Lorenzo Levis - Riccardo Fox
PREMESSA
Nel recente passato, negli ultimi decen-ni, si sono verificati notevoli mutamenti qualitativi e quantitativi nella composi-zione dei rifiuti solidi. Questo fenomeno è stato causato dall'aumento della popo-lazione, dall'incremento dei consumi do-vuto al sensibile miglioramento del te-nore di vita, dal progredire della civiltà industriale che ha occupato sempre mag-giore spazio nell'attività della colletti-vità umana.
I problemi di tutela ambientale che esi-gono nuove forme e più razionali criteri nella gestione dei problemi di raccolta e poi di smaltimento dei rifiuti solidi sono divenuti di ampia dimensione ed esigono soluzioni organiche ed urgenti. I dati sull'incremento dei rifiuti sono sorprendenti. Si pensi che negli Stati Uniti d'America nel 1920 una famiglia media produceva 1,2 kg di rifiuti solidi al giorno; nel 1970 erano 2,4 kg; nel 1980 si prevede possano raggiungere ol-tre 4 kg. Se si aggiungono i rifiuti al di fuori del settore civile, la media preve-dibile salirà, in un f u t u r o non lontano, a circa 15 kg giornalieri per famiglia.
La Comunità Economica Europea ha va-lutato che la produzione dei rifiuti nei paesi della Comunità stessa sia di 1600 milioni di tonnellate ripartite, in percen-tuale:
6 0 % di rifiuti agricoli (circa 950 milio-ni di tonn.);
1 8 % di rifiuti dalle industrie minerarie (circa 300 milioni di tonn.);
1 2 % di fanghi prodotti da impianti di depurazione delle acque (circa 200 mi-lioni di tonn.);
7 % di rifiuti da lavorazioni industriali (circa 115 milioni di tonn.);
3 % di rifiuti civili o domestici (circa 90 milioni di tonn.).
Sempre la Comunità valuta intorno al 5 % il tasso annuo medio di aumento. I rifiuti solidi quindi crescono, nell'an-no, con lo stesso ritmo del consumo di energia: è coincidenza singolare.
Abbiamo dei dati sufficientemente pre-cisi sui rifiuti solidi prodotti in Italia? La Confederazione Nazionale dell'Indu-stria Italiana ha, due anni or sono, dato corso ad una indagine statistica a cam-pione, ma condotta su un complesso di aziende sufficientemente rappresentativo per tipologia e per numero, sui rifiuti so-lidi derivanti dall'attività del settore in-dustriale pervenendo a valutare la pro-duzione nazionale annua dei rifiuti del settore in circa 35 milioni di tonnellate. La stima pone in luce la rilevanza pre-minente del comparto metallurgico che copre circa il 5 0 % del totale dei rifiuti solidi generati in un anno dall'industria manifatturiera italiana. Anche i rifiuti provenienti dal comparto dei materiali da costruzione rappresentano una quota di tutto rilievo ( 1 3 % del volume glo-bale). Seguono, in ordine di importanza, i rifiuti del settore meccanico, alimenta-re, dei mezzi di trasporto, del settore chimico.
La carta, le pelli e cuoio, p u r posseden-do un quantitativo unitario di rifiuti superiore a quello medio nazionale, rag-giungono però un peso non eccessiva-mente elevato. Meno contribuiscono alla formazione del volume complessivo gli altri settori: vestiario, poligrafico, calza-turiero ecc.
Circa l'origine dei rifiuti, per la genera-lità dei settori essi derivano dal ciclo di lavorazione; seguono i rifiuti provenien-ti da impianprovenien-ti di trattamento delle acque di scarico; di scarso rilievo, sotto l'aspet-to quantitativo, sono i rifiuti provenienti dall'attività amministrativa, di spedizio-ne e di mensa.
La stima derivante dallo studio confe-derale condotta due anni or sono è con-fermata dallo studio che la Federazione delle Associazioni Industriali del Pie-monte, con il supporto operativo della Fiat Engineering, ha recentemente con-dotto a termine per la Regione Piemon-te: è u n o studio approfondito che ha impegnato l'organizzazione industriale per oltre un anno ed è stato motivato dalla necessità di mettere a disposizione della pubblica autorità gli elementi ne-cessari alla soluzione del problema, tan-to per q u a n t o riguarda i rifiuti solidi che i fanghi.
Questa ricerca ha permesso di indivi-duare con buona precisione quantità, tipologia, qualità e collocazione dei luo-ghi di produzione in Piemonte dei rifiuti solidi e dei fanghi derivanti dall'indu-stria.
Con questo studio conoscitivo si è an-che pervenuti a distinguere i principali tipi di rifiuti prodotti: recuperabili, as-similabili, inorganici, fanghi. Si è infine, con più che sufficiente approssimazione, individuata la collocazione e la quanti-tà dei rifiuti per i quali si richiedono so-luzioni urgenti e, successivamente an-che di quelli con problemi oggi meno pressanti ma per i quali sorgeranno pro-blemi nel prossimo futuro.
In termini molto riassuntivi si è accer-tato che il quantitativo globale di rifiuti solidi e fanghi industriali in Piemonte è di circa 4.360.000 tonnellate e che è in-dispensabile trovare soluzioni urgenti per circa 1.720.000 tonnellate, cioè a dire per il 4 0 % circa della produzione globale.
Per un termine di riferimento, si consi-deri che lo studio condotto dall'Assesso-rato all'Ambiente della Regione Pie-monte nell'anno 1975 era pervenuto a valutare in circa 1.200.000 tonnellate annue i rifiuti di origine domestica, o comunque civile, prodotti sul territorio regionale.
In Piemonte, dunque, produciamo an-nualmente circa 5 milioni e mezzo di tonnellate di rifiuti solidi e di fanghi che dobbiamo raccogliere, per quanto pos-sibile recuperare o riciclare oppure smaltire.
C O M E AUMENTARE IL RECUPERO
L'indagine condotta dall'organizzazione industriale confederale nell'anno 1977 ha indicato in circa 15 milioni di ton-nellate annue la quantità dei rifiuti pro-venienti dal settore produttivo che at-tualmente vengono recuperati con rici-clo o con vendita: si tratta di un quan-titativo già oggi non trascurabile, sfio-rando il 4 0 % sul totale dei rifiuti indu-striali.
La recente indagine della Federpiemon-te ridimensiona, per la nostra regione, il quantitativo dei rifiuti dell'industria che attualmente vengono riassorbiti nelle la-vorazioni e per i quali quindi non si po-ne il problema dello smaltimento: sia-mo nell'ordine del 2 5 - 3 0 % .
È, in ogni caso, evidente che la fase del recupero e del riciclaggio deve essere affrontata con maggior impegno: il no-stro paese ha motivi di diretto interesse, anche al di là del fatto che in questo modo si ridimensiona il gravissimo pro-blema dello smaltimento, di ottenere un risparmio nelle materie da sottoporre a trasformazione.
La penuria di materie prime è infatti motivo che dovrebbe consigliare inter-venti, tanto delle imprese quanto della parte pubblica, volti alla reimmissione nei cicli della produzione delle materie risultanti da processi di riciclo. È da ritenere che ciò avvenga attual-mente solaattual-mente in relazione al rappor-to di convenienza che il mercarappor-to deter-mina; p u r t r o p p o questa attività stenta ad incrementarsi ed a generalizzarsi poi-ché il costo dei processi di riciclo deter-mina di norma un prezzo finale del pro-dotto recuperato superiore a quello ori-ginario.
Quindi soltanto la predisposizione di condizioni operative adeguate e di age-volazioni che permettano di ridurre il costo dei processi di recupero, od alme-no di una parte di essi, p u ò innescare l'avvio spontaneo di un circuito di riu-tilizzo.
Tra le condizioni operative atte a favo-rire il riciclo potrebbe anche essere ipo-tizzata l'adozione di misure disincenti-vanti la produzione dei rifiuti, da esten-dere tanto al settore produttivo che a quello civile.
Nell'ambito della Comunità Europea sono stati messi in atto o sono in corso di studio provvedimenti che possano in-centivare i recuperi: tra questi è da ci-tare l'adozione delle cosiddette « borse
rifiuti ».
Si tratta di bollettini periodicamente pubblicati e contenenti offerte e richie-ste di materiali di rifiuto riutilizzabili in cascata nello stesso settore produttivo o collateralmente tra settore e settore.
In Italia è stata la Camera di commer-cio, industria ed agricoltura di Torino ad avviare, tra i primi, una iniziativa di « borsa rifiuti »: ne ha parlato diffusa-mente l'amico Dr. Alunno mettendo in evidenza impegno e ricerca, fase di at-tuazione, difficoltà incontrate, risultati finora ottenuti e possibilità di amplia-mento e potenziaamplia-mento dell'iniziativa. Analoga iniziativa attua l'Associazione industriale dell'industria chimica, nel particolare settore merceologico. A nostro giudizio, l'iniziativa va conti-nuata e supportata da una più intensa pubblicazione da parte dell'organizza-zione industriale, particolarmente agen-do poi nel campo della sensibilizzazio-ne delle imprese.
Sotto l'aspetto più strettamente tecno-logico, studi e ricerche sono state con-dotte o tuttora sono in atto particolar-mente:
— per il recupero degli olii minerali dagli scarichi ove sono contenuti pro-dotti oleosi concentrati. Il problema de-gli olii esausti riveste parallelamente un aspetto ecologico ed un aspetto energe-tico. L'attuale tendenza prevalente è per incenerire gli olii. Ma, a nostro giudi-zio, la via da seguire è quella della ri-generazione ad evitare oltretutto, di di-struggere una fonte energetica riutiliz-zabile. A tal fine occorre approfondire la strada dell'incentivazione alle impre-se che raccolgono e ritrattano gli oli usati che, anche in relazione alle diretti-ve della CEE, debbono ricediretti-vere una spe-ciale indennità a contropartita del ser-vizio ecologico reso;
— il recupero dei fanghi di vernice che possono essere riutilizzati come riempi-tivo in pannelli truciolati di legno; — il recupero degli sfridi e degli scarti delle resine termoplastiche e termoindu-renti: problema più specifico dei rifiuti urbani;
— il recupero di parte delle terre di fonderia.
È da mettere infine in luce che, ai fini di allargare le possibilità di recupero di una certa parte di rifiuti industriali, u n a funzione determinante potranno svolge-re i cosiddetti « centri di servizio » che
dovranno sorgere al fine di risanare gli scarichi ad alta tossicità, per renderli utili soprattutto della piccola industria e dell'artigianato.
RECUPERO ENERGETICO DIRETTO DEI RIFIUTI INDUSTRIALI
In un clima di crisi energetica uno smal-timento dei rifiuti che permetta un recu-pero totale o parziale dell'energia ter-mica in essi contenuta, è da considerarsi tra le soluzioni di riciclo più valide. Q u a n t o detto vale ancor di più se lo smaltimento avviene attraverso un pro-cesso che è ecologicamente valido e cor-retto.
Tale è il caso della combustione di
rifiu-ti combusrifiu-tibili di basso pregio nei ce-mentifici.
In un f o r n o di cementificio si opera ad alta temperatura (sui 1700 °C) in un am-biente alcalino.
Queste condizioni sono ritenute ideali per evitare la formazione di diossine o altri microinquinanti riscontrati invece nei forni di incenerimento dei rifiuti so-lidi urbani e industriali.
Secondo i risultati pubblicati da una ri-vista tecnica inglese, in Svizzera sono state ritrovate nelle ceneri del f o r n o di incenerimento di Zurigo 0,2 ppm di policlorodibenzoparadiossine e 0,1 p p m di policlorodibenzofurani; nel f o r n o di incenerimento di Aaran le percentuali sono rispettivamente di 0,6 e 0,3 ppm. Anche nei fumi e nelle ceneri dei forni di Milano sono state recentemente tro-vate diossine.
Pertanto vi sono ricercatori che hanno proposto di incenerire i rifiuti urbani nei forni dei cementifici per evitare questo pericolo.
È chiaro che, sebbene da un lato la di-sponibilità di combustibile, sia pure di basso pregio, ma con costo nullo, sia allettante d'altro canto non tutti i combustibili possono essere accettati e non si p u ò affidare completamente e so-lamente ad essi la combustione. In un f o r n o da cementificio si può uti-lizzare come combustibile o del carbone o della n a f t a o del gas.
Il carbone viene usato per lo più ridotto in polvere ed insufflato nel forno con l'aria primaria di combustione.
Il polverino di carbone deve pertanto essere molto fino (deve lasciare un resi-duo inferiore al 1 0 % su un vaglio di 4900 maglie/cm2).
Pertanto solo rifiuti industriali polveru-lenti o macinabili possono essere presi in considerazione. Inoltre, al fine di mantenere la temperatura sugli alti li-velli, solo una piccola percentuale di ri-fiuto (che ha logicamente un basso pote-re calorifico) può essepote-re mescolata col carbone.
Più facile l'uso di combustibili liquidi industriali. Occorre però anche qui ana-lizzarli, caso per caso, per accertarsi che non contengano tenori troppo
ele-vati di inquinanti (es. zolfo) o che siano eccessivamente corrosivi.
Ritornando per un momento ai rifiuti urbani, che qui interessano per analogia, si ricorda che la cementiera di West-bury in Inghilterra, che produce 700 mila t di cemento all'anno, brucia, dal 1977, 80 -T- 90.000 t / a n n o di rifiuti ur-bani che il Comune cede pagando un contributo • di 5 0 0 0 L / t per lo smalti-mento.
Questi rifiuti, frantumati e deferrizzati, vengono insufflati col polverino di car-bone nella proporzione del 1 0 % . Un altro sistema di trasformazione dei
rifiuti industriali in combustibile è in
corso di realizzazione qui a T o r i n o pres-so un impianto che la Fiat sta costruen-do nella zona delle basse di Stura.
Fig. 1. Centro FIAT di riciclaggio dei rifiuti solidi industriali.
(T) arrivo rifiuti d'officina
(2) linea s e p a r a z i o n e m e c c a n i c a con p r o d u z i o n e di combustibile
(3) s e r b a t o i o a c c u m u l o combustibile (4) v a s c h e raccolta f a n g h i
Si tratta di un impianto di riciclaggio che prende i rifiuti d'officina (costituiti da carta 5 4 % , plastica 1 2 % , stracci 7 % , ferro 2 % , metalli 8 % , similpelle 4 % , legno 4 % , - v a r i 5 % ) nel quantita-tivo di 5 t / h , e dopo averli frantumati, deferrizzati, ulteriormente frantumati e sottoposti ad una separazione aerodina-mica (vedere fig. 1) permette di ottene-re un combustibile con dimensione mas-sima di 25 m m X 25 m m ed un potere calorifico di 3000 k c a l / k g
Nel caso specifico, a cui prima si è ac-cennato, questo combustibile serve a bruciare, in apposito forno, le melme di verniciatura; in altri casi potrà es-sere bruciato presso le caldaie delle cen-trali termiche degli stabilimenti, purché queste siano atte a bruciare carbone op-pure vengano opportunamente adattate. Certo sarebbe una soluzione ideale, per certe categorie di stabilimenti, poter utilizzare direttamente parte dei propri rifiuti come combustibile ausiliario, in modo da ridurre i consumi di combusti-bili pregiati.
RECUPERO ENERGETICO INDIRETTO DEI RIFIUTI INDUSTRIALI
Il recupero energetico indiretto consiste nel recuperare, attraverso u n ' o p p o r t u n a politica di riciclo, i materiali di scarto con il loro contenuto energetico intrin-seco.
L'esempio dell'acciaio è illuminante: 1) si deve estrarre il minerale di ferro dalla miniera (spese energetiche di na-tura mineraria);
2) si deve portarlo alle acciaierie (spese energetiche di trasporto);
3) si deve fonderlo per ottenere l'ac-ciaio (spese energetiche di siderurgia); 4). si deve lavorarlo per ottenere i semi-lavorati ed i pezzi finiti (spese energeti-che di natura meccanica).
Di queste quattro voci la più dispen-diosa, energeticamente parlando, è la
voce 3: per fondere una tonnellata di minerale di ferro e trasformarla in ac-ciaio occorrono infatti mediamente
4270 kWh.
Se però, invece di partire dal minerale di ferro, si converte direttamente il rot-tame di ferro, per ottenere una tonnel-lata di acciaio occorrono soltanto più
1660 kWh.
Solo considerando la voce 3 del bilan-cio complessivo c'è già una grande diffe-renza. Essa aumenterà ancora qualora si prendano in considerazione anche le voci 1 e 2.
Il discorso p u ò estendersi ad infiniti altri casi, ognuno dei quali varrebbe a dimo-strare l'opportunità di riciclo dei mate-riali. A questi numerosi argomenti a fa-vore, altri se ne aggiungono tutt'altro che trascurabili: quelli di natura ecolo-gica.
Infatti quasi sempre riciclando si ottie-ne un ulteriore risparmio eottie-nergetico che deriva dal non ricorrere a metodi di-struttivi per eliminare materiale che se non riciclato risulterebbe inquinante. Il riciclaggio e il recupero degli sfridi
metallici nell'industria è ormai prassi
comune.
Secondo l'indagine sui rifiuti solidi in-dustriali pubblicata dalla Confindustria nel luglio 1977, su circa 35 milioni di t / a n n o di rifiuti industriali, 14 milioni venivano recuperati e venduti.
Si tratta prevalentemente di sfridi me-tallici, tanto che di questi 14 milioni di t / a n n o , ben 7 provenivano da industrie metallurgiche, 1,25 dall'industria mec-canica e 1,7 dall'industria dei mezzi di trasporto.
C o m u n q u e si p u ò ulteriormente esten-dere questa prassi, anche in quei casi finora trascurati per ragioni di conve-nienza economica o di limitatezza dei quantitativi in gioco.
Un altro settore interessato al recupero indiretto è quello delle materie plastiche. L'industria delle materie plastiche pro-duce tre tipi di scarto di lavorazione:
a) sfridi e materozze di termoplastica
puliti: essi vengono introdotti nuova-mente nel ciclo produttivo dello stabili-mento;
b) scarti di termoplastica inquinati
dal-la presenza in essi di inserti e di sup-porti: essi normalmente non possono essere recuperati direttamente dallo sta-bilimento;
c) scarti, sfridi e materozze di termo-indurenti che per la irreversibilità del processo di policondensazione non pos-sono più essere recuperati come materia plastica attiva.
Quest'ultimo è il problema più grave e difficile da risolvere nel campo del re-cupero degli scarti di questo settore in-dustriale. È stato calcolato che gli scarti del secondo e terzo tipo prodotti in Ita-lia a m m o n t a n o a circa 70.000 t / a n n o , di cui il 4 9 % vengono normalmente rici-clati da ditte specializzate. L'azienda produttrice dello scarto ricava dalla sua vendita mediamente 170 L / k g mentre il 5 1 % deve essere pertanto smaltito con un qualche mezzo ecologicamente non dannoso e conseguentemente ad un certo costo.
C'è ancora da osservare che oltre il 7 0 % di quest'ultimo quantitativo è rap-presentato da scarti di termoindurenti di difficile recupero. Sostanzialmente quindi delle 70.000 t / a n n o prodotte 34.000 t sono normalmente vendute con un ricavo di circa 5 / 6 miliardi di lire; 35.700 t devono essere smaltite ad un costo di circa 20.000 L / t (considerando trasporto ed incenerimento): la spesa complessiva risultante è di oltre 700 mi-lioni di lire (essa si dimezza qualora si utilizzi per lo smaltimento la discarica). È evidente che la soluzione dei problemi di riciclaggio per quest'ultimo tipo di scarico comporterebbe dei notevoli ri-sparmi anche senza valutare un recu-pero economico dalla sua utilizzazione. Il riciclaggio delle termoplastiche inqui-nate non comporta problemi insupera-bili ed è stato già sperimentato in qual-che caso con buoni risultati.
Invece il riciclaggio o meglio il recupe-ro delle termoindurenti presenta nume-rosi problemi la cui soluzione richiede tempo per individuare le tecniche adatte che consentano l'utilizzo del sottopro-dotto ricavato.
Per il momento le soluzioni che si pre-sentano più promettenti per gli sfridi
di resine termoindustriali ormai policon-densate sono:
— macinazione di tali sfridi per usarli come cariche inerti;
— pirolisi per ricavarne combustibile; — uso diretto per talune di esse come combustibile dato il loro elevato potere calorifico, con tutte le precauzioni del caso però per la depurazione dei fiumi conseguenti.
Interessante al riguardo è tutta una se-rie di macchine automatiche, in parte attualmente già in commercio ed in parte allo studio, che partendo da pro-dotti termoplastici di rifiuto f r a loro me-scolati producono con essi una gamma completa di oggetti di uso comune, che vanno dal paletto per recinzione al rul-lo avvolgi-cavi. L'aspetto più interessan-te di quesinteressan-te macchine consisinteressan-te nel fatto che esse sono predisposte per variare nel modo più immediato e semplice il tipo di oggetto in costruzione onde po-ter cosi adattare perfettamente la loro produzione alla richiesta di mercato. Un altro settore di interessanti possibi-lità di recupero è costituito dagli scarti dell 'industria della gomma.
L'industria della g o m m a impiega essen-zialmente elastometri, gomma naturale, nero f u m o , olii plastificanti, inserti me-tallici.
La produzione di sfridi da lavorazione è notevole in q u a n t o strettamente con-nessa alla tecnica di stampaggio per inie-zione o per compressione. Per farsene un'idea un'industria di articoli in gom-ma con 1000 -f- 1500 dipendenti pro-duce circa 1300 t / a n n o di sfridi di gom-ma. Senza contare l'enorme patrimonio costituito dai copertoni usati dagli auto-veicoli. Finora la via seguita per recu-perare tale materiale è consistita essen-zialmente in una sua macinazione per v i i meccanica o per via criogenica, onde poterlo riutilizzare in piccola percen-tuale come carica nella mescola iniziale.
I risultati sono stati piuttosto scarsi, forse anche perché n o n è stata scelta la scala giusta nella quale eseguire questo tipo di riciclo che richiede, specialmen-te per il sisspecialmen-tema criogenico, un impianto
di una certa potenzialità e possibilmente a funzionamento continuo.
Un sistema ingegnoso e remunerativo di riutilizzo dei cascami di g o m m a è stato quello di impegnarli nella carica dei cu-bilotti delle fonderie di ghisa in sosti-tuzione del carbone coke.
Spesso, ma con rese molto più basse, e con problemi di inquinamento
atmosfe-rico, si impiegano attualmente come combustibile nelle fornaci per la calce. Una via molto promettente è quella piro-litica. Sono già in fase sperimentale inol-trata grandi impianti capaci di trattare