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Il ruolo di Sebastiano Ricci »

IV I guai della stagione veneziana 1705-

4. Il ruolo di Sebastiano Ricci »

Imprese societarie si erano avvicendate nella storia dei teatri della Serenissima fin dall’apertura della prima sala pubblica, il san Cassiano (1637), guidata da un collettivo di sei cantanti associati a Benedetto Ferrari, librettista dell’opera inaugurale L’Andromeda.898 Tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XVII secolo,

896 Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 257.

897 Vd. la cronologia in Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 7. Sulla bontà della

conduzione della stagione 1704-1705 al sant’Angelo, appannaggio degli impresari Santurini e Giannettini, nutrì qualche riserva Apostolo Zeno, il quale contestualmente presentò il suo Artaserse (revisionato da Pietro Pariati), su musica dello stesso Giannettini. Nondimeno, dopo le iniziali difficoltà, l’opera zeniana riuscì a convincere l’esigente pubblico lagunare: «Tuttoché sia spirato il Carnovale, sono però in obbligo di ragionare a V.S. Ill.ma in materia di Drammi. L’Artaserse recitato quest’anno in S. Angiolo ha qui ottenuto, e con giustizia, tutto l’applauso, e benché nel principio per la mala condotta de’ Direttori non abbia avuto un pieno concorso, nel proseguimento però questo gli è andato sempre crescendo, di modo che senza pensarsi a mutarlo si è recitato ben trentacinque volte, cosa insolita ne nostri teatri» (lettera di Apostolo Zeno a Antonfrancesco Marmi, Venezia, 28 febbraio 1704 m.v., in Lettere inedite del signor Apostolo Zeno, cit., c. 65r., lettera 95; pubblicato in Marco Bizzarini, L’epistolario inedito di Apostolo Zeno, «Studi musicali», 37, 2008, 1, p. 113).

898 Cfr. Piperno, Il sistema produttivo, cit., p. 23. Sull’argomento cfr. anche Id., Impresariato collettivo e strategie teatrali. Sul sistema produttivo dello spettacolo operistico settecentesco, in Il teatro italiano nel Settecento, a cura di Gerardo Guccini, Bologna, il Mulino, 1988, pp. 295-304.

un’altra società, formata da Marco Faustini, Marc’Antonio Correr, Alvise Duodo e Polifilo Zuancarli, aveva operato attivamente nei teatri di Venezia, muovendosi tra lo stesso san Cassiano, il sant’Aponal e i santissimi Giovanni e Paolo.899 Le gestioni affidate a collettivi, in particolare a coppie di ‘conduttori’, erano una costante, si è visto, pure del sant’Angelo, specie a cavallo tra Sei e Settecento. È probabile che, almeno sulla carta, due o più impresari offrissero maggiori garanzie di uno. Nella pratica, a giudicare almeno dal caso specifico di Sebastiano Ricci e Giovanni Orsatto, le cose non dovevano andare tanto meglio.

Per quanto ne sappiamo, nella sua carriera Ricci non prese mai, da solo, l’iniziativa teatrale: nei casi a noi noti, di cui daremo conto, il pittore bellunese figurò sempre come coimpresario o come ‘sostituto impresario’. Così accadde nella stagione 1718-1719, ancora presso il sant’Angelo; altrettanto si verificò al san Cassiano (1728-1729), nell’accennata esperienza al fianco della cantante Faustina Bordoni.900 Del resto, a fronte della struggente passione per l’opera, la professione principale di Ricci restava quella di pittore: un mestiere, quest’ultimo (al suo livello almeno), di gran lunga più remunerativo e prestigioso di quello teatrale.

Le commissioni pittoriche non solo impegnarono Sebastiano a tempo pieno, ma lo portarono, si è visto, a viaggiare. È noto che la preparazione di una stagione teatrale si svolgeva, specie nelle fasi iniziali, per corrispondenza, a partire dal reclutamento dei cantanti sparsi per la penisola.901 Anche lontano da Venezia, dunque, Ricci avrebbe potuto contribuire all’organizzazione dell’impresa, a patto di poter contare sul supporto di un socio in pianta stabile in grado di poter gestire gli affari in loco. In linea generale, le cose dovettero funzionare proprio in questo modo: il nostro pittore partecipava, in società, a un’iniziativa teatrale, come sorta di jolly, assumendo mansioni particolari (come tenere le corrispondenze, realizzare le scenografie), e prendendo il posto dell’impresario titolare là dove le circostanze lo avessero richiesto.

Alla luce del confronto con le future esperienze, e stando a una serie di documenti di cui avremo modo di parlare più avanti, è stato ipotizzato che Sebastiano Ricci fosse entrato soltanto in un secondo momento nell’impresa del 1705-1706 al

899 Cfr. Piperno, Il sistema produttivo, cit., p. 23. 900

Si rinvia alla p. 132.

901

sant’Angelo,902 dapprima affiancando Orsatto, poi prendendone addirittura il posto. Proprio il termine «subentrato» gli viene riferito in una carta d’archivio recentemente ritrovata all’Archivio di stato di Venezia, relativa ad alcune questioni giudiziarie.903 Riservandoci di entrare nel merito della questione in una fase successiva, possiamo per il momento anticipare che il complesso di documenti da noi rintracciati non è di univoca lettura, e che, se è plausibile che Sebastiano non fosse entrato da subito nell’impresa, comunque dové farlo prima dell’inizio della stagione d’opera, in tempo per gli ultimi preparativi e gli accordi contrattuali. Del resto, grazie a una citata lettera al Gran Principe Ferdinando, sappiamo che il 21 novembre 1705 Ricci era a Venezia (la prima opera della stagione al sant’Angelo esordì il 12 dicembre), impegnato in alcune mediazioni d’arte per il Medici.904

Da quanto risulta dalle biografie riccesche più aggiornate, non è documentata altra attività del pittore a questa altezza cronologica. L’unica traccia che riconduce Sebastiano Ricci all’anno 1705 è la già ricordata dedica sul frontespizio della satira Il

non ubbidir per finezza, in base alla quale si è supposta una sua contestuale militanza

come scenografo nei teatri veneziani.905 Un’ipotesi cui farebbero riscontro, peraltro, alcune realizzazioni pittoriche di questi anni. Si pensi, in particolare, a Il ratto di

Elena (datato dalla critica proprio al 1705),906 nel quale «la regia delle scene in

movimento evoca il palcoscenico e i suoi meccanismi (la barca del ratto di Elena può essere il palese omologo di una macchina teatrale)» (fig. 23).907

Scenografo o no, Ricci era l’uomo ideale per far da partner in un’impresa teatrale. Non solo in virtù delle sue passate esperienze nel settore (aver lavorato per i teatri farnesiani fu senza dubbio un non trascurabile requisito a suo favore), ma soprattutto per i suoi vasti contatti nel mondo del professionismo d’opera. A fronte dei più limitati orizzonti di Orsatto, circoscritti al territorio veneto, Ricci aveva frequentato attivamente i circuiti teatrali di Roma, Parma, Piacenza, e forse Firenze, oltre a

902

Cfr. Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., pp. 16-17.

903 ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 9, Venezia, 7 marzo

1706 (documento inedito).

904 Cfr. la lettera di Sebastiano Ricci a Ferdinando de’ Medici, Venezia, 21 novembre 1705, in ASF, Mediceo del Principato, f. 5892, c. 352 (edita in Lettere artistiche, cit., p. 14, lettera 1).

905 Cfr. par. Dedicatario per burla con Allegri.

906 Cfr. L’opera completa di Sebastiano Ricci, cit., p. 100, scheda 149; Scarpa, Sebastiano Ricci, cit, p.

274, scheda 367.

907

Venezia Vivaldi, catalogo della mostra a cura di Elvira Garbero, Maria Teresa Muraro e Ludovico Zorzi (Venezia, settembre-ottobre 1978), Venezia, Alfieri, 1978, p. 45.

quello di Venezia. In un’epoca in cui le difficoltà di comunicazione erano elevate, poter contare su un buon giro di conoscenze era senz’altro un punto di forza. Non sarà un caso, forse, che la prima opera della stagione, Creso tolto alle fiamme, con musica di Girolamo Polani, fosse su libretto di Aurelio Aureli.908 Quest’ultimo, lo ricordiamo, era al servizio di Ranuccio II Farnese negli anni di Ricci, quando firmò il

Favore degli Dei, spettacolo finale del ciclo di festeggiamenti per il matrimonio di

Odoardo, per il quale il nostro pittore aveva realizzato il sipario.909 Né sarà una mera coincidenza che il compositore della seconda opera in cartellone, La regina creduta

re del librettista Matteo Noris, fosse quel Giovanni Bononcini (1670-1747) che

aveva lavorato nell’Urbe con Silvio Stampiglia durante lo stesso periodo romano di Ricci. Stampiglia, si è detto, era un amico: forse tramite il suo contatto Sebastiano poté entrare in rapporti con l’allora trentacinquenne musicista modenese.

Creso tolto alle fiamme910 e La regina creduta re911 furono le due opere prodotte dalla ditta Ricci-Orsatto per la stagione 1705-1706. La programmazione di una coppia di drammi a stagione era di prassi per il sant’Angelo come per i migliori teatri di Venezia.912 Secondo la prima clausola del contratto Denzio (1714), l’impresario avrebbe avuto l’obbligo di mettere in scena due o più opere in autunno e in carnevale.913 Una regola aurea messa in pratica al sant’Angelo nelle annate precedenti, al di là di poche eccezioni: un unico allestimento fu dato nella stagione 1698-1699 (quella, si è visto, denunciata dall’insolvente Giustinian),914 mentre tre furono gli spettacoli delle stagioni 1700-1701 e 1702-1703 (in quest’ultima stagione, come accennato, la terza opera fu data in circostanze eccezionali). Peraltro, la messinscena di un numero superiore di drammi per musica in una stessa stagione non

908 Cfr. Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 17. 909 Cfr. par. Un sipario nuovo per le nozze Farnese. 910

Creso tolto alle fiamme, Venezia, Rossetti, 1705, 60 pp.; copia consultata: Mnb, Racc. Dramm.

Corniani Algarotti, 472 (cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 269).

911 La regina creduta re, Venezia, Zuccato, 1706, 70 pp.; copia consultata: Mnb, Racc. Dramm. Corniani Algarotti, 1051 (cfr. ivi, p. 270).

912

Cfr. Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 25. Così Ivanovich: «Ogni sera v’è trattenimento di più ore, in più Teatri con varietà di Opere, che per allettar maggiormente, sogliono comparire due per Teatro» (Memorie teatrali, cit., p. 36).

913 Cfr. ASV, Inquisitori di Stato, b. 914, fasc. ‘Case di gioco e teatri’, sottofasc. ‘S. Angelo’, c. 1r.,

Venezia, 11 dicembre 1714 (in Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 44).

914

era sempre indizio di buona riuscita della stessa: spesso si ricorreva alla terza o alla quarta opera quando le precedenti non avevano successo.915

Se, dunque, sotto l’impresariato di Ricci e Orsatto la produzione stagionale fu regolare, qualche anomalia la riserva il calendario. Creso tolto alle fiamme, l’opera di Aureli, andò in scena tardi, il 12 dicembre,916 a ridosso della novena natalizia, quando le produzioni si fermavano. Di norma, la prima dell’opera d’autunno era prevista a fine ottobre o a inizio novembre.917 Quell’anno, il san Cassiano debuttava il 10 novembre con Antioco, mentre il giorno dopo era la volta della Fede ne’

tradimenti al san Fantin. Presso lo stesso sant’Angelo, nell’autunno del 1703, Farnace fu messo in scena per la prima volta il 19 novembre, mentre l’anno

successivo Virginio Consolo esordì il 10 novembre.

Qualche difficoltà ci dové essere, dunque, se la stagione partì con tanto ritardo. I vari inconvenienti che documenteremo nelle prossime pagine furono certamente all’origine di questo slittamento di programma. Sappiamo, inoltre, che il teatro non era in ottime condizioni. Le sale teatrali, come noto, erano continuamente soggette all’usura del tempo, dato il ritmo serrato degli spettacoli. Il quarto punto del contratto Denzio (1714) stabiliva che, a fine mandato, ogni impresario dovesse lasciare il teatro e la casetta adiacente adibita alle provvigioni «in conzo, e colmo, e nel stato, che le resta consegnato».918 Nel dialetto veneto, l’espressione ‘in conzo e colmo’ indicava la conservazione di un edificio in buono stato, con annesse riparazioni ed eventuali opere di manutenzione. La clausola contrattuale in questione avrebbe consentito ai compatroni «di mantenere in buona efficienza il teatro con una spesa relativa».919

915

Spesso la terza o la quarta opera erano specie di jolly messi in produzione allorché gli spettacoli previsti avevano una ricezione poco soddisfacente (cfr. Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 25; vd. inoltre Rosselli, Il cantante d’opera, cit., p. 215).

916

Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 269.

917 La stagione d’opera veneziana iniziava consuetamente dopo Ognissanti o l’11 novembre, festa di

san Martino, «quando, terminati i lavori agricoli, i nobili e quanti possedevano beni in campagna ritornavano dalla lunga villeggiatura» (Mancini-Muraro-Povoledo, I Teatri del Veneto, cit., to. I, p. XIX).

918 ASV, Inquisitori di Stato, b. 914, fasc. ‘Case di gioco e teatri’, sottofasc. ‘S. Angelo’, c. 1v.,

Venezia, 11 dicembre 1714 (in Talbot, A Venetian Operatic Contract of 1714, cit., p. 45). Secondo il decimo punto del medesimo contratto, la casetta annessa al teatro era a disposizione dell’impresario (cfr. ivi, p. 46).

919

La nutrita attività svolta al Sant’Angelo nel corso del Settecento fa pensare che la sala abbia avuto più di una volta bisogno di qualche intervento a carattere conservativo ma per quanto concerne le strutture, fino alla metà del secolo e oltre, non si hanno dati precisi.920

Abbiamo già avuto modo di documentare i problemi alla scena e alla sala denunciati da Tidoni e Sanzogno (1698).921 Le cose dovevano essere andate peggiorando negli anni, stando agli atti di una scrittura estragiudiziale del 14 luglio 1704, depositata nelle carte del notaio Pietro Antonio Ciola.922 Nel documento, l’allora impresario Antonio Giannettini (in società con Francesco Santurini) dichiarava il proprio sconcerto nel constatare «non esser por anco stato restaurato, et aggiustato il med[esim]o [teatro], ne la Casa di quello comè à quel tempo fù detto, et è necessario, onde riesce impossibile recitarvisi Opera, e valersene, quando non venga fatto».923 Evidentemente, i lavori, promessi dai compatroni al momento del contratto con l’impresario, non erano stati nemmeno iniziati. In che cosa tali operazioni consistessero, lo si ricava da un preventivo di spesa firmato da Francesco Santurini e dall’architetto-scenografo Domenico Mauro,924 allegato all’estragiudiziale. Nella «Notta di Robbe, che fa bisogno per far la scena nel Teatro di S. Angello più fatura», sono elencati i materiali tecnici necessari non solo per una revisione della scena (il palcoscenico) e della «sottoscena» (il sottopalco); ma anche «per agiustar la dienzza cioe il pavimento» (la platea), «per agiustar li coridori de palchi scalle balconi e porte alli coridori da baso». Inoltre, nello stesso documento, si dichiarava l’urgenza di «vesitar il sofito cie [cioè] il colmo [tetto] avendo qualche difeto, che in breve potria farsi lesione».925

Come informa Ivanovich, il magistrato dei provveditori di Comun delegava ogni anno gli architetti della Repubblica a operare dei sopralluoghi nelle sale teatrali, al fine di verificare che «mura» e «palchetti» fossero in regola prima dell’inizio delle

920 Ivi, pp. 16-19.

921 Cfr. ASV, Notarile. Atti, b. 6913, Venezia, 3 settembre 1698 (estragiudiziali del notaio Marco

Generini).

922 Cfr. ASV, Notarile. Atti, b. 4025, c. n. n., Venezia, 14 luglio 1704 (estragiudiziali del notaio Pietro

Antonio Ciola). Il documento è segnalato in Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 263.

923 ASV, Notarile. Atti, b. 4025, c. n. n., Venezia, 14 luglio 1704 (estragiudiziali del notaio Pietro

Antonio Ciola).

924 Domenico Mauro potrebbe essere stato lo scenografo di ruolo di quella stagione, mentre si sa per

certo che Santurini era coimpresario in società con Antonio Giannettini (cfr. la cronologia in Glixon- White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 7, senza i necessari riferimenti archivistici).

925

ASV, Notarile. Atti, b. 4025, c. n. n., Venezia, 14 luglio 1704 (estragiudiziali del notaio Pietro Antonio Ciola).

recite.926 È probabile che la denuncia di Giannettini avesse sollecitato i compatroni a prendere i dovuti provvedimenti, anche in vista di quelle ispezioni d’ufficio. Del resto, su eventuali sviluppi della denuncia non sono finora emerse altre carte. Si sa, anzi, che quell’anno il corso delle recite iniziò regolarmente il 10 novembre:927 segno che le cose si erano sistemate, o che quantomeno era stata ripristinata la temporanea agibilità del teatro (il tetto, ad esempio, abbisognava di lavori a più lungo termine, rinviabili).

Per tornare alla nostra questione, più che le condizioni dell’edificio teatrale e della scena, furono probabilmente altre le ragioni che causarono il ritardo delle recite nella stagione 1705-1706. Non è improbabile che tutto ciò avesse a che fare con l’ingresso in campo di Sebastiano Ricci: il nostro pittore fu forse chiamato in causa come salvagente di un’impresa a rischio.