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Lo strano caso dell’opera scomparsa »

IV I guai della stagione veneziana 1705-

6. Lo strano caso dell’opera scomparsa »

La vicenda appena ricostruita apre non solo una finestra sul retroterra di beghe e conflitti di interesse che brulicavano dietro le facciate dei teatri d’opera, ma rivela inimmaginabili intrecci di uomini e di cose nascosti sotto le protocollari cronologie dei libretti d’opera prodotti a Venezia tra Sei e Settecento.949 Nei loro compilativi cataloghi, Cristoforo Ivanovich (1681), Giovanni Carlo Bonlini (1730), Antonio Groppo (1745), Lione Allacci (1755), Francesco Caffi (sec. XIX), Taddeo Wiel (1897) hanno via via inventariato quasi due secoli di repertorio drammaturgico musicale della Serenissima. Eppure, come osserva acutamente Ludovico Zorzi,

un inventario, per quanto sistematico e completo, di tale produzione […] si rivela uno strumento di indagine settoriale, circoscritto alla storia degli autori e dei testi. Assai più efficace dovrebbe riuscire l’esame della struttura interna di un così complesso organismo, volto in primo luogo a individuarne le forze motrici e in secondo luogo a illuminare la fitta rete di meccanismi complementari che quella struttura aveva il potere di tenere insieme e di mettere a loro volta in movimento. Un groviglio di impulsi e di interessi particolari […] sta dietro al suo manifestarsi e al suo rapido fiorire.950

948 Rinvio alle pp. 152-153 e n. 902.

949 Per un aggiornato resoconto dei vari cataloghi delle opere a Venezia tra Sei e Settecento, cfr.

Giovanni Polin, Il collezionismo librettistico a Venezia tra XVIII e XIX secolo, in «Fonti musicali italiane», 16, 2011, pp. 127-142.

950

In questo senso, l’indagine archivistica può contribuire a rimpolpare lo scheletro asettico dei cataloghi musicali, facendo pulsare, sia pure per brevi istanti, esistenze seppellite nel cimitero della memoria. Si è appena dato voce a Antonio Vivaldi, compositore fantasma occultato dietro il nome di Girolamo Polani. È ora la volta di Francesco Mazzari, semisconosciuto librettista al centro di un curioso caso di opera ‘scomparsa’.

Grazie a un documento inedito (doc. 8, fig. 24), rinvenuto all’Archivio di stato di Venezia,951 si viene a sapere che un certo dramma per musica, commissionato a Mazzari per il carnevale al sant’Angelo del 1706, fu misteriosamente cassato dalla programmazione del teatro. È il poeta stesso a dichiararlo in una denuncia, indirizzata personalmente a Sebastiano Ricci, depositata il 7 marzo 1706 presso il magistrato del Petizion.952 Una nuova tegola giudiziaria per l’impresa del sant’Angelo, destinata a naufragare, di lì a poco, nello scontro ‘fratricida’ tra i due impresari.953

Trascrivo per intero il documento:

Niega con poco lodevole insistenza il Sig[no]r Sebastiano Rizzi à mè Fran[ces]co de Mazzari il dovuto pagam[en]to dell’Opera, che hò hauta commissione di componere per recitarsi nel Teatro di S. Angelo il Carnovale ultimam[en]te passato da d[omin]o Gio[vanni] Orssatto, nelle obbligazioni del quale, et in questa particolarm[en]te è subintrato il med[esi]mo Sig[no]r Rizzi. L’ingiustizia di questa negativa gli sia rimproverata coll’arricordargli, che egli stesso si è mecco obligato di far reccittar l’opera stessa, ò di pagarmela. Non credo, che risvegliata alla sua memoria questa verità inalterabile haverà corraggio per denegarla. Se ciò mai fosse io per convincerlo con suo rossore mi contento di star in questa parte alla deposizione del Nob[il] Ser Gio[vanni] Batt[ist]a Candi Nob[ile] Padovano, et del Sig[no]r Gio[vanni] Batt[ist]a Vivaldi accio quantunque fossero secco interessati; che furono presenti al di lui impegno, esibendo anco in appresso il mio giuram[en]to; e ciò tutto ex abundanti oltre quanto le carte sufficientem[en]te dimostrano, et in quanto solo para bisogno alla Giust[iti]a esibisco in appresso, aggiongendo prova su prova sempre più à confusione del suo evidente torto, et ex abundanti et supra là giustifficazione dell’infrascritto Capitolo.

Che negli ultimi giorni di questo Carnovale havendo io fatto riccercar lò stesso Sig[no]r Rizzi per il pagam[en]to dell’Opera sud[det]ta, già che non l’haveva fatta reccittare, ne era più tempo di reccittarla rispose, che sarei restato contento, e sodisfatto.

951 Cfr. ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 9, Venezia, 7

marzo 1706. Il documento è segnalato in Glixon-White, ‘Creso tolto a le fiamme’, cit., p. 17, n. 42.

952

Cfr. ibidem.

953

Così dunque humilm[en]te insto che resti il med[esi]mo sentenziato in ducati 100 per parte del premio stesso. Salvis etc. et sine pregiudizio etc. et in expensis etc.954

Il trevigiano Francesco Mazzari fu poeta di scarso successo. Tre i libretti che gli sono attribuiti dai cataloghi: Paride in Ida, dato al sant’Angelo nell’autunno del 1706, su musica di Luigi Mancia arrangiata da Agostino Bonaventura Coletti;

L’Endimione, allestito ancora al sant’Angelo nell’autunno del 1709 su musica

attribuita a Giuseppe Boniventi; e L’Ambizione castigata, composta per il san Fantin su musica anonima, di scena il 6 febbraio 1717 per un ridotto ciclo di recite.955 Purtroppo, nella sua denuncia, Mazzari non specifica il titolo dell’opera. Perciò, non possiamo sapere con certezza se il dramma incriminato sparì per sempre dalla programmazione del teatro, o se, più prevedibilmente, ricomparve in seguito. Si sa che nella stagione successiva il sant’Angelo fu inaugurato, in autunno, proprio da un’opera del poeta trevigiano, Paride in Ida.956 Potrebbe essere quest’ultimo il dramma scomparso. Forse Mazzari aveva vinto la causa giudiziaria intrapresa, obbligando la direzione del teatro a produrre il proprio libretto. O forse, nella travagliata stagione 1706-1707 diretta da Francesco Santurini, non si era trovato di meglio che mettere in scena quel lavoro rimasto in sospeso, congelato dalla gestione Orsatto-Ricci. Resta il fatto che Paride in Ida non era una novità: l’opera era la ripresa di una produzione del 1696 per il teatro Ducale di Parma.957 Rivestito della nuova musica del lucchese Coletti, il vecchio libretto era stato scritto da Mazzari nove anni prima: il che potrebbe contraddire quanto riferito dal poeta nella sua denuncia, parlando di «Opera che hò hauta commissione di componere».958 Un giallo, insomma.

954 ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 9, Venezia, 7 marzo

1706.

955

Cfr. Sartori, I libretti italiani, cit., Indici. I (1993), p. 286; cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., pp. 272, 292, 333.

956 Cfr. Sartori, I libretti italiani, cit., vol. IV (1991), p. 355, n. 17781. Il nome di Mazzari, non

registrato nel libretto dell’opera, è annotato a mano da Corniani Algarotti sul piatto anteriore della copia del libretto posseduta dal conte e ora conservata alla Mnb (Racc. Dramm. Corniani Algarotti, 2987). Il nome del librettista è registrato in Francesco Saverio Quadrio (Della storia e della ragione

d’ogni Poesia, vol. III, parte II, Milano, Agnelli, 1744, p. 486), in Lione Allacci (Drammaturgia di Lione Allacci accresciuta e continuata fino all’anno 1755, Venezia, Pasquali, 1755, col. 599) e in

Oscar George Theodore Sonneck (Catalogue of Opera Librettos printed before 1800, Washington, Governement Printing Office, 1914, vol. I, n. 848).

957 Cfr. Nello Vetro, Il Teatro Ducale, cit., pp. 78-79. 958

ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 9, Venezia, 7 marzo 1706.

Il documento in questione consente di affrontare ancora una volta la posizione di Sebastiano Ricci al sant’Angelo. Nella sua denuncia, Mazzari dichiara che l’opera gli era stata commissionata da Giovanni Orsatto, «nelle obbligazioni del quale, et in questa particolarm[en]te è subintrato il med[esi]mo Sig. Rizzi».959 L’affermazione è accreditata da alcune carte che analizzeremo in sede successiva, secondo le quali Ricci sarebbe ‘subentrato’ in tutto e per tutto nell’impresa.960 Del resto, come si è visto, era il pittore bellunese il soggetto chiamato in causa dai giudici dell’Esaminador in occasione del sequestro della paga di Polani.

A Ricci, dunque, il poeta trevigiano rivendicava il pagamento della propria opera, fosse messa in scena o meno. I virulenti attacchi personali lasciano supporre il ruolo di responsabilità del pittore nella decisione di scartare il libretto. Non è improbabile che il nuovo impresario, una volta insediatosi, avesse imposto una propria linea direttiva, ribaltando le scelte artistiche del socio. Da intendente d’opera qual era (si rammenti la vicenda del Turno Aricino),961 Ricci aveva forse fiutato lo scarso appeal del mediocre Mazzari, cancellando il dramma dai programmi. Quindi lo aveva fatto sostituire con La regina creduta re del veterano e ben più blasonato Matteo Noris (1640 ca.-1714),962 su musica attribuita a un altro fuoriclasse, Giovanni Bononcini. I risultati gli avevano dato ragione. Sia i «Mercuri» conservati alla biblioteca Marciana che i gazzettini di Bologna riferiscono del successo dell’opera, accolta con «grande applauso»;963 complice, forse, anche la messa in scena di Lesba e Bleso,964 primo intermezzo comico della storia veneziana, introdotto in Laguna forse proprio grazie alla mediazione di Bononcini.965 Alla prova dei fatti, Ricci si era dimostrato un eccellente stratega. Le cronache coeve non fanno alcuna menzione del Paride in

959 Ibidem. 960

Cfr. pp. 1834-186.

961 Cfr. par. Il sonetto di Stampiglia.

962 Matteo Noris fu forse il principale esponente della classe di librettisti veneziani antecedente a Zeno

e alla riforma arcadica. I suoi libretti sono un miscuglio di elementi seri e comici, fantastici e verosimili, zeppi di personaggi e condinti con un linguaggio iperbolico (cfr. Talbot, The Vivaldi

Compendium, cit., p. 126, sub voce ‘Noris, Matteo’).

963 Gli estratti di quei notiziari si trovano cit. in Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 270. 964 Cfr. Sartori, I libretti, cit., vol. IV (1991), p. 465, n. 13391.

965

La moglie di Giovanni Bononcini era Margherita Balletti, proveniente da una famiglia di comici (cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., p. 270).

Ida,966 il dramma di Mazzari che aprì la stagione seguente. Segno che quell’opera non destò entusiasmo. Con buona pace del poeta trevigiano.

Quanto al merito delle ragioni del librettista, non sapremmo dare un giudizio, avendo solo la sua versione dei fatti. Mazzari sostiene che Ricci era tenuto a pagargli il lavoro, secondo quanto pattuito con Orsatto, e che lo stesso bellunese gli aveva promesso, a fine carnevale, che lo avrebbe saldato di tutto, benché l’opera non fosse stata allestita.967 La propria buona fede poteva essere dimostrata dalla deposizione di due testimoni: Giovanni Battista Vivaldi, padre di Antonio, e Giovanni Battista Candi, patrizio padovano, entrambi presenti al momento degli accordi.968 Se ne ricava che questi ultimi erano cointeressati negli affari del teatro.969 Desta curiosità, in particolare, il nome del Vivaldi senior. Gli stretti rapporti del violinista-barbiere con il sant’Angelo, già a questa altezza cronologica, potrebbero motivare sia la scelta di Polani di affidare al di lui figlio il completamento del Creso, sia la futura attività impresariale dei due Vivaldi in questo teatro (nelle stagioni 1713-1714 e 1714- 1715),970 nonché, in seguito, del solo Antonio.

Ragioni a parte, Mazzari agì per via giudiziaria, a quanto pare, più per venalità che per orgoglio personale. Obiettivo dichiarato della sua battaglia legale era non tanto rivendicare il diritto alla produzione del libretto, quanto riscuotere il denaro pattuito.

Di prassi, l’autore di drammi nuovi veniva ripagato con una data percentuale sui ricavi delle vendite dei libretti (circa la metà).971 Nel Seicento, era lo stesso

966 Dai materiali raccolti da Eleanor Selfridge-Field non emergono notizie in proposito (cfr. A New Chronology, cit., p. 272).

967 Cfr. ASV, Giudici di Petizion, ‘Scritture e risposte in causa’, b. 216, fasc. 119, n. 9, Venezia, 7

marzo 1706.

968 Cfr. ibidem. 969

Giovanni Battista Candi fu certamente un sottoscrittore (ossia un ‘carattadore’) della stagione al sant’Angelo (cfr. pp. 182-185), e probabilmente lo fu anche Giovanni Battista Vivaldi.

970 Cfr. Mancini-Muraro-Povoledo, I Teatri del Veneto, cit., to. II, p. 38. Sull’attività teatrale di

Giovanni Battista Vivaldi non si è ancora fatta abbastanza luce. Secondo le ricerche di Remo Giazotto, nel 1689 i fratelli Grimani avevano contratto con il padre del Prete Rosso dei debiti non meglio precisati. Non potendoli estinguere in denaro, i signori di santa Maria Formosa avevano garantito al Vivaldi senior la riscossione degli introiti degli affitti del palco n. 14, nel primo ordine, al san Giovanni Grisostomo (cfr. Giazotto, La guerra dei palchi [II], cit., p. 16). Nuovi dati sui rapporti tra Giovanni Battista e i teatri veneziani sono emersi in White, Antonio Vivaldi, cit., pp. 61-62.

971 Così Ivanovich: «fù introdotto l’uso, che tuttavia si pratica di lasciar all’Autore del Drama per

premio delle sue fatiche tutto quello si cava dalla vendita de’ libretti stampati à sue spese, e dalla Dedicatoria, che si fà à sua libera disposizione […]» (Memorie teatrali, cit., p. 414). Sul ruolo del librettista nel sistema impresariale, veneziano e non, cfr. almeno Fabrizio Della Seta, Il librettista, in

stampatore ad accollarsi le spese editoriali,972 di solito coperte grazie ai primi proventi delle varie copie: all’incirca un quarto dell’incasso totale.973 Oltre al ricavato dei libretti, il poeta poteva godere delle sovvenzioni dei sottoscrittori e, soprattutto, del ‘regalo’ da parte dell’eventuale dedicatorio, là dove al librettista fosse stato concesso di firmare una dedica.974

Nel caso, invece, di libretti vecchi, era l’impresario a gestire paghe e guadagni.975 Si pensi, ad esempio, ai registri di spesa relativi alla stagione 1729-1730, resi noti anni or sono da Nicola Mangini.976 In quelle carte, nell’elenco dei professionisti beneficiari di pagamenti per la stagione, risulta Pietro Metastasio, autore dell’Artaserse (di scena nel carnevale 1730), mentre non figura il nome di Domenico Lalli, arrangiatore dello stesso libretto.

Nel Settecento, tale sistema subì gradualmente delle modifiche. Anche là dove i libretti erano nuovi, sarebbe spettato agli impresari occuparsi di tutto, pagando direttamente i librettisti.977

Per concludere, il fatto che Mazzari dovesse essere corrisposto da Ricci non prova nulla. E il sospetto che il dramma della discordia possa essere scomparso per sempre, rimane, per il momento, senza soluzione.