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Figura 4.7: margine di struttura primario

Un altro tipo di analisi da prendere opportunamente in considerazione è quella legata agli indici di correlazione: attraverso due particolari indicatori è possibile studiare la copertura finanziaria e la solidità delle fonti di finanziamento.

- Il quoziente primario di struttura, calcolato come rapporto tra mezzi propri e attivo immobilizzato, viene riassunto nella Figura 4.6; si può agevolmente constatare che nella maggior parte dei casi riporta valori superiori all’unità, il ché implica una copertura più che sufficiente per soddisfare i fabbisogni finanziari da parte delle immobilizzazioni; a maggior rigore è opportuno analizzare la copertura riportando, di seguito, un altro indicatore.

- Il margine di struttura primario (Figura 4.7), calcolato per differenza tra i mezzi propri e l’attivo immobilizzato, restituisce un valore positivo nella maggior parte degli anni, che si traduce nella capacità di generare mezzi di pagamento idonei ad assolvere puntualmente le obbligazioni assunte. I due indici sopra calcolati, potrebbero esse ulteriormente modificati qualora si considerasse, tra le coperture, anche le passività a medio-lungo termine: in questo caso, tuttavia, si ritiene pressoché inutile questo tipo di valutazione, in quanto è ben riscontrabile che le coperture finanziarie fossero ben calibrate per garantire la solvibilità delle obbligazioni sociali.

Figura 4.6: quoziente primario di struttura

Fonte: rielaborazione personale sulla base di dati forniti dall’Archivio storico Fiat

Proseguendo ulteriormente con l’analisi, si espone l’elasticità e rigidità degli impieghi, al fine di apprezzare il peso relativo assunto dai due aggregati principali dell’attivo della situazione patrimoniale rapportati con il totale dell’attivo. Essendo l’uno il complementare dell’altro, i due indicatori forniscono una visione chiara riguardo all’incidenza dell’attivo corrente e dell’attivo immobilizzato sul totale; l’elasticità strutturale degli impieghi cresce all’aumentare dell’incidenza dell’attivo corrente su quello netto (e viceversa per la rigidità). Come si evince dalla Figura 4.8, tranne nel primo decennio di vita della Fiat, prevale complessivamente una situazione di elasticità degli impieghi: un’azienda dotata di buona elasticità strutturale risulta in grado di essere più flessibile ai cambiamenti dell’ambiente in cui opera, e questo trascende dal fatto che le poste comprese nell’attivo corrente possono essere liquidate con maggiore facilità rispetto a quelle immobilizzate.

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ANNO Elasticità impieghi Rigidità impieghi 1900 45% 55% 1901 35% 65% 1902 54% 46% 1903 63% 37% 1904 63% 37% 1905 80% 20% 1906 49% 51% 1907 46% 54% 1908 46% 54% 1909 48% 52% 1910 50% 50% 1911 51% 49% 1912 56% 44% 1913 49% 51% 1914 51% 49% 1915 69% 31% 1916 69% 31% 1917 64% 36% 1918 69% 31% 1919 89% 11% 1920 79% 21% 1921 78% 22% 1922 73% 27% 1923 74% 26% 1924 82% 18% 1925 80% 20% 1926 82% 18% 1927 79% 21% 1928 77% 23% 1929 75% 25% 1930 73% 27% - 1,00 2,00 3,00 4,00 5,00 6,00 1900 1902 1904 1906 1908 1910 1912 1914 1916 1918 1920 1922 1924 1926 1928 1930

Leverage

Leverage Soglia 1 Soglia 2

Figura 4.8: elasticità e rigidità impieghi

Figura 4.9: il Leverage aziendale

Considerando il settore produttivo nel quale s’inserisce la nostra azienda, si può affermare che i valori di elasticità superiori al 50% sono molto positivi, in quanto va considerato che un’azienda industriale, generalmente, presenta una prevalenza di immobilizzazioni rispetto ad attività correnti.

Approfondendo con lo studio, il rapporto di leva (Figura 4.9) calcolato rapportando le fonti di finanziamento con il capitale proprio, apre tre scenari:

- il leverage non assume mai valori inferiori a 1, quindi l’azienda si finanzia ricorrendo a mezzi di terzi;

- quando si attesta tra valori compresi tra 1 e 2, il capitale proprio è maggiore del capitale di terzi; - quando, invece, assume valori superiori a 2 implica che il capitale di debito supera il capitale

proprio.

Dato che l’impresa presenta un leverage fra 1 e 2 implica che si è attestata in corretto equilibrio nell’ambito delle fonti di finanziamento, e solo in pochi casi risulta sottocapitalizzata, e in tali casi si è reso necessario un processo di ricapitalizzazione25.

Fonte: personale rielaborazione sulla base di dati forniti dall’Archivio storico Fiat

CAPITOLO 5: IL CASO ALFA ROMEO

Nell’epoca in cui nasce la Fiat, in Italia sono presenti numerose piccole realtà, inizialmente sorte come aziende artigianali ad alto contenuto di manualità, con produzioni molto limitate, specializzate in un settore nuovo e in via di sviluppo. Tra le altre, assumerà sempre più importanza un’azienda nata a Milano, l’Alfa

25 Per l’esposizione ed il commento degli indicatori è stato consultato il testo di U. Sostero, P. Ferrarese, M.Mancin,

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Romeo. In questa sede si ripercorranno le vicende che hanno caratterizzato il sorgere di questa nuova azienda, con lo scopo di mettere in luce assonanze e dissonanze con lo sviluppo dell’azienda torinese. Nel 1906 la multinazionale francese Darracq aprì un’officina in zona Portello, precisamente al numero civico 95 della Strada del Portello nella periferia nord-ovest di Milano, dove venivano già assemblate vetture prodotte in Francia. Nonostante i buoni propositi iniziali, i progetti della Darracq finirono ben presto per dissolversi, data la mancanza di affezione da parte della clientela alle vetture e alla situazione tumultuosa nella quale si era insediata la nuova società, afflitta da una crisi nel settore automobilistico italiano. Inoltre, le piccole vetture prodotte, bicilindriche, non si rivelavano adatte alle pendenze delle strade italiane; oltretutto, venivano impiegati materiali scadenti nella fabbricazione26. Fu così che tutti i macchinari e le

strutture vennero rilevate da un gruppo di finanzieri lombardi, che diedero vita all’impresa A.L.F.A. (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) - in seguito rinominata Alfa Romeo per effetto dell’acquisizione del controllo da parte dell’imprenditore napoletano Nicola Romeo – grazie anche all’appoggio della Banca Agricola Milanese che fece da garante27. Già nel 1911 si registrano le prime vendite sotto nuovo nome, e

ben presto la neo-impresa guadagnerà l’affezione di un pubblico sempre più vasto, di un target di clienti sempre più allargato, e accomunato dalla passione per le autovetture che incarnano appieno il concetto di sportività associato ad un’innata vocazione al prestigio e al fascino italiano.

Dopo un esordio nel mondo delle competizioni, sarà proprio grazie alle vetture concepite per le corse che l’Alfa riuscirà a sperimentare le migliori soluzioni tecniche e tramutarle poi nelle vetture commercializzate, seppur in numero inizialmente molto contenuto, considerato – come detto poc’anzi – l’elevato contenuto di artigianalità che era insito nelle Alfa e l’agguerrita concorrenza nazionale. Infatti, se considerata a livello nazionale, l’Alfa non ha mai rappresentato “l’auto per tutti”: questo concetto era particolarmente rispecchiato nella produzione Fiat, la quale produceva delle vetture per il grande pubblico, e grazie alle varie politiche strategiche adottate, si avrà un ampliamento della gamma per poter proporre quante più vetture ad un pubblico sempre più esigente e variegato. L’Alfa produce vetture per pochi, destinate prevalentemente ad un’élite di persone che richiede un’automobile sportiva, veloce, dal temperamento nervoso e dalla meccanica raffinata. Tuttavia, nonostante la crescente domanda, la produzione faticherà a soddisfare le richieste del pubblico, in quanto incapace di garantire elevati quantitativi produttivi.

Si riscontrano, tuttavia, con la Fiat dei punti di analogia in termini di scelte strategiche, considerato che le due aziende operano nella stessa realtà territoriale, seppur con diversi target di mercato, ma entrambe assoggettate alle stesse vicende storico-economiche avvenute fino al 1930.

In particolare, con l’avvento della prima guerra mondiale, anche l’Alfa emarginerà la produzione di autovetture civili per dedicarsi alla fornitura di mezzi militari e di armamenti. Durante gli anni del conflitto l’Alfa si concentrerà sulla produzione di compressori ad aria, lanciafiamme, proiettili d’artiglieria e motori per l’aviazione; inoltre, le politiche orientate alla diversificazione propenderanno per la produzione di trattrici per la motoaratura, macchinari per l’edilizia e freni aerodinamici Knorr. Tuttavia, date le mutate esigenze aziendali, sarà necessario rivedere l’organizzazione del lavoro all’interno del Portello, dove verranno affiancate alla produzione automobilistica le tre nuove sezioni denominate Trento, Trieste e Gorizia, alle quali si affidano costruzioni diverse dalle vetture. Anche le assunzioni di operai passeranno da qualche centinaia a 1200 persone, e destinate ad aumentare a breve. Alla fine del 1918 l’azienda conta 3346 unità, e viene rinominata Alfa Romeo28.

26 Alfa Romeo, Cuore sportivo, S. Massaro, pg.29

27 Un secolo di auto italiana. Alfa Romeo. Tutti i modelli del Novecento. Quattroruote Ruoteclassiche, pg. 2-67 28 Alfa Romeo, Cuore sportivo, S. Massaro, pg.47

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Le lotte sindacali finiranno per coinvolgere anche l’apparato produttivo dell’Alfa, che associate ad un tracollo finanziario del principale azionista (la Banca Italiana di Sconto), porteranno l’azienda in momenti oscuri, e per tornare alla luce si renderà necessario stringere degli accordi con il regime fascista, che poi culminerà poi nel 1933 con l’assunzione del controllo della società da parte dell’IRI, il quale si metterà al timone di un’azienda onorata da gloriosi successi sportivi ma caratterizzata da una struttura finanziaria debole. Era stato proprio nell’ambito agonistico che l’Alfa aveva potuto incoronare una serie di vittorie che, grazie alla collaborazione stretta fra progettisti, nonché l’apporto di competenze del progettista Vittorio Jano, porteranno al consolidamento della marca.

La produzione di autovetture sfiorerà le mille unità nel 1925, circa 1/40 di quante se ne producono in Fiat nello stesso anno, tutte di grossa cilindrata e particolarmente costose; era evidente che, considerata la precaria situazione finanziaria, si sarebbe reso necessario diversificare la produzione per evitare a tutti i costi un tracollo finanziario. Grazie al lancio della nuova 6C 1500 del 1927 l’Alfa proporrà la sua prima vettura di media cilindrata, considerata ottimo compromesso tra prezzo e prestazioni; dal motore a sei cilindri nasceranno conseguentemente tutta una serie di altre versioni con cubatura portata a 1750 cmᵌ, che renderanno famosa la vettura in diversi contesti agonistici e fungerà da ottima base telaistica per l’ispirazione dei più famosi carrozzieri dell’epoca. Sarà tuttavia solo un primo passo verso l’ampliamento della gamma, ancora di per sé ristretta a vetture di media e grossa cilindrata.

La gamma Alfa parte nel 1910 con la «24 HP», una quattro cilindri di 4084 cmᵌ che permette di raggiungere i 100 km/h, prodotta in 300 esemplari; la versione “Torpedo” sarà quella ingaggiata durante la guerra dal comando supremo dell’Esercito. L’auto presentava delle caratteristiche molto avanzate per l’epoca, prima fra tutte l’adozione di un motore monoblocco che garantiva un’ottima ripresa, resa così efficace grazie ai raffinati materiali impiegati nella costruzione degli organi meccanici. Questo motore verrà impiegato anche in versioni successive, mentre il telaio si presterà a svariati allestimenti, ed il costo è di 12 mila lire. Seguiranno nel 1913 l’Alfa «40-60 HP» (che nascerà per rispondere alle esigenze di una clientela sportiva e pretenziosa, e grazie al motore biblocco e doppio albero a camme vincerà al Mugello e verrà realizzata anche nella versione estrema denominata “Siluro” dalla carrozzeria Castagna) venduta a 15.500 lire, e l’anno seguente la «Grand Prix», che venne equipaggiata con motore a quattro cilindri di 4.500 cmᵌ a doppia accensione “twin spark”, seguita dalla «20-30 HP». La prima vettura del dopoguerra sarà la «G1», grossa vettura da 6,3 litri famosa per essere la prima a montare il motore a sei cilindri; a titolo di curiosità, questo mezzo vantava un’elevata qualità costruttiva, testimoniato dal costo del solo autotelaio di 55 mila lire. Il pregio della vettura sarà contestato dall’elevato costo della tassa di circolazione e dal costo del

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carburante, che farà propendere per l’acquisto di vetture di cubatura inferiore, mentre la diffusione del modello avverrà principalmente in Australia. A seguire ci sarà la gamma «RL» in varie configurazioni (la particolarità di questa vettura sarà l’adozione di freni sull’assale anteriore per incrementare il comfort di marcia e motore a sei cilindri con bilanciere e valvole in testa), - sarà proprio in occasione della Targa Florio del 1923 che sulla RL di Sivocci apparirà per la prima volta il quadrifoglio verde come segno di portafortuna, che porterà il pilota alla vittoria, e che diventerà nel tempo il tratto distintivo delle versioni più sportive della gamma Alfa - la più economica «RM» con quattro cilindri monoblocco in ghisa capace di sviluppare 40 cavalli, mentre la realizzazione della carrozzeria era affidata principalmente a Castagna e Zagato. Famosa diventerà l’Alfa progettata da Vittorio Jano, la «P2» del 1924, vettura da corsa realizzata in sei esemplari ma che rappresenterà una delle migliori vetture da Gran Premio dell’epoca e, grazie all’impiego del motore a otto cilindri sovralimentato con due carburatori soffiati, getterà le basi tecniche per la successiva commercializzazione in vesti civili delle vetture della casa milanese nel decennio successivo. Dopo il successo della 6C 1500 e 1750, infatti, i progettisti si vedranno impegnati nello studio di una nuova vettura, la 8C, prodotta a partire dagli inizi degli anni Trenta sulla base di quanto appreso nel mondo delle corse, e ciò avverrà grazie agli introiti derivanti dalla commercializzazione delle 6C, che nella versione 1750 verrà venduta tra le 40 e le 60 mila lire, di cui se ne venderanno ben 2579 unità, oltre all’importante contributo nelle corse al volante dei piloti Nuvolari, Varzi e Campari29.

29 Alfa Romeo, Cuore sportivo, S. Massaro, pg.58-75

Nella trattazione della gamma Alfa Romeo è stato consultato il sito web ufficiale: http://www.alfaromeo.it/it dal quale si sono estrapolate informazioni inerenti alle caratteristiche tecniche delle vetture e alcune informazioni storiche.

Alfa Romeo P2 in esposizione; Alfa Romeo RL in parata; Alfa Romeo 6C 1750 Gran Sport – Fonte: Museo dell’Automobile, rivista “La Manovella”, sito ufficiale Alfa Romeo

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