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Le recenti linee evolutive in materia di procedure concorsuali

È innegabile che spesso la crisi e finanche l’insolvenza dipenda da cause estranee al debitore e prescinda da colpa o, quantomeno, da colpa grave.

Ciò avviene anzitutto nel caso di crisi economica e finanziaria che diventa generale o di sistema e che, non a caso, finisce per influenzare in modo decisivo le scelte di politica legislativa, giustificando anche significativi cambiamenti di strategia normativa.

Basti pensare all’introduzione nel nostro ordinamento del concordato in continuità aziendale a riprova di un nuovo interesse del legislatore rivolto alla conservazione dell’impresa sul mercato piuttosto che alla sua liquidazione ed estromissione dalla scena economica.

Nelle legislazioni più recenti, non solo in quelle di common law, tradizionalmente debtor oriented, ma anche in quelle di civil law221, si avverte una tendenza ad attenuare il carattere sanzionatorio della procedure concorsuali: la crisi non può imputarsi sempre e comunque alla colpa dell’imprenditore, giacché essa può derivare anche da una situazione di oggettiva difficoltà economica, individuale o settoriale o finanche

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Proprio su un piano comparatistico, si vedano AA. VV., Profili storici, comunitari,

internazionali e di diritto comparato, in VASSALLI F.,LUISO F.P.,GABRIELLI E. (diretto da)

Trattato di diritto delle procedure concorsuali, V, Torino, 2014. Specificamente sulla cd. rescue culture DE DONNO B., Prevenzione della crisi e risanamento dell’impresa. Procedure di

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generalizzata, che non può pregiudicare definitivamente l’attività economica futura dell’impresa in dissesto.

L’evoluzione delle legislazioni in materia di crisi di impresa, sull’onda del

Chapter 11 statunitense, dimostra il superamento della preminente

considerazione della finalità liquidativa ad esclusivo vantaggio dei creditori, e la nuova prospettiva orientata ad assicurare la continuazione dell’attività produttiva, evitando la disgregazione dell’impianto aziendale e l’estromissione dal mercato.

Si è sostanzialmente riscontrata un’accentuata spinta al confronto, in termini soprattutto di costi e benefici, rispetto a tecniche alternative di tutela dei creditori.

Le ragioni di ciò vanno rintracciate, da un lato, nell’assenza di armonizzazione a livello europeo delle procedure concorsuali con conseguenti spiccati fenomeni di forum shopping, e, dall’altro, nella forte capacità attrattiva dei modelli anglosassoni, nonché nelle spinte alla convergenza sul piano internazionale provenienti dai mercati finanziari più evoluti, connotati da istituti diversi e, almeno apparentemente, più efficienti.

In quest’ottica si spiegano i numerosi interventi normativi che, tramite rimedi premiali e sanzioni civili, ma anche penali222, tendono ad incentivare la correttezza nella gestione dell’impresa e la tempestività di intervento sulla crisi223, anche tramite il ricorso alle procedure concorsuali.

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Per una recente rassegna in merito si veda PIERDONATI M., Crisi dell’impresa e

responsabilità penale del vertice nelle società: verso ‘nuovi equilibri’ giurisprudenziali, in Diritto penale e processo, 8, 2013, 965.

223

Si pensi ai diversi modelli di esdebitazione introdotti nell’ordinamenti a noi vicini. In particolare, mantenendo il raffronto con l’esperienza britannica, si pensi all’Enterprise

Act 2002, che ha previsto misure premianti per il debitore sfortunato, ma onesto e

collaborativo, contemporaneamente accentuando le sanzioni previste per le condotte fraudolente.

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Accentuando il carattere contrattualistico dei rapporti tra imprenditore in dissesto e creditori ed ampliando i concetti di impresa224 e di crisi, gli interventi legislativi dimostrano un’attenzione rivolta non solo e non tanto all’incapacità di far fronte regolarmente al pagamento dei debiti, quanto piuttosto all’impatto della crisi sull’attività imprenditoriale e sulla possibilità di prevenirla o comunque superarla già ai primi segnali del suo verificarsi.

Si ritiene necessario, cioè, un giusto bilanciamento tra la severità delle norme, finalizzata ad evitare l’aggravarsi del dissesto a tutela dei diversi interessi coinvolti, e l’intenzione di non scoraggiare eccessivamente tentativi negoziali di superamento della crisi, evitando però al tempo stesso di creare un ulteriore ritardo nell’avvio della procedura.

La nuova prospettiva sembra rispondere ad un’esigenza già da tempo avvertita in dottrina: in un’economia che si vuole effettivamente di mercato, anche il governo e la liquidazione dell’impresa in crisi dovrebbero essere rimessi al mercato, secondo un’impostazione che, considerando il ricorso al credito come momento essenziale dell’attività di impresa, impone ai finanziatori una peculiare consapevolezza del rischio assunto.

Si avverte un certo superamento dell’impostazione spiccatamente formalistica delle procedure concorsuali che, tradizionalmente legata all’esigenza di garantire la par condicio creditorum, non sempre risponde alle mutevoli esigenze di concretezza delle attività economiche organizzate operanti sul mercato.

La novità dell’approccio ha portato gli interpreti ad auspicare uno sforzo che, muovendo dal regime di rimedi e responsabilità facente capo agli organi sociali, fosse volto a creare un sistema di regole della gestione societaria

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Tra i molti contributi che evidenziano l’ampia nozione di “impresa” come attività economica comunque organizzata ed operante sul mercato, in linea con gli orientamenti comunitari, si veda CORAPI D., Impresa (diritto comunitario), in Enc. dir., Ann., I, Milano, 2008.

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dell’impresa in difficoltà, con doveri e compiti stringenti in capo ai soggetti che di tale gestione sono investiti.

Questa impostazione consentirebbe non solo di offrire un solido e preciso fondamento alle plurime e concorrenti azioni di responsabilità nei confronti dei gestori, ma anche di agevolare l’anticipazione della conoscenza della situazione di dissesto, imponendo agli amministratori il monitoraggio costante della situazione economico-societaria, la verifica della cd. continuità aziendale, oltre che l’impiego di tentativi di composizione negoziale della crisi stessa.

Sarebbero, dunque, sanzionabili giacchè non conformi agli obblighi inerenti alla carica, né rispondenti agli standard di diligenza imposti, i comportamenti tenuti dagli amministratori che trascurassero di adottare misure idonee a valutare tempestivamente il rischio di default, o di attivare, laddove possibile, meccanismi di risanamento o di riorganizzazione societaria, oppure ancora le condotte di quei gestori che proseguissero l’esercizio corrente dell’impresa, nonostante i rischi di aggravamento del dissesto e in spregio degli obblighi di gestione conservativa, non proponendo essi stessi, in mancanza di possibili alternative, l’istanza di fallimento della società.

È in questo contesto che andrebbe affrontato il tema relativo ai doveri di diligenza in capo agli amministratori in termini di massimizzazione del valore dell’impresa e tutela degli interessi degli investitori davanti a prospettive di

trend negativi per la produttività aziendale, anche qualora non ricorrano veri e

propri indici di crisi irreversibile.

Si tratta di un dibattito di ampio respiro, alimentato da richiami a regole di portata generale come la disciplina del capitale sociale, ed il ricorso a

standards, quali i cd. solvency o liquidity tests, con ricadute sul ruolo delle

norme imperative225, sull’autonomia negoziale ed

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Specificamente sul punto e in un’ottica comparatistica si vedano ARMOUR J.-HERTIG G.- KANDA H., Transactions with Creditors, in KRAAKMAN R. (ed altri), The Anatomy of

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sull’autoregolamentazione226, oltre che sui rimedi predisposti in relazione agli interessi di volta in volta preminenti, anche in termini di enforcement.