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Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

Nel documento Sicurezza delle cure (pagine 98-122)

ARTICOLO7

Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sani- taria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svol- te in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Ser- vizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.

3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio ope- rato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adem- pimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella de- terminazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercen- te la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 della presente legge e dell’arti- colo 590-sexies del codice penale, introdotto dall’articolo 6 della presente legge. 4. Il danno conseguente all’attività della struttura sanitaria o sociosanitaria, pubbli-

ca o privata, e dell’esercente la professione sanitaria è risarcito sulla base delle ta- belle di cui agli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, integrate, ove necessario, con la pro- cedura di cui al comma 1 del predetto articolo 138 e sulla base dei criteri di cui ai citati articoli, per tener conto delle fattispecie da esse non previste, afferenti alle attività di cui al presente articolo.

5. Le disposizioni del presente articolo costituiscono norme imperative ai sensi del codice civile.

Commento

La sicurezza delle cure come fuoco prospettico della Riforma

Le linee che danno corpo e sostanza alla disciplina introdotta dal- la legge 24/2017 convergono, già dall’incipit, verso la “sicurezza delle cure”, eretta dall’art. 1 a “parte costitutiva del diritto alla sa-

lute”. Sul versante degli obblighi, ciò si traduce nel dovere (per le “strutture” pubbliche e private) di realizzare “tutte le attività fina- lizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’e- rogazione delle prestazioni sanitarie” e nell’“utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche ed organizzative”.

Questo principio, nella sua declinazione “attiva” e passiva”, rap- presenta, a parere di chi scrive, il fuoco prospettico della riforma; si tratta di un punto nodale che, pur restando sullo sfondo, attrae, as- sorbe e ri-modula (anche) le regole di responsabilità, restituendole al- la luce in una veste diversa. Esso va poi coordinato con quelle che po- trebbero definirsi le altre “anime” della Novella: contrastare la medi- cina difensiva, consentendo all’esercente (in particolare, al sanitario che opera all’interno di una organizzazione complessa, sulla quale non ha potere di intervento e controllo) di recuperare la necessaria se- renità d’azione; spostarre la lente dal singolo operatore sulla struttu- ra, ovvero sul soggetto che ha un rapporto “diretto” ed immediato con il paziente; mettere in sicurezza l’intero sistema attraverso la defini- tiva modulazione dell’obbligo di assicurazione, creando altresì i presupposti per consentirne il corretto funzionamento (specie in ter- mini di sostenibilità dei premi e prevedibilità dei risarcimenti).

L’art. 7 – su cui ora si soffermerà la nostra analisi – costituisce uno dei principali tasselli su cui si regge tale nuovo quadro .

La responsabilità civile della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata

Il comma 1 dell’art. 7 ribadisce, rectius “consacra”, la regola “co- niata” (circa trent’anni fa) dalla giurisprudenza di merito e di legit- timità secondo cui la struttura (pubblica o privata) che, nell’adem- pimento della propria obbligazione, si avvale dell’opera di “eser- centi la professione sanitaria”, anche se scelti dal paziente e ancor- ché non dipendenti, risponde, ai sensi degli articoli 12181e 12282

del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.

98 RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA STRUTTURA E DELL’ESERCENTE…

1Art. 1218 Codice civile

Responsabilità del debitore

Attraverso il richiamo all’art. 1218 cc. la Novella conferma che il rapporto tra ente di cura e utente si inscrive entro il paradigma “con- trattuale” (e dunque soggiace alle regole proprie di tale sistema, tra cui, per es., la prescrizione decennale, l’onere della prova a ca- rico del debitore ecc.).

Va rilevato, peraltro, che l’art. 7 si limita a fare riferimento “al- l’adempimento della obbligazione”, senza specificare quale sia la fonte da cui essa deriva.

Attingendo alla ricca elaborazione delle Corti, il pensiero del- l’interprete corre al cd. “contratto atipico di spedalità” che, secondo l’impostazione tradizionale, si perfeziona “per facta concluden- tia” con l’accettazione del paziente presso il nosocomio, e ha un oggetto molto ampio, non limitato all’ erogazione delle cure sa- nitarie, ma esteso anche “ad obblighi di protezione e accessori” (Cass. SS. UU. 577/2008). Si tratta quindi di un rapporto nell’ambito del quale vengono in rilievo prestazioni lato sensu alberghiere (vit- to, alloggio, ristorazione), oltre che di custodia del paziente, pre- disposizione di turni di assistenza efficienti, prevenzione delle in- fezioni, corretta asepsi delle camere operatorie e degli strumenti, fornitura dei servizi infermieristici, di attrezzature ed impianti ade- guati ecc.

Ma il riferimento non è scontato; a rigore, si potrebbe anche so- stenere (seguendo una tesi rimasta peraltro minoritaria) che, in realtà, l’ospedale pubblico è tenuto ad erogare le prestazioni di assisten- za/cura non in base ad un “contratto”, ma perché “obbligato dalla legge” (istitutiva del SSN). La diversità tra le due impostazioni, tut- tavia, pare più nominalistica che sostanziale: al di là delle questio- ni astratte di classificazione e inquadramento (su cui appunto la leg- ge 24/2017 non pare prendere una posizione tranchant), per l’art. 7

danno, se non prova l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.

2Art.1228 Codice civile

Responsabilità per fatto degli ausiliari.

Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell’adempimento dell’obbligazione si va- le dell’opera di terzi, risponde anche dei fatti dolosi o colposi di costoro.

la responsabilità della struttura verso il paziente è pur sempre disci- plinata dagli artt. 1218 - 1228 cc.

Si diceva, in apertura, che la norma in esame potrebbe essere let- ta come una declinazione/articolazione del principio posto dal- l’art. 1. Sul tema si tornerà più diffusamente infra; possiamo però sin d’ora anticipare che, nella disciplina dettata dalla Novella, il più eclatante punto di rottura rispetto al “passato” (rectius all’orienta- mento dominante in giurisprudenza, a far data dalla nota Cass. 589/99) è rappresentato dal superamento della teoria del “contatto socia- le”: l’esercente la professione sanitaria (che presta la propria opera all’interno di una struttura organizzata, senza avere alcun vincolo contrattuale con il paziente) risponde, oggi, per fatto illecito ex art. 2043 cc3. (e non più secondo le regole dell’“inadempimento” ex art.

1218 cc.).

E questo cambiamento – che segna una vera e propria inversio- ne di tendenza – sembra obbedire ad una logica precisa: il Legi- slatore ha portato a compimento quel disegno (già abbozzato dalla legge Balduzzi) che, valorizzando a tutto tondo gli obblighi finalizzati alla sicurezza delle cure, pone sulla ribalta la “struttu- ra”, quale referente “immediato” e diretto (ex art. 1218 - 1228 cc.) del paziente. La responsabilità viene addossata “in prima battuta” (attraverso l’operatività della disciplina “contrattuale”, senz’altro più vantaggiosa per il malato) al debitore - persona giuridica, os- sia al soggetto che, proprio perché titolare di poteri (e doveri) di programmazione, coordinamento e controllo dei fattori e delle risorse (anche umane) di cui si compone il proprio agire, è in grado di evitare e prevenire il danno.

Nella logica della riforma, la posizione del singolo operatore de- ve necessariamente differenziarsi ed “alleggerirsi” (ed in tal senso l’art. 2043 cc. è norma chiave emblema di un “ribaltamento di pro- spettiva”): l’“esercente la professione sanitaria” che è inserito in una

100 RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA STRUTTURA E DELL’ESERCENTE…

3Art. 2043 Codice civile

Risarcimento per fatto illecito

Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.

organizzazione complessa si colloca, infatti, “in secondo piano” per- ché agisce in un “sistema”, nel quale la componente “individuale” si stempera e quasi annega in un facere collettivo (ove interagisco- no spesso più figure professionali, ciascuna chiamata a muoversi en- tro una cornice di regole e protocolli predefiniti).

La lente viene così spostata dal singolo – che è solo un anello di una lunga ed articolata “catena”– sull’ente che eroga il servizio, al quale viene appunto imposto di dotarsi di un apparato efficiente; l’i- dea che sembra ispirare la Novella è dunque quella della preven- zione e neutralizzazione dei possibili eventi avversi come compito che “istituzionalmente” spetta alla struttura (pubblica o privata), “nell’interesse dell’individuo e della collettività” (art. 1) .

Ed in ciò pare molto forte l’eco delle acquisizioni degli studi con- dotti da autorevoli ricercatori4che hanno indagato il funzionamen-

to delle organizzazioni complesse: tali lavori hanno evidenziato che l’errore umano è inevitabile, non può mai essere eliminato del tut- to, non si esaurisce nell’azione del singolo operatore, ma ha cause remote, che spesso sono rappresentate da lacune/deficienze struttu- rali. L’idea di fondo è dunque quella di spostare l’attenzione dal sog- getto che ha commesso il fatto al “sistema”, alla ricerca dei fattori che hanno agevolato o reso possibile l’incidente. La linea suggeri- ta da tali teorie è nel senso dell’abbandono della blame culture (os- sia della colpevolizzazione a tutti i costi dell’operatore) in favore di una logica di prevenzione.

E questa sembra proprio essere l’anima che ispira la legge 24/2017. Ma dal punto di vista strettamente giuridico, pare altresì emblema- tico il riferimento all’art. 1228 cc., norma che, secondo una nota dot- trina5,sarebbe espressione, insieme all’art. 2049 cc., della cd. re-

sponsabilità per rischio di impresa, trovando il proprio fondamento logico “nella assunzione del rischio rappresentato dalla fallibilità

4Tra tutti JT Reason, “Human Error”, New York, Cambridge Univ. Press 1990; JT Rea-

son “Managing the Risks of Organizational Accidents”, Ashgate Publishing Company, 1997; JT Reason “Human Error: models and management”, BMJ 320:768-770, 2000.

5Si veda per es. Trimarchi P., Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961; G. Visintini,

degli elementi umani inseriti nell’organizzazione aziendale del re- sponsabile”.

E la stessa giurisprudenza ha in più occasioni sottolineato come “la responsabilità che dall’esplicazione dell’attività dell’‘ausiliario’ direttamente consegue in capo al soggetto che se ne avvale riposa invero sul principio cuius commoda eius et incommoda, o, più pre- cisamente, della appropriazione o avvalimento dell’attività altrui per l’adempimento della propria obbligazione, comportante l’as- sunzione del rischio per i danni che al creditore derivino” (Cass. 7768/2016).

Per quanto concerne l’ambito di applicazione, ai fini della indivi- duazione delle “strutture sanitarie e socio sanitarie” un parametro di sicura utilità parrebbe essere quello dell’autorizzazione (presup- posto indefettibile per l’esercizio dell’attività): in proposito, il ter- zo comma dell’art. 8 bis del d. lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, co- me modificato dall’art. 8 del d. lgs.19 giugno 1999, n. 229, recante “Riordino della disciplina in materia sanitaria”, dispone, infatti, che “La realizzazione di strutture sanitarie e l’esercizio di attività sani- tarie, l’esercizio di attività sanitarie per conto del Servizio sanitario nazionale e l’esercizio di attività sanitarie a carico del Servizio sa- nitario nazionale sono subordinate, rispettivamente, al rilascio del- le autorizzazioni di cui all’articolo 8-ter, dell’accreditamento isti- tuzionale di cui all’articolo 8-quater, nonché alla stipulazione de- gli accordi contrattuali di cui all’articolo 8- quinquies. La presente disposizione vale anche per le strutture e le attività socio-sanitarie”.

Possibili dubbi e suggestioni in merito alla responsabilità della struttura

La prima lettura della norma offre all’interprete alcuni “spunti”, che non possono essere approfonditi in questa sede; se ne darà conto in via di estrema sintesi, al solo fine di tratteggiare un possi- bile quadro meritevole di ulteriore indagine.

a) La responsabilità della struttura verso i congiunti del paziente Stando al dato letterale dell’art. 7 potrebbe sostenersi che, rispetto ai congiunti del paziente-vittima di malpractice (i quali, a rigore, sono “terzi”, sono cioè estranei al contratto stipulato tra struttura

e assistito), la responsabilità non soggiace alle regole degli arti- coli 1218 - 1228 cc., perchè rispetto ad essi l’ente di cura non ha, appunto, in senso tecnico alcuna “obbligazione da adempie- re”. Il tema interseca il più ampio dibattito relativo al cd. “con- tratto con effetti protettivi” a favore dei terzi, figura che pare ac- colta dalla giurisprudenza di legittimità, ma non senza qualche oscillazione (Cass. 6914/12; Cass.5590/15).

b) La responsabilità della casa di cura privata quando il medico,

scelto dal paziente, collabora solo occasionalmente.

Nell’impianto della legge 24/2017 sembra potersi dire che la strut- tura privata risponda ex art. 1218 - 1228 cc. anche nei casi in cui il medico vi presti la propria opera solo occasionalmente (ad es. abbia egli stesso prescelto la clinica ove eseguire l’interven- to, prenotando direttamente la camera operatoria ed indirizzan- dovi il proprio paziente). Una conferma in tal senso viene, del re- sto, dal coordinamento dell’art. 9 comma 6 ultimo capoverso con l’art. 10 comma 2: la casa di cura sarà sì obbligata (in solido), ma avrà “rivalsa” contro il professionista senza che, in tali casi, si ap- plichi il “limite quantitativo” fissato dall’art. 9.

Rimane da capire se la struttura privata possa accordarsi con l’as- sistito nel senso di circoscrivere l’ambito delle “proprie obbliga- zioni” (e quindi della responsabilità ex art. 7), limitandole per es. alle sole prestazioni accessorie (vitto, alloggio, assistenza post- operatoria), con esclusione dell’esecuzione dell’intervento – di cui dovrebbe farsi carico unicamente il medico –. Sulla astratta ammissibilità di una tale “ripartizione” si veda per es. Cass.28.08.2009 n. 18805.

c) Il comma 2 dell’art. 7

Il comma 2 dell’art. 7 stabilisce che la struttura risponde contrat- tualmente (ex art. 1218 cc – 1228 cc-) verso il paziente anche quando si tratti di prestazioni svolte “in regime di libera profes- sione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimenta- zione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale nonché attraverso la telemedicina”. Lo spazio di queste pagine non consente particolari approfondi- menti: in prima battuta può peraltro osservarsi che, con riferimen-

to alle prestazioni rese in regime di “intramoenia” (ex D.lgs. 502/92 e success. mod e integr.), la norma pare recepire l’orientamento del- la dottrina secondo la quale l’ente è obbligato (in solido) al risarci- mento del danno perché6trae, esso stesso, un utile economico dal-

la attività libero professionale (essendo i relativi proventi ripartiti, sia pure in percentuali variabili, tra il sanitario e l’azienda di ap- partenenza). In giurisprudenza Trib. Torino 3816/2003 ha rilevato che “il paziente che opti a proprie spese e con i conseguenti bene- fici per il conseguimento di prestazioni in intramoenia non è sog- getto estraneo alla sfera del SSN, ma fruitore del medesimo in un re- gime alternativo rispetto a quello ordinario;” osservando altresì che “il contraente diretto non è il medico ma l’“ospedale” che infatti provvede alla fatturazione”.

L’art. 7 comma 2 stabilisce che “la disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte (…) in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale”. Non è chiaro se la previsione sia riferita alla i) “struttura” ovvero ii) all’“esercente” stesso, che appunto operino “in regime di convenzione”. La “lettura” sub i) non aggiungerebbe, tuttavia, nulla di nuovo posto che è pacifico in giurisprudenza che la casa di cura privata (sia essa “accreditata” con il SSN, ai sensi dell’art. 8 quater D.lgs. 502/1992, oppure no) risponde pur sempre ex art. 1218 - 1228 cc.

L’interpretazione sub ii) parrebbe preferibile, anche perché il pre- cedente richiamo alle “prestazioni svolte in regime di libera pro- fessione intramuraria” sembra alludere proprio all’attività espleta- ta dalla persona fisica. D’altro canto, il lemma “convenzione” risulta improprio se riferito all’ente di cura venendo oggi in linea di conto l’istituto dell’“accreditamento” ex D.lgs. 502/1992.

Intesa dunque così, la norma affermerebbe che la “struttura” è obbligata al risarcimento del danno anche quando l’evento lesivo sia dipeso dalla condotta di un “sanitario convenzionato”. Ed al- lora non si può fare a meno di ricordare la recente nota pronunzia

104 RESPONSABILITÀ CIVILE DELLA STRUTTURA E DELL’ESERCENTE…

6Lepre, Attività medica in regime intramurario e responsabilità della struttura sanitaria,

con cui la Cassazione n. 6243 /2015 ha stabilito (superando l’in- dirizzo consolidato, di segno contrario) che la ASL “risponde ai sensi dell’art. 1228 cc.” dell’operato del medico di famiglia. Vie- ne quindi da pensare che il Legislatore abbia in qualche modo vo- luto “recepire e fare proprio” questo nuovo principio, così asse- condando l’esigenza di “tutela” del paziente (secondo la giuri- sprudenza ante Cass. 6243/2015, nel caso in esame, l’assistito po- teva far valere le proprie pretese esclusivamente nei confronti del professionista, con il quale, si sosteneva, sussisteva un vero e proprio rapporto contrattuale).

Resterebbe peraltro da capire se il “medico di famiglia” ri- sponda, a propria volta, ai sensi dell’art. 2043 cc. o se invece possa dirsi che egli ha “agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”, secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 7. Su quest’ultimo punto la già citata Cass. 6243/2015 (ponendosi in netta antitesi con l’orientamento tradi- zionale) ha escluso che la “scelta” fatta dall’assistito (tra i pro- fessionisti inseriti nell’elenco fornito dalla ASL) sia tale da com- portare la stipula di un vero e proprio contratto. L’interrogativo sembra rimanere aperto.

La responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria

Momento centrale della riforma è, certamente, costituito dal- l’art. 7 comma 3, che, superando in un sol colpo le pur raffinate teo- rie ed elaborazioni sul “contatto sociale”, riporta una volta per tut- te la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria (“che non abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”) entro l’alveo aquiliano, e dunque entro una corni- ce di regole che si rivelano meno vantaggiose per il paziente (do- vendo questi provare, anzitutto, la colpa ed il nesso tra condotta del sanitario ed evento; e applicandosi alla fattispecie il più breve termine di prescrizione quinquennale).

Trattasi di norma che porta a compimento, in modo certamente più armonico, il disegno prefigurato ma non completato dal DL Balduzzi, seguendone le medesime direttrici e sviluppandole con esposizione chiara e tale da non lasciar spazio a nuovi ed ulteriori equivoci. E co-

sì, se il fugacissimo richiamo all’art. 2043 c.c., contenuto nel primo comma dell’art. 3, DL 158/2012 era stato da taluni (erroneamente…) ritenuto troppo labile per fondare un “ribaltamento di prospettiva”, l’art. 7 della legge 24/2017 chiude definitivamente ogni discussione, dando vita senza incertezze ad un regime bipartito, tale da assogget- tare a responsabilità “contrattuale” (ex art. 1218 – 1228 cc.) soltanto i soggetti (strutture e medici liberi professionisti) che dispongano di un pieno governo del proprio rischio e delle risorse destinate allo svolgi- mento di un’attività sanitaria a favore dei “propri” pazienti.

Il fermo richiamo all’art. 2043 cc. è espressione della volontà di spostare la lente dal singolo operatore sulla struttura, alla quale, non a caso e come detto nel paragrafo che precede, si chiede di at- tivarsi per una accorta prevenzione e gestione del rischio. L’o- biettivo è dunque quello di indirizzare – attraverso il regime di maggior favore dell’ art. 1218 c.c. – le pretese della vittima di mal-

practice verso l’ente persona giuridica, che è meglio in grado di

scongiurare, attraverso una efficiente organizzazione, gli eventi avversi, e nel contempo, di valorizzare il ruolo di “imprenditore” del soggetto erogatore delle cure, istituzionalmente chiamato ad assolvere obblighi di sicurezza nel preminente interesse della col- lettività.

E non convincono del tutto, si badi, le severe critiche che già si so-

Nel documento Sicurezza delle cure (pagine 98-122)