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Rich Like Us e i preoccupanti imperativi di una nuova concezione politica

Il romanzo politico del Novecento indiano e la narrativa di Nayantara Sahgal

4.9 Rich Like Us e i preoccupanti imperativi di una nuova concezione politica

Con Rich Like Us119, pubblicato nel 1985 ed insignito di numerosi premi letterari (tra cui il Sinclair Fiction Prize ed il Sahitya Akademi Award), Sahgal ritorna su uno dei momenti più controversi e drammatici della storia dell’India, il periodo dell’Emergenza (1975-77), cui aveva già dedicato un saggio e numerosi articoli. L’autrice con questo romanzo ambisce non soltanto a sviluppare la critica già intrapresa anni prima nei confronti del regime autocratico di Indira Gandhi, ma mostrare, attraverso un singolare esperimento di riscrittura storica, come l’influenza pervasiva di una politica antidemocratica e anticostituzionale possa sovvertire tutti i principi morali del vivere civile, diffondendosi come un’enorme piaga culturale e sociale. L’ampia e favorevole ricezione critica del romanzo confermano le qualità di Sahgal non solo come narratrice, ma soprattutto come acuta osservatrice politica delle dinamiche di potere che segnarono la storia indiana del post-indipendenza. I critici riconoscono unanimemente al romanzo alcune caratteristiche essenziali del progetto di riscrittura della nazione intrapreso da altri autori postcoloniali, che alla visione monolitica della storiografia ufficiale contrappongono una storia “altra”, fatta di verità negate e narrata da voci generalmente taciute o comunque subalterne del processo storico.

Tra le varie posizioni critiche esaminate, emerge quella di Jasbir Jain120, che definisce il romanzo come una sorta di “biografia politica” della nazione, ove l’elemento autobiografico (già presente in molti romanzi dell’autrice) lascia il posto a un’oggettiva e lucida presentazione di fatti storici assumendo un carattere per così dire marginale, o meglio secondario rispetto alla macro-narrazione di una realtà politica che coinvolge ogni aspetto del vivere civile. Tuttavia, dopo un’accurata analisi testuale, l’ipotesi critica più plausibile e convincente risulta essere semmai quella di T. N. Dhar121, secondo cui con Rich Like Us l’autrice non ha del tutto abbandonato l’elemento autobiografico, ma lo ha fuso radicalmente con l’elemento pubblico e politico della narrazione, facendo sì che le due componenti-chiave del discorso risultino perfettamente integrate nel tessuto del romanzo. Altrettanto interessante è la posizione di Da Silva, secondo cui con Rich Like Us l’autrice ha intrapreso un progetto critico di “riscrittura

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Nayantara Sahgal, Rich Like Us, London, Sceptre Books, 1985

120 Jasbir Jain, “Sahgal: The Novel as Political Biography”, in R. K. Dhawan, P. V. Dhamija, A. K.

Shrivastava (eds.), Recent Commonwealth Literature cit., p. 142

121 T. N. Dhar, “Disguising/Interrogating History with Sahgal” (Chapter 4), in Id., History-Fiction Interface in Indian English Novel, New Delhi, Prestige Books, 1999

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della nazione” nella tipica accezione di Homi Bhabha122, elaborando così “a set of pedagogic discourses defining the nation” finalizzati a una rilettura in chiave critica e anticoloniale della storia del subcontinente. Questa ipotesi è largamente avvalorata dalla dimensione multitemporale del romanzo, che copre un arco cronologico piuttosto ampio intrecciando momenti diversi della storia dell’India, dagli anni della lotta indipendentista alla spartizione fino agli anni dell’Emergenza, con frequenti incursioni anche nel periodo coloniale.

Prima di vedere come con Rich Like Us Sahgal abbia sintetizzato le principali fasi della saga storica dell’India dal pre- al post-indipendenza, presentando l’Emergenza come un momento epocale, paradigmatico del trapasso dall’era gandhiana e nehruviana a una nuova dimensione politica, si vuole riflettere sulla forte valenza simbolica e ironica del titolo del romanzo, la cui polisemia si presta a varie interpretazioni. Come sostiene Jasbir Jain123, il titolo del romanzo è fortemente enigmatico e ambivalente: se analizzato dal punto di vista di chi elabora quel pensiero, ossia Mr Neuman (che sembra voler dire: “If they [the Indians]do like we do, they would be rich like us”124), l’imprenditore occidentale giunto in India per concludere un affare poco lecito con il governo ed alcuni spregiudicati affaristi indiani, l’espressione suona più o meno come la conferma di un discorso egemonico tra colonizzatore e colonizzato, ove gli occidentali sono i “padroni”, i detentori del giusto modello culturale ed economico di sviluppo mentre gli indiani rincorrono l’occidente nella sua corsa al denaro, ripiombando in un modello storico di imitazione e mimesi tipico del periodo coloniale e solo in parte smantellato dal processo di decolonizzazione. In altre parole, l’espressione “rich like us” potrebbe essere vista come una lettura in chiave ironica di una tipica mentalità neo-coloniale ed orientalista entro cui il modello capitalistico, incarnato in quegli anni dal boom economico degli Stati Uniti, veniva imposto al resto del mondo come l’imperativo da seguire e l’unico, possibile schema di sviluppo economico, sociale e culturale. Allo stesso tempo però, fornendo una rappresentazione assai critica di come l’elite intellettuale e borghese indiana si sia svenduta all’occidente e a una logica di mercato capitalistica negli anni del post-indipendenza, arricchendosi a spese delle classi più

122 Homi Bhabha, cit. in Joana Filipa Da Silva De Melo Vilela Passos, “Nayantara Sahgal. Gin, Evening

Parties and Cockney Accent”, in Joana Filipa Da Silva De Melo Vilela Passos, Micro-universes and

Situated Critical Theory: Postcolonial and Feminist Dialogues in a Comparative Study of Indo-English and Lusophone Women Writers, (tesi di dottorato) Proefschrift Universiteit Utrecht, 2003, parte 2

(Nayantara Sahgal), www.library.uu.nl/digiarchief/dip/diss/2003-0310-101002/pt2c1.pdf

123 Cfr. Jasbir Jain, “Sahgal: The Novel as Political Biography” cit., pp. 142-143 124

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povere ed abdicando ai propri valori morali per aderire a una visione ambiziosa, cinica e materialistica della politica, l’autrice sembra alludere al fatto che la vera “ricchezza” di cui la medio-alta borghesia indiana si ritiene depositaria non è altro che uno squallore umano senza limiti né prospettive di redenzione - in tal senso la vera ricchezza dell’India viene a situarsi in tutto quanto si colloca al di fuori del rapporto egemonico colonizzatore-colonizzato, quindi in tutto ciò che rimanda all’eccezionalità e unicità dell’esperienza e delle tradizioni indiane. In un certo senso, l’espressione “rich like us” può quindi anche leggersi come un interrogativo sulla natura di tale rapporto egemonico, sul significato di ricchezza e sul valore della tradizione e dell’esperienza indiana in contrapposizione a quella imposta prima dal colonialismo, poi dalle nuove forme di globalizzazione e neo-imperialismo. La posizione di Jain viene certamente condivisa e amplificata da Da Silva125, che interpreta il titolo del romanzo come un appello autoriale alla resistenza verso tutto ciò che costituisce “a replica of colonial assimilation”, quindi la riproposizione di un discorso egemonico già vissuto e subito dall’India. L’autrice in questo senso è ben consapevole del fatto che la ricchezza di cui le elite dominanti indiane si stanno facendo portatrici va a detrimento delle classi più povere, sempre più espropriate dei loro mezzi di produzione e marginalizzate da un’economia che privilegia l’investimento di capitale estero sullo sfruttamento delle risorse interne. In senso più ampio, Da Silva ha intravisto nel romanzo una critica da parte di Sahgal alla mentalità neo-imperialista e capitalista dominante in quegli anni, intesa come vera e propria negazione di tutto quanto era stato ipotizzato da Gandhi e Nehru come modello di sviluppo nazionale, ossia un progetto di riforma socialista delle istituzioni e dell’economia indiana che tenesse conto non solo delle realtà multiformi dell’India, ma soprattutto delle sue risorse umane e culturali. Attraverso Rich Like Us l’autrice, convinta sostenitrice del programma socialista di sviluppo elaborato da Nehru negli anni del post-indipendenza, non ha quindi soltanto elaborato una critica nei confronti del neo-imperialismo, o meglio delle nuove forme di “colonialismo interno” perpetrato dalle classi politiche emergenti nei confronti della totalità della popolazione indiana, ma ha anche esplicitato la sua polemica nei confronti della politica rampante di Indira Gandhi, che in quegli anni aprì i mercati a massicce introduzioni di capitale estero, svalutando così fortemente l’economia interna indiana.

125Joana Filipa Da Silva De Melo Vilela Passos, “Nayantara Sahgal. Gin, Evening Parties and Cockney

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Ma prima di vedere come dalla critica al regime dell’Emergenza l’autrice abbia tratto spunto per una più ampia critica della società indiana di quegli anni e soprattutto della sua classe dirigente, si vuole ora tracciare un breve sunto del romanzo, utile a chiarire meglio la posizione di Sahgal nei confronti del quadro politico in esso rappresentato. Protagoniste della vicenda narrata in Rich Like Us sono due donne, Sonali e Rose. La prima è segretario del ministro dell’industria ed impiegata nell’IAS (Indian Administrative Service), l’istituzione che andò a sostituire il vecchio Indian Civil Service, apparato burocratico ed amministrativo dell’impero britannico in India negli anni del post-indipendenza. Ignara del fatto che il ministro ed alcuni affaristi indiani stiano favorendo l’investimento di capitale straniero per la produzione di una nuova bibita (dall’improbabile nome di Happyola, che allude chiaramente alla bibita più diffusa in occidente e simbolo per antonomasia del neo-imperialismo globale), dietro cui si cela il più ampio progetto di importare componenti meccanici per la fabbricazione di un’automobile indigena, Sonali non esita a denunciare il progetto come un inutile spreco di capitale straniero e viene per questo rimossa dal suo incarico. Sonali non sa infatti che il progetto è stato approvato e voluto proprio dallo stesso ministro, che intende in tal modo favorire il figlio procurandogli un’impresa commerciale i cui profitti andranno ad arricchire le casse della famiglia. Il riferimento ai fatti storici realmente accaduti è del tutto esplicito: già sappiamo come Indira Gandhi cercò di favorire l’“operazione Maruti”, l’impresa con cui il figlio Sanjay avrebbe avviato la produzione di un’automobile indiana con il totale appoggio di capitali ed affaristi esteri126. L’altra protagonista del romanzo è Rose, la zia di Sonali, una donna inglese di

126 Le fasi di questo progetto industriale vengono descritte approfonditamente nel saggio, già analizzato

nel terzo capitolo, dal titolo Indira Gandhi: Her Road to Power. Nel saggio si apprende come il progetto per la costruzione di un’auto indigena fosse stato coltivato dal governo indiano fin dal 1959, ma come solo nel 1968, alla vigilia dell’ascesa al potere di Indira Gandhi, il figlio Sanjay fece domanda per una licenza industriale che gli permettesse di avviare l’impresa. Ottenuto il permesso del parlamento, Sanjay stabilì la sua impresa commerciale a Gurgaon, in Hariyana; tuttavia le auto prodotte non solo non superarono i test di sicurezza voluti dal Ministero dello Sviluppo Industriale, ma rivelarono altresì l’inganno perpetrato da Sanjay nei confronti del governo, che aveva posto come condizioni per la fabbricazione delle auto che non ci fossero “foreign collaboration”, “import of capital goods” o “import of components or raw materials”, e che quindi la produzione fosse esclusivamente garantita dall’utilizzo di risorse indiane. Naturalmente Indira Gandhi cercò di mascherare l’impresa, e la dichiarazione nel 1975 dell’Emergenza interruppe il dibattito sulla questione (nel saggio di Sahgal si apprende anche che secondo alcuni testimoni oculari, fu proprio Sanjay a ordinare che venissero tagliati i collegamenti elettrici dei principali quotidiani indiani all’indomani dell’inchiesta di una commissione speciale sull’affare Maruti). La questione Maruti fu tuttavia riaperta nel 1979, dopo l’Emergenza, dalla commissione d’inchiesta presieduta dal giudice Gupta, che non solo denunciò le numerose irregolarità interne all’impresa di Sanjay, ma che profeticamente preannunciò il pericoloso declino politico che un tale scandalo avrebbe innescato. (Cfr. Nayantara Sahgal, Indira Gandhi: Her Road to Power cit., Chapter 18, “A Dynamic Manufacturer”).

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origine proletarie che sfidando i pregiudizi familiari scelse di unirsi in matrimonio Ram, ricco industriale indiano, pur sapendo che questi aveva già una moglie (Mona) ed un figlio (Devikins) in India. Quest’ultimo, Dev, è lo spregiudicato e ambizioso giovane borghese che, attraverso la collaborazione con Mr Neuman ed alcuni politici locali, intende fornire capitale per l’impresa Happyola, falsificando la firma del padre ed appropriandosi indebitamente del ricco patrimonio familiare per scopi personali. Si cercherà ora di mostrare come ciascuno di questi personaggi sia funzionale all’analisi di Sahgal del tessuto sociale di quegli anni, e paradigmatico di un tema specifico che l’autrice intende sviluppare nel romanzo.

Cominciamo con Sonali: figlia di una famiglia benestante e piuttosto occidentalizzata, fortemente imbevuta di ideali gandhiani, ella rappresenta il vecchio prototipo dell’impiegato governativo, onesto e fedelmente dedito al bene della nazione e della comunità, nonché animato da solidi valori morali. La rimozione dal suo incarico è sintomatica di un progressivo e generale smantellamento dei valori che avevano costituito la base culturale e sociale per lo sviluppo di un’India autonoma e aperta al cambiamento; Sonali è consapevole del fatto che l’Emergenza si configura come una forma di moderno autoritarismo, ove la censura ed il rigido controllo di tutti gli strumenti amministrativi e dei mezzi di comunicazione si pongono come condizioni essenziali per la creazione di un regime di paura e intimidazione127. Attraverso il personaggio di Sonali ed il suo rifiuto di compromettersi con una realtà politica corrotta l’autrice intende fornire non solo una critica all’Indian Civil Service ed al suo atteggiamento passivo ed acquiescente nei confronti del governo, che in parte ricalca la supina accettazione da parte degli indiani dei metodi coercitivi usati dagli inglesi durante il periodo coloniale ed imperiale, ma anche riproporre il già citato tema del confronto tra una vecchia e una nuova classe politica, o meglio, tra un vecchio e un nuovo sistema di valori. Riflettendo sul suo ruolo, Sonali non può fare a meno di constatare quanto lo stato e la sua amministrazione non siano più collaboratori in un progetto di riforma comune, quanto complici dello stesso disegno particolaristico che non lascia spazio alcuno per la dimensione etica del fare politica; dice la protagonista:

Once upon a time we had thought of the civil service as ‘we’ and politicians as ‘they’, two different sides of the coin. ‘We’ were bound by more than a discipline. We partook of a mystique. Our job was to stay free of the political circus. We were successors to the ICS, the ‘steel frame’ the British had ruled India with, but with more on our hands since independence

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than the steel frame had had in two hundred years. And we had a new tradition to create, our own independent worth to prove128.

La protagonista tuttavia non intende sottrarsi alle sue colpe, e davanti all’annuncio dell’Emergenza sa bene quanto l’amministrazione statale indiana sia, attraverso i suoi silenzi e la sua passività, complice dei disegni oscuri del primo ministro:

But how much better were the rest of us, pretending the emergency was an emergency, when civil servants should know what a real emergency is? They’ve dealt with all kinds, partition, famine, war, refugees on a scale so monumental it made refugees of all disasters till then and many after look like minor migrations. We knew this was no emergency. If it had been, the priorities were all quite different. We were all taking part in a thinly disguised masquerade, preparing the stage for family rule. And we were involved in a conspiracy of silence, which is why we were careful not to do more than say hello when we passed each other in the building, and not to talk about our work after hours, which made after-hours sessions very silent indeed. No one wanted trouble. So long as it didn’t touch, we played along, pretending the Empress’s new clothes were beautiful. To put it charitably, we were being realistic. We knew we were up against a power we couldn’t handle, individually or collectively129.

Questo passaggio suona non solo come un atto di accusa nei confronti della collusione dell’amministrazione e del governo, ma soprattutto nei confronti degli intellettuali (avvocati, professori, editori e vari gruppi progressisti e liberali) che col loro atteggiamento passivo e supino contribuirono negli anni Settanta, seppur indirettamente, al successo e all’ascesa di Indira Gandhi.

In questo senso, la figura di Sonali può essere letta anche come un alter-ego dell’autrice, che nel suo rifiuto di compromettersi adottò una posizione di categorico rifiuto nei confronti di tutto ciò che l’Emergenza avrebbe comportato. Attraverso la figura di Sonali, Sahgal inoltre intende proporre un nuovo modello di donna: emancipata, determinata, partecipe attiva della vita politica del paese, decisa a scegliere per sé la proprio formazione culturale e politica, nonché il percorso sentimentale più adatto alla sua persona. Questo nuovo ideale femminile prepara il campo per un altro, fondamentale tema analizzato da Sahgal nel suo romanzo, e cioè la questione della donna come spazio discorsivo di negoziazione politica. Se la figura di Sonali è funzionale, sul piano pubblico, alla trattazione del tema politico del crollo dei valori di quegli anni, quella di Rose costituisce, sul piano privato, un naturale contrappunto per un’indagine del ruolo tradizionale della donna all’interno del rapporto coloniale e delle tradizioni indiane.

128 Nayantara Sahgal, Rich Like Us cit., p. 28 129

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Introducendo il personaggio di Rose, Sahgal ripropone il tema del rapporto egemonico colonizzatore-colonizzato, ponendo però questa volta un personaggio occidentale (Rose) in una posizione di subalternità e sfruttamento rispetto a quella del marito indiano (Ram). Accanto al personaggio di Rose, per quanto ben integrato nella realtà indiana, vi è quello non meno marginalizzato e privo di alcuna agency politica di Mona, la prima moglie indiana di Ram che mal sopporta la presenza umiliante di Rose, e che ironicamente viene salvata da quest’ultima nel suo disperato tentativo di suicidio. L’inesorabilità di una certa condizione femminile che non prevede alcuna forma di auto- determinazione è confermata da due importanti episodi del romanzo: la morte di Rose per mano del figliastro Dev, liquidata in fretta dallo stesso come un banale incidente, e la tragica fine della bisnonna di Sonali, immolata come sati dai fratelli del marito. Il primo episodio sembra voler alludere al fatto che, per quanto animata da principi di uguaglianza tra i generi e da un atteggiamento di grande disponibilità nei confronti dei costumi indiani, Rose non possa fare a meno di incorrere nei pregiudizi e nelle superstizioni di certe tradizioni locali; il sacrificio di Rose è in questo senso funzionale all’introduzione e approfondimento di un tema molto caro all’autrice e simbolico di tutto quanto vi è di oscuro, medievale e retrogrado nella tradizione indiana, ossia il rituale della sati, per molti versi in contraddizione con il generale processo di rinnovamento sociale e culturale avviato prima dal movimento nazionalista poi dalla decolonizzazione. La sati è il tradizionale rito indù (diffuso soprattutto tra le classi più alte della società indiana) con cui una donna rimasta vedova viene immolata su una pira funebre come forma di ossequio e devozione nei confronti del defunto marito. Sebbene la pratica della sati sia stata ampiamente usata dai colonizzatori britannici come argomento discorsivo a favore di una denuncia di certe pratiche barbariche del costume indiano, la sua tradizione continuò a sopravvivere a lungo, nonostante la sua abolizione formale nel 1829 per volontà dell’allora governatore Lord Bentinck130. Si può dire semmai che il processo di emancipazione della donna in India ed il superamento di certe pratiche (come quella dei matrimoni delle cosiddette “spose-bambine”) sia proceduto di pari passo con la lotta per l’emancipazione femminile, di cui la partecipazione attiva delle donne al movimento nazionalista costituì senz’altro un momento determinante. In un passo chiave del romanzo la protagonista Sonali scopre tra le carte di famiglia un documento che attesta come la sua bisnonna, moglie di un uomo di idee assai

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progressiste e liberali nonché promotore del movimento per l’abolizione della sati negli anni Venti del diciannovesimo secolo, sia stata immolata sulla pira dai fratelli del coniuge, che così facendo hanno violato la volontà del defunto e la dignità della donna.