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La responsabilità degli amministratori tra obbligo di chiedere il fallimento e nuove soluzioni negoziali

Tra gli obblighi degli amministratori che si ricollegano al più generale dovere di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale rientra quello di chiedere il fallimento103.

Laddove si verifichi, infatti, un dissesto vistoso ed irreversibile, l’organo gestorio, oltre a dover adottare le misure necessarie a contenere le perdite, non può ritardare l’avvio della procedura fallimentare o, quando ne sussistano i presupposti, la richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo in ragione dell’ovvia considerazione che altrimenti si rischierebbe di incrementare il passivo, oltre che di precludere il tempestivo esperimento delle azioni revocatorie.

Per la verità, tuttora nell’ordinamento italiano non esiste una specifica norma civilistica che stabilisca nitidamente tale obbligo104.

Tra gli interpreti si ritiene, però che l’obbligo dei membri del consiglio di amministrazione di richiedere il fallimento della società si ricavi dal combinato disposto dell’art. 217 n. 4 l. fall., che sanziona come reato di bancarotta semplice il comportamento dell’imprenditore che abbia aggravato il proprio

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Per alcuni riferimenti di diritto comparato SERAFINI S., I doveri degli amministratori di

società di capitali in presenza di una crisi economica, in SARCINA A.–GARCÌA CRUCES J.A.(a cura di) L’attività gestoria nelle società di capitali, Profili di diritto societario italiano e

spagnolo a confronto, Bari, 2010, 313.

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Il diritto tedesco, ad esempio, in tema di società di capitali, dispone che gli amministratori, in caso d’insolvenza della società devono chiedere senza indugio, al più tardi comunque entro tre settimane dall’avverarsi dell’insolvenza, l’apertura della relativa procedura. Una regola simile si trova in diritto francese.

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dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa, e dell’art. 224 l. fall., che estende agli amministratori i fatti di bancarotta semplice dell’imprenditore105.

D’altronde, la tesi per cui il predetto obbligo civilistico possa ricavarsi da tali disposizioni penali, si spiega ragionevolmente considerando che il bene giuridico da essa tutelato annovera senz’altro anche gli interessi della società e dei creditori.

In realtà l’obbligo in questione sembra essere strettamente connesso a quello di tenere sotto costante controllo l’evoluzione della situazione finanziaria della società, in ossequio al generale obbligo di diligenza ex art. 2392, II co., c.c.

A prescindere dal controverso rinvio alle disposizioni penali testé richiamate106, e pur mancando, quindi, nel nostro ordinamento disposizioni coincidenti con quelle previste da alcuni ordinamenti comunitari che prescrivono un termine, peraltro breve, entro il quale gli amministratori sono tenuti a richiedere l’apertura del fallimento, l’obbligo degli amministratori di richiedere la dichiarazione di fallimento, qualora la società versi in condizione di insolvenza irrimediabile, appare in ogni caso espressione del dovere di corretta gestione imprenditoriale, per l’esercizio del quale residua in tale eventualità un ridotto margine di discrezionalità soltanto in relazione alla

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Cfr. Cass. 27.2.2002, n. 2906, in Fall., 2003, e in Foro it., 2002, I, c. 3156 ss., 366; Cass. 27.7.1978, n. 3768, in Giur. comm. 1980, II, 904; Cass. 5.4.1971, n. 970, in Giur. comm., 1972, II, 73; Cass. 12.11.1965, n. 2359, in Dir. fall. 1966, II, 39; App. Bologna 15.4.2003, in

Fall. , 2004, 289: Trib. Firenze 15.9.1976, in Giur. comm. 1977, II, 724.

Per tutti, HIRTE H. – VICARI A., La responsabilità degli amministratori di società di

capitali verso i creditori in caso di omessa o ritardata presentazione della richiesta di fallimento al Tribunale, nel diritto tedesco e italiano, in Giur. comm., 1996, 377; più di recente

RONDINONE N., La responsabilità per l’incauta gestione dell’impresa in crisi tra vecchio e

nuovo diritto societario, in Fall., 1, 2005, 37.

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Sul punto MIOLA M., Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità

dell’insolvenza, in Studi in onore di Umberto Belviso, vol. I, Bari 2011, 620 ss;STANGHELLINI L., Le crisi di impresa fra diritto ed economia, Bologna, 2007.

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possibilità di richiedere l’ammissione al concordato preventivo, piuttosto che presentare istanza di fallimento107.

Rispetto alle problematiche sin qui svolte un ruolo di primo interesse è oggi poi svolto dalle soluzioni negoziali, ontologicamente rivolte ad assicurare il riequilibrio economico, patrimoniale e finanziario dell’impresa108.

Oggi, infatti, lo spazio di scelta e di iniziativa per gli amministratori si estende, da un lato, ai piani attestati, la cui esecuzione è sottratta all’azione revocatoria ai sensi dell’art. 67, III co., lett. d, l. fall., e, dall’altro, alle soluzioni per così dire procedimentalizzate, (accordi di ristrutturazione dei debiti, transazione fiscale e le procedure concordatarie), che ex art. 182-sexies l. fall. espressamente sospendono gli obblighi di intervento sul capitale e messa in liquidazione di cui agli artt. 2484-2485-2486 c.c.109, neutralizzando temporaneamente le relative responsabilità110.

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In questi termini MAZZONI A., La responsabilità gestoria per scorretto esercizio

dell’impresa priva della prospettiva della continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società, Liber amicorum Antonio Piras, Torino, 2011.

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Aa. Vv., La responsabilità degli amministratori nelle società di capitali, Padova, 2013; ABRIANI N., La crisi dell’organizzazione societaria tra riforma delle società di capitali e

riforma delle procedure concorsuali, Fall., 4, 2010, 392; GUERRERA F., Compiti e

responsabilità degli amministratori nella gestione dell’impresa in crisi, in VIETTI M. (diretto da), La governance nelle società di capitali. A dieci anni dalla riforma, Milano, 2013, 247; ROCCO DI TORREPADULA N.,Profili di responsabilità degli amministratori di società per azioni durante la crisi, in VIETTI M. (diretto da), La governance nelle società di capitali. A dieci anni

dalla riforma, Milano, 2013, 271.

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Si consideri, però, che la sospensione non opera per il I co. dell’art. 2446 c.c. e che quindi rimane sostanzialmente invariato il dovere degli amministratori di porsi in condizione di percepire tempestivamente la perdita significativa e riferire in merito ai soci “senza indugio”.

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Proprio sul punto si vedano MIOLA M., Riduzione e perdita del capitale di società in

crisi: l’art. 182-sexies l. fall. - Parte prima: La sospensione delle regole sulla riduzione del capitale sociale, in Riv. dir. civ., 2014, 171; MIOLA M., Riduzione e perdita del capitale di

società in crisi: l’art. 182-sexies l. fall. - Parte seconda: Profili applicativi e sistematici, in Riv. dir. civ., 2014, 409.Ma si vedano ancheCOEN A.,VILLANACCI G., La gestione della crisi di

impresa e i piani attestati di risanamento ai sensi dell’art. 67, 3 comma, lett. d) legge fallim.,

in Dir. fall., 2013, I., 82, e DELLE MONACHE S., Profili dei "nuovi" accordi di ristrutturazione

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Inutile dire come anche tali circostanze riempiano di ulteriori contenuti la responsabilità, anche solo omissiva, degli amministratori, rispetto ai loro doveri di tutela del patrimonio e dell’avviamento aziendale, viepiù in un contesto come quello odierno dove, pur mantenendo le specifiche peculiarità, le soluzioni negoziali procedimentalizzate hanno assunto la funzione comune di strumenti di autoregolamentazione della crisi, ponendosi come preventivi ed alternativi rispetto all’esecuzione coattiva della responsabilità patrimoniale della società.

È, dunque, compito degli amministratori preliminarmente valutare la gravità e la composizione dell’indebitamento, anche tenendo conto dell’atteggiamento dei creditori, di avvalersi della soluzione più adatta secondo parametri di ragionevolezza e misura, sia essa una domanda di concordato preventivo, eventualmente con riserva di integrare proposta e piano ex art. 161, VI co., l. fall., ovvero di optare per l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall., laddove si sia raggiunta un’intesa con la parte preponderante dei creditori, cercando in ogni caso di godere delle misure agevolative e di salvaguardia, subordinate alla verifica e all’autorizzazione giudiziale, altrimenti non accessibili (si vedano in particolare gli artt. 161, VII co., 169-bis, 182-quinquies e 186-bis l. fall.)

Da queste impegnative decisioni strategiche dipenderà il successo dell’operazione di salvataggio, nonché la responsabilità dei gestori, soprattutto laddove la via stragiudiziale risulti inutile o eccessivamente rischiosa o che si porvi che non si sia provveduto direttamente e senza indugio alla liquidazione.

In particolare, salvo diversa disposizione statutaria, l’accesso a soluzioni concordatarie o comunque negoziali compete all’organo amministrativo, trattandosi di decisioni di gestione.

Considerato, però il valore strategico e comunque straordinario di tali operazioni, sembrerebbe quantomeno auspicabile un coinvolgimento

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dell’organo assembleare, non solo richiedendo apposite deleghe e/o autorizzazioni per specifiche operazioni, o attivando la competenze parallela o concorrente dell’assemblea per operazioni strategiche e non delegabili, ma quantomeno adempiendo ad un dovere d’informazione e di consultazione preventiva dei soci.

Sia che si tratti di soluzioni concordatarie che di soluzioni procedimentalizzate e non (piani attestati, moratorie, convenzioni bancarie, accordi di rinegoziazione, ecc.) anziché la qualificazione giuridica, quel che rileva sarebbe il contenuto sostanziale dell’iniziativa e le conseguenze finali sull’assetto proprietario e sulla struttura patrimoniale e finanziaria.

Resta inteso che un eventuale coinvolgimento assembleare, peraltro in linea con quanto espressamente previsto dagli artt. 2365, 2446 ss., 2487 c.c., avrebbe un’incidenza non indifferente sulla responsabilità interna, soprattutto in caso di amministratore unico. Basti pensare come l’adeguamento alla volontà dei soci, da un lato, risponderebbe al dovere dei gestori di dare attuazioni alle delibere assembleari o comunque a non attuare iniziative incompatibili, e, dall’altro, limiterebbe la discrezionalità gestoria sulla scelta degli strumenti per risolvere la crisi e, dunque, parallelamente la responsabilità interna, laddove la crisi non venga sventata e il dissesto si aggravi.

La negligenza gestoria, dunque, si ravviserebbe non solo nel caso di organo amministrativo inerte dinanzi ad uno squilibrio economico, patrimoniale o finanziario, ma anche nel caso di scarsa tempestività nelle scelte, o infine di iniziative inadeguate o insufficienti, anche, ad esempio, in termini di concreta fattibilità del piano di risanamento o di liquidazione dell’impresa predisposto in funzione di una proposta concordataria o di ristrutturazione dei debiti.

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C

APITOLO

III

L

A RESPONSABILITÀ DEGLI AMMINISTRATORI DI S

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P

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A

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NELLE PROCEDURE CONCORSUALI