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I RAPPORTI CON LA CINA

2.3 IL BRASILE ED I BRICS

2.3.2 I RAPPORTI CON LA CINA

“Cina e Brasile: attenti a quei due”76. Così titola un articolo di Sara Cristaldi dell’Ottobre 2010

apparso nel Sole24Ore in cui si faceva riferimento alla sempre più solida alleanza tra le due nazioni. In effetti nell’Aprile 2010 le due nazioni hanno firmato il “Joint Action Plan 2010-2014”77,

un piano quadriennale per rafforzare quella partnership strategica che si era formata già negli anni 2000, con l’obiettivo di bypassare le storiche economie del mondo occidentale. Probabilmente lo stretto rapporto che lega Brasile e Cina può essere uno dei motivi che spiega il minor impatto della crisi economica globale sui due Paesi, che hanno sostituito reciprocamente in parte il mercato statunitense. Anche a causa alla crisi finanziaria, l’anno 2009 ha visto il sorpasso della Cina sugli

75 A. Beattie, “Brics: The changing faces of global power”, Financial Times, 2010

76 S.Cristaldi, “Cina-Brasile, ecco l'alleanza destinata a mutare il volto dell'economia globale nei prossimi 10 anni”, Il

Sole24Ore, 2010

77 Nell’art.2 del Joint Action Plan si dichiara che “esso mira a coordinare e migliorare i meccanismi di cooperazione

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Usa, affermandosi tuttora come nazione più rilevante per le esportazioni brasiliane. La stessa cosa è avvenuta un paio di anni dopo per le importazioni, dal momento che la Cina è ora la principale fonte di approvvigionamento per beni manifatturiere e meccanici (figura 23). Per rendere meglio l’idea di quanto rapido sia stato il rafforzamento dell’asse Brasile-Cina basta considerare che fino al 2008 erano più rilevanti i rapporti con l’Argentina sia in entrata che in uscita. L’economia cinese per sostenere la sua crescita non può più puntare soltanto sulle proprie materie prime, seppure non siano scarse.

Figura 23: Andamento delle importazioni dei quattro principali fornitori brasiliani (in dollari statunitensi)

Fonte: ICE, “L’interscambio commerciale italo-brasiliano”

Perciò, ovviamente il Brasile gode di un surplus commerciale con la Cina ma le sue esportazioni sono in gran parte materie prime, principalmente minerali di ferro, soia e petrolio greggio, mentre ha un deficit nel settore manifatturiero e meccanico. Se la Cina ha bisogno di materie prime, il Brasile ha estremo bisogno di infrastrutture per i grandi eventi ma non solo, e soprattutto di risorse finanziarie, che in questi anni di stretta creditizia, soltanto le grandi riserve valutarie cinesi possono garantire.

Si può definire quindi di mutua cooperazione quel rapporto che intercorre tra le due nazioni. Ad esempio, se la Cina necessita di petrolio, sarà proprio la Cina a finanziare Petrobras e a sostenerla

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nella ricerca dei giacimenti off-shore. Questo è avvenuto proprio nel Febbraio 2009, quando è stato firmato un accordo con la China Development Bank, per un prestito di 10 miliardi di dollari alla Petrobras, che in cambio darà precedenza nella fornitura di beni e servizi ad aziende cinesi e ripagherà il prestito proprio con i proventi derivanti dall’esportazioni di greggio alla Cina78.

Ovviamente l’apertura reciproca che è stata causata da tutta questa serie di patti e relazioni non è stata vista da tutti alla stessa maniera tra i cittadini brasiliani. Da una parte gli esportatori e le grandi aziende, entusiasti per aver rispettivamente, allargato i loro mercati e aver ottenuto

finanziamenti. Dall’altra le industrie manifatturiere e meccaniche che han visto crescere quella che anche in Italia si definisce “invasione cinese”. L’aumento dell’incidenza delle merci cinesi, ed il conseguente effetto sostituzione nel mercato interno, potrebbe essere una delle spiegazioni al calo del peso del settore manifatturiero sul Pil brasiliano. Nel 2010, la presenza di beni cinesi nel territorio brasiliano era decisamente evidente. I primi ad accorgersene furono i produttori di automobili che vedevano le strade di Rio sempre più occupate da vetture marchiate “Jac Motors”, casa automobilista cinese di proprietà statale. Il risultato è stato quello di indurre Dilma a

prendere in considerazione politiche protezionistiche. Così, anziché spingere le imprese nazionali ad essere più competitive attraverso l’innovazione, si sono rinforzate le barriere all’ingresso per le merci, in particolare i dazi sull’importazione delle automobili salirono al 55%. Oggi sono scese al 35% per effetto di scelte comuni a livello di Mercosur, restando comunque relativamente elevate. L’alto onere dei dazi applicati non ha scoraggiato la Cina, né ha incrinato l’alleanza commerciale. Anzi, per aggirare i dazi molte aziende cinesi hanno deciso di spostare la produzione, tanto che l’anno successivo la Cina si collocò al primo posto per Ide in entrata verso il Brasile, con la somma investita che passò da 500 milioni di dollari 19 miliardi dollari79.

Il Brasile sotto la guida del Presidente Lula ha comunque raggiunto lo scopo di trasformare le sue risorse energetiche in influenza e status internazionale, visibile sempre più nei rapporti con le nazioni del cosiddetto nord del mondo, ma visibile soprattutto nei rapporti Sud-Sud. In particolare il Brasile attraverso l’Embrapa, dove nel 2008 ha aperto una sede in Ghana, sta investendo

nell’agricolture africana, dove intende intraprendere progetti analoghi a quelli svolti nel Cerrado. Analogamente, anche la Cina nel frattempo sta acquistando terreni in Africa, ma non essendo tecnologicamente avanzata quanto l’Embrapa ha trovato diverse difficoltà. Ecco quindi che oltre

78 J. Wheatley, “Brazil to supply oil to China for loans”, Financial Times, 2009 79 The economist, “Seeking protection”, 2012

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ad un rapporto di mutua cooperazione, l’alleanza tra i due Paesi assume anche una rilevanza strategica per gli investimenti in Africa.

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3 IL MODELLO DISTRETTUALE IN BRASILE

Il Brasile dunque ormai rappresenta una realtà economica a livello mondiale, con notevole influenza nel continente sudamericano e africano. A dispetto di ciò che mediamente si possa pensare, ovvero che sia un mero esportatore di materie prime, è un Paese che in diversi settori è tecnologicamente avanzato, in particolare nell’agribusiness. Questi fattori hanno reso solida l’economia, riuscendo a tenere a bada quello che sembrava un problema endemico come l’inflazione. Per questo il Brasile ha assunto un ruolo centrale nel Mercosul e di conseguenza di tutto il continente sudamericano, un mercato potenziale composto da 385.742.554 persone. Grazie al rapido sviluppo economico è in ascesa il numero delle persone appartenenti al ceto medio e di conseguenza anche la domanda di beni di buona qualità. Nel corso dei due mandati del presidente Lula (dal 2002 al 2010) circa 29 milioni di brasiliani non abbienti sono entrati nella classe media divenendo a tutti gli effetti consumatori. Il grado di apertura al commercio estero è in graduale aumento e le esportazioni guardano ad un mercato ben diversificato, fatto che pone la sua economia più al riparo rispetto ad altre nazioni in momenti di staticità di mercato come quello avvenuto nel 2008. Anche in entrata, la realtà brasiliana è divenuta più dinamica, dovendo

reperire investimenti per ben figurare negli eventi mondiali che si appresta ad organizzare. Seppur dazi e barriere all’entrata restino elevati, essendo una nazione a struttura federale, gli Stati che la compongono possono offrire incentivi per attrarre gli investimenti di loro interesse che rendono più facile la penetrazione nel mercato. Purtroppo permangono ad oggi problematiche che sono simili a quelle che si riscontrano in Italia: frequenti casi di corruzione, elevata e pesante burocrazia, carico tributario relativamente alto. Inoltre il rapporto con la Cina è talvolta conflittuale e malvisto dagli operatori locali che vedono minacciata l'industria tradizionale e a basso contenuto

tecnologico. Sembra quindi un ambiente adattissimo all’imprenditore italiano, abituato ad affrontare le stesse problematiche ma con un economia in grande espansione che offre molte possibilità e con un ceto medio che vuole migliorare la qualità della vita. Una situazione che assomiglia parecchio a quella vissuta durante il boom economico italiano, somiglianza accentuata da una considerevole presenza di Pmi nel territorio, nonché da un sistema produttivo che ricalca sempre più quello dei distretti industriali italiani e che in Brasile si chiamano Arranjos Produtivos Locais (APL).

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