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La responsabilità nei confronti del socio e del terzo

In realtà, di regola, l’azione viene esercitata dal curatore fallimentare, con devoluzione del risultato utile a favore della massa attiva, il che spiega le poche pronunce.

Ai sensi dell’art. 2394-bis, in caso di fallimento, liquidazione coatta

amministrativa e amministrazione straordinaria, la legittimazione

all’esperimento dell’azione di responsabilità, sia verso la società che verso i creditori sociali, spetta al curatore fallimentare, al commissario liquidatore e al commissario straordinario.

Ciò trova giustificazione nella scelta legislativa di assegnare esclusivamente a detti organi la competenza a reintegrare il patrimonio della società ammessa alla procedura a beneficio della massa indistinta di creditori e comporta che le due fattispecie di cui agli artt. 2393 e 2394 c.c. confluiscano in un’unica azione, assegnata in via derivativa, che assomma in sé le tutele previste per la società e per i creditori.

L’azione si prescrive in cinque anni.

È assai controverso se il termine decorra dal verificarsi dell’insufficienza o da quando la stessa si manifesti e sia conoscibile ai creditori.

La giurisprudenza sembra orientata in quest’ultimo senso: il termine di prescrizione decorre da quando i creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza dell’insufficienza utilizzando la diligenza dell’uomo medio, senza far ricorso a nozioni tecniche o altre conoscenze che non siano desumibili dal bilancio o dai suoi allegati (peraltro non è detto che la perdita di patrimonio coincida con la perdita, anche integrale, di capitale sociale).

3.3 La responsabilità nei confronti del socio e del terzo.

L’art. 2395 c.c. contempla il diritto al risarcimento del danno derivante ai soci o ai terzi da atti colposi o dolosi – quindi non da mera inopportunità delle

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scelte di gestione - degli amministratori nello svolgimento delle loro funzioni gestorie.

Si tratta di danni derivanti da condotte tenute nell’esercizio dell’incarico, o comunque allo stesso direttamente ricollegabili41, che non costituiscano mero riflesso del pregiudizio causato al patrimonio sociale e non dipendano

necessariamente da inadempimento della società (chiaramente gli

amministratori risponderanno ex art. 2043 c.c. per danni ingiusti cagionati a soci o terzi al di fuori della loro attività gestoria42).

Chiaramente, trattandosi di illecito compiuto dall’amministratore nella sua qualità di organo della società, il danneggiato potrà agire non solo nei confronti dell’autore del fatto, ma anche nei confronti della società da lui amministrata (in questo caso le due azioni concorreranno).

Trattandosi di risarcire danni diversi subiti da soggetti diversi, l’azione non è cumulabile con le azioni ex artt. 2392 e 2394 c.c.; è invece cumulabile con quella promossa nei confronti della società ex artt. 2043 e 2049 c.c.

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A tal proposito, si veda Cass. 28.3.1996, n. 2850, in Soc., 1996, 1399, con nota di AMBROSINI S., Aumento del capitale sociale: determinazione del prezzo delle azioni inoptate, dove si legge “ Il discrimine tra la responsabilità degli amministratori prevista dagli artt. 2392-2394, codice civile, e quella contemplata dall’art. 2395, codice civile, non va individuato tanto nei presupposti stabiliti dalla legge per il sorgere di tali forme di responsabilità (che consistono pur sempre nella violazione, dolosa o colposa, dei doveri ad essi imposti dalla legge o dall’atto costitutivo), quanto nelle conseguenze che il comportamento illegittimo degli amministratori ha determinato nel patrimonio del socio o del terzo: se il danno costituisce solo il riflesso di quello arrecato al patrimonio sociale [...] si è al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 2395, codice civile, poiché detta disposizione richiede che il danno causato dagli amministratori abbia investito direttamente, vale a dire in via immediata, il patrimonio del socio o del terzo”.

Nello stesso senso, tra le altre, Cass. 3.4.2007, n. 8359, in Giur. it., 2007, 2761; Cass. n. 6364/1998; Cass. n. 2251/1998; Cass. n. 3905/1995; Cass. n. 3216/1994; Cass. n. 9385/1993. In dottrina, per tutti, F. BONELLI, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, F G., Commento all’art. 2395 c.c., in F. GALGANO (a cura di), Commentario

del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1997.

42

Cass., 9.7.1987, in Giur. comm., 1989, II, 208, con nota di SCOGNAMIGLIO G.,

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A conferma di ciò, è stato precisato altresì che l’azione di cui all’art. 2395 c.c. può essere esercitata anche se dal comportamento dell’amministratore non sia derivato alcun danno alla società, nonchè nel caso in cui il patrimonio sociale ne sia stato addirittura avvantaggiato43.

Si consideri che, per quanto si tratti di un’azione difficilmente proponibile, visto che in genere il danno si produce in capo alla società per mala gestio degli amministratori, essa non è preclusa da un’eventuale dichiarazione di fallimento, posto che l’art. 146 l. fall. non ne opera il trasferimento di legittimazione in capo al curatore44.

Peraltro, essa ha assunto importanza crescente in relazione al fenomeno della circolazione e collocazione presso il pubblico dei prodotti finanziari, nel cui ambito gli amministratori si trovano a mediare opposti interessi meritevoli di tutela: la protezione del risparmio e le esigenze di finanziamento delle imprese.

L’orientamento nettamente prevalente riconosce a detta responsabilità natura extracontrattuale, derivando in capo all’attore l’onere di provare non solo la condotta illecita, il danno e il nesso tra i due, ma altresì il dolo o la colpa degli amministratori45.

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TINA A., L’esonero da responsabilità degli amministratori di s.p.a., Milano, 2008, 166 s.; PINTO V., La responsabilità degli amministratori per «danno diretto» agli azionisti, in P. ABBADESSA -G.B.PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian

Franco Campobasso, 2, Torino, 2006.

44

Sul punto, si veda Cass., 22.3.2010, n. 6870, in Soc., 2010, 1185, con nota di CORRADI, in cui si legge che, se il pregiudizio del garante-creditore è derivato dalla mala gestio dell’amministratore, che ha minato la solidità patrimoniale e la solvibilità della società dopo che il pegno era già stato concesso, non paiono ravvisabili gli estremi per riconoscere l’esperibilità dell’azione ex art. 2395 c.c. e il risarcimento del danno. In particolare, sfuggono sia il requisito dell’incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo, sia il nesso di causalità tra un’illecita condotta dell’amministratore e la concessione del pegno.

45

FRANZONI M., Delle società per azioni. Dell’amministrazione e del controllo, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2008, 582; CASSOTTANA M., Sulla nozione di

«danno diretto» e sui rapporti tra l’art. 2395 e l’art. 1223, in Giur. comm., 1983, II, 530,

RORDORF R., La responsabilità degli amministratori di s.p.a. sotto la lente della

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Non mancano però voci discordanti che individuerebbero una fattispecie di contatto sociale, da cui deriverebbe a carico degli amministratori un obbligo generale di protezione nei confronti dei soci e dei terzi (si nota in proposito però che i soggetti sono indistinti così come non è chiaramente individuato il bene in relazione al quale assume rilievo l’obbligo di protezione), oppure che riterrebbero necessario distinguere a seconda che sia stato violato il principio generale del neminen laedere o un obbligo legale specifico.

L’azione può essere esercitata entro cinque anni dal compimento dell’atto che ha pregiudicato il socio o il terzo.

Se tali concetti appaiono ormai saldamente acquisiti nelle ricostruzioni teoriche adottate sia in dottrina che in giurisprudenza, al momento dell’applicazione a fattispecie concrete, i confini tra le diverse ipotesi di responsabilità sono assai meno netti.

In particolare, sfugge spesso nella prassi il discrimen tra danno immediato al patrimonio del singolo socio o del terzo e danno riflesso, ossia mera conseguenza delle perdite subite dal patrimonio sociale.

Qualche esempio può essere utile per comprendere, in concreto, cosa si intenda per “incidenza diretta” del danno: è stato ravvisato un pregiudizio diretto al patrimonio del socio o del terzo in casi in cui un soggetto, per effetto di un’inveritiera rappresentazione di bilancio, abbia acquistato per un determinato prezzo azioni di una società aventi, in realtà, valore nullo (o nettamente inferiore); ovvero abbia eseguito, per l’inganno dell’amministratore della società, contratti di fornitura, rimasti privi di corrispettivo.

Sarebbe risarcibile ex art. 2395 c.c. anche il danno subito dagli azionisti danneggiati da una errata valutazione del rapporto di cambio in un’operazione

269, in Soc., 2004, 1115 con nota di FERRARI M.P.; Cass. 28 febbraio 1998, n. 2251, in Fall., 1999, 254, con nota di ZAMPERETTI G.M., Danno del creditore sociale ed azione individuale di

responsabilità: prospettive attuali e riforme future; App. Milano 23.6.2004, in Giur. comm.,

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fusione, nel caso in cui gli amministratori, pur avendo scelto criteri valutativi adeguati, abbiano seguito procedure applicative carenti e tecnicamente non congrue.

Al contrario, è stata esclusa la ricorrenza del danno diretto ove gli

amministratori abbiano indebitamente sottratto utili alla società,

compromettendo l’aspettativa di reddito dei soci, il valore del loro investimento e, solo indirettamente, l’ammontare del loro patrimonio personale.

In ogni caso si ritiene che il mero inadempimento dell’amministratore e/o una cattiva gestione del patrimonio sociale siano insufficienti a fondare l’azione di responsabilità de qua.