CAPITOLO 1: ANALISI ECONOMICA DELLA REGOLAMENTAZIONE
2. Regolamentazione e performance economica nella letteratura
In anni recenti molti studi sono stati dedicati all‟analisi delle possibili determinanti dei divari di crescita e produttività tra Paesi. Alcuni di questi, sulla base della teoria neoclassica della crescita (Solow, 1956, 1957; Swan, 1956; e tra gli altri, Jorgenson e Stiroh, 2000; Oliner e Sichel, 2000; Gordon, 2002)34, riconducono tale gap alla capacità di innovazione, al progresso tecnico. Questi
32 Cfr. Boitani-Petretto (2000).
33 Cfr. per esempio Martimort (1996) e Laffont (2000), cap. 3 34
Nel modello neoclassico della crescita di Solow-Swan (1956; 1957), la produttività totale dei fattori (ptf) è definita come il residuo (A) ottenuto dalla differenza tra i tassi di variazione dell'output e degli input (lavoro (L) e capitale (K)), per cui ΔY=αΔK +(1-α)ΔL+ A. Una misura del tasso di variazione della produttività totale (o residuo di
studi hanno dunque dimostrato l‟esistenza di una correlazione positiva tra crescita della produttività multifattoriale con diverse misure di intensità tecnologica.
Nel modello di crescita neoclassica anche la regolazione dell‟attività economica influisce sul livello di output prodotto nel sistema, mentre un suo aumento continuo influisce sugli equilibri di lungo periodo, contribuendo a un abbassamento del tasso di crescita (North, 1990; Aghion e altri 2001): l‟effetto è principalmente di spostare verso l‟alto la funzione di costo delle imprese e verso il basso la funzione di produzione, generando un più basso livello di prodotto e un più basso tasso di crescita nel lungo termine.
Altri studi hanno mostrato l‟importanza dell‟assetto delle istituzioni economiche, in particolare la presenza di varie forme di “corporativismo”, quale fattore decisivo per la spiegazione del divario in termini di performance economica. L‟idea di fondo è che il business environment e le forme di mercato che caratterizzano il sistema economico di ciascun Paese sono anche il risultato delle istituzioni e delle politiche assunte in quel Paese.
Nelle recenti analisi di Phelps (2003, 2004) emerge che esse possono creare ostacoli e impedimenti all‟attività economica principalmente in tre ambiti:
(i) nella creazione di “circoli chiusi”. I sistemi corporativi riescono, anche in modo informale, attraverso una rete di insiders, a controllare il cambiamento economico e finanziario di un Paese;
(ii) nello sviluppo del mercato finanziario. Dato che l‟obiettivo principale di un sistema governato da istituzioni corporative è di impedire un‟incontrollata “distruzione creativa” propria del capitalismo Schumpeteriano, anche lo sviluppo del mercato finanziario è vincolato al rispetto di norme rigide sulla quotazione delle società, sugli standard di contabilità e governance e sulla sua liquidità;
(iii) nella creazione di nuove imprese o nelle condizioni di uscita/entrata nel mercato del lavoro. L‟accesso al mercato da parte di nuovi entranti è vincolato dalla concessione di diverse autorizzazioni (licenze e permessi) da parte dell‟autorità amministrativa competente.
Solow) equivale, sotto determinate condizioni, a una misura dell‟effetto del progresso tecnico, dei miglioramenti tecnologici, della qualità dell‟input di lavoro e di diversi altri fattori sulla produzione. Secondo l‟approccio neoclassico, dunque, la produttività totale dei fattori contribuisce alla crescita e di conseguenza, il divario in termini di crescita economica si riflette nel divario della produttività complessiva tra Stati Uniti ed Europa (e tra Europa e Italia).
Nell‟ultimo decennio, caratterizzato da rapidi cambiamenti tecnologici, si è sviluppato un crescente interesse per gli effetti esercitati dai contesti istituzionali e normativi relativi al mercato del lavoro e dei prodotti su produttività e innovazione del settore industriale (Blanchard e Giavazzi, 2002; Nicoletti e Scarpetta, 2003). Una rigida regolazione del mercato dei beni ha un effetto negativo sul grado di concorrenza dei mercati, sull‟adozione di nuove tecnologie e sulla produttività: aumenta i costi per le imprese operanti nel mercato, scoraggia l‟ingresso di nuove, disincentiva quelle già esistenti ad allocare efficientemente le risorse ed a innovare. La regolazione, nell‟ostacolare l‟accesso al mercato di nuovi entranti, rischia di rallentare lo sviluppo tecnologico e l‟andamento della produttività aggregata. Le nuove imprese, infatti, adottano più facilmente nuove tecnologie rispetto alle imprese già esistenti perché sostengono costi opportunità più bassi e contribuiscono, più delle altre, alla crescita della produttività settoriale35 In modo analogo, un rigido assetto normativo del mercato del lavoro può incidere sulla dinamica della produttività. In particolare, una rigida normativa per la protezione dell‟impiego aumenta i costi per le imprese di riallocazione della forza lavoro sempre più necessaria in un contesto caratterizzato da un rapido progresso tecnologico. Questi effetti sono più marcati quando le imprese non possono compensare i più elevati costi di licenziamento e di adeguamento del processo di produzione alle dinamiche del mercato con il processo di formazione dei salari (Scarpetta e altri, 2002; Scarpetta e Tressel 2002).
Le istituzioni incidono dunque sull‟ambiente in cui operano gli agenti economici e sulla capacità che essi hanno di incentivare e sfruttare l‟innovazione tecnologica. Analisi di questo tipo tendono a tenere conto anche dei fattori culturali che caratterizzano il modo di operare in ciascun Paese. A tal riguardo, Roe (2002), Phelps (2003 e 2004) e Gordon (2004) tra gli altri, considerano le differenze culturali tra le possibili determinanti dell‟andamento e dei differenziali di produttività.
Aghion e alti economisti (2005), tra i più recenti studi teorici, sostemgono la possibilità di una relazione a parabola tra struttura di mercato e innovazione, riconducibile al fatto che i forti incentivi a innovare sono presenti sia in una struttura di mercato molto concorrenziale sia monopolistica, dove si realizzano investimenti in innovazione grazie all‟utilizzo della rendita di posizione da parte dell‟impresa dominante. Per Etro (2004) questo ragionamento rimane valido soprattutto quando, in presenza di barriere all‟ingresso non troppo elevate, il monopolista investe in innovazione al fine di evitare l‟entrata di potenziali concorrenti e continuare ad appropriarsi delle rendite generate. Nonostante alcune visioni contrapposte, vi è ampio consenso nella comunità
accademica e tra policy makers sui benefici di un sistema economico competitivo, dove i diversi vincoli all‟attività economica del settore privato sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente traducendosi in guadagni di produttività e in crescita economica. Questo consenso si fonda sui numerosi studi empirici che hanno rilevato l‟esistenza di una relazione inversa tra una rigida regolazione e una buona performance del sistema o, viceversa, di una correlazione positiva tra aumenti del livello di concorrenza nel mercato e aumenti di produttività (Haskel, 1991; Nickell, 1996; Bassanini e Ernst, 2002; Scarpetta e altri, 2002; Scarpetta e Tressel 2002; Gordon, 2004; Conway e altri, 2005; Loayza e altri, 2005; Schiantarelli, 2005). In particolare, gli studi di Nicoletti e Scarpetta (2003) e Scarpetta e Tressel (2002) condotti per 18 Paesi Ocse e 23 industrie (17 del settore manifatturiero e 6 dei servizi) dimostrano che:
a) un basso valore dell‟indicatore di rigidità del mercato dei prodotti, costruito tenendo conto delle barriere all‟entrata poste dalla regolamentazione sull‟attività imprenditoriale e dal controllo diretto dello Stato sull‟economia (economic regulation); dei vincoli amministrativi all‟attività economica (administrative regulation); delle barriere relative al commercio e agli investimenti diretti (barriers to trade), è correlato positivamente con un sostenuto tasso di crescita della produttività del lavoro. Questo perché un ambiente competitivo contribuisce ad aprire il mercato del lavoro alla concorrenza e a ridurre l‟incentivo dei lavoratori ad appropriarsi indebitamente di rendite attraverso attività di lobby per il mantenimento della legislazione a protezione del rapporto di lavoro (Blanchard e Giavazzi, 2002);
b) regolamentazioni troppo rigide possono incidere negativamente sull‟attività e sulla spesa in Ricerca e Sviluppo delle industrie e dunque sull‟andamento della produttività totale36
. Nell‟ultimo decennio, la maggior parte dei Paesi ha avviato riforme della regolamentazione del mercato dei prodotti e del lavoro, anche se di diversa intensità e a partire da condizioni iniziali diverse37. Queste riforme creano un interessante contesto per la verifica di numerose ipotesi teoriche riguardanti gli effetti delle politiche volte a promuovere la concorrenza. I risultati empirici supportano l‟idea di fondo relativa agli effetti benefici degli interventi di riforma pro-competitivi dei mercati dei prodotti e del lavoro sulla produzione, sull‟innovazione, sulla produttività e sulla
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Scarpetta e Tressel (2002) utilizzano la spesa in Ricerca e Sviluppo quale proxy dell‟attività innovativa delle 23 industrie e dimostrano che l‟impatto di questa variabile sulla produttività è particolarmente significativo per le industrie high-tech operanti nei Paesi leader dal punto di vista tecnologico.
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Sul tema ci sono, oltre ai diversi studi della letteratura economica, anche analisi puntuali sulle riforme della regolazione attuate o da realizzare nei singoli Paesi condotte da istituzioni internazionali, quali il Fondo Monetario, l‟OCSE, la Banca Mondiale, la BCE.
crescita, con implicazioni negative, ma di breve periodo, sull‟occupazione in seguito all‟uscita dal mercato delle imprese inefficienti (Griffith e Harrison, 2004; Nicodème e Sauner-Leroy, 2004; Gjersem 2004; Faini et altri, 2005)38. Come dimostrato dai lavori di Nicoletti e Scarpetta (2000, 2003, 2005), di Scarpetta e altri (2002) e Bassanini ed Ernst (2002), gli interventi di riforma, volti a creare un ambiente competitivo per le industrie nelle quali l‟Europa ha accumulato un gap tecnologico (Ict-related industries, Ict), favoriscono una maggiore diffusione e adozione di tecnologie Ict nei processi di produzione, nonché una maggiore propensione delle imprese (e dei Paesi) a investire in attività di Ricerca e Sviluppo, in conoscenza, per essere competitive e non perdere quote di mercato.