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This Time of Morning: speranze e delusioni all’alba dell’indipendenza

Il romanzo politico del Novecento indiano e la narrativa di Nayantara Sahgal

4.7 This Time of Morning: speranze e delusioni all’alba dell’indipendenza

A quasi dieci anni dal primo romanzo, A Time to Be Happy96, ancora legato sia per forma che per temi alla letteratura degli anni del movimento nazionalista, viene pubblicato This Time of Morning97, dove Nayantara Sahgal per la prima volta si confronta con gli interrogativi sul futuro della nazione già prefigurati nel suo secondo

memoir, From Fear Set Free98. Il mattino cui fa riferimento il titolo del romanzo è chiaramente l’inizio, l’alba del post-indipendenza, che pur costituendo un momento di chiusura rispetto a un lungo passato coloniale di sfruttamento e oppressione, rappresenta l’inizio di una nuova era, una fase di transizione tra il vecchio e il nuovo e una sfida per le generazioni future. Per citare un’efficace metafora di Salman Rushdie, i “figli della mezzanotte”99 si trovano così non solo a rivedere il significato storico dell’idealismo che li ha traghettati verso l’indipendenza, ma soprattutto a confrontarsi con nuove problematiche di ordine sociale, istituzionale e politico; in questo senso, il giudizio disincantato di Sahgal sulle speranze poi disattese dagli sviluppi storici successivi al 1947 ci introduce a una lucida analisi della situazione del post-indipendenza, dove gli antichi ideali del Congresso sembrano aver ceduto il passo a un nuovo concetto di morale e a un generale declino politico. Citando il celebre discorso di Nehru, in un’intervista degli anni Ottanta in cui ripensa al romanzo qui studiato l’autrice ricorda: “Long years ago we made a tryst with destiny…well, that was at the midnight hour, now it’s the time of morning. I meant to indicate not just a passage of time, but a passage of idealism, a certain decay [that] had already set in”100.

95 Si veda la mia intervista a Nayantara Sahgal in appendice del presente studio. 96Nayantara Sahgal, A Time to be Happy, New York, Alfred A. Knopf, 1957 97

Nayantara Sahgal, This Time of Morning, New York, W. W. Norton & Co., 1965

98 Nayantara Sahgal, From Fear Set Free cit.

99 Salman Rushdie, Midnight’s Children, London, Jonathan Cape, 1981

100 N. Sahgal cit. in Madhuranthakam Narendra, Microcosms of Modern India. A Study of the Novels of Nayantara Sahgal, New Delhi, Classical Publishing Company, 1998, p. 37

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Tra i problemi che la nuova nazione indipendente deve affrontare vi sono sicuramente l’adeguamento di un’amministrazione e di istituzioni di stampo coloniale alle nuove esigenze del paese, ma soprattutto la questione della leadership e della classe dirigente che dovrà guidare l’India verso l’autogoverno e una nuova era politica. A questo proposito l’autrice, fortemente condizionata dagli ideali gandhiani e dell’esempio dello zio Jawaharlal Nehru, primo ministro dell’India indipendente, è consapevole di quanto il processo di transizione richieda un’assoluta dedizione e moralità nelle scelte politiche da parte dei leader della nazione, investiti di un compito innanzitutto etico e di nuove responsabilità sociali. Come ha giustamente sottolineato Lakshmi Sinha101, Sahgal riconosce quanto la nuova leadership politica debba essere dinamica, progressista e aperta al cambiamento, senza comunque venir meno ai principi umanistici e di solidarietà sociale che avevano fornito i capisaldi ideologici della battaglia nazionalista. Il difficile rapporto tra una classe politica ancora legata agli ideali e alla moralità gandhiana ed una classe emergente di statisti, burocrati e imprenditori orientata al cambiamento e a una radicale separazione di fini e mezzi pur di favorire il rinnovamento sociale ed economico della nazione viene drammatizzato in This Time of

Morning attraverso un’efficace contrapposizione di personaggi e situazioni fortemente

rappresentative del ventennio successivo al post-indipendenza. Quelli furono gli anni del governo Nehru, dominati da un intenso dibattito sul futuro delle istituzioni, su questioni linguistiche, sul modello economico e sulla linea politica da adottare rispetto ai due grandi blocchi di influenza mondiale, Stati Uniti e Unione Sovietica, e alle rispettive ideologie allora dominanti di capitalismo e comunismo. Il mondo politico rappresentato nel romanzo è un mondo ben noto all’autrice, che grazie al legame con Nehru e all’intensa attività politica e diplomatica della madre Vijaya Lakshmi Pandit entrò a diretto contatto con alcune delle personalità politiche più influenti dell’epoca. In un certo senso, si potrebbe leggere This Time of Morning come un realistico affresco sugli intrighi, le manovre e le lotte di potere della classe dirigente di New Delhi all’alba dell’indipendenza, ma anche come una riflessione sull’idealismo che dal 1947 venne sempre più a deteriorarsi per lasciare posto a una visione cinica, utilitaristica e rampante della politica. Questo contrasto tra idealismo e cinico pragmatismo viene drammatizzato da Sahgal attraverso il confronto tra due personaggi-chiave del romanzo, Kailas Vrind e Kalyan Sinha. La somiglianza tra i loro nomi sembra alludere ai due lati di una stessa

101 Cfr. Lakshmi Sinha, Nayantara Sahgal’s Novels: A Critical Study, Patna, Janaki Prakashan, 1999, pp.

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medaglia, all’idealismo e alla spregiudicatezza che caratterizzarono la nazione indipendente nei suoi primi anni di vita. Quasi a voler sottolineare la difficoltà di conciliare istanze progressiste e di radicale cambiamento sociale con il legame verso una tradizione gandhiana di dialogo, riflessione e lento dibattito politico, Sahgal sceglie di affidare il confronto dialettico tra due diversi stili di pensiero a due personaggi complessi e diametralmente opposti, lasciando così che dal dibattito tra le loro posizioni emerga con chiarezza la sua visione politica.

Si vogliono ora esaminare singolarmente i due personaggi, per meglio mostrare come dal loro confronto derivi il nucleo tematico del romanzo. Kailas Vrind, membro della delegazione indiana alle Nazioni Unite e uomo di grande spessore morale, si caratterizza fin da principio come una figura gandhiana e come strenuo sostenitore della funzione democratica del Congresso; chiaramente modellato sulla figura del padre e dello zio dell’autrice, “Kailas belonged to the generation that had succumbed to the magic of Gandhi. The fire, the dedication, the singlemindedness of the man in the loincloth had attracted him, made him a member of the Congress, sent him to jail along with thousands of his countrymen (…) A singularly fortunate generation, Kailas felt, for whom ideals and actions had been happily wedded, and the goal achieved”102. Ciò che distingue Kailas è un’incrollabile fede nell’individuo e nel valore morale della politica come prerogativa non esclusiva dei politici, ma di tutti i cittadini. La posizione di Kailas rispetto alle vicende politiche narrate è molto vicina a quella del primo ministro, che inequivocabilmente rimanda alla figura di Nehru, per cui la tradizione plurale e multiculturalista dell’India avrebbe costituito un punto di forza nella crescita della nazione, e garantito nel contempo al paese una posizione indipendente, di non- allineamento rispetto ai conflitti mondiali e alle politiche di neo-colonialismo e assimilazione culturale forzata perpetrate dalle due maggiori potenze di allora, Stati Uniti e Unione Sovietica. Kailas in questo senso è soltanto uno dei rappresentanti di una classe politica piuttosto eterogenea sia per esperienze che per convinzioni e valori; tracciando un quadro di questa classe e riconoscendo il valore della capacità assimilativa e conciliante di Nehru, Sahgal ricorda che:

(…) freedom had launched its own quota of problems, not the least of them the new political masters (…) There were men among them of little education, little imagination, men with the limitations of a narrow, peasant upbringing, men who had spent years in prison and lost touch

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with the world outside, men who had never set foot outside India and would not acknowledge that a wider vision counted103.

La “wider vision” cui fa riferimento l’autrice è chiaramente quella di Nehru, per cui solo superando i particolarismi e le plurisecolari differenze sociali, di casta e religione dell’India sarebbe stato possibile elaborare un concetto di nazione unita, laica e libertaria.

All’opposto rispetto a Kailas troviamo una nuova figura emergente di politico, Kalyan Sinha, chiaramente ispirato alla figura di un’altra personalità del post-indipendenza, Krishna Menon. Uomo spregiudicato, decisionista e improntato a un forte pragmatismo, Kalyan occupa la posizione di ministro senza portafoglio e consigliere agli affari esterni del governo. Nonostante certe sue qualità, il primo ministro apprezza le capacità di Kalyan di lavorare per lo snellimento della burocrazia governativa e di cogliere immediatamente il nucleo delle questioni, per poi affrontarle e risolverle con decisione. A differenza di Kailas, che negli anni della lotta indipendentista rinunciò alla sua pratica legale per unirsi alle attività del Congresso, Kalyan scelse invece di recarsi negli Stati Uniti, a Boston, dove istituì un centro di cultura indiano. La scelta del protagonista fu dettata da un sostanziale rifiuto non tanto dell’ideologia gandhiana, quanto della sua metodologia, che secondo Kalyan avrebbe inevitabilmente portato alla paralisi sociale, poiché fondata sul concetto errato - peraltro condiviso da varie confessioni religiose - secondo cui “[suffering] could bring a catharsis of the spirit in oneself and others”104. Al contrario, Kalyan crede che la violenza vada estirpata con tutti i mezzi possibili, e nel suo rifiuto sia di collaborare col Congresso e sfidare le autorità inglesi scegliendo il carcere, sia di trasformarsi in un “anglicized puppet”105 accettando un posto di impiegato governativo sotto il dominio britannico si deve leggere semmai il suo rifiuto intellettuale di scendere a compromessi con una realtà per cui ogni presa di posizione avrebbe comportato una precisa scelta politica. Tuttavia, come ha a buon titolo osservato Narendra106, l’abilità dell’autrice risiede essenzialmente nella capacità di presentare i due personaggi di Kailas e Kalyan non tanto come la personificazione del bene e del male o di forze politiche contrapposte, quanto di mostrarne abilità e limiti in modo oggettivo ed emotivamente distaccato, lasciando così che dal confronto tra le loro

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Ibid., p. 92

104 Ibid., p. 73 105 Ibid.

106 Cfr. Madhuranthakam Narendra, Microcosms of Modern India. A Study of the Novels of Nayantara Sahgal cit., p. 38

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diverse posizioni emerga un diverso concetto del fare politica come riflesso del dibattito sul tema della nazione che dominò quegli anni. In altre parole, pur condividendo quasi in modo assoluto gli ideali e l’esempio di Gandhi, l’autrice riconosce che il movimento nazionalista non fu del tutto privo di limiti, soprattutto per quanto riguarda il suo approccio passivo e rinunciatario verso questioni che richiedevano un’azione forte e tempestiva. In questo equilibrio di vedute si innesta buona parte della capacità di Sahgal di proporsi come osservatrice partecipe e nel contempo obiettivamente distaccata rispetto alla realtà rappresentata, senza cadere nel tranello di una facile o superficiale adesione ideologica all’una o all’altra corrente politica. Senza sposare nessuna delle due posizioni qui presentate, l’autrice ribadisce semmai la sua convinzione in una sorta di determinismo sociale per cui non esistono personaggi assolutamente positivi o negativi, ma semplicemente situazioni in grado di condizionare le scelte dell’individuo, in accordo con la visione di Gandhi per cui la libertà del singolo acquista un valore prioritario rispetto ai condizionamenti esterni della società. Sul piano sociale e dei rapporti tra gli individui che il nuovo corso storico dell’India si trovò a modificare, il conflitto tra tradizione e modernità incarnato dai due personaggi di Kailas e Kalyan trova un parallelo nelle vicende sentimentali che vedono coinvolti da un lato la coppia Rakshmi-Neil e da un altro la coppia Arjun-Uma. Se Rakshmi, figlia di Kailas, pur nutrendo un rispetto incondizionato nei confronti dei genitori e del costume indù che la vorrebbe serenamente accomodata accanto al marito, non può fare a meno di denunciare la sua infelicità e la volontà di rompere con quella tradizione attraverso il divorzio ed unirsi a Neil, un architetto danese con cui ha un legame forte e profondo, al contrario, Arjun Mitra, segretario generale degli affari esteri del governo, uomo fortemente occidentalizzato e di principi liberali, nel suo rifiuto di abdicare alla tradizione sceglie di restare invece accanto a Uma, la moglie che non ama più e che ha sposato in matrimonio combinato pur di non incorrere in uno scandalo e sacrificare così la sua carriera politica.

Buona parte dei temi affrontati in This Time of Morning ritornano, quasi amplificati, nel romanzo successivo, Storm in Chandigarh107, dove l’autrice, scegliendo di soffermarsi su una delle questioni più spinose che Indira Gandhi dovette affrontare nel corso del suo mandato, ambienta l’azione della vicenda a Chandigarh, teatro di una violenta rivendicazione separatista da parte di una minoranza Sikh nel 1966. I fatti storici che

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portarono il Punjab, terra di irrisolti conflitti religiosi ed etnici, alla divisione nei due stati indipendenti di Hariyana e Punjab con capitale comune Chandigarh (che divenne poi definitivamente capitale del Punjab nel 1970), costituiscono un’efficace metafora del generale processo di frammentazione su base linguistica ed etnica avviato dalla spartizione e sintomatico del generale decadimento degli ideali di unità e cooperazione interculturale che avevano caratterizzato il movimento gandhiano e la politica di Nehru. Senza soffermarsi sulle responsabilità della signora Gandhi in questo periodo, Sahgal drammatizza nuovamente il confronto tra due diversi modi di fare politica attraverso le due figure di Harpal Singh e Gyan Singh, che ricalcano chiaramente quelle di Kailas e Kalyan del romanzo precedentemente analizzato. Se la situazione politica analizzata da Sahgal in This Time of Morning presentava un quadro di grande fermento sociale e istituzionale, pur macchiato dalle volontà personalistiche di alcuni esponenti della nuova classe emergente, Storm in Chandigarh sembra semmai essere dominato dal tema della paralisi, dell’impotenza e della stagnazione, che a partire dalla classe politica si allarga fino alla sfera delle relazioni private. Come Kailas Vrind, anche Harpal Singh è una figura gandhiana dai solidi principi morali; in passato testimone e partecipante attivo alla lotta nazionalista, non può tollerare di vedere il proprio paese ulteriormente frammentato, poiché memore degli orrori della spartizione e della generale disgregazione sociale e politica che essa comportò. Al contrario, Gyan Singh è orientato a un forte decisionismo, e non esita a sfidare l’autorità del suo rivale Harpal con tutti i mezzi possibili; alla fine del romanzo le dimissioni di quest’ultimo alludono non solo a un’impossibilità di ripristinare il dialogo con le altre forze politiche dell’India, quanto al generale venir meno dei principi che, da Gandhi a Nehru, avevano fornito il presupposto per uno sviluppo organico e pluralista della nazione. Questo è il commento amaro di Vishal Dubey, emissario del governo centrale di Delhi nella regione teatro dei conflitti, rispetto ai fatti recenti e alle dimissioni di Harpal Singh:

In 1947 there was still an India to serve. Now there’s no such loyalty to bind us. The big vision had disintegrated. At any rate, let someone who believes in the existence of Hariyana, and to whom carving out this extra state, look after it. I have no heart for this job108.

Attraverso queste parole Vishal decreta che il vero spirito dell’India si è estinto con la spartizione, e le prospettive per un futuro di unità ed armonizzazione delle varie componenti nazionali si fanno sempre più incerte. Non a caso, il sipario della vicenda

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cala sulla morte del ministro degli interni (chiaramente ispirato a Nehru), ultima figura di principi gandhiani che simbolicamente rappresenta la fine di un’era e di una certa moralità in politica. Ed è proprio riflettendo sul funerale del ministro che Vishal osserva:

[The funeral] would be considerable, the most that a nation could give a hero, for this was more than a state funeral. It would mark the end of an era known as Gandhian. In politics that had meant freedom from fear, the head held high, the indomitable will in the emaciated body of India. Gandhian politics had also meant the open decision, the open action. No stealth, no furtiveness, and therefore no shame109.

Da queste considerazioni e da un’analisi del vuoto ideologico e di potere seguito alla morte di Nehru prenderà le mosse il successivo romanzo di Sahgal, che con maggiore insistenza tornerà sulla questione della leadership politica come necessaria urgenza per un paese sempre più disgregato.