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A Situation in New Delhi: il baratro culturale della fine di un’era

Il romanzo politico del Novecento indiano e la narrativa di Nayantara Sahgal

4.8 A Situation in New Delhi: il baratro culturale della fine di un’era

Il progressivo declino e la degenerazione totale dei valori gandhiani e nehruviani preconizzati in This Time of Morning e Storm in Chandigarh ritornano ad essere esaminati nel romanzo che Nayantara Sahgal pubblicò nel 1977 col titolo di A Situation

in New Delhi110. Benché completato dall’autrice nel 1965, il romanzo potè essere pubblicato solo dodici anni dopo, a causa della radicale censura imposta dal regime di Indira Gandhi negli anni Settanta. In un certo senso, A Situation in New Delhi può essere letto come la continuazione dei temi e del discorso intrapresi con Storm in

Chandigarh, e allo stesso tempo come il primo dei romanzi di Sahgal in cui la linea di

demarcazione tra sfera pubblica e privata, tra la dimensione politica e quella soggettiva del vivere viene a farsi sempre più sottile, fin quasi a confondersi.

In maniera piuttosto simbolica, il romanzo si apre proprio nel punto in cui si era concluso Storm in Chandigarh, ossia con la morte del primo ministro. Fin dall’incipit del romanzo (“Shivraj was dead”111) appare chiaro che il leader politico cui si fa riferimento è Jawaharlal Nehru; tuttavia la novità del testo risiede nel fatto che Sahgal abbia scelto di affidare a un personaggio inglese, giornalista e amico stretto del defunto,

109 Ibid., p. 241

110 Nayantara Sahgal, A Situation in New Delhi, London, London Magazine Editions, 1977 111

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la rievocazione delle qualità del personaggio, introducendo così un importante elemento di riflessione sul rapporto coloniale e sul tema della violenza centrale a tutta l’opera. Sebbene il tema del rapporto tra colonizzatori e colonizzati sia stato affrontato più volte da Sahgal nei suoi romanzi (dove, in quasi tutti figurano personaggi inglesi e occidentali, o comunque situazioni ispirate al periodo coloniale), raramente la critica si è soffermata su questo aspetto, privilegiando semmai la componente storico-sociale della sua produzione e la saga dell’India in essa rappresentata. Un’eccezione va fatta tuttavia per il saggio di Ralph Crane112, che brillantemente sintetizza le preoccupazioni dell’autrice sulla questione del rapporto coloniale, investendo il personaggio di Michael Calvert, biografo del primo ministro (modellato su quello reale di Michael Brecher, biografo di Nehru), di un ruolo primario di informatore interno ed esterno. Come ha giustamente osservato Crane, l’introduzione del personaggio di Michael Calvert all’inizio del romanzo non solo costituisce la premessa discorsiva al fatto che la storia dell’India sia inevitabilmente legata al suo passato coloniale, ma è funzionale anche ad un’analisi bilanciata e oggettiva di tale rapporto, mostrando come dalla violenza della relazione tra colonizzatori e colonizzati sia derivato uno squilibrio sociale che la classe dirigente dell’India indipendente avrebbe a fatica colmato. Nell’analisi di Crane Michael Calvert occupa la singolare posizione di informatore esterno e interno: come rappresentante del passato coloniale del paese, esso inevitabilmente si caratterizza metonimicamente come parte di quel tutto imperiale che sfruttò e dominò per secoli l’India, fungendo come simbolo dell’egemonia britannica. Allo stesso tempo, la sua esperienza personale (caratterizzata dalla crescita in India e da un legame profondo con quel paese, con le sue personalità politiche e la sua battaglia indipendentista) lo colloca tuttavia al di fuori di questa cornice, facendone una sorta di voce per il colonizzatore e il colonizzato. Parimenti, il suo rapporto con l’India è basato su un sentimento ambivalente di amore, rispetto e distanza critica; per quanto il suo stile di vita (come simpatizzante della causa indiana, egli scelse di adottare il khadi, tipica veste nazionale, negli anni della lotta gandhiana) e il suo legame (non del tutto ricambiato) di affetto per la protagonista Devi lo avvicinino molto alla società di cui egli desidera far parte, tuttavia egli non riesce a comprendere appieno alcune delle sue tradizioni e costumi (come il rifiuto di Devi di abbandonarsi completamente al loro amore come segno di un

112 Ralph J. Crane, “A Violent Situation in New Delhi”, in Id. (ed.) Nayantara Sahgal’s Passion, Politics and History, New Delhi, Sterling Publishers Private Limited, 1998

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“tradimento” rispetto alla causa indipendentista dell’India). Il legame di Michael con il defunto primo ministro Shivraj non solo allude all’inestricabilità di questo rapporto, ma rimanda anche alla duplice affiliazione di Nehru al suo paese e all’Inghilterra, facendo di esso un indiano dalla formazione e dalle influenze fortemente occidentali. Per questo e altri motivi Michael vede Shivraj (Nehru) come simbolo di quel sincretismo culturale auspicato dalla sua visione politica:

Michael had instinctively thought of Shivraj as an Asian, not an Indian. For that, far ahead of an Asian actuality, was what he had been: a symbol of the fight against colonial rule, a hero who had resurrected a legend so much of Asia shared and given it modern meaning - renouncing gilded ease to sleep on prison planks. A leader - the leader - at least in inspiration, of so many beyond in his own borders. And for Indians, a man who took the people with him on uncharted journeys, on the frail, unbreakable, so very unpolitical bond of trust. A politician who till the day he died had never learned to make a political speech, or to trim his sails by the exigencies of politics. No spell weaver himself, he had never trusted the breed. The spells he had woven had been unintended113.

Questo e altri ritratti del personaggio al limite dell’idolatria caratterizzano l’inizio del romanzo, e sono funzionali alla preparazione del tema principale dell’opera, ossia il vuoto di potere seguito alla morte di Nehru e le pericolose derive della politica utilitaristica perseguita dai suoi successori. Per questo motivo, la critica ha unanimemente attribuito al romanzo la capacità di problematizzare uno dei periodi più critici del post-Nehru, culminato nel triste capitolo del regime dell’Emergenza. Il titolo del romanzo accenna a una situazione, quella della capitale, che è paradigmatica dell’intero stato di declino istituzionale e morale in cui versa l’India dopo la morte di Nehru; Crane114 evidenzia ancora come lo stesso, vago termine di “situazione” alluda al linguaggio eufemistico usato dai politici, che quando parlano di una situazione problematica si riferiscono in realtà a qualcosa di ben più grave e profondo, come l’erosione dei principi democratici o l’ingovernabilità di certe emergenze sociali; in questo senso, Delhi sta alla situazione del paese come la situazione politica contingente sta al generale vuoto di valori e potere dell’India di quegli anni. Non è un caso che il primo ministro del nuovo governo non venga mai nominato o citato neanche di sfuggita nel romanzo, quasi a voler rimarcare la fine del sistema democratico inaugurato con Nehru e progressivamente deteriorato dopo la sua morte.

113 Nayantara Sahgal, A Situation in New Delhi cit., p. 6 114

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Protagonisti della vicenda narrata in A Situation in New Delhi sono Devi, sorella del defunto primo ministro Shivraj e ministro dell’istruzione nel nuovo governo, Usman Ali, vice-rettore dell’università di Delhi e Rishad, giovane figlio di Devi e membro dell’organizzazione sovversiva dei Naxaliti. Se Devi e Usman sono accomunati dalla stessa fiducia negli ideali democratici promossi da Shivraj, allo stesso tempo non possono fare a meno di constatare quanto l’attuale governo abbia preso le distanze dai presupposti morali che avevano animato la politica dell’ex primo ministro, poiché incapace di adattarsi al cambiamento storico e di coltivare la stessa ampiezza di vedute rispetto alle problematiche del paese. In questo senso, uno dei problemi essenziali posti dal romanzo è quello della leadership: in questo Sahgal sembra suggerire che se priva di senso morale e di integrità, la classe politica potrà soltanto degenerare verso forme di opportunismo, abbandonando le esigenze del paese per questioni di interesse personale. Questa visione è confermata dal fatto che Devi e Usman vengono caratterizzati come personaggi essenzialmente impotenti e passivi rispetto agli eventi narrati; da questa incapacità delle figure politiche e istituzionali di fronteggiare e interrogare i problemi della nazione deriva inevitabilmente un vuoto di valori e ideali, di cui i giovani della società si fanno rappresentanti. A questo proposito, particolarmente interessante risulta essere l’indagine del personaggio di Rishad, il brillante, giovane figlio di Devi che sceglie di aderire a un gruppo terroristico perché insoddisfatto del clima di stagnazione e paralisi sociale in cui versa il paese. Aderendo al gruppo dei naxaliti, un movimento che, originando da una insurrezione contadina nel distretto di Naxalbari del Bengala occidentale nel 1967, si diffuse fino a Calcutta reclamando una più equa distribuzione delle terre e una maggiore giustizia sociale115, Rishad trova nel movimento sia un mezzo per sfogare la sua frustrazione che per manifestare la sua insoddisfazione verso una società corrotta, incapace di canalizzare le energie dei giovani verso qualcosa di positivo e costruttivo. Per questo motivo, Rishad e i suoi compagni intraprendono piccole azioni terroristiche al fine di destabilizzare il potere e manifestare il loro disagio sociale; in uno di questi episodi il giovane perderà la vita, suscitando lo sgomento della madre tenuta fino all’ultimo all’oscuro delle sue attività. La figura di Rishad nel romanzo non solo è rappresentativa del forte richiamo esercitato dalla violenza sugli indiani in un momento di crisi istituzionale, ma anche del gap generazionale venutosi a

115 Cfr. Michelguglielmo Torri, “Il ritorno della guerriglia maoista in India”, rubrica “Quadrante”, in Galatea (Lugano), maggio 2007

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creare tra i vecchi padri della nazione e le nuova classe dirigente; disilluso dai partiti politici, che non hanno saputo colmare il divario economico tra poveri e ricchi, tra città e campagne, Rishad si dedica alla diffusione del concetto di lotta di classe presso le classi meno abbienti, colpendo allo stesso tempo indiscriminatamente le proprietà di chi come il padre della sua amica Skinny, secondo il suo punto di vista, gode di privilegi ingiustificati. Il risultato della sua azione terroristica è una violenza cieca, casuale, paradigmatica di una generazione che ha perso i suoi ideali e non trova sfogo per la sua insoddisfazione. Per questo motivo la figura di Rishad è funzionale all’introduzione del terzo (accanto a quelli della leadership e della violenza), fondamentale tema del romanzo: l’istruzione e la formazione dei giovani.

Il tema della formazione giovanile viene presentata ad inizio romanzo attraverso una difficile situazione che Usman Ali deve affrontare: una violenza è stata compiuta ai danni di una ragazza all’interno del campus universitario, e i tre giovani responsabili sono stati espulsi. L’espulsione dei ragazzi scatena la protesta degli altri studenti, che lamentano l’impossibilità, per un giovane non laureato, di trovare lavoro nella società indiana. L’episodio è paradigmatico non solo del dibattito sviluppatosi negli anni Settanta circa la funzione delle università, ma anche della posizione di Usman Ali, condivisa dalla stessa autrice, secondo cui le università avrebbero dovuto rappresentare non tanto delle “fabbriche di lauree” per i giovani, quanto luoghi di formazione e crescita. Per questo Usman presenta al governo una proposta di riforma del sistema universitario affinché vi siano possibilità di impiego per i giovani anche senza laurea e un recupero delle tradizioni indiane, in modo che si possa creare un senso di continuità e appartenenza a un comune terreno culturale tra docenti e studenti. Inutile dire che il progetto viene respinto, e che da questo divario si origina uno scarto ideologico, morale e culturale tra la classe dirigente (politici, intellettuali, industriali) e i giovani. Inevitabilmente, il vuoto di valori e potere che caratterizza lo stato si ripercuote drammaticamente sulle nuove generazioni, che prive di qualsiasi aspettativa, danno sfogo alle loro incertezze attraverso un uso sistematico della violenza. Queste sono le parole con cui Rishad spiega all’amica Skinny i suoi propositi rivoluzionari:

The main thing to remember is that there’s no room for philosophy where there’s hunger and terrible inequality. There’s only room for surgery to remove them, and they have to be removed, like a cancer, like filth (…), in any way at all, with any weapon. The only way that will not work is with words. There have been enough words. We have to act116.

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Contrariamente a quanto crede Rishad, Usman sostiene che il cambiamento sociale debba nascere innanzitutto da una limitazione del potere fagocitante e accentratore dello stato (posizione condivisa da Sahgal soprattutto in rapporto alla politica di forte centralizzazione statale perseguita più tardi da Indira Gandhi negli anni del suo mandato), ma anche da una politica di decentramento e recupero della capacità dei villaggi indiani di far fronte alle proprie necessità coi propri mezzi, proprio come era avvenuto negli anni della lotta gandhiana; come si legge nel romanzo:

Usman hankered for a village past, for another form of government, one that didn’t build up and up into a formidable state apparatus. His would build down, with maximum power to the small community. How else, in India, would exhausted resources, human and natural, ever recover their strength?117

Con queste parole Sahgal riafferma la sua fiducia negli ideali perseguiti da Nehru (e condivisi nel romanzo prima da Shivraj poi da Usman), decretando con maggiore vigore la fine di un’epoca e il suo vuoto istituzionale; come ha giustamente rilevato Narendra citando l’autrice:

(…) The novel may be described as a fictional enactment of what she expresses in the essay “Nehruism in retreat”, where she observed that “Nehru’s India - where freedom and social justice were not considered irreconcilable, where it was taken for granted that two must co-exist, where the question was not of rich against poor, but of civilized men against the injustices of their society, where the leadership was committed to the free circulation of ideas and information, no matter how inconvenient they may have been to the government - that India, if it is still with us at all, is irrecognizably battered”118.

In questo senso, A Situation in New Delhi può essere letto sia come l’anatomia di una crisi che portò la politica di quegli anni verso la corruzione e la soppressione di ogni principio democratico di governo, ma anche come la parabola sulle conseguenze drammatiche della vita politica sull’esperienza e le decisioni personali dell’individuo, dove a un’assenza di moralità nella classe dirigente corrisponde, inevitabilmente, il crollo dei valori e di principi etici nella dimensione del singolo. Queste e altre tendenze antidemocratiche e repressive della libertà individuale culmineranno nel romanzo più riuscito e politicamente denso di Sahgal, Rich Like Us.

117 Ibid., pp. 83-84

118 N. Sahgal, cit. in Madhuranthakam Narendra, Microcosms of Modern India. A Study of the Novels of Nayantara Sahgal cit., pp. 45-46

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