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Senza i «lumi maestri» dei Bibiena »

stesso spettacolo al pubblico romano, affidandone la responsabilità al ‘vice’ Ricci, a suo tempo spettatore (e collaboratore?) dell’allestimento parmense. La squadra restava, pressappoco, quella farnesiana. Immutati il librettista Aureli e il compositore Sabadini, «ambidue Servidori del Serenissimo di Parma».464 Tra i cantanti figuravano, come si vedrà, almeno due elementi della scuderia di Ranuccio, mentre l’incarico delle mutazioni sceniche, di poco dissimili da quelle parmensi, era affidato non a Ferdinando, ma a Francesco Bibiena, braccio destro del fratello negli incarichi di scenografo presso la stessa corte. Il Bibiena junior, secondo l’interpretazione corrente,465 sarebbe, dunque, identificabile con il ‘maestro’ che doveva guidare «Bastiano Ricci e compagni» nell’impresa del teatro Pace: colui che, a inizio stagione (nel Roderico), «né men ci seguita da lungi per osservar i passi del nostro camino»,466 e che, nell’Orfeo, aveva finalmente provveduto di «fornire il Teatro delle scene necessarie».467

5. Senza i «lumi maestri» dei Bibiena

Il teatro Pace era uno dei più antichi di Roma.468 Esso sorgeva nel cuore della città, nei pressi della chiesa di santa Maria della Pace, affacciato su una via detta di Zaccalopo, Saccalopo o Mazzalopo469 (oggi via della Pace). Il fondo sul quale il teatro era costruito apparteneva a Giovanni Domenico de Cupis (1618-1681),470 ed era in origine un locale di rimessa per carrozze.471 Lo stesso de Cupis viene indicato

464 L’Orfeo (1694), cit., p. 6.

465 Cfr. Barigozzi Brini, Una partecipazione di Sebastiano Ricci, cit., p. 125. Cfr. in proposito l’ipotesi

da me formulata alle pp. 83-84.

466

Il Roderico, cit., p. 3.

467 L’Orfeo (1694), cit., p. 6.

468 Sul teatro Pace, cfr. Maria Francesca Agresta, Il teatro della Pace di Roma, in «Studi romani», 31,

1983, 2, pp. 151-160; Fabrizio Aggarbati et al., L’architettura dei teatri di Roma 1513/1981, presentazione di Vittorio De Feo, Roma, Università La Sapienza, 1987, p. 11; Maria Grazia Pastura Ruggiero, Per una storia del teatro pubblico in Roma nel secolo XVIII. I protagonisti, in Il teatro a

Roma nel Settecento, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1989, vol. I, passim; Saverio Franchi, Drammaturgia romana, II, 1701-1750, ricerca storica, bibliografica e archivistica condotta in

collaborazione con Orietta Sartori, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pp. LXVI-LXXI.

469 A questa strada romana aveva dato il nome una famiglia che vi abitava; cfr. Agresta, Il teatro della Pace, cit., p. 151.

470

Cfr. Franchi, Drammaturgia romana (II), cit., p. LXVIII.

471

dalla critica come il probabile costruttore.472 Pare che il teatro fosse già attivo nel 1666: un’ipotesi che lo attesterebbe tra i primissimi teatri moderni della Città Eterna in ordine di fondazione.473 Tuttavia, le prime notizie certe riguardo ad allestimenti teatrali risalgono al 30 dicembre 1690, quanto la sala fu inaugurata, privatamente, con recite di istrioni.474

Quel 1690 fu un anno cruciale per i teatri romani. Grazie al nuovo pontificato di Alessandro VIII, riapriva i battenti, dopo un quindicennio di chiusura forzata, il Tordinona. Tre anni dopo, altre due sale pubbliche vedevano la luce: il Capranica, ubicato nel palazzo dell’omonima famiglia, e lo stesso Pace, rinnovato come sede di spettacolo per spettatori paganti. La buona disposizione del nuovo papa verso il mondo delle arti performative e l’atteggiamento inizialmente compiacente del suo successore, Innocenzo XII,475 garantirono all’attività teatrale romana una fioritura improvvisa (almeno fino al 1696),476 e insieme posero le premesse per una svolta epocale. La spinta propulsiva delle tre sale pubbliche aveva imposto a Roma un nuovo modello di teatro, alternativo a quello ‘di corte’ (o meglio delle ‘corti’);477 veicolato, quest’ultimo, dalla costellazione di teatri e teatrini privati o semiprivati sparsi nella selva di palazzi dell’Urbe. Già negli anni Ottanta del secolo, i Colonna avevano sperimentato, nel loro teatro domestico, una più ‘moderna’ formula di teatralità, «frutto della fusione tra sistema di corte e sistema impresariale».478 Negli anni Novanta, il modello di teatro commerciale, d’importazione veneziana, era stato trapiantato nel circuito cittadino, dando luogo alla conflittuale convivenza tra lo spettacolo inteso come evento irripetibile al servizio del potere e lo spettacolo come prodotto vendibile e ‘riproducibile’.479

La contiguità tra vecchio e nuovo (e tra privato e pubblico) è perfettamente incarnata in Pietro Ottoboni. Mai come nel melomane cardinale si scontrano le mire autocelebrative proprie della già ricordata fronda nobiliare capitolina con le nuove

472

Cfr. Franchi, Drammaturgia romana (II), cit., p. LXX.

473 Cfr. ivi, pp. LXIX-LXX. 474 Cfr. ivi, p. LXVII.

475 Quanto alla politica teatrale di Innocenzo XII, «si rivela assai più complessa e articolata di quanto

non appaia a prima vista; anzi, inizialmente, alcuni suoi provvedimenti risultano alla base della crescita impetuosa degli spettacoli» (Staffieri, Introduzione, cit., p. 27).

476 Cfr. ivi, p. 26.

477 Cfr. Franchi, Drammaturgia romana (II), cit., pp. XXIV-XXV. 478

Staffieri, Introduzione, cit., p. 26.

479

finalità commerciali delle sale pubbliche.480 Aspirando a imporsi come erede ‘morale’ di Cristina di Svezia, il giovane Ottoboni assumeva il patrocinio di quello che un tempo era stato il teatro della regina: il Tordinona.481 Di fatto, nel 1690, la sala riaprì sotto la sua protezione. Tale teatro fu inaugurato con una sua opera (la

Statira), messa in musica dal suo compositore (Alessandro Scarlatti), a riprova di

come il cardinale considerasse il Tordinona una sorta di appendice del teatro della Cancelleria.482 Così avvenne nel dicembre seguente: stavolta, però, l’allestimento della farsa Il Colombo,483 scritta dallo stesso Ottoboni, fu un clamoroso fiasco.484 Così, nella stagione successiva,485 avvenne un cambio di rotta:486 l’asse Ottoboni- Scarlatti si trasferì sul versante del Capranica e, presumibilmente, del Pace, mentre il Tordinona passò sotto gli auspici del ‘rivale’ Filippo Colonna e dell’ambasciatore di Spagna:487 artefici, questi ultimi, di una politica filo-veneziana (o, volendo, filo- bolognese), imperniata su produzioni confezionate dalla coppia Stampiglia- Bononcini.488 Dal canto proprio, al Capranica il cardinale fece rappresentare lavori del solito Scarlatti489 (valendosi della collaborazione del giovane Francesco Gasparini)490 e opere altrui rivisitate dal compositore palermitano, non dimenticando di ritagliarsi un proprio spazio di gloria (Il nemico di se stesso, dato nel 1693, era di sua composizione).491

480 Cfr. Staffieri, Introduzione, cit., p. 28. 481

Cfr. Viale Ferrero, Antonio e Pietro Ottoboni, cit., pp. 272-273.

482 Il cardinale Pietro Ottoboni «intende lo spazio pubblico come semplice meccanismo di

amplificazione dell’istanza privata, rappresentando infatti opere composte da lui, con cantanti impiegati direttamente alla sua corte o presso altri nobili romani […] e destinate a un tipo di fruizione elitaria (alcune opere vengono eseguite prima nello spazio scenico della Cancelleria e poi al Tor di Nona). In questo senso, La Statira del 1690 e Il Colombo del 1691 non segnano un reale cambiamento rispetto al repertorio degli anni ’80» (Staffieri, Introduzione, cit., p. 28).

483 Il Colombo overo l’India scoperta, Roma, Buagni, 1690, 97 pp. (copia consultata: BNCR,

34.1.F.22).

484

Cfr. Viale Ferrero, Antonio e Pietro Ottoboni, cit., p. 273 e n. 8.

485 Nel carnevale 1691 non fu data recita, in ossequio alla morte di Alessandro VIII. 486 Cfr. Staffieri, Introduzione, cit., pp. 28-29.

487

Cfr. Staffieri, Colligite fragmenta, cit., p. 101, n. 68.

488 I due lavorarono insieme a Roma dal 1692 al 1696, in particolare al Tordinona (fino al 1695; cfr.

Lindgren, I trionfi di Camilla, cit., p. 90).

489 Cfr. Staffieri, Introduzione, cit., p. 28. 490

Cfr. Lowell Lindgren, Le opere drammatiche ‘romane’ di Francesco Gasparini (1689-1699), trad. it. di Lorenzo Bianconi, in Francesco Gasparini (1661-1727), atti del primo convegno internazionale (Camaiore, 29 settembre-1° ottobre 1978), a cura di Fabrizio Della Seta e Franco Piperno, Firenze, Olschki, 1981, p. 172. Vedi quanto si dirà in seguito alle pp. 67-68.

491

Il nemico di se stesso, Roma, Vannacci, 1693, 60 pp. (cfr. Sartori, I libretti, cit., vol. IV [1991], p. 220, n. 16398).

Quanto al Pace, si sa che lo stesso cardinale era in stretti rapporti con Francesco Maria Flavio, alias marchese Ornani olim de Cupis, figlio ed erede di quel Giovanni Domenico de Cupis accreditato come costruttore del piccolo teatro di famiglia.492 Il marchese Ornani, assiduo frequentatore della vita mondana della Città Eterna (era intimo dei Barberini), fu legato a Ottoboni al punto da diventarne maestro di camera, nel 1698.493 Non è difficile immaginare l’intromissione del cardinale negli affari del de Cupis quando il Pace decise di aprire i battenti al pubblico pagante con una stagione in pompa magna.494 L’anno, appunto, del Roderico e dell’Orfeo.

È in questo contesto di inedita concorrenza tra sale pubbliche e committenze private495 che si inquadra l’iniziativa del Pace targata Ricci. Un contesto nel quale l’urgenza di conquistare sempre più spettatori aveva determinato il bisogno di superare i limitanti confini del vivaio cittadino, aprendo il circuito teatrale a quello di altri centri italiani. Le nuove ambizioni si situavano all’origine di una vivace circolazione di drammi, di opere, di musicisti, di cantanti provenienti da Firenze, Bologna, Venezia, Parma, destinati a rinsanguare le anguste e bigotte frontiere della capitale della cristianità.

Sebastiano Ricci agì, su questo sfondo, da uomo cerniera. Amico, si è detto, dell’Ottoboni, fu forse tramite quest’ultimo che egli venne in contatto con il de Cupis (o viceversa). È probabile che il pittore bellunese avesse fatto da mediatore tra la dirigenza del Pace e la corte farnesiana (di cui era al servizio) per gli spettacoli del

Roderico e dell’Orfeo. Le dinamiche della trattativa non si conoscono, ma si possono

intuire: da un lato, Ricci avrebbe procurato all’impresario e amico Giuseppe Calvi una nuova piazza e uno sbocco commerciale per la compagnia parmense; dall’altro, al Pace veniva offerta l’opportunità di imbastire una stagione competitiva con professionisti e produzioni di alto livello, per far fronte all’agguerrita concorrenza.

492

Cfr. Franchi, Drammaturgia romana (II), cit., p. LXXI.

493 Cfr. ibidem.

494 Lo stesso Ottoboni affittò quel teatro nel 1710 e forse già in anni precedenti vi mise in scena

spettacoli di burattini (cfr. ivi, p. LXXI e n. 175).

495

A Roma, l’offerta musicale fu, quell’anno, estremamente variegata: molteplici i cantanti e gli strumentisti che operarono nella Dominante pontificia. Circa quaranta furono i componimenti per musica, di produzione pubblica e privata, sacra e profana: otto i melodrammi, nove gli oratori, circa quattordici le serenate, quattro i drammi con inserti musicali alternati (cfr. Oscar Mischiati, Una

statistica della musica a Roma nel 1694, in «Note d’archivio per la storia musicale», n.s., 1, 1983, 3,

In tale compromesso, si è accennato, una parte consistente l’avrebbe avuta lo stesso Pietro Ottoboni: non sarà un caso che Ricci lo omaggiasse con la dedica della seconda opera in cartellone (come già ricordato). D’altronde, che il cardinale fosse vicino all’entourage del Pace lo prova un avviso di Roma del 13 febbraio 1694, in cui si riferisce che

sua em[inen]za [Pietro Ottoboni] intanto si và trattenendo colli musici del ser[enissi]mo di Parma, dalli quali vuole nella prossima Quadragesima far recitare un bellissimo oratorio nella Cancelleria, che và egli medesimo componendo.496

L’oratorio cui si allude nel testo potrebbe essere La Giuditta, composta da Ottoboni su musica di Scarlatti già nel 1693 e andata in scena il 27 marzo 1694.497 I ‘musici del serenissimo di Parma’ che il cardinale contattò per la sua produzione oratoriale altri non erano che i cantanti della compagnia del teatro Pace.498 Di questi ultimi si conoscono solo tre elementi, grazie alla preziosa testimonianza di un diarista locale contemporaneo:

Stato il Papa sinora renitente a conceder licenza per le comedie, finalmente il giorno 20 gennaio [1694] di S. Sebastiano nell’udienza data al governatore ne diede la permissione per doversi principiare il dì 25 […].

Alla Pace [fu dato] il Roderico ove recitano Ant. Bission del duca di Parma, Valentino, Bocca di Lepre et altri musicisti di minor nome.499

496 BNCR, Vittorio Emanuele, ‘Avvisi Marescotti’, 788, c. 489r.-v., cit. in Staffieri, Colligite fragmenta, cit., p. 113.

497 La Giuditta, Roma, Komarek, 1693, 20 pp. (copia consultata: Vfc, Rolandi, Rol.0725.01). Cfr.

Staffieri, Colligite fragmenta, cit., pp. 113 e 115, nn. 82 e 86; Franchi, Le impressioni sceniche, cit., p. 360, n. 17; Id., Drammaturgia romana, vol. I, Repertorio bibliografico cronologico dei testi

drammatici pubblicati a Roma e nel Lazio. Secolo XVII, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1988,

p. 693.

498

Nell’avviso del 30 gennaio di quell’anno, si dice che l’opera data al Pace era «recitata da musici del ser[enissi]mo di Parma […]» (BNCR, Vittorio Emanuele, ‘Avvisi Marescotti’, 788, cc. 484v., in Staffieri, Colligite fragmenta, cit., p. 111). Credo, dunque, fuorviante prendere in considerazione tutti «i musici del duca di Parma impegnati a Roma nel 1694», e cioè: «Francesco A. Pistocchi, Rinaldo Gherardini e Carlo Antonio Corno al Tor di Nona, Antonio Bission al Teatro Pace nel Roderico» (Staffieri, Colligite fragmenta, cit., p. 113, n. 82; il censimento si basa sulle notizie raccolte da Alessandro Ademollo, I teatri di Roma nel secolo decimosettimo: memorie sincrone, inedite o non

conosciute, di fatti ed artisti teatrali, ‘librettisti’, commediografi e musicisti, cronologicamente ordinate per servire alla storia del teatro italiano, Roma, Pasqualucci, 1888 [rist. anast. Bologna,

Forni, 1969], p. 190). Si sa, per esempio, che Ottoboni aveva chiuso i contatti con il Tordinona, passato sotto il dominio dei rivali Colonna: difficilmente il cardinale avrebbe potuto rivolgersi a cantanti impegnati nel concorrente teatro per ingaggiarli nella sua produzione.

499

Ademollo, I teatri di Roma, cit., p. 190; cfr. Staffieri, Introduzione, cit., p. 44. Purtroppo il libretto dell’opera non registra gli interpreti.

L’unico nome finora decodificato dalla critica è quello di Antonio Bissoni, musico stipendiato da Ranuccio II, il quale aveva partecipato attivamente al Favore

degli dei nel ciclo di intrattenimenti musicali serviti alla corte di Parma per i

festeggiamenti del 1690.500 Mentre permangono dubbi su ‘Bocca di Lepre’ (cantante così soprannominato, evidentemente, per la caratteristica del labbro leporino),501 si può risalire, con un certo margine di sicurezza, all’identità del virtuoso ‘Valentino’: non altri che Valentino Urbani, cantante soprano di futura fama, allora al principio della carriera.502 Quest’ultimo si era esibito, guarda caso, con il collega Bissoni nel

Favore degli Dei, il più volte ricordato spettacolo di chiusura dei fasti farnesiani per

il matrimonio di Odoardo.503 Lo stesso castrato era comunemente chiamato ‘Valentino’: come tale, difatti, è indicato nelle caricature di Marco Ricci e Anton Maria Zanetti che lo ritraggono in anni successivi.504

Per il resto, anche se non conosciamo con esattezza la lista dei cantanti che si esibirono al Pace nelle due opere firmate Ricci, sappiamo che il cast era composto da alcuni degli interpreti maschili505 desunti dalla legione di ugole d’oro ‘del Serenissimo di Parma’: di quanti, cioè, avevano preso parte al Favore degli Dei o agli altri spettacoli piacentini e parmensi di quegli anni. L’appartenenza della compagnia del Pace alla scuderia farnesiana è confermata dai cronisti del tempo. Così recita un avviso del 23 gennaio:

havendogli [al papa] parlato monsignor governatore per la licenza delle comedie in musica, li concesse benignamente la licenza, onde lunedì sera si darà principio alle medesime, e per

500

Cfr. n. 319. Antonio Bissoni fu, inoltre, attivo presso il teatro Ducale di Parma: lo si registra nel

Vespasiano (1690) e nel Massimino (1692), entrambi di Aureli e Sabadini, con la precisazione: «del

serenissimo di Parma» (cfr. Nello Vetro, Il Teatro Ducale, cit., pp. 68-69, 71-72). Una carta decorata giunta fino a noi, relativa al Vespasiano, registra le lodi del cantante: «Al merito singolare del signor Antonio Bissoni che nell’opera del Vespasiano porta mirabilmente il personaggio d’Attilio» (Parma, biblioteca Palatina, Fogli volanti, A.14; cit. in ivi, p. 68).

501 Un cantante così soprannominato non è registrato nei libretti raccolti da Claudio Sartori (I libretti musicali, cit.). Per ulteriori ricerche sullo spettacolo romano di questi anni attendiamo il contributo in

preparazione per «Analecta Musicologica» a cura di Lorenzo Bianconi, Lowell Lindgren, Margaret Murata e Thomas Walker.

502 Valentino Urbani è accertato sulle scene tra il 1690 e il 1722 (cfr. Winton Dean, Valentini [Urbani, Valentino], in The Grove Book of Opera Singers, a cura di Laura Macy, Oxford, Oxford University

Press, 2008, pp. 510-511).

503 Lo stesso Valentino Urbani aveva, inoltre, partecipato all’Idea di tutte le Perfezioni e alla Gloria d’Amore (cfr. qui p. 51).

504 Si veda il confronto tra tre caricature riccesche e zanettiane del castrato riprodotte in An Album of Eighteenth Century, cit., n. 7, p. 37.

505

qualche insolenza fatta alle porte del Teatro della Pace, ove recita la compagnia di Parma, restano fermati […] li figli del duca Cesarini.506

Un altro avviso della settimana successiva suona, in tal senso, ancora più esplicito:

Si è dato principio alla recita dell’opere in musica in questi Teatri della Pace, di Tordinona, e di Capranica, portando però il maggiore applauso la prima recitata da musici del ser[enissi]mo di Parma […].507

Quest’ultima testimonianza risulta quanto mai preziosa. Da un lato, l’avviso offre indirettamente la conferma di un clima di aperta rivalità tra le tre sale pubbliche romane in questa stagione. Dall’altro, grazie a tale resoconto sappiamo che la prima opera data al Pace, Il Roderico, aveva riscosso, fino a quel momento, «il maggiore applauso», sbaragliando la concorrenza del Tordinona e del Capranica. Segno che l’operazione concertata da Ricci, Calvi, de Cupis e Ottoboni aveva fatto centro (in rapporto almeno ai primi giorni di recita). Del resto, in caso di insuccesso, difficilmente il cardinale Ottoboni si sarebbe rivolto alla stessa compagnia per allestire, più tardi, la già ricordata Giuditta.

Stando ai documenti sopra riportati, dunque, Il Roderico debuttò il 25 gennaio al teatro Pace, quale primo allestimento di carnevale. Come nel caso dell’Orfeo, l’opera era una ‘ripresa’, anche se non di una produzione farnesiana. Il primo Roderico della storia era andato in scena a Brescia, nel 1684, su libretto attribuito a Giovanni Battista Bottalino e musica di Carlo Francesco Pollarolo.508 Nella sua decennale fortuna, il dramma per musica aveva conosciuto molteplici versioni, tra le quali una livornese del 1686, su intonazione di Francesco Gasparini (al probabile debutto come operista).509 Fu quest’ultima variante a essere ripresa per lo spettacolo romano, su

506

BNCR, Vittorio Emanuele, ‘Avvisi Marescotti’, 788, cc. 482v.-483 (cit. in Staffieri, Colligite

Fragmenta, cit., p. 111). Non si sa a quali ‘insolenze’ ci si riferisce, ma è comunque probabile che tali

inconvenienti fossero riconducibili al clima di accennata concorrenza tra i teatri romani.

507 BNCR, Vittorio Emanuele, ‘Avvisi Marescotti’, 788, c. 484v., Roma, 30 gennaio 1694 (in ibidem). 508

Cfr. Elvidio Surian, L’esordio teatrale del giovane Gasparini: alcune considerazioni

sull’apprendimento e tirocinio musicale nel Seicento, in Francesco Gasparini (1661-1727), cit., pp.

48-50.

509 Cfr. Dennis Libby-Angela Lepore, Francesco Gasparini, in New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., vol. IX, p. 557. L’altra opera che segnò l’esordio del Gasparini operista fu Olimpia vendicata, di scena quello stesso anno, sempre a Livorno (cfr. ibidem).

libretto revisionato (prevedibilmente del solito Aureli), e con musica dello stesso Gasparini.510

Non sappiamo perché la direzione del Pace scelse proprio quest’opera per il suo esordio pubblico, ma possiamo immaginare che un ruolo chiave in questa risoluzione possa averlo avuto l’allora trentatreenne compositore lucchese. È stato ipotizzato che, nel 1692, Gasparini fosse maestro di cappella al teatro Capranica, al fianco di Scarlatti.511 Quell’anno, il Capranica metteva in scena due rifacimenti, tra cui una nuova versione dell’Olimpia vendicata di Aureli, data a suo tempo al teatro veneziano di sant’Angelo con musica di Domenico Freschi (1681)512 e ribattezzata con il titolo Amor vince lo sdegno overo L’Olimpia placata.513 Secondo la critica,514 le musiche nuove dell’opera sarebbero state composte, in buona parte, proprio da Gasparini (in collaborazione con Scarlatti).515 L’attiva cooperazione di quest’ultimo nel teatro allora diretto da Ottoboni spiegherebbe i consolidati rapporti tra compositore e cardinale, all’origine, probabilmente, della produzione teatrale di due anni dopo. Va, peraltro, ricordato che il libretto del Roderico fu dedicato a Flaminia Pamphili Pallavicini, sorella di quel cardinale Benedetto Pamphili per il quale Gasparini lavorò come violinista e compositore di arie e cantate fin dal 1687,516 anno della sua prima presenza accertata a Roma.517

L’intreccio confermerebbe, una volta di più, il ruolo centrale di Ottoboni nelle dinamiche dell’impresa del Pace; impresa in cui, lo si ricordi, Ricci fu coinvolto per volontà altrui (come il pittore stesso dichiara nell’estratto prefatorio citato). Del ruolo di probabile mediatore rivestito dal bellunese in quel contesto si è detto. Resta da

510 Cfr. Franchi, Drammaturgia romana (I), cit., p. 671. 511 Cfr. Lindgren, Le opere drammatiche, cit., p. 172.

512 Cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 148. L’opera debuttò il 28 novembre 1681. 513

Amor vince lo sdegno overo L’Olimpia placata, Roma, Vannacci, 1692, 72 pp. (cfr. Sartori, I

libretti, cit., vol. I [1990], pp. 158-159, n. 1513).

514 Cfr. Roberto Pagano-Malcolm Boyd-Edwin Hanley, (Pietro) Alessandro (Gaspare) Scarlatti, in New Grove Dictionary of Music and Musicians, cit., vol. XXII, p. 384.

515

Cfr. Lindgren, Le opere drammatiche, cit., p. 172; Sartori, I libretti, cit., vol. I (1990), p. 159; Pagano-Boyd-Hanley, (Pietro) Alessandro (Gaspare) Scarlatti, cit., p. 384. Lo stesso Gasparini aveva composto le musiche di un’ulteriore versione dell’Olimpia placata, andata in scena a Livorno sei anni prima, nel 1686 (cfr. Sartori, I libretti, cit., vol. IV [1991], p. 275, n. 16929; Libby-Lepore, Francesco

Gasparini, cit., p. 557).

516 Cfr. Lindgren, Le opere drammatiche, cit., p. 167; Libby-Lepore, Francesco Gasparini, cit., p.