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II. Questioni ecdotiche

II.4. a Rapporti interni tra i testimoni di γ

All’interno di γ1 è possibile distinguere due sottogruppi: γ3: Fl, Me, Vm1;

γ4: Rv1, Fn6.

Errori congiuntivi del primo sono i seguenti67:

Vs, III: Insufflavit vero ventus septentrionalis et impedivi navigium illius, et deduxit eum ad

portum Libiae civitatis.

Fl, 5: Entrò in mare in una nave e andò navichando per lo mare, sicché venne un tempo contrario ed ebbelo menato a parte della città di Libia.

65 Si riporta in questo caso, come rappresentante di γ7, il testo di Fn11 in quanto Fn2 è mancante delle pericopi finali. 66 Per una comparazione complessiva delle due sottofamiglie cfr. infra II.7. «Tavola di presenza dei miracoli», in cui vengono ripresi anche Vs, α e β. Come si noterà, all’interno di γ1 e γ2 si possono rilevare ulteriori differenziazioni: esse verranno discusse nei capitoli relativi a ciascun sottogruppo.

Me, 5: Intrò in marre in una nave e, navigando lui, si li vene uno vento contrario ed ebello menato in nelle parte de la çitade de Libia.

Vm1, 5: Intrò in mare in una nave per andare a Roma, per tale che ’l vene uno vento molto contrarioso et avelo menado a parte dela cità de Libia.

Rv1, 5: Entrò per mare et, navichando per mare, si levò un vento contrarioso che˙llo portò al

porto della città di Libia.

Fn6, 5: Si entrò per mare et andò navichando: si levò un vento chontradioso, essendo per mare, che˙llo portò al porto della città di Bilia.

Vs, VI: Verbo suo leprosos mundavit, nato caeco oculos illuminavit, paralyticos sanavit, daemones effugavit, tres mortuos suscitavit 68.

Fl, 9-10: Cholla parola sua si sanava tutti gl’infermi, e tutti gli dimoni chacciava via, e tutti i morti risucitava, e tutti gli malsani si purgava d’ongni maliçia. E una donna, la quale avea nome Veronicha...

Me, 9-10: E con la parolla soa sanava tuti l’infermi, e tuti li demoni chaçavano via, e molti morti resusitava, e purgava e mondava oni malicia. E una dona, la qualle à nome V‹e›ronicha... Vm1, 9-10: Co˙ la parola soa e’ si arsanava tuti li infermi che vegniva˙ da lui, e si descazava li demoni, e resuscitava li morti, e tuti li malsani lui li mondava e guarivali d’ogni malatia. E una dona, che have nome Veronica...

Rv1, 10-11: Cholla sua propria parola si sanò tutti gli infermi, et gli dimoni chacciava, et gli morti sucitava, et tutti gli malsani purghava et mondava da ogni malattia, et a’ ciechi ochi et

lume rendeva. Et una donna ch’avea nome Veronicha...

Fn6, 10-11: Cholla sua propria parola parola e˙ssi sanava tutti gli infermi, et gli dimoni chacciava, et gli morti risucitava, et tutti gli malsani purghava et mondava d’ogni malattia, et a’

ciechi rendeva lume. Ed una donna ch’avea nome Veronicha...

Vs, IX: Exclamavit autem Titus simul cum omnibus voce magna dicens: «Rex meus et deus

meus, quia numquam te vidi et sanum me fecisti, iube me ambulare cum navigio super aquas in terram nativitatis tuae».

Fl, 19: Fecie oraçione a Dio, e disse: «Figliuolo di Dio vivo e vero, dammi gratia e força ch’io possa venire infino alla terra della tua nativitade».

Me, 19: Fieçe n’oracione a Dio e disse: «Christo, fiollo de Dio vivo e verro, doname gracia e força ch’io possa andarre perfino ala terra de la toa citade».

Vm1, 19: Fese oracion al Signor Dio e disse: «O Jesu Christo, fiolo de Dio vivo e vero, dame forza e possança de posser andare perfina ala terra dela tua natività».

Rv1, 20.1.-20.2: Si ringraciò Gieso Cristo et disse in tale maniera chome voi potrete qui intendere: «Signiore Gieso Cristo, figliuolo di Dio, rex regum et dominatore de’ dominatori, io

ti laudo et te magnificho et te glorificho et te suplicho di ciò che m’ài sanato dalla mia infermitade. Gieso Cristo, figliuolo di Dio, giusto et benignio et pio, dammi força et possa ch’io possa andare infino alla terra della cittade della tua natività».

Fn6, 20.1.-20.2.: Si ringraciò Gieso Cristo et disse in tale maniera chome voi potrete intendere: «Signiore, o Domine Gieso Cristo, figliuolo di Dio, re Singniore, dominus dominacio, te

magnificho, te sublicho di ciò che m’ài sanato della mia infermitade. Gieso Cristo, figliuolo di Dio, giusto et benignio, et poi dammi força et possa ch’io possa andare infino alla terra della tua natività».

68 Nell’esempio riportato, in cui si torna alla sezione dei miracoli di Cristo, viene riscontrata in γ3, in opposizione a γ4, l’assenza dell’episodio della guarigione dei ciechi, per cui cfr. infra II.7. «Tavola di presenza dei miracoli»; essendo il miracolo già in Vs, si propende per considerare lacunoso il dettato di Fl, Me, Vm1.

Fl, 54: Noi il portiamo a vedere a Tiberio imperadore, acciò che possa avere sanitade e ch’elli possa mandare della sua maliçia.

Me, 54: Nui lo portaremo a vederre a Tiberio inperradorre, açò ch’ello posano averre sanitade e che el se possa mandarre dela soa malatia .

Vm1, 54: E ché ’l portamo a Roma ala presentia delo imperador, açiò ch’el veza anche lui, açiò ch’el possa haver sanitade e ch’el possa mandare la sua malatia.

Rv1, 97: Noi il portiamo a Roma a vedere a Tiberio inperadore, acciò ch’eglli possa avere sanitade et ch’eglli si possa mondare dalla sua malattia.

Fn6, 97: Noi il portiamo a vedere a Tiberio inperadore, cioè che possa avere sanitade et che si possa mondare dalla malattia sua.

Vs: om.

Fl, 77: Benedetto sie tu, Idio onnipotente, tu che vieni in sempiterna sequla sequloro, amen. Me, 77: Benedeto si’ tu, Domini Dio honipotentte, che vieni in senpiterna sechulla sechulorum. Vm1, 77: Benedeto se’ tu Signor, mio Dio omnipotente, che vieni in sempiterna secula, amen. Rv1, 126: Benedetto sia tu, Signiore Iddio onipotente tu che vivi in senpiterna sechula, amen. Fn6, 126: Benedetto sia tu, Iddio onipotente, tu che vivi in senpiterna sechula, amenne69. Vs: om.

Di seguito si rilevano alcuni degli errori congiuntivi di γ4 contro γ3:

Rv1, 17: Fu morto et inchiavellato nella crocie, et fedito et lanciato, et chiese bere, et fiele et acieto gli fu dato, et della fedita uscì sangue et latte.

Fn6, 17: Fue morto et chiavellato, e nella crocie fedito et lanciato, et chiese bere, et fiele et acieto gli fu dato, et della fedita del costato si uscì sangue et latte.

Fl, 16: Fue morto e chiavellato nella crocie, e fue fedito dal lato diritto, e per quella fedita uscì sanghue e aqua.

Me, 16: Fo chiavato e morto nella croxe, e ferito d’una lança nel chostato, e per questa feruta insine sangue e aqua.

Vm1, 16: El fo crucifixo in sula croxe e inchiodado, e fo ferido da uno di ladi, e per quela ferida ge insì sangue e aqua.

γ2 (Sc4, 19): E poi lo crociefiseno, e poi gli derono bere fiele e acieto, e poi li fu chaciata una lancia per lo peto e uscine sangue e aqua 70.

Rv1, 112: Et trovaro sotto terra in una torre, la quale era nel miglliore luogho di Gierusalem. Fn6, 112: Et trovato sotterra in una torre, la quale era nel miglliore luogho della cittade detta di Gierusalem.

Fl, 67: E disfeciono una torre, la quale era nel mieluogho della cittade, ed era la maggiore torre e˙lla più forte di tutta la cittade.

69 Formula derivante dall’espressione «Qui vivis et regnas, Deus, per omnia saecula seculorum», che accompagna nella messa la comunione del sacerdote; cfr. Missale Romanum ex decreto Sacrosancti oecumenici Concilii Vaticani II

instauratum auctoritate Pauli pp. VI promulgatum Ioannis Pauli pp. II recognitum. Editio typica tertia, Città del Vaticano, 2000, 843, 913, 1121, passim.

70 Nel passaggio indagato, assente in Vs, si riconosce l’influenza di una chiara fonte scritturale, cfr. infatti Io XIX, 34: «Unus militum lancea latus eius aperuit et continuo exivit sanguis et aqua».

Me, 67: E disfaçandolla, si trovarno nel meço della citade una torre, che erra la pi forte torre della citade.

Vm1, 67: E disfazando una torre, la quale iera in mezo dela citade, et era la mazor e la più bella che fosse in tuta la terra71.

Vs: om.

Vs, I: Titus namque vulnus habebat in nare dextra propter cancrum, et habebat faciem dilaceratam usque ad oculum.

Rv1, 2: Il quale avea nome Tito, et avea una chancera nel naso et avea isquarciata la faccia infino all’orechie.

Fn6, 2: Il quale avea nome Tito, il quale avea una chanciera nel naso che s’avea isquarciata la faccia infino all’orechie.

Fl, 2: Il quale avea nome Tito, il quale avea una canciera nella nare ritta del naso ed avea isquarciata la faccia sua infino all’occhio.

Me, 2: Lo qualle ave’ nome Tito; dito re Tito aveva uno chancharro ne la narra drita del naxo e aveva scharçada la faça susso fino al’ochio.

Vm1, 2: El quale aveva nome Tito, el qual aveva una cancera in la nara drita del naso e avea squarzada la faça per infina al’ochio.

Vs, VI: et aliam mulierem nomine Veronicam quae sanguinis fluxum patiebatur duodecim annis. Rv1, 11: Et una donna ch’avea nome Veronicha avea uno male, il quale male l’era bastato dodici anni.

Fn6, 11: Ed una donna ch’avea nome Veronicha si avea uno male, il quale male si˙ll’era bastato .xij. anni.

Fl, 10: E una donna, la quale avea nome Veronicha, si avea uno male, il quale si chiamava il

frusso, e si˙lle era bastato .xii. anni.

Me, 10: E una dona, la qualle à nome V‹e›ronicha, e si aveva uno malle, che si chiamava frusso, che g’erra durato ani .xij.

Vm1, 10: E una dona, che have nome Veronica, haveva un male chiamato fluxo de sangue, et erage durado gran tempo.

Vs, VIII: Et dixit Titus in verbis suis: «Vae tibi Tiberi imperator...».

Rv1 (Fn6), 19: Diciendo questo Nathan, Titto si credette tutte quelle chose che Nathan gli disse per ferma veritade. Et inchontanente andò a Tiberio et disse: «Guai a te inperadore Tiberio...». Fl, 18: E diciendo questo Natan, e Tito si credette queste chose per ferma veritade. E mandò Tito a Tiberio imperadore e disse: «Guai a˙tte imperadore Tiberio...».

Me, 18: Diçendo chossì Natam a Tito, ella credete queste chosse perfetamente. E considerando Tito sopra a Tiberio disse: «Guai a te inperradorre...».

71 Si considera «miglliore luogho» (Rv1-Fn6) banalizzazione di «miluogho» (Fl); quest’ultima lezione risulta infatti avvalorata da «nel meço della citade» (Me) e «in mezo dela citade» (Vm1). I soli testimoni di γ3, inoltre, già in un passo precedente, riferiscono dell’episodio; anche in tale occorrenza le lezioni da loro tràdite sono univoche: Fl, 35: «E nel

miluogho di questa cittade si v’avea una bella torre, molto fortissima e grossa, la quale era fondata sopra Gioseppo di Bramançia», Me, 35: «E nel meço dela citade si aveva una torre grossa e fortisima, la qualle erra fondata sopra Josep da Baramatia», Vm1, 35: «E in mezo de questa citade ge era ‹una› torre fortissima e grossa, la quale iera afondada sovra Joseph a Baramathia» (Vs, γ4 om.).

Vm1, 18: E digando questo Natan, Tito si credete tute queste cosse per ferma veritade. E alora Tito mandò a Tiberio imperador de Roma digando: «Guai a ti imperador de Roma...»72.

I due sottogruppi γ3 e γ4 si differenziano inoltre per la presenza di lezioni innovative indipendenti. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla narrazione delle ultime vicende relative a Ponzio Pilato; secondo γ3 il proconsole, dopo essere stato interrogato a Gerusalemme da Velosiano, viene incatenato e «chonfitto a uno lengnio della prigione»:

Vs, XXIII: Tunc dixit Velosianus ad Pilatum: «Tu, Pilate, impie et crudelis, quare interfecisti filium Dei?». Pilatus autem respondit: «Gens sua et pontifices Annas et Cayphas illum tradiderunt mihi». Velosianus dixit: «Impie et crudelis, morte dignus es et poena crudeli». Et remisit eum in carcerem.

Fl, 57-58: Et chonfermato il detto loro, si chomandò Tito et Vaspasiano a quelli chavalieri che guardavano Pilato in prigione che˙llo dovessono menare loro dinançi Pilato. Vegiendo Velosiano il detto Pilato, dissero a˙llui: «Empio e crudele, per che cagione faciesti uccidere Christo, il salvatore del mondo?». E Pilato disse: «La giente sua e Chaifasso si ’l mi diero a me». E dissino: «O empio e crudele Pilato, tu˙sse’ dengnio di morire e di pessima e vituperiosa morte». E comandoe che fosse leghato chon catene di ferro nelle braccia e nelle ghambe, e

chonfitto a uno lengnio della prigione, e fossegli dato male da mangiare e male da bere, e fosse guardato sempre infino alla sua morte.

Me, 57-58: E chonfermato lo dito lorro, si chomandorno Tito e Vespisiano a quilli chavalierri che guardavano Pilato che ge lli menasse Pilato denanci da lorro. E vedendo Velociano Pilato, sì lli disse: «Ho, inpito, crudelle Pilato, per che chaxone facistu ti uciderre Christo, salvadorre del mondo?». E Pilato disse: «La çente soa e Chaifas lo dedeno a mi». Ed illi ge diseno: «Ho, inpido Pilato, tu sei digno de morte crudelisima e turpisima morte». E chomandono che foseno

ligato con chadene nelle braçe e nelle ganbe, e confito ad uno ligno nella presone, e fosse guardato, e fosselli dato malle da mançarre e malle da berre.

Vm1, 57-58: E poi comandò ai cavaleri che guardava Pilato in prexone che i lo menasse dananci de lor. E vezando Veloxiano Pilato, dise: «O impio e crudele, per che caxon à’ tu fato morire Jhesu Christo, salvador del mondo?». E Pilato disse: «La zente soa e Caiphas si me ’l dè in le mane». E Tito e Vespasiano e Veloxiano disse: «O cupio e crudele Pilato, tu si’ degno de morte vituperosa e pessima». E alora comandò ch’el fosse ligado cum cathena de ferro ale

braze e ale gambe, e conficà a uno legno dela prexone, e «che ’l ge sia dà mal da magnare e mal da bevere», e ch’el devesse star sempre in prexone e ben guardado per infina ala vita sua. Rv1, 100: Et Velosiano chomandò che Pilato fosse menato leghato a Roma dinançi a Tiberio inperadore.

Fn6, 100: Et Velosiano chomandò che Pilato fosse menato leghato dinançi a Tiberio inperadore. L’inserzione di γ3 risente con probabilità di Evang. Nic. II, in cui viene presentato l’episodio di Satana legato dal Signore con catene di ferro alle mani e ai piedi73. Un accenno alla prigionia del

72 Si reputa «andò» lezione errata per «mandò» ‘emettere, pronunciare, dire’, di Fl-Vm1: non vi è infatti, nel seguito di Rv1-Fn6, così come in Vs e in γ3,alcun riferimento a un incontro tra Tito e Tiberio o altro indizio che permetta di supporre un’effettiva venuta, da parte del primo, presso la corte imperiale; si rileva al contrario come Tito sia raggiunto a Burgidalla da Vespasiano, e come insieme intraprendano la campagna di Gerusalemme. Tuttavia, non si può al contempo trascurare che in γ2 Tito, dopo il passaggio riportato, si reca certamente a Roma; questo il passo corrispondente tràdito da Sc4: γ2 (Sc4, 21-22): «E poi imantanente Tito tantosto fu a chavalo e menò seco Anatam. E andone a Roma e fu dinançi a Tiberio inperadore; e fusi inginochiato dinançi da lui e disegli: “Miser, voi sète malesano i˙ ne le vostre charni; e io pensando de le pene vostre, e io de le pene mie, e de la mia infermità io sono libero e sano, e sono dinançi a voi venuto perché voi sapiate e guariate sì come io”».

console secondo dinamiche non molto dissimili da quelle qui raffigurate è inoltre ravvisabile all’interno del carteggio apocrifo tra Pilato e Tiberio, in cui il secondo preannuncia al primo la prossima costrizione in catene74.

Rv1-Fn6 omettono l’ampio passaggio e si distinguono per la notizia del trasporto di Pilato a Roma. I due testimoni condividono la lezione di γ3 in chiusura di narrazione; a differenza di quanto tramandato da Fl, Me e Vm1, tuttavia, l’interrogatorio si svolge presso la corte imperiale, e Velosiano viene sostituito da Tiberio. Inoltre Rv1-Fn6 arricchiscono la vicenda di due ulteriori particolari, il suicidio di Pilato e la conseguente dispersione del suo corpo nel Tevere; la provenienza di questi tratti va quasi certamente ricondotta a Leg. Aurea:

Leg. Aurea, LI, 245-249: Data est igitur in Pylatum sententia ut morte turpissima dampnaretur. Audiens hoc Pylatus cultelo proprio se necavit et tali morte vitam finivit [...]. Mole igitur ingenti alligatur et in Tyberim fluvium immergitur.

Rv1 (Fn6)75, 121-124: Quando Tiberio inperadore fu diliberato dalla malattia, sì chome voi avete udito, si ringraçiò Iddio molto divotamente. Et poi chomandò che Pilato fosse menato dinanci da˙llui. Et veggiendo Tiberio inperadore, Pilato si disse a˙llui: «O enpio et crudele Pilato, per che chagione faciesti uccidere Cristo salvatore del mondo?». Et Pilato disse che˙lla giente sua l’aveva menato dinanci ad Anna et a Chaifasso, et poi «il diedono ad me, ed io non trovai in lui chagione veruna. Et egllino m’erano tutti adosso ch’io il giudichassi, ed io me ne lavai le mani et dissi che ne faciessono a˙lloro volontà, ch’io, per me, nollo volea giudicare». Allora disse Tiberio inperadore: «O enpio e crudele Pilato, tu se’ degnio di morte, perciò che tu non te ne dovevi lavare le mani, ançi lo dovevi liberare, poiché tu avevi la signioria et non te ne dovevi gittare di fuori». Allora chomandò che fosse leghato chon chatene di ferro nel chollo et nelle braccia et nelle ghanbe, et fosse chonfitto ad uno legnio della prigione, et fossegli dato male da manichare et male da bere, et fosse chosì guardato infino alla morte sua. Et istette atanto in prigione ch’era quasi chome morto, et veggiendosi a tanta pena uccise se medesimo per disperaçione; et poi fu gittato nel Tevero. Et poi a pochi dì aprodò, et i fanciuglli il trovarono et si ’l chonobono; et fecione grandissimo istraçio et tutto il minuçarono.

In generale, i testimoni di γ4 differiscono da quelli di γ3 per una più marcata tendenza all’ampliamento attraverso interpolazioni anche di ragguardevoli dimensioni: l’episodio più significativo in tal senso, determinante dal punto di vista ecdotico per separare i due sottogruppi qui considerati, è rappresentato dalla sezione relativa al ritrovamento di Giuseppe d’Arimatea. Come anticipato76, il passaggio acquisisce in tutta la famiglia γ un rilievo sconosciuto a Vs e al resto della tradizione volgare italiana della Vindicta, per chiaro influsso del Joseph d’Arimathie di Robert de Boron. La vicenda viene così descritta in γ3:

73 Cfr. Evang. Nic. II, VI, 2; VIII, 1.

74 Cfr. Epistola Tiberi ad Pilatum in DE SANTOS OTERO, op. cit., pp. 468 (il testo dell’epistola venne scartato da Tischendorf nella sua edizione; cfr. TISCHENDORF, op. cit, p. LXXX: «quum pro fabulae ineptiis, tum propter sermonis

vitiositatem»); cfr. inoltre MORALDI, op. cit., I, p. 740.

75 Per ragioni di spazio si fornisce il testo del solo Rv1, il cui dettato è condiviso da Fn6. 76 Cfr. supra il paragrafo II.3.a. «La redazione γ».

Fl, 35-3977: E nel miluogho di questa cittade si v’avea una bella torre, molto fortissima e grossa, la quale era fondata sopra Gioseppo di Bramançia. Allora disse Tito e Vaspasiano: «Che è ciò che questa torre è così forte? Non puote essere che grande tesoro non ci sia dentro sotterrato e naschoso». Allora si˙lla feciero cadere infino al fondamento, e trovarono questo Gioseppo con uno vasello in mano, che Christo gli avea dato acciò ch’egli avesse, in questo luogho dove fue messo da’ Giudei, ciò che volesse adomandare. E vegiendo questo Gioseppo, Tito e Vaspasiano si si maravigliavano molto di lui e domandarono chi e’ fosse e per che chagione egli fosse messo in quella charciere. E quegli disse che era Gioseppo di Bramançia, il quale chiese il corpo di Christo a Pilato, «e missilo nel sipolcro mio nuovo; dapoi ch’io il v’ebbi messo dentro, si aparve a me e disse: “Imperò che tue fosti dolente della mia morte, la quale mi feciero fare i Giudei, e serviami di naschoso a Pilato, imperciò si sono io venuto a˙tte in questo luogho”. E diedemi questo vasello acciò ch’io avessi in questa carciere ongni mio bisongnio. Dicovi per veritade ch’io abbo avuto sempre maggiore lucie di sole sotterra che non n’è questo di sopra terra, e nonne oe avuto difetto neuno. E fucci messo da questi Giudei pessimi acciò ch’io non