• Non ci sono risultati.

Lo «straniero» Giuseppe Calvi »

Abbiamo già avuto modo di introdurre, nel corso di questa trattazione, la figura di Giovanni Calvi, detto il Giuseppino.414 Era costui segretario di gabinetto di Ranuccio II Farnese. Lo stesso duca l’aveva nominato sovrintendente e impresario del nuovo teatro Ducale di Piacenza (1687),415 e, verosimilmente, analogo ruolo egli rivestì per il Ducale di Parma.416 Calvi fu anche arrangiatore di libretti: tale risulta nell’Olimpia

414 Cfr. p. 39.

415 Cfr. Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., pp. 157-160. 416

Giovanni Calvi avrebbe tratto i «relativi profitti» delle produzioni operistiche dei teatri farnesiani (cfr. Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., pp. 157-160). I teatri farnesiani, esemplati su modello veneziano, aspiravano a imporsi quali vere e proprie imprese commerciali. Di seguito, in ordine alfabetico, l’elenco delle produzioni operistiche di cui Calvi fu impresario: Amor spesso

inganna, poesia di Aureli, musica di Sabadini, Ducale di Piacenza, 1689 (cfr. Sartori, I libretti, vol. I

[1990], p. 153, n. 1466); Circe abbandonata da Ulisse, poesia di Aureli, musica di Sabadini, Ducale di Piacenza, 1692 (cfr. ivi, vol. II [1990], p. 130, n. 5645); Ciro riconosciuto, poesia e musica anonime, Ducale di Piacenza, 1686 (cfr. ivi, vol. II [1990], p. 135, n. 5690); Demetrio tiranno, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1694 (cfr. ivi, vol. II [1990], p. 315, n. 7455); Didio Giuliano, poesia di Lotti, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, Ducale di Piacenza, 1687 (cfr. ivi, vol. II [1990], p. 345, n. 7723); Dionisio siracusano, poesia di Antonio Salvi, musica di Giacomo Antonio Perti, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Parma, 1689 (cfr. ivi, vol. II [1990], p. 367, n. 7931); L’Ercole trionfante, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1688 (cfr. ivi, vol. III [1991], pp. 46-47, n. 9072); Il Massimino, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Parma, 1692 (cfr. ivi, vol. IV [1991], p. 93, n. 15085); Olimpia placata, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Stefano Lolli (ingegnere); scene di Ferdinando Galli Bibiena (pittore), abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Parma, 1687 (cfr. ivi, vol. IV [1991], pp. 274-275, n. 16925); La pace fra’ Tolomeo e Seleuco, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1691 (ivi, vol. IV, 1991, pp. 344-345, n. 17664); Pompeo continente, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena e Antonio Mauro, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1690 (cfr. ivi, vol. IV [1991], p. 451, n. 18949); Talestri innamorata

d’Alessandro Magno, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di

Gasparo Torelli, Ducale di Piacenza, 1693 (cfr. ivi, vol. V [1992], p. 292, n. 22780); Teodora

clemente, poesia di Aureli, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo

Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1689 (cfr. Sartori, vol. V [1992], p. 315, n. 23028,); Il Vespesiano (sic!), poesia di Aureli (da Cesare Coradi), musica di Sabadini, scene di

placata, opera messa in scena nel teatro parmense nel 1688.417 La sua professione originaria era però quella di cantante: come musico, prima ancora che come segretario, il Giuseppino risulta a stipendio nei registri farnesiani dal 12 maggio 1679 fino al termine del 1692.418

Si è anche accennato al fatto che Calvi ebbe una relazione con Maddalena Vandermer, prima che questa diventasse seconda moglie di Sebastiano Ricci.419 Secondo Temanza, la Vandermer sarebbe stata «donna di piacere» di Ranuccio.420 È stato da tempo dimostrato che amante della donna non fu il duca, ma piuttosto il suo futuro segretario, vero e proprio filibustiere.421 Dell’avventurosa liaison tra i due spasimanti dà conto il viaggiatore Casimir Freschot, già ricordato come cronista dei festeggiamenti farnesiani del 1690.422

Stando a questa fonte coeva,423 la storia tra la «fille de Joye»424 Madelon e il musico Calvi, figlio di un povero sarto pavese,425 sarebbe iniziata a Venezia,426 dove

Ferdinando Galli Bibiena, abiti di Gasparo Torelli, balli di Federico Crivelli, Ducale di Parma, 1689 (cfr. ivi, vol. V [1992], p. 471, n. 24725); Zenone il tiranno, poesia di Lotti, musica di Sabadini, scene di Ferdinando Galli Bibiena, balli di Federico Crivelli, Ducale di Piacenza, 1687 (cfr. ivi, vol. V [1992], p. 535, n. 25368).

417 Si rilegga la n. 292. 418

Cfr. Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., p. 160. Cfr. inoltre Balestrieri, Feste e

spettacoli, cit., pp. 115-116; e Roberto Lasagni, Calvi Giuseppe, in Id., Dizionario Biografico dei parmigiani, Parma, PPS, 1999, vol. I, p. 804. Calvi fu Altegonda in Amalasonta in Italia, poesia di

Alessandro Guidi, musica di Giovanni Battista Policci (cfr. Sartori, I libretti, cit., vol. I [1990], p. 103, n. 979) e Amore in Amore riconciliato con Venere (cfr. ivi, vol. I [1990], pp. 181-182, n. 1728). A Venezia, Calvi aveva interpretato Lisimaco in Lisimaco riamato da Alessandro, poesia di Aureli (da Giacomo Sinibaldi), musica di Giovanni Legrenzi, di scena nel 1682 al teatro di san Salvador a Venezia (cfr. ivi, vol. IV [1991], pp. 20-21, n. 14302).

419

Vd. qui p. 26.

420 Temanza, Zibaldon, cit., p. 87.

421 Cfr. Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., p. 19. Del resto, se l’affermazione di Temanza rispondesse al

vero, risulterebbero ben poco plausibili i rapporti tra la donna, il musico Giuseppe Calvi e il duca Ranuccio II Farnese descritti da Freschot e qui ricostruiti.

422

Cfr. Freschot, État ancien et moderne, cit.

423 La fonte pare attendibile. Non solo perché, come vedremo, la storia è in parte confortata da

documenti d’archivio (vd. n. 440). Ma anche per il fatto che la vicenda narrata trova conferma nelle

Memorie di Pietro Antonio Barbieri: Memorie di diversi pittori, ms., Bologna, Archiginnasio, c. 1710

(cit. in Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., p. 47, n. 75). Il Barbieri è definito da Pellegrino Antonio Orlandi «scholare di Batista Ricci» (Abecedario Pittorico […] in questa edizione corretto e notabilmente di

nuove notizie accresciuto da Pietro Guarienti, Venezia, Pasquali, 1753, p. 62). 424

Freschot, État ancien et moderne, cit., p. 492.

425 Cfr. ivi, p. 501.

426 Freschot non fornisce le coordinate cronologiche dell’episodio. Secondo la ricostruzione di

Giovanni Cirillo e Giuseppe Godi, l’episodio avrebbe avuto luogo prima del 1680, quando Calvi risulta a stipendio nei registri farnesiani come cantante (cfr. Il trionfo del barocco a Parma, cit., p. 160).

quest’ultimo era di scena in un teatro d’opera imprecisato.427 Freschot racconta che, durante una sera di recita, Maddalena e una coinquilina di palco, una certa «courtisane»428 di nome Lucietta, entrambe folgorate dalla «vivacité»429 di quel cantante, si erano precipitate a fargli visita dopo l’esibizione, contendendoselo avidamente, ciascuna con la promessa di ricchi regali.430 Calvi lì per lì aveva fatto il prezioso, non dandola vinta a nessuna delle due, ma raccogliendo a piene mani i lauti omaggi che le donne gli dispensarono regolarmente fino all’ultimo giorno di carnevale.431 Al termine del ciclo delle recite, siccome il cantante non aveva ancora deciso a quale ammiratrice cedere, Maddalena si giocò l’ultima carta, promettendo di intestargli tutti i beni da lei posseduti. Il venale virtuoso non se lo fece ripetere due volte, e scelse.432

Secondo lo stesso cronista, dopo qualche giorno i due novelli amanti sarebbero partiti da Venezia, lasciandosi alle spalle il chiacchiericcio che la loro urticante vicenda aveva suscitato.433 A Milano, dove si trasferirono, Calvi non era riuscito a trovare scritture teatrali per la stagione. Per questo motivo, i due avevano deciso di rientrare in Laguna, passando prima per Parma, dove si stabilirono.434 Ranuccio II aveva infatti acconsentito a prendere con sé a palazzo musico e amante, stipendiando Calvi come cantante (1679) e ‘ricoprendolo d’oro’.435 Da quel momento, per il Giuseppino era iniziata una folgorante carriera di cortigiano, culminata con la nomina a maggiordomo (circa nel 1683)436 e con i successivi incarichi di dirigente teatrale (1687).437 Ma l’idillio ben presto si era incrinato: lo stato della sua «alliance extravagante»438 con Maddalena non avrebbe potuto durare a lungo, data

427

Casimir Freschot annota semplicemente che «Gioseppino chantoit à l’Opera» (État ancien et

moderne, cit., p. 492). Il teatro in questione potrebbe essere il san Salvador, e l’opera incriminata Lisimaco riamato da Alessandro (in cui Giuseppe Calvi faceva da primo uomo nel ruolo eponimo di

Lisimaco; cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., pp. 153-154; e vd. n. precedente). Se così fosse, l’aneddoto riferito da Freschot avrebbe un’esatta collocazione cronologica: l’opera debuttò il 23 gennaio 1682 (cfr. ivi, p. 153), mentre l’ultimo giorno di carnevale quell’anno cadeva il 10 febbraio (cfr. ivi, p. 654).

428 Freschot, État ancien et moderne, cit., p. 493. 429 Ibidem. 430 Cfr. ivi, pp. 492-494. 431 Cfr. ivi, pp. 494-495. 432 Cfr. ivi, pp. 495-496. 433 Cfr. ivi, p. 496. 434 Cfr. ivi, pp. 497-498. 435 Cfr. ivi, p. 499.

436 Cfr. Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., p. 47, n. 75. 437

Vd. quanto si è scritto all’inizio di questo paragrafo.

438

l’irregolarità di questa relazione, motivata dalla critica con l’assenza del matrimonio439 (come vedremo, tale spiegazione è inesatta). Così, dopo alcuni anni di quella scandalosa convivenza, la donna fu invitata a chiudersi in convento, continuando a ricevere una pensione elargita dal duca in persona. Si trattava, per la precisione, del monastero delle Convertite di Piacenza, dove – stando a un certificato vescovile della curia di quella città, rinvenuto anni fa – la Vandermer avrebbe dimorato per uno o due anni, dal marzo 1694 al marzo 1695 o 1696.440

In questa curiosa vicenda, dai risvolti a dir poco boccacceschi, la critica sembra non aver notato che Calvi era un castrato.441 Freschot non lo dice esplicitamente, ma lo fa capire senza timore di equivoci, definendo la sua figura «specieuse, dont le défault de virilité maintenoit l’embonpoint & la fraicheur».442 All’epoca, come ben noto, era pratica diffusa operare, prima della pubertà, i fanciulli canterini di belle speranze. È documentato che l’orchiectomia bilaterale, riducendo la carica di testosterone,443 non solo produceva alterazioni sulle corde vocali e quindi sulla voce (che non andava incontro alla ‘muta’), ma determinava precise conseguenze sull’aspetto fisico dei soggetti operati. Tra gli effetti visibili dovuti al famigerato coltello del cerusico, la tendenza alla pinguedine (l’embonpoint, appunto), specie

439 Cfr. Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., p. 157. La stessa Scarpa condivide questa

interpretazione, definendo la relazione tra i due insostenibile perché non regolamentata «formalmente» (Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., p. 19).

440

Si legge nel documento: «Universis constat dominam Magdalenam Vuandermer quondam Johannis de civitate Rusches in Gallia annorum 30 circiter a mense martii 1694 usque ad mensem martii proximi praeteriti continuo commoratam fuisse in monasterio Convertitarum Placentiae et per dictum tempus minime habuisse maritum» (cit. in Moretti, Documenti e appunti, cit., p. 100 e n. 23; il documento è ivi trascritto senza riferimenti archivistici). Si tratta del certificato di stato libero rilasciato a Maddalena dalla curia piacentina il 30 giugno 1696; documento che attesterebbe la permanenza di Maddalena nel monastero, precisamente dal 1694 al 1696. Tuttavia, come ha dimostrato recentemente Lino Moretti, la notizia contraddice la deposizione rilasciata dalla stessa Maddalena e dall’allora marito Sebastiano Ricci alla Cancelleria patriarcale di Venezia in data 27 giugno 1697. Da quest’ultima testimonianza, si ricava che i due abitarono a Venezia dal marzo 1695, «nella parochia di S. Geremia» (ASPV, Curia Patriarcale, Sezione antica, Matrimoniorum forensium

Repertorium Librorum, 1697, c. 367; cit. in Moretti, Miscellanea riccesca, cit., pp. 75-72). Lo stesso

Moretti ipotizza che nella trascrizione del documento piacentino «tra ‘martii’ e ‘proximi’ sia caduto ‘anni’ e perciò si debba intendere marzo del 1695» (Miscellanea riccesca, cit., p. 76). Sia come sia, la documentazione morettiana è cruciale, in quanto contribuisce ad accreditare il resoconto di Freschot.

441 Nel suo dizionario, Roberto Lasagni definisce Calvi soprano, registrando una serie di opere in cui il

cantante si esibì en travesti (cfr. Calvi Giuseppe, cit., p. 804).

442 Freschot, État ancien et moderne, cit., p. 498.

443 Per un ‘referto scientifico’ più accurato cfr. Giuseppe Gullo, La fabbrica degli angeli. La voce, l’aspetto fisico e la psiche dei castrati attraverso un approccio medico integrato, in «Hortus

Musicus», 3, 2002, 9, pp. 50-55; Id., La fabbrica degli angeli (parte III). Per una iconografia

negli over quaranta,444 e la particolare levigatezza della pelle (la descritta fraicheur), che l’assenza di peluria e la carenza di ormoni maschili mantenevano intatta (si pensi, solo per fare un esempio, al viso ‘di pesca’ del quarantacinquenne Farinelli a contrasto con quello, ben più invecchiato, del ‘gemello’ Metastasio di soli sette anni più anziano in un celeberrimo quadro di Amigoni).445 In breve, il ritratto letterario tratteggiato da Freschot corrisponde in tutto e per tutto al profilo del castrato standard (per non parlare di quell’insinuazione esplicita fatta dal cronista: «défault de virilité»).446

Appurato, dunque, che il Giuseppino era un ‘evirato cantore’ (il diminutivo stesso del suo soprannome è indicativo), resta più facile, ai fini della ricostruzione della nostra vicenda, capire sia perché la sua relazione con Maddalena Vandermer avesse suscitato tanto scalpore, a Venezia e altrove, sia perché la loro già ricordata «alliance extravagante»447 divenne a Parma «insostenibile»,448 suscitando un tale imbarazzo da imporre alla donna il chiostro (e che la futura moglie di Sebastiano non fosse rapita da una improvvisa vocazione mistica lo provano, ancora una volta, le parole di Freschot, il quale racconta come in convento costei fosse veduta «aussi gaye»).449 Anche volendo, i due amanti non avrebbero potuto ‘regolarizzare’ la loro situazione sentimentale, poiché la Chiesa (che in materia di castrati tenne da sempre

444

Cfr. Gullo, La fabbrica degli angeli (parte III), cit., pp. 34-35; Patrick Barbier, Gli evirati cantori (1989), trad. it. a cura di Andrea Buzzi, Milano, Rizzoli, 1991, pp. 18-19. Riporto, in proposito, la testimonianza del presidente Charles De Brosses: «Diventano quasi tutti grandi e grossi come capponi, coi fianchi, il sedere, le braccia, il collo tondi e paffutelli come donne» (Viaggio in Italia, cit., p. 585).

445 Jacopo Amigoni, Farinelli, la Castellini, Metastasio, il Pittore e un ussaretto (1750-1752 ca.), olio

su tela, cm. 172,8 x 245,1, Melbourne, National Gallery of Victoria (per un approfondimento su questo dipinto cfr. Carlo Vitali, Tre note su Farinelli, in Carlo Broschi Farinelli, La solitudine amica.

Lettere al conte Sicinio Pepoli, a cura di Id. e Francesca Boris, Palermo, Sellerio, 2000, pp. 65-68). 446 Freschot, État ancien et moderne, cit., p. 498.

447 Ibidem.

448 Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., p. 157. 449

Freschot, État ancien et moderne, cit., p. 500. Oltretutto il periodo monasteriale della donna fu di breve durata; dopo due anni, Maddalena sposò Sebastiano Ricci (cfr. qui pp. 86-87).

atteggiamenti ambigui)450 aveva imposto alle donne il divieto di sposare tali artificiose creature, in quanto sterili.451

Del resto, quella tra Maddalena e Calvi non era, al tempo, l’unica relazione sentimentale con castrati (e l’esistenza di una legislazione ad hoc lo dimostra). Numerosi, all’epoca, i pettegolezzi sull’argomento, per il quale si intrecciavano interessi morbosi.452 Non altrettanti, in compenso, gli episodi documentati a suffragio delle dicerie.453 La vicenda in questione è, in questo senso, esemplare. Essa testimonia l’avventura galante di una donna, una delle tante all’epoca,454 vittima del potere seduttivo di un uomo ‘a metà’.455 Un fenomeno bizzarro, che potrà però apparire meno incomprensibile se si pensa da un lato all’allure che circonfonde, ancora oggi, il cantante di successo o il divo di palcoscenico;456 dall’altro, all’attrazione per l’ambiguità sessuale, esaltata nell’opera tra Sei e Settecento (si pensi ai tanti ruoli en travesti).457 D’altronde, il mistero del fascino celato in quegli interpreti artificiali, fabbricati su misura dell’estetica barocca, riesce ai nostri occhi, in parte, ancora incomprensibile.

450 Da un lato la Chiesa condannava la castrazione, dall’altro ne era tacitamente connivente. La gran

parte dei castrati ‘fabbricati’ in Italia era, infatti, assunta nella cappella Sistina o in altre cantorie ecclesiastiche (dove, come è noto, le voci dei cosiddetti ‘angeli’ avrebbero potuto rimpiazzare quelle femminili, escluse dal canto per disposizione pontificia). Dunque, la committenza papale era la prima responsabile della ‘mostruosa’ macchina degli evirati cantori, dichiarata illegale, solo sulla carta, dai governi italiani. Cfr., sull’argomento, Barbier, Gli evirati cantori, cit. (in partic. par. I castrati e la

Chiesa, pp. 113-124). 451

È rimasta celebre la storica risposta di Innocenzo XI, il papa Minga, alla richiesta della licenza di matrimonio da parte del castrato Domenico Cecchi detto il Cortona. Quest’ultimo si autodichiarava idoneo alla procreazione, benché operato. «Che si castri meglio!», fu la secca replica del pontefice a quella supplica. Il divertente aneddoto è evocato da un contemporaneo, il francese Charles Ancillon, in un trattato pensato, appunto, per dissuadere le donne dallo sposare uomini dimidiati: Traité des

eunuques (1707), a cura di Michela Gardini, Bergamo, Sestante, 2007, p. 203. Il sottotitolo dell’opera

recita significativamente: dans lequel on éxamine principalement s’il doit leur être permis de se

marier. Difatti, tutta la seconde partie del volume è incentrata sulla questione giuridica e morale del

matrimonio degli eunuchi (cfr. ivi, pp. 161-216). Sull’aneddoto del papa Minga vd. anche Barbier, Gli

evirati cantori, cit., pp. 114-115. Sul divieto di matrimonio per i castrati cfr. Hubert Ortkemper, Angeli controvoglia. I castrati e la musica (1995), trad. it. e cura di Arianna Ghilardotti, Milano,

Paravia, 2001, in partic. par. Il divieto di sposarsi, pp. 184-208.

452

Cfr., sull’argomento, Barbier, Gli evirati cantori, cit., in partic. par. I castrati nella società, pp. 125-156.

453 Cfr. Rosselli, Il cantante, cit., pp. 70 e 129. 454 Cfr. Barbier, Gli evirati cantori, cit., pp. 126-131. 455

Le donne del Settecento «andavano matte per i castrati, al di là dell’immaginabile. Affascinanti per la voce, seducenti per la nobiltà e la raffinatezza in scena, i castrati furono anche perfetti dongiovanni in città, nei salotti e perfino nell’intimità delle alcove. Un po’ ovunque si assistette a vere scene di isteria collettiva da parte delle donne […]» (ivi, p. 125).

456

Cfr. ibidem.

457

Quanto al Calvi, ebbe un ruolo particolare nella vita di Sebastiano Ricci. Non solo egli fu l’ex amante della futura moglie. Musico e pittore furono amici fraterni. Il pavese Pietro Antonio Barbieri, che con il maestro Sebastiano aveva condiviso per qualche tempo gli appartamenti farnesiani a Roma,458 racconta che fu proprio grazie agli auspici di Calvi che Ranuccio garantì la propria intercessione a Ricci nel ricordato episodio in cui costui rischiò la morte, a Torino, per la sua impresa da latin

lover.459 Un’amicizia vera, dunque, vergata col sangue. E un debito di profonda riconoscenza verso colui al quale il nostro pittore doveva la vita.

Non a caso la critica ha identificato proprio nell’amico Calvi lo «spirito straniero» invocato nella dedica riccesca al Roderico.460 Secondo tale ricostruzione, fu per «provocazione precisa» del Giuseppino che Sebastiano, toccato sulle «corde dell’Amicizia», fu tratto «in ballo» nell’impresa del teatro Pace nel 1694. Un’ipotesi più che plausibile: inequivocabili i collegamenti tra le scelte produttive della stagione operistica romana griffata Ricci e la macchina organizzativa dei citati teatri farnesiani, che Calvi dirigeva.

Basti pensare che L’Orfeo di Aureli e Sabadini altro non era che una ripresa dell’Amor spesso inganna della medesima coppia di autori, messo in scena al Ducale di Parma nel 1689461 (con la solita firma dell’influente castrato in calce alla dedica). Quest’ultimo spettacolo era a sua volta una versione rimaneggiata dell’Orfeo dello stesso Aureli, su intonazione di Antonio Sartorio, andato in scena al san Salvador di Venezia come prima opera di carnevale della stagione 1672-1673.462 Per il rinnovato allestimento parmense, il poeta lagunare aveva apportato alcuni ritocchi al suo stesso libretto, per servire la musica del collaboratore Sabadini e le esigenze del nuovo cast vocale. Anche lo scenario era stato modificato,463 in ordine alle scene approntate ex

novo dall’ingegno di Ferdinando Bibiena.

458 Pietro Antonio Barbieri (1663-1704) risulta essere stato scolaro di Sebastiano Ricci (cfr. n. 423). 459 Cfr. Barbieri, Memorie di diversi pittori, cit., c. 1710 (cit. in Scarpa, Sebastiano Ricci, cit., p. 47, n.

75).

460 Cfr. Cirillo-Godi, Il trionfo del barocco a Parma, cit., pp. 160, 235 e n. 277.

461 Amor spesso inganna, Parma, Stamperia ducale, 1689 (copia consultata: Modena, Biblioteca

Estense, A 25915). Sul frontespizio del libretto è scritto che il dramma era destinato al Ducale di Piacenza, ma si tratta di un errore tipografico (procrastinato in buona parte della letteratura critica contemporanea). L’opera andò in scena al Ducale di Parma nel 1689, con dedica di Calvi a Ranuccio II (cfr. Nello Vetro, Il Teatro Ducale, cit., p. 66).

462 L’Orfeo, Venezia, Nicolini, 1673, 72 pp. (copia consultata: Mnb, Racc. Dramm. Corniani Algarotti, 997; cfr. Selfridge-Field, A New Chronology, cit., pp. 107-108).

463

Plausibilmente, dunque, nel 1694 l’impresario Calvi decideva di riproporre quello stesso spettacolo al pubblico romano, affidandone la responsabilità al ‘vice’ Ricci, a suo tempo spettatore (e collaboratore?) dell’allestimento parmense. La squadra restava, pressappoco, quella farnesiana. Immutati il librettista Aureli e il compositore Sabadini, «ambidue Servidori del Serenissimo di Parma».464 Tra i cantanti figuravano, come si vedrà, almeno due elementi della scuderia di Ranuccio, mentre l’incarico delle mutazioni sceniche, di poco dissimili da quelle parmensi, era affidato non a Ferdinando, ma a Francesco Bibiena, braccio destro del fratello negli incarichi di scenografo presso la stessa corte. Il Bibiena junior, secondo l’interpretazione corrente,465 sarebbe, dunque, identificabile con il ‘maestro’ che doveva guidare «Bastiano Ricci e compagni» nell’impresa del teatro Pace: colui che, a inizio stagione (nel Roderico), «né men ci seguita da lungi per osservar i passi del nostro camino»,466 e che, nell’Orfeo, aveva finalmente provveduto di «fornire il Teatro delle scene necessarie».467

5. Senza i «lumi maestri» dei Bibiena

Il teatro Pace era uno dei più antichi di Roma.468 Esso sorgeva nel cuore della