamentali principi garantisti che permeano il nostro tessuto costituzionale e che, tenendo conto della potenziale incidenza della pena criminale sulla libertà personale, tendono alla delimitazione dell’area di rilevanza penale182.

182 V., per tutti, C. PAONESSA, Gli obblighi di tutela penale, cit., pp. 57 ss. Sulla capacità di resistenza dei principi del diritto penale dinanzi ai doveri di punire internazionali v. anche S. MANACORDA, “Dovere di punire”? Gli obblighi di tutela penale nell’era dell’internazionalizzazione del diritto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2012, pp. 1391 ss.

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2. Sulla possibile sussistenza del principio di offensività in ambito