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Ricci vs Orsatto (atto primo) »

IV I guai della stagione veneziana 1705-

7. Ricci vs Orsatto (atto primo) »

Il martedì grasso cadeva il 16 febbraio 1706:978 entro tale data ebbe termine la stagione teatrale in corso. Nonostante il patriarca di Venezia avesse indetto

972 Cfr. Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 121. 973

«Se un rivenditore dava via 2,000 copie […] al prezzo di 26 soldi, l’incasso era di oltre 400 ducati. Se un quarto di quella somma coincideva con i reali costi di produzione, e un altro quarto andava per il pagamento di stampatore e rivenditore insieme, il librettista poteva ottenere, dalla vendita dei libretti di un’opera di successo, circa 200 ducati» (Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 137; mia la traduzione).

974 Cfr. Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 23. La pratica di dedicare i libretti, con

relativo dono del dedicatario (si parla di una media di cento ducati, ma il bottino poteva essere raggiunto o incrementato con oggetti quali catene d’oro e medaglie), fu predominante nel Seicento, là dove declinò gradualmente nel secolo successivo (cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 53 e n. 10).

975 Cfr. Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 23.

976 Cfr. Vnm, Mss. It., cl. XI 426 ( = 12142), fasc. 8 (cit. in Mangini, I teatri di Venezia, cit., p. 143). 977

Cfr. Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 130.

978

contestualmente una indulgenza plenaria – dal 2 al 21 febbraio –979 il ciclo delle recite non subì modifiche, proseguendo regolarmente fino all’ultimo giorno di carnevale.

Una volta spente le luci dei teatri, si accesero quelle dei tribunali. È raro che una stagione si risolvesse pacificamente, con la compilazione dei soliti inventari dei materiali utilizzati e dei bilanci finanziari. Più spesso si finiva in un vespaio di controversie e di denunce al fulmicotone, quasi sempre riguardanti pagamenti, per via legale e giudiziaria.980 Le beghe non mancavano mai, e il sant’Angelo, quell’anno, non fece eccezione.

A conclusione del loro mandato, tra Sebastiano Ricci e Giovanni Orsatto fu guerra aperta. Una serie di documenti ritrovati all’Archivio di stato di Venezia981 consente di ricostruire, grossomodo, le principali fasi di questo contenzioso, dibattuto in un pingpong di aule giudiziarie. Un battibecco di accuse e autodifese che equivale a un campionario di menzogne e mezze verità, raggiri e tentativi di depistaggio. Le slealtà da una parte e dall’altra correvano sul filo delle interpretazioni tendenziose degli accordi, siglati da contratti ellittici, colmi di ambiguità.982

Il 12 maggio 1706,983 Orsatto aveva denunciato alla magistratura dei Censori l’ex socio Ricci per una serie di inadempienze, tra le quali le mancate corresponsioni

979 Cfr. Vienna, Österreichische Nationalbibliotheck, Musiksammlung, «Il corriere ordinario», 6

febbraio 1706 (cit. in ivi, p. 655, n. 28). Su questo bollettino cfr. Selfridge-Field, Song and Season, cit., pp. 318-319.

980

Cfr. Rosselli, L’impresario d’opera, cit., p. 14.

981 Alcuni dei documenti qui trascritti sono segnalati in Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., passim. In quest’ultimo contributo, le due autrici si limitano a trascrivere piccole tracce documentarie,

promettendo di ricostruire la vicenda in un contributo di prossima pubblicazione sull’impresario Giovanni Orsatto. I risultati qui proposti sono il frutto di uno spoglio ex novo delle buste lì segnalate; il che ha consentito l’acquisizione di nuovi documenti e una ricostruzione ‘originale’ della vicenda. Le carte citate, relative a Sebastiano Ricci, sono riprodotte integralmente nei Documenti in appendice.

982 Osserva John Rosselli: «I contratti per le stagioni d’opera veneziane della metà del diciassettesimo

secolo [e oltre] erano brevi e tacevano molte cose. Non nominavano le opere da eseguire, raramente menzionavano le date d’inizio – giacché la stagione era sempre Carnevale, si sapeva che la data finale era il martedì grasso – e, quando eccezionalmente si addentravano nelle modalità di pagamento, usavano frasi vaghe come ‘nel corso delle recite’ o ‘dentro la prima settimana di quatragesima’. La maggior parte di essi non stabiliva neppure cosa sarebbe successo se la stagione fosse stata interrotta da guerre, epidemie, incendi, o ‘fatto di principe’ (azioni del governo) – rischi piuttosto frequenti –, anche se un contratto del 1659, insolitamente previdente, stabiliva che una stagione andata a monte per cause simili doveva essere retribuita in proporzione della sua durata effettiva» (Rosselli, Il

cantante d’opera, cit., pp. 109-110; mia l’integrazione tra quadre; cfr. inoltre Id., L’impresario d’opera, cit., p. 107).

983 La data in questione si ricava da un’altra scrittura di Orsatto relativa alla stessa controversia, datata

12 luglio: «Con troppo corraggio, et con minor ingenuità s’è condotto l’Ill[ustrissi]mo S[igno]r Sebastiano Rizzi a’ contradire al vero, giusto, et ireprensibile conto presentato dà mè Gio[vanni] Orssato in Scrittura 12 Maggio pross[i]mo passato» (ASV, Giudici del Mobile, ‘Domande’, ‘Domande

delle paghe di alcuni cantanti e dei costi dell’illuminazione della sala teatrale.984 La replica dell’accusato, depositata presso la stessa corte, non si era fatta attendere. Il documento ci è ignoto, ma dové essere poco convincente, se l’impresario vicentino decideva di rilanciare una nuova offensiva legale, presentata il 12 giugno ai giudici del Petizion (presso il cui tribunale, evidentemente, si era trasferita la causa).985 Due giorni dopo, la risposta, secca, di Sebastiano Ricci, ancora al Petizion (doc. 9):

Sempre più certa apparisce l’ingiustitia del tentativo praticato da d[omin]o Zuan Orsato con tal qual dimanda, e conto prima al Mag[istrat]o Ecc[ellentissim]o de Censori, poi nel presente Ecc[ellentissim]o Mag[istrat]o de di 12 corente contro di me Sebastian Rizzi; e sì come in tutto, e per tutto giusta la mia scritt[ur]a in maggio p[rossimo] p[assato] p[re]sentata al Mag[istrat]o Ecc[ellentissim]o de Censori, amplamente contestandoli, e contradicendoli; insto d’esser assolto, e liberato, così per hora scoperte riscossioni fatte da d[ett]o Orsato a’ me sud[dett]o Rizzi aspetanti imploro, che dalla venerata Giustitia di V.V. E.E con dimanda di converso resti il d[ett]o Orsato sententiato di lire 50 per parte, et al buon conto etc. etc. etc. et in expensis etc., et sine pregiud[iti]o.986

L’inedito documento è il primo di una serie di carte d’archivio che hanno ritrovato la luce. Nella scrittura, estesa da un interveniente,987 Sebastiano dichiarava di non avere nulla da aggiungere a quanto già «amplamente» controbattuto nella propria replica, presentata, a suo tempo, alla corte dei Censori. Quindi, passando al contrattacco, denunciava l’ex socio di mancate corresponsioni di denaro a suo favore in ordine a questioni non meglio precisate, probabilmente esplicate nelle carte precedenti (purtroppo non rintracciate).

I termini della questione sollevata da Orsatto si chiariscono quasi del tutto nella sua invelenita controreplica (doc. 10, fig. 25.a-b), meditata in poco meno di un mese e consegnata a una ulteriore magistratura, quella del Mobile, in data 12 luglio 1706.

per fermar, per chiedere sequestro cautelativo e sentenza contro il debitore’, b. 68, fasc. 56, n. 486, Venezia, 12 luglio 1706; cfr. doc. 10). Si deve, dunque, correggere quanto scrivono Glixon e White: «Orsatto iniziò la sua battaglia legale contro Ricci nel luglio del 1706» (‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 18; mia la traduzione). Dalla scrittura citata, nonché dal contenuto di un documento posteriore, si evincono gli argomenti della disputa giudiziaria. Al momento non è stato possibile rintracciare la denuncia originaria dell’impresario vicentino.

984 Tali informazioni si ricavano da un documento pubblicato poco più avanti (cfr. n. 988).

985 Purtroppo non è stato possibile rintracciare il documento. I dati si ricavano dalla replica di Ricci

(cfr. n. seguente).

986

ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 121, Venezia, 14

giugno 1706.

987 La grafia non collima con quella degli autografi riccesci, e infatti appartiene a Claudio Ongaro,

allora interveniente di Sebastiano. È noto che le scritture giudiziarie erano affidate a intendenti che bazzicavano nei tribunali e masticavano il lessico avvocatesco; di qui i formulari e le espressioni forbite di cui sono zeppe le carte qui visionate.

Senza accennare minimamente alle «scoperte riscossioni» di denaro invocate da Ricci nella controaccusa del 14 giugno, l’impresario vicentino snocciolava le proprie ragioni in sette punti:

P[ri]mo che la Sig[no]ra Anna Martelli di Bologna, che cantò nel Teatro di S. Angelo l’anno decorso venne con sua madre per tal effetto à Ven[eti]a li 22 ottobre pross[i]mo pass[at]o, alle qualli io Gio[vanni] Orssatto soministrai le spese cibarie accordate con il S[igno]r Sebastiano Rizzi in lire 6 al giorno, et continuai ad alimentarle sino al giorno della loro partenza per Bologna che segui li 20 Feb[rar]o pross[i]mo suseguente; onde detratte le lire 248 conseguite come dal libro Raisoni sarà verifficata la partita del mio conto et sarà salva sempre la liquidazione, dovendo d[ett]o S[igno]r Rizzi esser sententiato à capo per capo delle partite di esso mio conto.

Secondo, che il Corriero di Bologna nel Condur l’Ottobre pross[i]mo passato dà Bologna a Ven[e]tia le Sig[nor]e Anna Martelli, e là di lei Madre, et alimentarle nel viaggio consegui dà me Gio[vanni] Orsatto lire 80.

Terzo, che il s[igno]r Silvestro Prittone Musico, che cantò l’anno decorso à S. Angelo consegui dal s[udett]o Sebastiano Rizzi l’intiero delle sue spese cibarie nel tempo [che] si trattenne per detta Causa in Ven[e]tia dal giorno 26 Ottobre passato, che venne à Ven[e]tia sino alla sua partenza; restando per il suo accordo tenuto esso Prittone pagarsi li viaggi del proprio.

Quarto, che io Gio[vanni] Orssatto hò dovuto pagare al S[igno]r Pietro Paolo Pizzoni per il suo viaggio fatto dà Piagenza a Ven[e]tia per cantar nel Teatro di S. Angelo il Carnevale 1706 lire 84.

Quinto chè io Gio[vanni] Orsatto comprai lire 30 Candelle, che servirono in alcune prove dell’Opera di S. Angiolo il Carnovale decorso, e le diedi agl’Illuminatori di d[ett]o Teatro, havendo il Sig[no]r Sebastiano Rizzi pagato agl’illuminatori sudetti per altre prove per le illuminationi, senza pagarli le sud[ett]e lire 30 Candelle.

Sesto Che pur io Gio[vanni] Orsatto hò pagato agl’Illuminatori del Teatro di S. Angelo per le illuminazioni in detto Teatro il Carnevale decorso lire 116, come da Ricevuta di Ant[oni]o Meneghini Uno di essi illuminatori - 12 aprile 1706.

Settimo. Che detto Sig[no]r Rizzi ha pagato quatro Musici, che cantorono nel Teatro di S. Angelo solam[ent]e l’Auttuno anteced[en]te.988

L’oggetto della contesa era, ovviamente, pecuniario, e riguardava questioni di accordi disattesi. Si può supporre che Ricci e Orsatto, nel costituire società, avessero sottoscritto un contratto iniziale di genere informale, ossia non registrato da notaio (come si usava allora).989 In termini più o meno dettagliati, i due soci si sarebbero

988

ASV, Giudici del Mobile, ‘Domande’, ‘Domande per fermar, per chiedere sequestro cautelativo e sentenza contro il debitore’, b. 68, fasc. 56, n. 486, Venezia, 12 luglio 1706. La causa dové passare successivamente ai giudici di Petizion: presso quest’ultima magistratura è registrata, in data 13 settembre 1706, una copia della ‘domanda’ di Orsatto (in ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 199, Venezia, 13 settembre 1706; cfr. doc. 11; tale doc. è segnalato in Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 18).

989 È questo un problema enorme per gli studiosi del teatro lirico veneziano del Sei e Settecento. Tutti

i contratti stipulati con i professionisti dell’opera erano reificati tramite scritture private, senza la mediazione dello studio notarile (che, evidentemente, costava). Per questa ragione, tali carte non sono giunte fino a noi. Gli unici documenti sopravvissuti solo quelli depositati per l’insorgerza di

spartiti le mansioni, giurandosi fedeltà reciproca e impegnandosi a rispettare i patti. Più facile a dirsi che a farsi. Come spesso accadeva, l’osservanza della parola data era tutt’altro che scontata, specie se le cose non andavano come previsto.

Così, ancor prima di puntare il dito sulle manchevolezze del socio, Orsatto rimarcava – nero su bianco – i propri incarichi diligentemente eseguiti. Nel punto «primo», l’impresario vicentino chiariva di aver retribuito alla cantante bolognese Anna Martelli e alla di lei madre una quota di sei lire giornaliere per le spese di vitto («le spese cibarie») per tutto il periodo della loro permanenza nella Serenissima, ossia dal 22 ottobre scorso (data di arrivo delle due donne in Laguna) al 20 febbraio (giorno della loro partenza per Bologna). Uno sguardo al calendario offre, a questo proposito, un paio di spunti significativi.

Anzitutto, considerato che le recite del Creso ebbero inizio il 12 dicembre, se ne ricava che la Martelli avrebbe avuto, sulla carta, circa sette settimane a disposizione per le prove. Un tempo decisamente superiore alla media (il periodo auspicato per provare era, in genere, di tre settimane, ma non di rado ci si riduceva a una),990 che potrebbe avallare l’ipotesi dell’imprevisto slittamento dell’agenda teatrale al sant’Angelo. Inoltre, se è vero che la cantante bolognese rientrò da Venezia il 20 febbraio, ossia quattro giorni dopo il martedì grasso, ciò dimostra che la programmazione stagionale dei teatri di Venezia ebbe, quell’anno, il suo normale decorso, nonostante l’evento straordinario dell’indulgenza.

Altre riflessioni scaturiscono dal primo punto della scrittura di Orsatto. Per esempio la questione delle «spese cibarie». Quello del vitto della virtuosa (e dell’alloggio, che qui non è menzionato) era un capitolo fisso delle spese di ogni impresario d’opera: una consuetudine tanto diffusa da essere bersaglio della satira settecentesca, da Benedetto Marcello in poi.991 Per non parlare dell’obbligo, non scritto ma invalso, di farsi carico del premuroso «madro», sempre al seguito della figlia canterina: una ‘tassa’ che afflisse l’impresario a lungo, tanto da indurre

contenziosi (dovuti spesso alla violazione dei contratti stessi). In breve, ciò che è noto lo è perché qualcosa è andato storto.

990 Cfr. Brunelli, L’impresario in angustie, cit., pp. 319-328, 336-338; Rosselli, L’impresario d’opera,

cit., p. 6; Id., Il cantante d’opera, cit., p. 215.

991 «Pagherà i Viaggi l’Impresario alle Virtuose forastiere, perché vengano sicuramente,

promettendogli buon Alloggio vicino al Teatro, Cibarie, Biancaria, etc., e le alloggerà poi in qualche

picciola cucinetta (pur che sia vicina al Teatro) ripiena però di tutte le sudette cose, e celebrerà per la

città la loro Virtù, affine che qualche Protettor s’introduca e supplisca nell’avvenire cortesemente per lui» (Marcello, Il teatro alla moda, cit., p. 39).

Antonio Simone Sografi a farne uno dei vettori trainanti della comicità delle sue

Convenienze teatrali (1794).992 Del resto, Ricci e Orsatto furono, nell’occasione, perfino fortunati: se la Martelli trascinò con sé la sola madre, in altri casi storicamente documentati alcune virtuose pensarono bene di portarsi appresso l’intero nucleo famigliare. Si sa che Giulia Masotti, nel 1659, venne in Laguna in compagnia di madre, fratello e serva;993 nello stesso contesto, Caterina Tomei si presentò con genitrice, un musicista, un servo e una domestica.994 Evidentemente, certe virtuose potevano osare tanto: per accaparrarsi il loro talento e la loro bellezza, valeva pure la pena sganciare qualche denaro (e riguardo) in più, accontentandone i capricci.

Che dire, poi, del pedigree bolognese della stessa Martelli? La mente corre, restando alla satira, agli squittenti dialoghi madre-figlia che in strettissimo dialetto bolognese facevano il bello e il cattivo tempo nei delicati equilibri impresariali del

Teatro alla moda.995 Bologna era, all’epoca, uno dei più attivi centri di produzione di cantanti.996 L’eccellenza della città felsinea nella formazione canora, raggiunta nei nomi illustri dei maestri di canto Francesco Antonio Pistocchi e Antonio Maria Bernacchi suo allievo (1685-1756), fece ben presto parlare di ‘scuola bolognese’.997 Tuttavia, siccome «il mercato locale […] non offriva grandi possibilità di assorbimento»,998 i cantanti lì formati furono sovente impiegati presso le corti dell’Italia centro-settentrionale o, appunto, nei prestigiosi teatri pubblici di Venezia. Quello della Serenissima fu il maggiore circuito di smistamento di talenti vocali felsinei.999 In Laguna si registrò, in questi anni, una vera e propria invasione di

992 Nelle Convenienze teatrali di Sografi, Agata è la madre della seconda donna bolognese Luisa.

Lingua biforcuta, l’esperta donnaccia avanza le ‘convenienze’ della figlia, millantandone un

curriculum da primadonna e sforzandosi di farla emergere con ogni mezzo (cfr. Antonio Simone

Sografi, Le convenienze e Le inconvenienze teatrali, a cura di Gian Francesco Malipiero, Firenze, Le Monnier, 1972, passim). Lo spunto satirico è suffragato da una ricca campionatura di di madri-chiocce reali, pronte ad appoggiare in tutto e per tutto le capricciose figlie canterine (si veda ad es. l’aneddoto sulla madre della cantante Agata Landi nella lettera del conte Francesco Maria Zambeccari al fratello Alessandro, Napoli, 24 settembre 1715, in Lodovico Frati, Un impresario teatrale del Settecento e la

sua biblioteca, «Rivista musicale italiana», 18, 1911, 1, p. 74). 993 Cfr. Glixon-Glixon, Inventing the Business of Opera, cit., p. 205. 994 Cfr. ibidem.

995

Cfr. Marcello, Il teatro alla moda, cit., pp. 71-74.

996 Cfr. Durante, Alcune considerazioni, cit., pp. 440-444.

997 Cfr. Lodovico Frati, Antonio Bernacchi e la sua scuola di canto, in «Rivista musicale italiana», 29,

1922, 3, p. 481.

998

Durante, Alcune considerazioni, cit. p. 440.

999

virtuosi provenienti dal centro emiliano. Un fenomeno così radicato da attirare lo spietato sarcasmo di Marcello.

Per tornare alla denuncia, Orsatto precisava che le sei lire versate puntualmente alla Martelli e alla madre erano state «accordate con il S[igno]r Sebastiano Rizzi».1000 L’impresario vicentino annunciava all’ex socio di voler verificare personalmente la regolarità delle spese suddivise, detraendo dalla «partita del mio conto» la metà del denaro versato alle due donne (pari a «lire 248»), come da libro contabile (il «libro Raisoni»).1001 Si apprende, dunque, che i due impresari avevano stabilito di comune consenso la quota in questione: segno lampante che Ricci aderì all’impresa ben prima del 26 ottobre (data in cui la cantante bolognese mise piede in Laguna), e che egli prese parte a pieno titolo alla scelta del cast.

Veniamo, quindi, agli altri punti del documento. Con puntiglio, Orsatto proseguiva il rosario delle sue ottemperanze: dalle retribuzioni corrisposte ai vari virtuosi e annessi per le spese di vitto e di viaggio,1002 ai pagamenti «agl’Illuminatori» (tra i quali riceve menzione certo Antonio Meneghini), alle spese conseguite personalmente per l’acquisto di trenta candele destinate a rischiarare il teatro durante le prove.

L’illuminazione era un capitolo di spesa non secondario nei bilanci delle stagioni teatrali.1003 Con il volgere del Settecento, e l’avanzare del diciannovesimo secolo, il progresso tecnico contribuì ad abbassare notevolmente la soglia dei costi in questo particolare settore. Prima di allora, il palcoscenico, la sala, i ridotti, i corridoi, i camerini, erano rischiarati a mezzo di candele in pura cera e ingenti quantitativi di olio d’oliva.1004 Si calcola che, in alcuni teatri padani, nel 1701 e nel 1749, i costi dell’illuminazione ammontassero rispettivamente al sette e all’undici per cento della spesa totale, là dove in pieno Ottocento, negli stessi teatri, tali percentuali si

1000

ASV, Giudici del Mobile, ‘Domande’, ‘Domande per fermar, per chiedere sequestro cautelativo e sentenza contro il debitore’, b. 68, fasc. 56, n. 486, Venezia, 12 luglio 1706.

1001 Il «libro Raisoni» era, verosimilmente, il libro contabile. L’interveniente Giovan Battista Raisoni

(vd. qui pp. 147-148) era cassiere del teatro, e in quanto tale amministratore di entrate e pagamenti.

1002

Far venire un cantante da fuori indubbiamente costava, specie se i cantanti provenivano da città lontane. Sui rimborsi di viaggio per i cantanti nei bilanci di un’impresa d’opera, cfr. Glixon-Glixon,

Inventing the Business of Opera, cit., pp. 53, 205-208.

1003 Sul capitolo dell’illuminazione nei teatri d’età barocca cfr. soprattutto Gösta M. Bergman, Lighting in the Theatre, Stockholm, Almquist & Wiksell, 1977, pp. 89-116.

1004

aggiravano su valori del due e del quattro per cento.1005 Numeri che dovevano pesare non poco sul budget finanziario delle imprese.

In genere, più erano le candele, maggiore era la ricchezza del teatro.1006 Al sant’Angelo, ci si arrangiava come si poteva. L’illuminazione rientrava nel novero delle spese principali cui ogni impresario doveva far fronte. Per non andare in rovina, si era soliti assoldare inservienti incaricati di smoccolare, tra un atto e l’altro, i candelabri nella sala e sul palco.1007 In scena, si sistemavano bocce di vetro e coppe di metallo che rifrangevano la luce: un espediente in uso non solo per produrre suggestivi effetti luminescenti, ma al fine di un chiaro risparmio economico.1008 Non deve stupire, quindi, che l’illuminazione fosse uno dei capi d’accusa convocati da Orsatto per inchiodare l’ex socio alle proprie responsabilità. L’impresario vicentino recriminava a Ricci di aver acquistato la sua stessa quota di candele per rischiarare la sala durante le prove senza averne effettuato pagamento. Una insolvenza non da poco.

Un’altra recriminazione riguardava i cantanti. Nel settimo e ultimo punto della sua scrittura, Orsatto accusava il collega di aver corrisposto a «quatro Musici» i dovuti onorari soltanto l’«autunno antecedente».1009 Il che significa che i professionisti del canto avevano percepito soltanto la prima rata dei loro emolumenti: mancavano all’appello la seconda e la terza.

Su chi fossero quei ‘quattro musici’, l’impresario vicentino non scrive parola. Eppure, proprio sul capitolo cantanti, il documento si rivela una fonte quanto mai preziosa. Né il libretto del Creso né quello della Regina forniscono i nomi degli interpreti. A questa altezza cronologica, la consuetudine di mettere in chiaro il cast dell’opera nei relativi libretti non era ancora radicata, e interessava soltanto i teatri più prestigiosi (come il san Giovanni Grisostomo), dove ci si potevano permettere i migliori virtuosi sulla piazza. Se con il progredire del secolo menzionare i cantanti diventò normale prassi anche al sant’Angelo, prima di allora tali informazioni erano spesso destinate a restare sepolte nell’afasia delle fonti librettistiche. Grazie a queste

1005

Cfr. ivi, pp. 49 e 51.