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LA CONTROVERSA DISCIPLINA IN MATERIA DI TERRORISMO

8. Segue: considerazioni conclusive.

Dall’esame, seppur sommario, di alcune fattispecie di reato predisposte dal legislatore nazionale in materia di contrasto al terrorismo, è possibile abbozzare una risposta all’interrogativo sopra posto in ordine all’influenza della normativa sovranazionale nel rispetto del volto

costituzionale dell’illecito penale.

La stretta correlazione tra gli attacchi terroristici di Londra e di Parigi e l’immediata introduzione di nuove fattispecie antiterrorismo, rispettivamente nel 2005 e nel 2015, è sicuramente espressione di un trend di politica criminale nazionale, (purtroppo) ormai consolidato, che si caratterizza per il ricorso allo strumento penale quale panacea di tutti i mali e unico strumento a tutela del bene giuridico “sicurezza”238. Così, nella

237 Sul punto, v. anche A.CAVALIERE, Considerazioni critiche, cit., p. 10.

238 Sull’idea di sicurezza come fattore espansivo del diritto penale v., per tutti, D.PULITANÒ, Sicurezza e

diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, pp. 547 ss. e L. RISICATO, Verso un diritto penale

illiberale? La crisi di senso dell’intervento penale tra derive securitarie e paternalistiche, in Studi in onore di M. Romano, I, Napoli, 2011 pp. 525 ss. Sul difficile rapporto tra istanze securitarie e diritto penale, v. cap. III, sez. I, § 1 e cap. III, sez. II, § 9.

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prassi legislativa degli ultimi decenni, a fronte di episodi di efferata violenza, il ricorso all’intervento penale sembra più rispondere a istanze di rassicurazione sociale che a ponderate logiche di tutela di beni meritevoli da effettivi pregiudizi (attuali o potenziali); considerazioni che sembrano suffragate dall’introduzione delle nuove fattispecie incriminatrici mediante il ricorso alla decretazione d’urgenza ex art. 77 della Carta fondamentale239. Circostanze simili potrebbero condurre all’affermazione alla cui stregua la notevole anticipazione della soglia di tutela penale operata dalle norme esaminate e il “superamento” dei confini imposti dai principi che permeano la materia penale sia in linea con la politica securitaria interna degli ultimi anni, a nulla rilevando gli obblighi posti sul fronte sovranazionale.

Ciononostante, non può farsi a meno di rilevare il ruolo assunto dalle fonti sovranazionali, ripetutamente richiamate dal legislatore interno, nella formulazione delle fattispecie esaminate, giacché la politica antiterroristica europea (e sovranazionale in genere), lungi dal far riferimento a paradigmi di illecito penale offensivo, sembra spesso suffragare (rectius: obbligare) l’utilizzo di tecniche di strutturazione della fattispecie distanti dal modello costituzionale, dirette all’incriminazione di tutti gli atti che in senso lato

239 Sulle problematiche sottese all’utilizzo del decreto legge quale fonte di produzione di fattispecie incriminatrici, v., per tutti, G. DE VERO, Corso di diritto penale, cit., pp. 242 ss.

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possano considerarsi preparatori rispetto a fatti che assurgono a reato in quanto sorretti dalla “finalità terroristica”.

Il legislatore nazionale sembra, allora, trovare nelle fonti sovranazionali un “sostegno” per l’introduzione di incriminazioni ai limiti dell’illiberalità, espressione di quei proclamati slogan di “tolleranza zero” in grado di assicurare (temporaneo) sollievo agli stati emotivi di paura e di impotenza che dilagano tra i consociati.

Tali considerazioni, che potrebbero avallare le “preoccupazioni” circa l’insussistenza dei contenuti propri del principio di offensività nella politica criminale europea240, sembrano, peraltro, trovare conforto nella recente direttiva (UE) 2017/541 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo, che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/475/GAI.

Quest’ultima, fondata sull’art. 83, paragrafo 1, del TFUE, oltre a prevedere l’incriminazione di una serie di condotte (quali il reclutamento e l’addestramento a fini terroristici o il compimento e l’agevolazione di viaggi all’estero a fini terroristici) la cui rilevanza penale, in omaggio alle fonti sovranazionali a suo tempo richiamate, è stata già prevista nel nostro ordinamento, ricomprende tra gli obblighi di incriminazione alcune condotte della cui conformità al principio di offensività è lecito dubitare.

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Il riferimento è, a titolo esemplificativo, agli obblighi, discendenti dall’art. 14, di incriminare il concorso, l’istigazione e il tentativo di delitti di attentato, laddove la logica di estendere la sanzione penale a tutti i comportamenti lato sensu prodromici ad atti terroristici comporta la punizione di condotte notevolmente distanti rispetto all’effettiva offesa241.

Sullo sfondo di incriminazioni di tal fatta pare potersi scorgere una visione del sistema penale finalizzata alla neutralizzazione della pericolosità dei potenziali rei attraverso l’incriminazione di tutti quei comportamenti che potrebbero sfociare in condotte offensive242.

Pur non potendosi negare la necessità di apprestare tutele anticipate a fronte di preoccupanti fenomeni, potenzialmente in grado di offendere beni primari e la cui crescita esponenziale è oggi agevolata dal ricorso a strumenti informatici, permane il dubbio in ordine all’effettiva compatibilità con il dettato costituzionale di illeciti penali così strutturati.

Si profilano due prospettive differenti.

Su un primo fronte, si potrebbe ipotizzare una vera e propria sottrazione di alcune materie aventi estremo rilievo (quali il contrasto al terrorismo) dalle garanzie costituzionali proprie del nostro sistema penale;

241 Le perplessità oggi sollevate dalla direttiva erano già state manifestate nei confronti della proposta di direttiva. Sul punto, v. G.PANEBIANCO,La variabile consistenza delle garanzie penali, cit., pp. 1754 ss. 242Sulla distinzione tra diritto penale “della normalità”, ispirato a logiche “repressivo-reattive” dirette alla punizione di fatti già commessi, e diritto penale “emergenziale” che, ispirato a una logiche “preventivo- preventive”, intende frapporre ostacoli alla materiale realizzazione di reati, v. R. BARTOLI, Legislazione e

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sul fronte opposto, andrebbe considerata una completa riforma della legislazione antiterroristica che coniughi effettivamente le esigenze di anticipazione della tutela e il principio alla cui stregua la sanzione criminale deve sempre essere subordinata, quantomeno, alla esposizione a pericolo del bene protetto. In quest’ultimo caso si ridimensionerebbe il ruolo ermeneutico degli operatori del diritto, troppo spesso costretti a “manipolazioni” normative dirette a rendere costituzionalmente conformi incriminazioni che così strutturate non risultano tali.

La seconda soluzione, ancorché auspicabile, sembra, però, ostacolata dalle sollecitazioni sovranazionali. Tutto ciò rende sempre più difficile la “tenuta” dello statuto costituzionale dell’illecito penale.

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CAPITOLO III