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S. Nicola di Rohault de Fleury, in “Beretta M., op.cit p 154)

2.2.2 Ricostruzione storica e delle fasi evolutive

2.2.2.1 Individuazione della proprietà e confini

L’ipotesi più probabile e maggiormente confortata da fonti documentarie sembra essere quella proposta da Fanucci Lovitch nell’articolo “Da uno stemma a un palazzo” che attribuisce l’edificio in esame alla domus della famiglia Bocci48

. Per la datazione si farà riferimento invece a quella proposta da Fabio Redi, a seguito di un’attenta analisi tipologica, meglio descritta successivamente.

I Bocci sono membri di una famiglia pisana che negli ultimi del XIII secolo si legano per via di interessi ai Gualandi divenendone “consorti49”.

I Bocci (Guidone e Gerardo) vengono citati per la prima volta a fianco dei Gualandi Cortevecchia in un documento del 9 febbraio 1236, a proposito di una causa riguardante il patronato sulla chiesa dei SS. Cosma e Damiano50. Essi appartengono al ceto privilegiato di Pisa. Nel corso del XII secolo sono testimoni ad atti importanti, proprietari di vasti possedimenti nella Valle del Serchio commercianti nell’isola di Sardegna con particolari interessi in Arborea, dove avevano prestato denaro non soltanto al re Barisone, ma anche al vescovo di S. Giusta, una diocesi del giudicato arborense.

Il ruolo che rivestono in Pisa, non è certo minore considerando che Gerardo e Guidone rappresentano la “Domus Gualandi” nel giuramento del 1237. Il fatto è molto importante e dimostra che non più soltanto interessi economici legano i Bocci ai Gualandi,

44 ma un impegno di solidarietà politica segna il loro ingresso nella

domus. Tale impegno dura finché vivono questi due personaggi

che sono i soli per i quali questa qualifica si ripeta più volte anche in occasioni diverse.

Nel 1256 Guido è con Lanfranchino Bocci fra i consiglieri del Comune chiamati ad approvare gli accordi di pace con Firenze. In città i Bocci dividono il patronato sulla chiesa dei SS. Cosimo e Damiano e sul Ponte Nuovo con i Cortevecchia.

Le loro case sono situate in Pellaria, Porta Maria, nei pressi della chiesa di S. Nicola e in SS. Cosma e Damiano51.

Il documento più attendibile, dal quale inizia la ricostruzione, è la pianta proposta dalla stessa Fanucci Lovitch dell’area antistante il Ponte Novo, in corrispondenza della cappella di S. Nicola; l’articolo ricostruisce la storia del Palazzo Tobler su Lungarno e dell’area circostante: “in città la cappella di San Niccola, come più volte si è ricordato, era subito a Nord dell’Arno, dal lato Nord del Ponte Novo, sul quale i diritti dei

Gualandi risultano fino dal 1183, ed era quindi esattamente dirimpetto alla cappella di San Cosimo e Damiano, che si trovava dal lato Sud del Ponte; si spiega dunque la residenza di un ramo dei Gualandi, appunto i Bocci, nella cappella di San Niccola52”.

“I Bocci infatti erano dei patroni del Ponte Nuovo, credo perché stati dei fondatori di esso. Nel 2 ottobre 1258, concorsero alla nomina del nuovo pontonajo, e agli altri atti che si fecero a tale occorrenza, per loro stessi e per gli altri di loro casa Boccio giurisperito, figlio di Boccio; Lanfranchino e Ildebrandino, di Enrico53”.

La pianta presente nell’articolo si basa su documenti trecenteschi conservati nell’Archivio di Stato di Pisa che permettono di presentare una rudimentale schematizzazione dell’area (fig. 20).

Numerose sono le proprietà della famiglia Bocci; l’influenza della famiglia in questa zona è confermata “dall’esistenza di un

45 chiassatello dei Bocci che, nel 1306, costituiva uno dei confini di un pezzo di terra posto nella cappella di S. Lucia dei Ricucchi, ad ovest e contigua a quella di S. Niccola. Inoltre, nel 1353, Enrico Bocci concedeva in locazione ad uno scudaio della cappella di S. Lucia, un pezzo di terra con una casa, situato precisamente presso il chiasso pubblico chiamato de portichu Bocciorium. Poiché il pezzo di terra concesso in locazione dal Bocci era posto in cappella S. Niccola e confinava con la casa dello scudaio, posta invece in cappella di S. Lucia, si deduce che il portico dei Bocci doveva trovarsi a confine delle due cappelle

54”.

La presenza di botteghe di spadai55 è documentate sul lungarno nord presso il Ponte Vecchio e sul Ponte Nuovo, ma anche nella piazza delle Sette Vie (oggi dei Cavalieri) vicino ai palazzi del Capitano del Popolo e degli Anziani, e nel Borgo dove un certo Bencivenne del fu Iacopo, della Cappella di S. Cecilia e di professione spadaio, nel 1284 aveva tenuto in affitto una bottega. È evidente, almeno in questo caso, ma non soltanto, la

separazione esistente fra abitazione e officina-bottega. Gli altri spadai che, chiesero al comune l’autorizzazione a tenere in strada i cavalletti su cui forbivano le spade poiché le loro botteghe erano troppo anguste per farlo all’interno, non dovevano risiedere nel luogo in cui esercitavano la loro arte.

Un rione urbano situato fra le chiese di S. Nicola e di S. Lucia dei Ricucchi, l’attuale via Trento e il Lungarno, si chiamava almeno dal 1204 Scutaria per la presenza di numerose botteghe e case di scudai, ancora oggi in parte conservate. Esse presentano la stessa struttura di quelle dei pellicciai e di altri artigiani, sono realizzate su un terreno di proprietà di importanti famiglie o di enti ecclesiastici e in stretta connessione con le loro “domus”, spesso senza soluzione di continuità nell’intero tessuto urbano, come qui in Scutaria dove, di seguito a torri o a “domus” signorili, si trovano numerosi “edificia” allineati lungo il chiasso “de Pelleria” trasversale alla via “de Scutaria” (attuale via Trento) che secondo il sistema delle “superficies domo rum”, erano di proprietà di chi vi risiedeva e lavorava, ma su un

47 Figura 20: Isolato comprendente le cappelle di S. Lucia e S. Nicola con l’indicazione degli edifici e terreni appartenenti alle famiglie Bocci e Galli, secondo documenti trecenteschi (Da E. Fanucci Lovitch, Da uno

stemma alla storia di un palazzo in “Bollettino Storico Pisano del 1986”,

1986, Pacini Editore, Pisa, p.128)

Legenda:

A – Case dette dei Galli, in cappella di S. Niccola, “in capo al Ponte Novo, poste tutte su di un unico pezzo di terra, confinante per un capo in Arno, via

pubblica mediante; altro capo in terra e torre eredi Lanfranchino Bocci; un lato in via pubblica di S. Maria; l’altro lato in terra e “pedali” della torre del

fu Ciolo Bocci e consorti.

B,C – I suddetti Bocci, confinanti con le case dei Galli.

D . Terra e case appartenente per 2 carati a Lagia Bellomi-Bocci, confinante per un capo in via pubblica detta Scudaria; altro capo in terra e “pedali” eredi di Ciolo Bocci; un lato in un chiasso pubblico; l’altro lato con terra e torre

eredi Lanfranchino Bocci (ASP, Ospedale, n. 25, c. 48v-50r) E – Chiasso pubblico

F – Torre di Simone Trincalosso Bocci G – Casa retrostante detta torre

H – Chiasso pubblico

I-N – Torre, case e chiostro di Colo del fu Enrico Bocci O – Ospedale di S. Salvatore, detto dei Marinai

48 terreno di proprietà prevalentemente dei Bocci, residenti qui vicino sul lungarno.

Sull’angolo dell’isolato confinante con Lungarno sono collocate le Case dette dei Galli, in cappella di S. Niccola, in capo al Ponte Novo, poste tutte su di un unico pezzo di terra, confinante per un lato con l’Arno, via pubblica mediante; altro lato con terra e torre degli eredi Lanfranchino Bocci, area sulla quale si può collocare il nucleo originario della Casa delle Vedove; un lato in via pubblica di S. Maria; l’altro lato in terra e pedali della torre del fu Ciolo Bocci e consorti. A Est dell’attuale Palazzo delle Vedove, sono indicati terra e case appartenenti per 2 carati a Lagia Bellomi-Bocci, confinante per un lato in via pubblica detta Scudaria; e dall’altro con un chiasso pubblico, non più esistente; altro capo in terra e pedali eredi di Ciolo Bocci. A riprova dell’importanza che riveste la famiglia Bocci su questa zona sono individuate con la lettera F la torre di Simone Trincalosso Bocci (nell’atto viene definita “torre” piuttosto che “casa solariata a più piani56”) e con la G la casa

retrostante. Le lettere I-N corrispondono alla Torre, case e chiostro di Colo del fu Enrico Bocci.

La lettera H indica il chiasso pubblico tuttora esistente e la O l’Ospedale di S. Salvatore, detto dei Marinai57

.

La descrizione può essere integrata con quella fornita dal Ciccone a riguardo del Ponte Nuovo e della zona circostante nel XIV secolo, già presentata precedentemente, che diverge in parte per quanto concerne la proprietà dell’isolato di nostra competenza: non è chiaro infatti se questa venga attribuita interamente alla Domus dei Galli o meno.

Per cercare di individuare in maniera più precisa i limiti della proprietà Bocci si sono operati alcuni confronti tra le planimetrie in possesso. In particolare si propone una sovrapposizione della già citata mappa fornita dalla Fanucci Lovitch, con quella del quartiere tratta dal Cessato Catasto (fig. 21).

49 Figura 21: Planimetria del quartiere tratta dal Cessato Catasto adattata alla pianta del Bollettino Pisano. I confini della Domus Bocci sono ben definibili e trovano riscontro nella conformazione attuale del Palazzo. (Rielaborazione dell’autore)

Figura 22: Dal prospetto su Via Santa Maria è ben riconoscibile il confine tra le due unità: le finestre si trovano a quote differenti e i lavori di restauro degli anni ’80 hanno riportato alla luce l’antica struttura in verrucano.

50 Dal confronto della mappa catastale ottocentesca tratta dal Cessato Catasto con la planimetria dello stato di fatto attuale, si evince che la proprietà Bocci, è individuabile presso la via S. Maria dalla via Trento fino alla seconda finestra a sud dopo il cavalcavia (fig. 22). Dunque il limite sud del Palazzo così definito trova corrispondenza anche nelle differenti quote della teoria delle finestre sul prospetto prospiciente la via S. Maria: più bassa nella zona sud della struttura e più alta in quella nella parte nord.

La situazione sembra essere meno chiara per quanto riguarda il lato su via Trento (fig. 23): l’attuale prospetto mostra una netta distinzione dei fabbricati: quello d’angolo, con il paramento lapideo in vista – evidenziato dai recenti restauri – e quello intonacato posto accanto. Tuttavia questo confine non coincide con quello della proprietà Bocci e sembra non trovare riscontro nemmeno nelle successive piante del periodo leopoldino (fig. 24).

51 Si ritornerà successivamente su questo punto cercandolo di chiarire alla luce delle piante settecentesche e ottocentesche.

Figura 24: Catasto Leopoldino (1834): mappa del quartiere Santa Maria, particolare (Da CASTORE, Catasti Storici Regionali)

Le mappe catastali successive (fig. 25) sembrano comunque confermare le ipotesi formulate e i confini individuati

coincidono con quelli originari della Domus Bocci. Figura 25: Il Palazzo così come individuato dalla mappa catastale, aggiornata al 2014

52 Figura 26 Vista aerea da Googlemaps con sovrapposti i confini catastali (Rielaborazione dell’autore)

2.2.2.2 Conformazione tipologica

Fabio Redi ha ipotizzato una domus realizzata nelle parti portanti in verrucano e composta da sei campate a pianta

rettangolare di esigua profondità, tutte allineate lungo la Via S. Maria58 (fig. 27-28).

Ciascuna campata appare articolata in modo seguente: a piano terra, il portico architravato; al piano primo, un’ampia trifora in marmo bianco sistemata all’interno dell’arco a tutto sesto con ghiera a gola rovescia, al piano superiore, un’ampia apertura ad arco a tutto sesto fornita di ballatoio ligneo. La campata estrema a Nord della domus si affacciava sulla via Trento con ampiezza maggiore e per tanto al piano primo era corredata da una quadrifora. La dimora dei Bocci appartiene, secondo la classificazione di Redi, al gruppo di domus lussuose, larghe una o due campate, alte tre o quattro solai, generalmente molto profonde. Sono edifici delimitati da vie ortogonali o parallele, o semplicemente affacciati su strade di particolare importanza.

I resti della struttura medievale in esame sono tutt’oggi leggibili anche nell’interno. (fig. 29-30).

53 Figura 27: Assonometria basata su uno studio tipologico. Il palazzo presenta sei campate nel lato e una nella fronte, con portico a pilastri architravati, parapetto in muratura continua con davanzale a gola rovescia, serie di trifore e quadrifore con arco di scarico a pien centro e ghiera a gola, al primo solaio, e di finestroni arcuati a pien centro comunicanti con l’ampio sporto, al secondo. La muratura è di verrucano con cornici e colonnine di marmo bianco. (da F. Redi, op. cit., p. 187)

Figura 28: Domus Bocci secondo la ricostruzione di F. Redi, piante dei vari livelli (Rielaborazione dell’autore)

54

55

Figura 30 Elementi della conformazione originaria del Palazzo visibile attualmente (piano primo, lato via Trieste e via S. Maria)

56 Il restauro di circa 30 anni fa ha riportato alla luce, dopo l’eliminazione dell’intonaco, il portentoso apparato costruttivo in pietra, corrispondente a tre piani fuori terra, con finestre polifore incorniciate in marmo poste all’interno della struttura portante in verrucano. La quadrifora del primo piano della facciata nord è la meglio conservata delle finestre medievali. Lo spostamento dei solai operato al tempo della trasformazione della domus in edificio di servizio al Palazzo Ducale ha determinato alterazioni irrimediabili della struttura medievale. Si noti la pietra verrucana fortemente scanalata a scalpello per favorire l’aderenza dello strato di intonaco, con cui fu ricoperta la struttura in occasione della ristrutturazione seicentesca59. La domus60 era un’abitazione più comoda e più ampia della torre, non sempre più bassa di essa, il suo aspetto monumentale era l’espressione dello status symbol della famiglia.

Il termine domus, che compare già agli inizi del XI secolo, dalla metà del XII a tutto il XIV secolo indicò edifici molto vari per

forma, materiali e consistenza architettonica. Per questo motivo esso indicava semplicemente l’abitazione e, solo se necessario per il negozio giuridico redatto dal documento, si fornivano ulteriori specificazioni. Se già agli inizi del sec. XI troviamo infatti citate domus a petra et calcina cioè in muratura, è in particolare dalla seconda metà del sec. XII che diviene frequente la specificazione del tipo di muratura, dell’altezza e del tipo di copertura. Così, oltre alla semplice dizione domus murata, che quasi significava in muratura ma talvolta anche cinta da muri, troviamo murata lapidi bus o lapidea, cioè di pietra, ma anche

tegularum murata, o semplicemente tegularum, cioè di mattoni,

e perfino murata muris terresi, cioè di terra. Contemporaneamente esistevano domus ancora più modeste, cioè di legno: lignaminis, o a struttura mista, cioè parte in muratura e parte di legno, o addirittura lignaminis, undique

murata. Le domus potevano inoltre essere solariate cioè a uno,

due, tre, quattro e più piani, con o senza uno o più mezzanini, ma anche soltanto con un ammezzato, o terrestri, cioè terragne,

57 ovvero sine solario, o plane, o in plano, sine solario, ma anche in parte solariate in parte no, basse oppure parve. Le coperture di cui abbiamo prova documentaria o archeologica potevano essere, de pilastris cioè a lastre di scisto violetto o grigio verrucano, ma anche embrucibus, cioè con tegole, e più raramente, laminibus, cioè a lamine, probabilmente di piombo, come le domus dei Visconti, ricordate in cappella di S. Pietro in Vincoli, nel 1387. I tetti erano di solito “a capanna”, con semplice gronda più o meno sporgente. Dalla fine del sec. XII le

domus potevano terminare con merlatura, come nel caso di

quelle dei Bonconti e di Mosca da S. Gimignano, presso S. Cristina, e del palazzo di Giacomino Tighi presso S. Nicola.

Dal 1315, oltre al numero dei solai, compare anche specificato il numero degli archi in cui si articolavano le facciate, cioè che collegavano i pilastri definendone le luci, che potevano essere uno, due o plures et plures.

In qualche caso la domus è definita ballatoiata, ma risulta anche da numerosi riferimenti diretti che essa poteva essere fornita di ballatoi di legno o di veroni e terrazze aggettanti, posti fra i pilastri e gli archi di scarico.

La Domus dei Bocci appartiene, secondo la classificazione di Redi, al gruppo BC61 (fig. 31): una struttura a murature piene, con ampie fornici ad arco di varia forma, con sporti chiusi o senza. Questa classe è costituita da poche domus lussuose larghe una o due campate, alte tre o quattro solai, generalmente molto profonde: il formato di pianta caratteristico è stretto e lungo di dimensioni circa m 4,5x12; m 4x15; m 4x7. Sono edifici delimitati da vie ortogonali o parallele, o semplicemente affacciati su strade di particolare importanza. Ricordiamo, ad esempio, alcune domus poste lungo la via S. Maria, ma anche all’angolo tra la piazza S. Frediano e presso la via S. Frediano nel tratto che dalla Porta Aurea conduceva nella piazza degli Anziani.

58 Cronologicamente gli edifici del gruppo BC sono collocabili tra l’ultimo quarto del sec. XII e il primo del sec. XIII, sia paleo graficamente per l’autografo dello scultore del capitello del portico di uno di questi edifici, sia stilisticamente per il riferimento di questo alla scuola di Guglielmo (seconda metà del sec. XII), sia per il terminus post quem costituito dalla costruzione del Ponte Nuovo nel 1183 riguardo all’edificio che sorse in relazione con esso, sia per le quote degli interramenti, sia per i rapporti fisici con gli altri edifici.

Caratteristica distintiva è la presenza di ampi fornici, prevalentemente a pien centro, che si aprono a ogni piano entro murature continue e che possono costituire l’accesso all’unico sporto chiuso o raccordare polifore con archetti a pien centro. È tipica inoltre la presenza di un architrave monolitico a sostegno di un davanzale facente corpo con la muratura continua della facciata. Il tetto risulta generalmente a due spioventi, con tre, correnti e tavole o travicelli. Il materiale da costruzione è esclusivamente il verrucano, lavorato a conci medi o ampi,

quadrangolari o rettangolari, accuratamente rifilati e spianati, con faccia spianata a martellina puntuata o a gradina e rifinita a nastrino, disposti in filari pseudoisodomi o isodomi, senza giunti a vista. Il paramento interno è più rozzo e a conci più piccoli, per lo più quadrangolari, semplicemente squadrati e sbozzati a mazzette, con giunti eccedenti ma spatolati. Gli archi sono quasi sempre a pien centro, falcato o non, con ghiere a gola, sia nei raccordi delle polifore, anch’esse a pien centro, sia nel fornice degli sporti; in un solo caso troviamo l’arco ogivale insieme con quello a pien centro.

Il dispositivo dei rari ballatoi chiusi era del tipo a semplice buca, in linea con la soglia del fornica o poco più bassa, senza mensola per il puntone al piano di sotto. Molto probabilmente le pareti dello sporto erano in muratura. Gli ambienti erano ampi e confortevoli, divisi da muri di spina trasversali; le pareti erano scialbate, ma anche intonacate e affrescate lussuosamente, con motivi geometrici, o “a vaio”, qualche volta finemente figurati. Pure i capitelli e le cornici delle polifore erano di materiale

59 pregiato (marmo bianco, calcare bardigliaceo grigio) e riccamente decorati.

Figura 31 Schema tipologico degli edifici appartenenti al gruppo B, Classe BC (Da F. Redi, Pisa com'era, archeologia, urbanistica e strutture

materiali (secoli V-XIV), Europa Mediterranea, Quaderni 7, Napoli,

1991, p. 293)