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Approccio multidisciplinare per la valutazione della sicurezza statica e sismica del Palazzo delle Vedove a Pisa

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Academic year: 2021

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opportuna.

Questa tesi non può che essere dedicata alla mia famiglia. Mamma, Papà e Paolo sono le persone che mi sono state sempre più vicine e che sento in assoluto più vicine, insostituibili. Un grazie ai miei nonni.

In questi anni belli e intensi ho incontrato amici veri, persone che mi hanno sorpreso e che mi hanno saputo tirare fuori il meglio, grazie a tutti.

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2 La Domus Bocci

3 Il Palazzo delle Vedove tra il Cinquecento e l’Ottocento 4 Il Palazzo nel Novecento

5 Lo stato attuale

3. ANALISI STRUTTURALE

1 Premessa

2 Rilievo strutturale

3 Caratterizzazione meccanica del materiale 4 Modellazione e analisi strutturale dell’edificio

I Tavole II Bibliografia III Indice delle figure

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6 Figura 1: Pisa, particolare del quartiere di S. Maria con individuazione del Palazzo delle Vedove e degli edifici vicini di maggiore interesse (da Google Earth)

1.

INTRODUZIONE

La tesi ha per oggetto lo studio storico-critico e architettonico finalizzato all’indagine strutturale del Palazzo delle Vedove, noto anche come Domus Bocci.

Il Palazzo si trova a Pisa, all’angolo tra via S. Maria e via Trento (fig. 1).

È collegato al Palazzo Reale tramite un cavalcavia che costituisce una porta ideale di ingresso al Lungarno Pacinotti. Insieme al Palazzo Reale, la chiesa di S. Nicola e la piazza Carrara rappresenta una delle “note” più riuscite del quartiere (fig. 2).

L’argomento della tesi è stato proposto dall’Ing. Gino Cenci della Soprintendenza delle belle Arti e Paesaggio di Pisa, come

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7 studio della vulnerabilità sismica di un edificio di interesse storico-architettonico.

Per le operazioni di restituzione grafica del Palazzo la base di partenza è stata il rilievo delle piante realizzato dalla Soprintendenza nel 2014, che è stato riverificato per poi procedere al rilievo degli alzati per sezioni e prospetti.

Sono stati inoltre digitalizzati gli elaborati cartacei relativi al rilievo precedente al restauro e al progetto con l’inserimento dei

soppalchi.

L’analisi storico-architettonica è stata condotta sulla base di testi editi e su documenti reperiti presso l’Archivio di Stato di Firenze e l’Archivio di Stato di Pisa, insieme alla scheda conservata presso l’Archivio della Soprintendenza di Pisa. Oltre all’inquadramento territoriale e urbano, all’analisi critica dell’originale forma architettonica della Domus Bocci, delle trasformazioni avvenute tra il Cinquecento e il Novecento, connesse alle nuove destinazioni attribuite al palazzo – prima al

Figura 2: Vista del Lungarno Pacinotti. Si può notare il cavalcavia del Palazzo delle Vedove, la facciata di Palazzo Reale, la Torre della Verga d’Oro e piazza Carrara

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8 Palazzo delle Vedove e alla cucina, pasticceria e dispensa del Palazzo Granducale, poi agli uffici della Soprintendenza – è stata proposta anche un’ipotesi alternativa della conformazione della domus medievale.

L’indagine strutturale si è articolata nella modellazione agli elementi finiti della struttura per l’esecuzione dell’analisi dinamica lineare, e la verifica di sicurezza degli elementi strutturali.

Infine l’analisi strutturale è stata estesa agli edifici limitrofi in modo da valutare globalmente il comportamento della struttura all’interno di un aggregato.

Il Palazzo delle Vedove è sicuramente edificio esemplificativo dei tanti edifici storici che animano il patrimonio cittadino pisano e ne impreziosiscono l’aspetto. Numerose sono anche le peculiarità e i temi che esso contiene in sé e porta ad affrontare; l’immaginaria soglia verso il Lungarno costituita dal cavalcavia (fig. 3); il tema già accennato dell’aggregato edilizio visto con

un’ottica non solo strutturale ma spaziale e di rapporto col contesto; il valore del restauro, che con il suo lavoro di trasformazione e interpretazione restituisce oggi un’immagine filtrata, forse fuorviante ma comunque narrativa delle facciate dei nostri palazzi.

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9 Figura 3: Vista del cavalcavia di Via S. Maria

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10 2.1 Inquadramento territoriale e urbano

2.1.1 L’assetto urbanistico della città e le prime carte

2.1.2 Età basso-medievale

2.1.2.1 La costruzione delle nuove mura e la divisione in quartieri

2.1.2.2 Toponomastica cittadina e le attività commerciali

2.1.3 Il quartiere di S. Maria

2.3.1 Introduzione al quartiere

2.3.2 Gli edifici principali

2.3.3 La vicenda del Ponte Nuovo

2.

ANALISI

STORICO-ARCHITETTONICA

Ai fini di una capillare conoscenza dell’edificio - che costituisce il punto di partenza fondamentale per la definizione delle caratteristiche strutturali, morfologiche e materiche del manufatto odierno – è importante ricostruire il processo della sua realizzazione e delle successive modifiche che ha subito nel tempo nonché individuare le destinazioni funzionali e gli eventi che lo hanno interessato. Sulla base dei testi contenuti nella bibliografia attinente l’oggetto e tramite l’esegesi dei documenti archivistici rintracciati, assieme all’analisi della struttura architettonica in situ, si è cercato di delineare un quadro storico del palazzo, dalle sue origini ai giorni nostri.

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11 2.1 INQUADRAMENTO TERRITORIALE E URBANO

2.1.1 L’assetto urbanistico della città e le prime carte

L’assetto urbanistico assunto dalla città di Pisa nel corso dei secoli è strettamente legato alla presenza della rete fluviale costituita soprattutto dal fiume Arno e dall’Auser con le sue diramazioni1, il cui punto di confluenza con l’Arno è stato oggetto di numerosi studi.

I primi tentativi di ricostruire l’assetto urbanistico della città di età antica hanno prodotto delle carte fortemente arbitrarie come quella di «Pisa ai tempi del Gentilesimo» e quella detta «di Bonanno» (fig. 4), la cui attendibilità è stata in gran parte messa in discussione da studi successivi2.

Gli autori di entrambe le mappe hanno scambiato il probabile tracciato del fossato orientale delle mura altomedievali (che seguendo una direttrice Nord-Sud confluiva in Arno nei pressi dell’attuale Piazza Garibaldi) con l’alveo dell’antico Auser3

.

Figura 4: Pisa secondo la ricostruzione di Luisa Banti, modellata sulla cosiddetta pianta di Bonanno: la città romana è limitata a Sud dall’Arno, ad Est dal supposto corso dell’Auser lungo Borgo Stretto, ad Ovest da una linea che corrisponde in parte alla via S. Maria, a Nord dalla via S. Giuseppe – la piazza dell’Arcivescovato; il Foro è ubicato nei pressi della piazza dei Cavalieri e la via Emilia corre lungo l’asse via dell’Ulivo – via Pasquale Paoli (Da E. Tolaini, La città e la storia, Pisa, 2007, p. 23)

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12 Non ci sono pervenute testimonianze cartografiche tardomedievali, ma esistono delle piante della città risalenti al XVI e XVII secolo, che, nonostante alcune imprecisioni e lacune, consentono di individuare il vecchio reticolo stradale. La più antica è la mappa attribuita all'architetto Giuliano da Sangallo e probabilmente risalente ai primissimi anni della seconda occupazione fiorentina, tra il 1509-1510 (fig. 5).

Rappresenta in modo molto accurato l'area dei Lungarni e del Ponte Vecchio e mette a fuoco le fortificazioni della città. Risulta invece più approssimativa per altre aree dove il reticolo delle strade è solo accennato o disegnato con evidenti inesattezze.

Altre piante della città successive sono: la mappa Braun-Hogenberg, prodotta alla fine del XVI secolo da cartografi di Francoforte.

La rappresentazione della città si attesta su un buon livello qualitativo. È presente anche una legenda che elenca alcuni dei principali monumenti, chiese e luoghi di interesse. Sui Lungarni

si possono riconoscere i tre ponti esistenti all’epoca (Ponte di Spina con il vicino complesso della Fortezza Nuova, Ponte Vecchio, Ponte della Degazia con la torre della Cittadella) e sulla riva meridionale del fiume è ben visibile la piccola chiesa della Spina.

Figura 5: Dettaglio della mappa attribuita al Sangallo che mette in evidenza l’area del Lungarno. (Da M. Beretta, op. cit. p. 87)

Nella pianta di Mattheus Merian, invece, molto nitida e dettagliata nella rappresentazione degli edifici, le strade sono

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13 disegnate con una ampiezza maggiore di quella reale, secondo un espediente che serviva a migliorare la leggibilità del tessuto urbano evitando sovrapposizioni e accavallamenti tra i fabbricati.

Sebbene sia stata pubblicata intorno al 1640, vari elementi, come la presenza di entrambi i rami della Via dei Setaioli ad Est ed Ovest del Ponte Vecchio e l’assenza delle Logge di Banchi, costruite nel 1600, inducono a pensare che il rilievo della città su cui è basata sia cinquecentesco.

La cosiddetta pianta Scorzi, verosimilmente risale all’ultimo decennio del XVII secolo e mostra l’intera città, inclusi i bastioni e i terrapieni che nel Cinquecento e Seicento sorsero intorno alle mura medievali; il Nord è rivolto verso il basso e nella parte inferiore della mappa sono presenti una legenda e alcune figure umane ornamentali e allegoriche. Sebbene sia giunta a noi in uno stato di conservazione non ottimale, è comunque ancora piuttosto ben leggibile.

Si tratta della prima rappresentazione cartografica di Pisa eseguita con un certo rigore e cercando di tenere conto delle distanze e proporzioni.

2.1.2 Età basso medievale

2.1.2.1 La costruzione delle nuove mura e la divisione in quartieri

Prima di presentare le vicende legate al palazzo è necessario comprendere una significativa differenza tra l’età alto medievale e quella basso-medievale; se fino al Mille Pisa gravitò quasi esclusivamente sulla riva settentrionale dell’Arno, con la formazione della città comunale, e in particolar modo dopo la costruzione delle mura del 11554, il baricentro urbano si spostò più a Sud e i Lungarni divennero il vero cuore economico e commerciale della città.

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14 L’aspirazione delle grandi consorterie pisane di espandere il proprio prestigio nelle aree comprese nel recinto della città comunale risultò stimolante anche per la realizzazione delle opere di carattere pubblico: per esempio negli anni 1182-1183 i Gualandi, ricchi mercanti che avevano le proprie case in Kinzica, associandosi con le famiglie dei Gaetani, Lanfranchi e Lanfreducci, finanziarono la costruzione del Ponte Nuovo, e dettero vita alla nuova istituzione del Pontonaro.

Dopo la costruzione delle mura e per tutta l’età comunale la città di Pisa è stata tradizionalmente suddivisa in quattro quartieri: Mezzo, Ponte, Foriporta, Kinzica5 (fig. 6).

Ponte interessava l’area nord-occidentale della città, comprendendo una parte della città altomedievale e nuove aree incluse nella nuova cinta muraria, come quelle di Catallo (l’attuale Piazza del Duomo), di Paludozzeri e del borgo occidentale di San Vito, specializzato nell’attività cantieristica; con ogni probabilità prendeva il nome da un antico ponte sul ramo settentrionale del fiume Ozzeri.

Mezzo era la porzione centrale della città, corrispondente al nucleo principale della città altomedievale e, ad Est, la zona del Parlascio e quella alla Rivolta.

Foriporta, o Forisportam, era ubicato a Est di Ponte e a Nord dell’Arno e corrispondeva in gran parte del moderno quartiere di S. Francesco; si chiamava così perché sorgeva al di fuori delle mura altomedievali. In questa zona, fatta eccezione per la popolosa strada di Borgo e per il Lungarno, c’erano molte aree a bassa densità abitativa o addirittura non edificate e destinate a coltivazioni.

Kinzica indicava genericamente tutta l’area urbana a Sud del fiume Arno.

I tre terzieri introdotti con l’occupazione fiorentina nel XV secolo6 (fig.7) erano i seguenti:

S. Maria che prese il posto del vecchio quartiere di Ponte e incluse tutto l’abitato ad Ovest della Via di Borgo, prendendo il nome dalla Via S. Maria che fin dall’epoca comunale collegava il Lungarno alla Piazza del Duomo.

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15 S. Francesco che invece nacque dall’unione amministrativa di Foriporta con una parte del vecchio quartiere di Mezzo e incluse la zona ad Est di Borgo. Fu chiamato così a causa della presenza del grande complesso di S. Francesco e dell’omonima via. Solo più tardi, ovvero tra il XVII e il XVIII secolo, iniziò la divisione del S. Martino in due parti: la metà orientale continuò a mantenere il vecchio nome, mentre quella occidentale divenne S. Antonio. Come linea di confine fu scelta la strada chiamata Carraia San Gilio (attuale Corso Italia), che era la continuazione, a Sud del Ponte Vecchio, della via di Borgo. A partire dall’Ottocento non si parlò più di Terzieri, ma di Quartieri. Questa suddivisione è rimasta in vigore fino ad oggi, anche se ovviamente la città tra XIX e XX secolo si è espansa molto al di fuori della cerchia delle mura di età comunale. L’unità amministrativa di base erano le “cappelle”, o parrocchie, equivalenti ai “popoli” fiorentini, presso cui venivano registrati gli abitanti e le famiglie. Nel Trecento a Pisa si contavano in totale settantadue cappelle7, di cui almeno

sessantacinque all’interno delle mura, ma è probabile che il numero complessivo fosse anche maggiore, se includiamo edifici di culto di cui si è persa la memoria perché furono demoliti, sconsacrati o accorpati con altre parrocchie già alla fine del Medioevo8.

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Figura 6a: Mappa della Pisa comunale con l’indicazione dei più importanti toponimi utilizzati nel Medioevo (da E. Tolaini, Forma Pisarum, op. cit., p. 17).

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Figura 7: Nell’immagine a sinistra, lo schema dei quattro quartieri di Pisa in età comunale. A destra, lo schema dei terzieri dopo la conquista fiorentina. (Rielaborazione da M. Beretta, op.cit. p.113)

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18 2.1.2.2 Toponomastica cittadina e le attività commerciali

La rifondazione di Pisa del 1154 non alterò il centro della vita artigiana e commerciale, che rimase ancora a lungo nel vecchio nucleo altomedievale, fra la piazza delle Sette vie e il fiume. Qui, specialmente nelle cappelle di lungarno (S. Clemente, S. Martino alla Pietra, o de Arno, S. Salvatore in Porta Aurea, S. Biagio alle catene) che formavano la fascia meridionale del quartiere di Mezzo, si trovavano, oltre alle fittissime botteghe e logge aperte al pianterreno delle case-torri, le strutture principali dell’approvvigionamento alimentare cittadino e della sua distribuzione. A Ovest, presso S. Lucia dei Ricucchi, era presente Scutaria con le botteghe degli scudai, e vicino a S. Nicola Pellicceria, con le botteghe dei pellicciai; verso S. Vito erano concentrati i calafati, mentre in cappella di S. Donato, presso lo scalo omonimo, si trovava la Baratteria9.

Anche i ponti furono luoghi di attività artigiane: botteghe di guantai, di borsai, di cambiatori sono ricordate sul Ponte Vecchio, di spadai, di correggiai, di pissicarii sul Ponte Novo.

La toponomastica cittadina rispecchiava particolari concentrazioni di attività in determinate zone urbane (fig. 8); i documenti fanno spesso riferimento a queste denominazioni di strade e luoghi, oggi per la maggior parte scomparse: piazza delle Biade, chiasso dei Cuoiai, Fabbriche Maggiori, via dei Forni, via Notari, canto degli orafi, piazza del Pane, pietra del Pescio, chiasso dei Porci, Scutaria, Embolo dei Pellicciai, Taberna, Barattularia, carraia dei Bottai, via Caldularia, campo del Canapaio, via Carabottaia, via la Tinta, borgo delle Campane.

Tuttavia, proprio per i nuovi spazi che si erano offerti all’edilizia, si andò spaccando l’identità di luogo di lavoro e di luogo di abitazione propria dei tempi più antichi: l’embolo, il fondaco, la bottega, la panca, il banco, rimasero

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19 prevalentemente nel vecchio centro o in quei pressi, e l’abitazione invece, si spostò nei nuovi quartieri dove potevano esserle annessi piccoli terreni sufficienti a integrare in misura non trascurabile la mensa familiare coi prodotti dell’orto, della vigna, del frutteto, del pollaio, della conigliera.

I documenti pisani10 fino alla metà del sec. XIII, ma anche gran parte di quelli successivi, sono estremamente scarni di particolari che ci facciano intendere come fossero fatte le botteghe cui si riferiscono e se esistessero diversità strutturali connesse con quelle funzionali. Lo stesso termine “apotheca” indicava realtà diverse e non sempre era distinto dagli altri: “fundaco”, “magasseno”, “cella”. È difficile ricostruire queste realtà data la sostanziale mancanza di testimonianze iconografiche e materiali. Generalmente infatti gli elementi sui quali ci si può basare consistono nell’involucro e nella facciata, quando non siano intonacati o trasformati. Non si possiede poi alcuna traccia dell’arredo interno, e inoltre va considerato che

frequentemente questi ambienti venivano concessi in affitto e quindi potevano ospitare attività commerciali molto diverse.

Le testimonianze delle strutture conservate permettono solo di affermare che le botteghe e i magazzini occupavano l’intera pianta dell’edificio, forse divisa in due da tramezzi di legno per ricavare un retrobottega, sicuramente con un soppalco o mezzanino per stivare la merce. In facciata si apriva l’ampio accesso archivoltato nel sec. XI e nel XIII-XIV, architravato nel sec. XII-XIII, che soltanto durante le vendite restava aperto, mentre di notte veniva chiuso da portoni a più ante. Più tardi, dalla metà del sec. XIII, troviamo anche le soluzioni con due aperture in facciata: una più ampia, per la bottega, e una, più piccola, per le scale di accesso ai piani superiori o al “passetto” che conduceva alla corticella retrostante.

Oltre alle botteghe, dove l’attività commerciale aveva nettamente carattere stabile pur nella eventuale temporaneità dell’affitto, esistevano altre strutture con caratteristiche

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20 funzionali diverse. Le più stabili di queste strutture “minori” furono certamente le logge. Ne possedettero il Comune e la Cattedrale o l’Opera del Duomo, ma in particolare le famiglie più potenti, come i Gualandi, i Gaetani, i Gherardeschi, i Gambacorti, i Casa-Alberti, i Lancia, i Raù.

Esse, concentrate in prossimità dell’Arno, erano delle semplici tettoie sorrette sorrette da pali in legno o da pilastri in muratura, e non potevano essere chiuse o date in affitto ma restare aperte e disponibili per tutti.

Carattere più provvisorio avevano i banchi, cioè le pancae, sia fisse che levatoriae, i tabuli, i tauliti, e le capsectae che, insieme con le tende o i festorii, i tectarelli calatorii e non, le aste o le pertiche ingombravano, come nei mercati attuali, i lungarni specialmente dalla chiesa di S. Pietro in Vincoli a quella di S. Martino alla Pietra del pesce, e la via di Borgo perfino tra le colonne de loggiati e sotto le scale delle case.

È necessario precisare che il luogo di distribuzione del prodotto non si differenziava da quello di produzione o elaborazione dello stesso, coincidendo l’impianto artigianale con quello della vendita anche nel caso di attività che per ragioni igieniche o di sicurezza, come le concerie e i macelli da una parte e le fornaci dall’altra, richiedevano aree o spazi particolari e appartati11

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Figura 8: Distribuzione delle attività artigiane e mercantili nella città (Da E. Tolaini, La città e la storia, Pisa, 2007, p.93)

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22 2.1.3 Il quartiere di S. Maria

2.1.3.1 Introduzione al quartiere

In questa parte del Lungarno, intensamente abitata anche nei secoli altomedievali12, si concentrano torri e case-torri risalenti all’XI e XII secolo e vari edifici di grande importanza storica. Il tratto di lungofiume, che si estende per circa cinquecento metri tra l’attuale Ponte di Mezzo e il Ponte Solferino, è il Lungarno Pacinotti, mentre la porzione ad Ovest del Ponte Solferino, che arriva fino alla Cittadella, è chiamata Lungarno Ranieri Simonelli ed è lunga poco meno di quattrocento metri. Nell’ultimo tratto le costruzioni si diradano progressivamente e lasciano posto ad ampie aree verdi, in prossimità delle rovine degli Arsenali Repubblicani.

L’edificio più importante che segna il paesaggio urbano in questa zona della città è la torre De Cantone (fig. 9), più popolarmente detta “della verga d’Oro”. Trattasi di edificio

medievale sopraelevato in epoca moderna (secolo XVII) costituito da una torre a pianta rettangolare, con il lato maggiore circa doppio del minore e disposto ortogonalmente a via S. Maria13.

La torre è stata oggetto di un restauro-ripristino novecentesco con ingenti sostituzioni materiali. Segnava la posizione del Ponte Novo, costruito per iniziativa di otto famiglie pisane.

Dirimpetto alla torre, sorge il Palazzo delle Vedove, la cui descrizione sarà trattata più avanti.

Via S. Maria, considerata il limite occidentale della città altomedievale, divenne con il Ponte Novo, una strada interessata da sviluppo edilizio nei secoli XIII e XIV, la più grande della città. Gran parte degli edifici fu però trasformata dopo la caduta di Pisa sotto il dominio della Repubblica Fiorentina, e ancor più nel periodo granducale così che oggi rimangono pochi, ma pur significativi, segni dell’assetto edilizio medievale.

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23 Figura 9: La torre de Cantone, nota come “della Verga d’Oro”

2.1.3.2 Gli edifici principali

Tra il Duecento e il Cinquecento l’intera zona di Piazza S. Nicola apparteneva alla nobile famiglia dei Gaetani, che si era stabilita a Pisa nel X secolo. La loro residenza principale era vicina a Via S. Maria e sul lato opposto della piazza possedevano alcune case-torri di servizio, di minore prestigio, che forse erano già state accorpate in una domus su quattro piani nel Trecento14.

Nel 1580 il Granduca Francesco I acquistò tutti i fabbricati sul lato Ovest di Piazza S. Nicola con l’intento di costruire un nuovo Palazzo Ducale e i Gaetani si trasferirono nella nuova residenza (fig. 10), ristrutturandola in stile rinascimentale e probabilmente ampliandola. Il ramo pisano della famiglia si estinse nel 1823 con Alessandro, ultimo discendente, e il palazzo fu ereditato dai Frugoni, che dopo pochi anni misero all’asta l’immobile acquistato dal banchiere Luigi Frassi.

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24 Figura 10: Il Palazzo Gaetani visto da Piazza Carrara

L’area corrispondente attualmente al Palazzo Reale (fig. 11) è sicuramente una di quelle ad aver subito maggiori cambiamenti nel corso del tempo.

In età altomedievale e fino alla prima metà del XII secolo qui insisteva l’angolo di sud-ovest della cinta muraria, che doveva

seguire, almeno approssimativamente, il tracciato di Via S.Maria. Le fonti, identificano il luogo con la Curia

Marchionis15 e ricordano l’esistenza di un Palatium (fig. 12)

localizzato nei pressi della Chiesa di S. Nicola; la costruzione di questo edificio pubblico potrebbe essere avvenuta al tempo di Ugo di Toscana, che negli ultimi due-tre decenni del X secolo abitò a Pisa per lunghi periodi. Intorno al Mille un Palatium sede del rappresentante imperiale esisteva in molte altre città del regno italico (Lucca, Milano, Ravenna, Roma, Verona) ed in genere era situato al di fuori dell’abitato ma molto vicino alle mura; quindi il caso di Pisa non sarebbe atipico o isolato. I marchesi di Toscana (Goffredo il Barbuto, Beatrice di Canossa) continuarono ad utilizzare il palazzo per gran parte dell’XI secolo, ma il progressivo emergere di nuovi equilibri di potere e la graduale affermazione delle istituzioni comunali resero sempre più sporadica la loro presenza in città. Dovendo indicare un termine post quem il palazzo cessò di essere utilizzato, potremmo indicare il 1077; infatti in quell’anno Matilde di

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25 Canossa presiedette alcuni placiti nella propria curtis di Pappiana, senza recarsi a Pisa.

Per alcuni decenni il toponimo Curia Marchionis rimase vivo nella memoria cittadina; tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo le prime assemblee presiedute dai consoli si tennero proprio in questa area, forse anche per dare un senso di continuità e legittimazione alle nuove istituzioni. Soltanto nel 1126 il sito fu indicato per la prima volta semplicemente come

Curia Pisana, perdendo ogni legame con il passato; ma ormai il

baricentro del potere si era spostato più a Nord e dentro le mura, nell’area di Cortevecchia, sede della Chiesa “civica” di S. Sisto, consacrata nel 1133 ed utilizzata per tutto il XII secolo come luogo di riunione.

Alcuni decenni più tardi gran parte dell’area precedentemente occupata dal Palatium era ormai suddivisa tra il vicino monastero di S. Nicola e le abitazioni di proprietà delle famiglie Dodi e Gaetani: come già detto nel 1182 questi ultimi, insieme ai Gualandi, che abitavano sulla riva opposta dell’Arno, furono

coinvolti nella costruzione del nuovo ponte che per oltre due secoli avrebbe collegato Via S.Maria con Kinzica. Nonostante le molte opposizioni e difficoltà il manufatto fu edificato e contribuì a segnare l’evoluzione dell’area nel Duecento e nel Trecento.

Gli edifici a Nord del Ponte Nuovo16, comprendevano la chiesa di S. Donato, con la facciata rivolta verso il Lungarno e demolita alla fine del XVI secolo17, logge di proprietà dei Gaetani e la torre, chiamata Turris Dodorum et Gaitanorum o “De Cantone”.

chiamata Turris Dodorum et Gaitanorum o “De Cantone”. La già citata torre della Verga d’Oro risale alla seconda metà del XII secolo ed ha una pianta rettangolare e una struttura portante in pietra verrucana (fig. 13).

Sul lato più lungo, quello di Via S. Nicola, sono visibili tre pilastri raccordati alla sommità da due grandi archi ogivali. Sul lato più breve, quello di Via S. Maria, i pilastri sono due e sorreggono un unico arco.

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27 Figura 12: Toponimi utilizzati per l’identificazione del territorio della

città tardo antica e medioevale, con individuazione del Palatium (Da E. Tolaini, La città e la storia, Pisa, 2007, p.42)

Figura 13: Scorcio sulla torre della Verga d’Oro e cavalcavia di collegamento tra Palazzo Reale e S. Nicola visto da Piazza Carrara

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28 La torre si elevava per almeno cinque solai e in origine era circondata da sporti lignei aggettanti, come si può intuire dalla presenza di buche pontaie, ma nel Trecento i ballatoi furono eliminati; tutte le aperture tra i pilastri furono tamponate da murature in laterizio nelle quali si aprivano delle finestre polifore. L’ultimo piano probabilmente era occupato da una loggia e aveva un tetto spiovente, forse coperto da lastroni di ardesia18.

L’area mantenne un aspetto medievale per quasi tutto il XV e il XVI secolo e la famiglia Gaetani rimase proprietaria della maggior parte degli edifici affacciati su Piazza S. Nicola.

La svolta si ebbe intorno al 1580, quando il Granduca Francesco I dei Medici scelse questo luogo come sede del nuovo Palazzo Ducale e iniziò ad acquistare tutti i fabbricati sul lato occidentale della Piazza; il progetto fu affidato al celebre architetto Bernardo Buontalenti.

Gli abbattimenti iniziarono nel 1584 e inclusero alcune case precedentemente appartenute ai Gaetani, che comunque

all’epoca dovevano essere piuttosto degradate19

, la Chiesa di San Donato e diverse botteghe; anche una piccola strada, chiamata “Chiassatello dei Cuoiai” fu chiusa e scomparve. L’unica struttura preesistente superstite fu appunto la torre “de Cantone”, che fu rialzata all’altezza di circa 12 metri, dotata di un nuovo tetto e poi inglobata nel nuovo complesso mediceo, andando a formarne l’angolo di Nord-Ovest. I lavori terminarono nel 1588 e cancellarono per sempre una parte del volto medievale di Pisa.

La prima menzione ufficiale della Chiesa di S. Nicola (fig. 14) e dell’annesso convento risale all’anno 109720; all’epoca il

complesso includeva anche un ospedale e si trovava nei pressi dell’angolo di Sud-Ovest delle mura altomedievali. La parte inferiore della facciata, realizzata nel XII secolo in stile romanico e coeva alla vicina torre “De Cantone”, è ancora rivestita da marmi di due colori e presenta cinque arcate cieche, decorate con tarsie marmoree, capitelli lavorati e le tipiche losanghe utilizzate in molti edifici di culto del periodo. Il motivo

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29 a fasce bicrome è ben visibile anche sul lato Est della chiesa, rivolto verso Piazza Carrara. Invece la parte superiore della facciata (fig. 15), costruita in laterizio e caratterizzata dalla presenza un grande rosone è più recente (tardo-medievale o forse cinquecentesca).

Nel 1297 la chiesa di S. Nicola divenne proprietà degli Eremitani di S. Agostino che nel 1313 la fecero restaurare ed ampliare nella parte absidale, forse con la supervisione di Giovanni Pisano.

Nel 1584 il Granduca Francesco I scelse la Chiesa come edificio di culto del nuovo Palazzo Ducale e fece collegare la propria residenza a S. Nicola tramite un cavalcavia sospeso sopra l’omonima via. In questo modo la famiglia granducale poteva assistere alle funzioni religiose senza essere costretta a scendere per strada e correre rischi. Ulteriori ristrutturazioni e rinnovamenti furono intrapresi nella prima metà del Seicento, quando vennero riparati i danni provocati da un esteso incendio e furono aggiunte otto cappelle laterali in pietra e marmo.

Il campanile, che presenta una inclinazione simile a quella della Torre Pendente, è a pianta ottagonale ed è decorato su ogni lato da arcate cieche e losanghe ornamentali; la base è interrata di circa 150 centimetri rispetto al piano stradale attuale e nella parte più alta si trovano un loggiato ed una cella campanaria esagonale, sormontata da una cuspide piramidale. Sulla datazione e attribuzione dell’opera permangono dei dubbi; si ritiene che sia stato edificato intorno al 1170 e che vi abbia lavorato Diotisalvi, l’architetto del Battistero del Duomo di Pisa. Invece secondo quanto scrisse il Vasari venne costruito, verso 1250 circa, su progetto di Nicola Pisano21. In realtà le due tradizioni non sono inconciliabili: verosimilmente il campanile fu realizzato in diverse fasi di costruzione, separate da alcuni decenni; più chiaro nel corpo inferiore e pietra panchina livornese più scura per la cella campanaria.

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30 Figura 14: Ricostruzione del possibile aspetto medievale della Chiesa di

S. Nicola di Rohault de Fleury, in “Beretta M., op.cit. p. 154)

Figura 15: Facciata della Chiesa di S. Nicola

questa ipotesi potrebbe essere confermata dall’impiego di materiali differenti per le varie parti: pietra verrucana di colore

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31 Altro elemento degno di nota, ma non visibile dall’esterno, è la scala a chiocciola, collegata alla muratura del campanile stesso tramite una galleria elicoidale di archi rampanti, sorretti da piccole colonne. Questa soluzione è altrettanto efficace dal punto di vista statico, ma completamente diversa da quella impiegata nel campanile del Duomo, dove la scala è inserita all’interno del massiccio involucro murario.

I Leoli (o Legoli) furono un’antica famiglia nobile di Pisa, forse originaria del borgo di Legoli, vicino a S. Miniato. Le prime notizie su di loro risalgono alla fine del Duecento e nel corso dei secoli numerosi membri della casata ricoprirono le cariche di Anziano o Priore.

Dal punto di vista architettonico l’attuale palazzo22

che fu la dimora di Leoli, ubicato sull’angolo di Sud Est dell’isolato terminale di Via S. Maria (fig. 16), conserva poche tracce dell’aspetto medievale, tra cui spiccano alcuni affioramenti di pilastri in pietra, forse appartenenti alle case della famiglia Galli, a cui inizialmente apparteneva.

(32)

32 I Battaglia erano membri della piccola nobiltà provenienti da S. Giovanni alla Vena e acquisirono la cittadinanza pisana relativamente tardi, nel 1493, stabilendosi sul Lungarno. Il palazzo attuale23 ha una facciata seicentesca interpretata in chiave manieristica: racchiusa da cantonali bugnati, essa è caratterizzata al piano terra da finestre inginocchiate e dal portale, tutti con timpani spezzati e con incorniciature a bugnato, mentre le finestre ai due piani superiori hanno le incorniciature semplici; all’ultimo piano si riconoscono le tracce di una loggia balaustrata che fu in un secondo tempo tamponata e chiusa, allo scopo di ricavare ulteriore spazio abitativo (fig. 17). L’edificio subì alcuni danni nella Seconda Guerra Mondiale, ma i restauri successivi permisero la messa in luce delle strutture appartenenti alle preesistenti case-torri medievali.

(33)

33 2.1.3.3 La vicenda del Ponte Nuovo

Escludendo il XX secolo, il tardo Medioevo è stato il periodo della storia di Pisa in cui la città ha avuto il maggior numero di ponti contemporaneamente in funzione; tra la seconda metà del Trecento e l’inizio del Quattrocento l’Arno poteva essere attraversato in ben quattro punti diversi e il traffico doveva essere piuttosto intenso, soprattutto sulle due strutture regolarmente aperte al traffico civile (il Ponte Vecchio ed il Ponte Nuovo). Il ruolo esercitato dai ponti come luoghi di incontro e di aggregazione sociale era accresciuto dalla presenza di botteghe, che offrivano ai passanti merci e servizi di vario genere, e di luoghi di culto (cappelle con annesse foresterie o ricoveri per viandanti) in cui pregare o trovare ospitalità. Non bisogna poi dimenticare il valore economico di queste infrastrutture: sia che fossero state costruite con denaro pubblico, sia che avessero beneficiato di finanziamenti privati, rappresentavano un investimento di durata decennale o

addirittura secolare, sempre che resistessero a piene, guerre ed altre calamità. Chi voleva attraversare un ponte doveva pagare un pedaggio e la maggior parte del denaro raccolto confluiva in un fondo per la manutenzione e riparazione del manufatto. Nel 118224 un gruppo di nobili famiglie guidate dai Gualandi e dai loro più fedeli alleati (Dodi e Gaetani) si mise in società per costruire un nuovo ponte, che sarebbe dovuto sorgere nei pressi delle loro abitazioni, all’altezza delle attuali Via S. Maria e Via S. Antonio (fig. 18). Nonostante l’Arcivescovo e il Capitolo dei Canonici della Cattedrale avessero espresso un parere nettamente favorevole, la notizia della costruzione di questa importante opera pubblica fu accolta con ostilità e preoccupazione dalle famiglie rivali dei Gualandi; il dissenso degenerò in aperti scontri e violenze, che segnarono la vita politica cittadina per almeno un decennio25.

(34)

34 Figura 18: I ruderi del Ponte Nuovo nella Pianta di Pisa di Giuliano da Sangallo (Da E. Tolaini, I Ponti di Pisa, ETS Editore, Pisa, 2007)

Finalmente, intorno al 1220 il ponte fu completato ed entro il decennio successivo fu dotato di una cappella, il primo nucleo della chiesa della Spina, ma agli inizi del secolo successivo era già pericolante e bisognoso di manutenzione. Nell’anno 1307 il Capitano del Popolo impose ai proprietari del ponte (il consorzio di famiglie) di restaurarlo e renderlo più sicuro, pena il sequestro del manufatto e l’affidamento della gestione al Comune.

Nel 1323 il ponte fu quasi completamente distrutto: non da una piena dell’Arno, ma da un incendio che bruciò tutte le parti in legno; venne quasi immediatamente ricostruito ed ampliato, ma nel 1331, durante una rivolta contro Tarlato Tarlati, originario di Arezzo, il vicario dell’imperatore Ludovico il Bavaro fu nuovamente dato alle fiamme dai cittadini. Nel 1355 invece subì gravi danni in quanto teatro di una battaglia tra i soldati di Carlo IV ed i sostenitori di Andrea Gambacorti, che alla fine ebbero la peggio; i Gualandi e i Gaetani lo restaurarono per l’ultima volta nel decennio successivo, ma al ripresentarsi di segni di degrado

(35)

35 (nel 1382) decisero di cedere la struttura al Comune; i costi delle troppo frequenti riparazioni avevano di gran lunga superato i ricavi provenienti dal pedaggio.

Il ponte cessò di esistere all’inizio del XV secolo, entro l’anno 1419; in tale data Masseo di Colo del Verde, operarius (responsabile dell’edificio e della sua amministrazione) dell’oratorio di San Ranieri, si riferiva alla cappella di sua competenza definendola in pede olim pontis novi civitatis

Pisarum, ovvero nei pressi di quello che “una volta era il ponte

nuovo”. Le fonti dell’epoca non parlano dell’infausto evento, ma è del tutto credibile l’ipotesi formulata dal Tolaini26

, che attribuisce alla piena del 1418, citata nelle Croniche di Giovanni Sercambi, la responsabilità del crollo. I resti dei piloni comunque erano ancora ben visibili all’inizio del Cinquecento, si può vedere nella carta di Pisa attribuita a Giuliano da Sangallo.

(36)

36 Note

1

F. Redi, Pisa com’era, archeologia, urbanistica e strutture materiali (secoli

2

E. Tolaini, Forma Pisarum, Pisa, 1992, pp. 6-52 e F. Redi, op. cit., p.31

3

M. Beretta, L’area dei Lungarni di Pisa nel tardo Medioevo (XIV-XV

secolo). Un tentativo di ricostruzione in 3d, Alma Mater Studiorum

Università di Bologna, Tesi di Dottorato in Storia e Informatica, Bologna, 2012, p.22

4

M. Beretta, op. cit., p. 107

5

E. Tolaini, Forma Pisarum, Pisa, 1992, pp. 16-24

6

M. Beretta, op. cit., p.108

7

E. Cristiani, Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa, Istituto Italiano degli Studi Storici, Napoli, 1962, pp.490-495 appendice X

8

M. Beretta, op. cit.,, p.108

9

E. Tolaini, La città e la storia, Pisa, 2007, p. 93

10

F. Redi, Le strutture produttive e di distribuzione nell’edilizia e nel tessuto

urbano di Pisa medievale: fonti documentarie, iconografiche, materiali,

Bologna, 1986, p. 647

11

F. Redi, Le strutture produttive e di distribuzione nell’edilizia e nel tessuto

urbano di Pisa medievale: fonti documentarie, iconografiche, materiali,

Bologna 1986, p.650

12

M. Beretta, op. cit, p.133

13

Ciuti R., Lunatici S., Itinerari Medioevali: le Casetorri di Pisa, San Giuliano Terme, 2006, pp.55-56

14

A. Panajia, A. Melis, I Palazzi di Pisa nel manoscritto di Girolamo Camici

Roncioni, Pisa, 2004, pp. 15-16 15

E. Tolaini, Le città nella storia d’Italia. Pisa, Bari, 1992, pp. 28-29

16

G. Ciccone, Il ponte nuovo e la zona circostante nel XIV secolo, in

Antichità Pisane, 2, 1974, Pisa, pp. 17-20 17

E. Tolaini, Forma Pisarum, Pisa, 1992, p.66

18

R. Ciuti, Pisa. Case Torri – CD Guide 9, Pisa, 1992, p. 114.

19

M.T. Lazzarini, R. Lorenzi, La sede della corte in “AA. VV., Livorno e

Pisa, Due città e un territorio nella politica dei medici”, Pisa, 1980, pp.

244-249

20

Paliaga F., Renzoni F., Le chiese di Pisa, Pisa, 1999, pp. 129-130

21

M. Beretta, op. cit., p. 154

22

A. Panajia, A. Melis, I Palazzi di Pisa nel manoscritto di Girolamo Camici

Roncioni, Pisa, 2004, pp. 280-281 23

A. Panajia, A. Melis, op.cit., p. 10

24

E. Tolaini, I Ponti di Pisa, ETS Editore, Pisa, 2007, p.36

25

M. Beretta, op. cit., p. 206

26

(37)
(38)

38 2.2 La Domus Bocci

2.2.1 Un’origine incerta e le ipotesi

2.2.2 Ricostruzione storica e delle fasi evolutive 2.2.2.1 Individuazione della proprietà e confini 2.2.2.2 Conformazione tipologica

(39)

39 2.2 LA DOMUS BOCCI

2.2.1 Un’origine incerta e le ipotesi

Il Palazzo delle Vedove fu realizzato in epoca medioevale anche se, allo stato attuale delle ricerche, è impossibile stabilire con esattezza la data di costruzione. La fase medievale è sicuramente quella più complessa da ricostruire a causa della mancanza del materiale iconografico dell’epoca.

A livello tipologico si tratta di una costruzione unitaria e non di un accorpamento di case torri da cui furono ricavati i grandi palazzi tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII27 e sembra databile, in base alle strutture in pietra culminanti in archi ogivali, alla fine del XII inizi del XIII secolo28.

L’analisi del rapporto che intercorre tra la tipologia dell’edificio e la morfologia del tessuto urbano in cui è inserito, malgrado le successive trasformazioni, consente ancora la lettura

dell’impianto urbanistico medioevale caratterizzato essenzialmente da un fitto tessuto viario, costituito da stretti vicoli e frammentato da slarghi. Questo tessuto, che caratterizzava la Pisa medievale, è stato modificato dagli interventi medicei effettuati, per lo più, per accorpamento di costruzioni medievali a partire dalla seconda metà del XVI secolo.

L’edificio, il cui piano di posa originale era situato a 150 cm al di sotto dell’attuale piano stradale, si presentava quindi isolato rispetto agli edifici circostanti. Si tratta di un’imponenza non risolta in meri termini volumetrici, ma scaturita da una precisa scelta formale, architettonica e tecnica, come testimonia l’uso dei materiali (duro verrucano per la struttura resistente e calcare bianco di S. Giuliano per gli elementi scultorei delle grandi quadrifore al primo piano) e l’allineamento dell’asse di simmetria e di percorrenza dell’edificio con quello di via S. Maria, che ne esalta la qualità di struttura aperta e quindi pubblica, quale era appunto in origine il Palazzo29.

(40)

40 Per avere una conoscenza approfondita del palazzo è indispensabile stabilire con sufficiente precisione quale sia l’impianto originario dell’edificio e la sua successiva evoluzione con le modifiche apportate nel corso dei secoli alla struttura. Si cercherà quindi di ricostruire in primo luogo i confini del palazzo e degli edifici vicini ad esso avvalendosi di documenti di archivio e rilievi grafici in possesso, oltre che di alcuni lavori proposti da studiosi in passato.

Il primo passo necessario per la ricostruzione della storia dell’attuale Palazzo delle Vedove è quello di cercare di stabilirne una datazione il più possibile corretta. Per questo sono state vagliate alcune ipotesi proposte da diversi studiosi che hanno cercato di individuare quale fosse la domus di appartenenza dell’edificio e l’epoca di sua costruzione.

Il Ciccone ha fatto l’ipotesi che in questo luogo sorgesse la casa dei Galli, una delle famiglie nobili pisane che contribuì con i

Gualandi e la consorteria dei Gaetani Dodi e Gusmari alla costruzione del Ponte Nuovo30.

Dal documento del 1382 con il quale la consorteria dei Gaetani, le famiglie dei Gualandi e dei Galli31 cedettero la proprietà del Ponte Nuovo al Comune di Pisa, si ottiene lo schema topografico riprodotto nella figura (fig. 19).

Una loggia dei Gaetani è collocabile in stretto rapporto col nucleo principale delle case dei Gaetani, tra la via di S. Nicola e il Lungarno, probabilmente dal lato di via S. Maria32 e fu detta Loggia Vecchia, in contrapposizione a una Loggia Nuova dei Gaetani, all’angolo nord-est del Ponte Novo33

.

Una loggia dei Gualandi era posta all’angolo sud-est del Ponte Novo; un’altra, detta “la Lanfreduccia” probabilmente di spettanza dell’omonima famiglia, era sulla riva nord dell’Arno, separata dalla Loggia Nuova dei Gaetani da un pozzo, ed un’altra ancora, non si sa a chi appartenente, era sempre dallo

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41 stesso lato, separata dalla loggia dei Lanfreducci dallo Scorticatoio34.

In questa zona vi erano due scale per scendere al fiume, una a sud, attaccata alla loggia dei Gualandi ed una a nord, detta “Scale di S. Donato”, attaccata alla loggia prima menzionata, di cui non conosciamo i proprietari.

Sul ponte vi erano due botteghe, una dal lato est attaccata alla loggia dei Gualandi ed una all’angolo nord-ovest. In questo angolo vi era la casa dei Falcone con annessa loggia e banco, nel luogo che dal 1420 in poi sarà occupato dall’oratorio di S. Ranieri e della Vergine35; di seguito alla casa dei Falcone vi erano due case, ciascuna con la sua loggia.

Dove la via S. Maria sboccava sul Lungarno vi era una piazza, detta appunto del Ponte Novo. Fra la via di S. Nicola ed il Lungarno vi era un complesso edilizio, non ben definibile, costituito principalmente dalle abitazioni dei Gateani36 e dalla chiesa di S. Donato. In questo complesso si devono collocare la

già nominata Loggia Vecchia dei Gaetani, varie torri di questa famiglia, tra le quali la Turris Dodorum et Gaitanorum che era posta in capite Pontis Novi37 e che probabilmente è da identificarsi con la turris Dodorum de Cantone38 in seguito detta Vergadoro39, e la torre detta Gaddubbi edificata da Gerardo Gaddubo e suo fratello Marzucco Bellacera attorno alla seconda metà del secolo XIII40, la torre detta Ciabrea41, le tabernae

Gaitanorum et Dodorum42 e il banco di Filippo Sciarra Gaitani, che dava sul Lungarno. Questo complesso edilizio era tagliato da almeno un vicolo, ad andamento parallelo alla via Santa Maria, detto chiassatello dei Cuoiai. Tutto questo complesso nel sedicesimo secolo fu incorporato nel nuovo palazzo granducale43. A quell’epoca, però, solo una piccolissima porzione del suddetto complesso edilizio era rimasta ai Gaetani, come possiamo dedurre dagli atti di acquisto da parte del granduca: probabilmente, per la decadenza politica ed economica della famiglia, si erano verificate numerose vendite negli anni precedenti.

(42)

42

Figura 19: Il Ponte Novo e la zona cicostante nel XIV secolo (Da Ciccone G., Il ponte nuovo e la zona circostante nel XIV secolo, in Antichità

Pisane, 2, Pacini Editore, 1974, Pisa, p.18)

Legenda:

1) Turris Dodorum et Gaitanorum 11) Loggia

2) Loggia Vecchia dei Gaetani 12) Casa affittata da Nella pizzicaria

3) Torre Ciabrea 13) Loggia affittata da Nella

pizzicaria

4) Campanile di S. Nicola 14) Loggia Nuova dei Gaetani

5) Ingrandimento di S. Nicola 15) Loggia la Lanfreduccia

6) Altra torre dei Dodi e Gaetani 16) Scorticatoio

7) Case dei Gaetani 17) Bottega del Ponte Novo

8) Casa dei Falcone 18) Bottega del Ponte Novo

9) Loggia e banco dei Falcone 19) Loggia dei Gualandi

10) Casa

Un altro nucleo di abitazione dei membri della famiglia Gaetani, attestato fin dal 121844 era nei pressi della chiesa di S. Giorgio. Tuttora esiste nel lato est della piazza Carrara, antica Platea SS.

Nicolai et Donati, un edificio sulla cui facciata è murato lo

stemma dei Gaetani.

Un’altra ipotesi45

è quella che l’attuale Palazzo delle Vedove possa essere stato voluto dai Consoli nel 1161 quando

(43)

43 ordinarono la costruzione di una “magnam domum pro comuni

utilitate, habet caput in Arno iuxta via S. Marie46”, anche se il

Tolaini è incline ad identificarla con il Palazzo delle Vele47 ubicato in Lungarno sull’angolo orientale dell’attuale via Roma ed adibito nel XII e XII secolo alla fabbricazione e conservazione delle vele.

2.2.2 Ricostruzione storica e delle fasi evolutive

2.2.2.1 Individuazione della proprietà e confini

L’ipotesi più probabile e maggiormente confortata da fonti documentarie sembra essere quella proposta da Fanucci Lovitch nell’articolo “Da uno stemma a un palazzo” che attribuisce l’edificio in esame alla domus della famiglia Bocci48

. Per la datazione si farà riferimento invece a quella proposta da Fabio Redi, a seguito di un’attenta analisi tipologica, meglio descritta successivamente.

I Bocci sono membri di una famiglia pisana che negli ultimi del XIII secolo si legano per via di interessi ai Gualandi divenendone “consorti49”.

I Bocci (Guidone e Gerardo) vengono citati per la prima volta a fianco dei Gualandi Cortevecchia in un documento del 9 febbraio 1236, a proposito di una causa riguardante il patronato sulla chiesa dei SS. Cosma e Damiano50. Essi appartengono al ceto privilegiato di Pisa. Nel corso del XII secolo sono testimoni ad atti importanti, proprietari di vasti possedimenti nella Valle del Serchio commercianti nell’isola di Sardegna con particolari interessi in Arborea, dove avevano prestato denaro non soltanto al re Barisone, ma anche al vescovo di S. Giusta, una diocesi del giudicato arborense.

Il ruolo che rivestono in Pisa, non è certo minore considerando che Gerardo e Guidone rappresentano la “Domus Gualandi” nel giuramento del 1237. Il fatto è molto importante e dimostra che non più soltanto interessi economici legano i Bocci ai Gualandi,

(44)

44 ma un impegno di solidarietà politica segna il loro ingresso nella

domus. Tale impegno dura finché vivono questi due personaggi

che sono i soli per i quali questa qualifica si ripeta più volte anche in occasioni diverse.

Nel 1256 Guido è con Lanfranchino Bocci fra i consiglieri del Comune chiamati ad approvare gli accordi di pace con Firenze. In città i Bocci dividono il patronato sulla chiesa dei SS. Cosimo e Damiano e sul Ponte Nuovo con i Cortevecchia.

Le loro case sono situate in Pellaria, Porta Maria, nei pressi della chiesa di S. Nicola e in SS. Cosma e Damiano51.

Il documento più attendibile, dal quale inizia la ricostruzione, è la pianta proposta dalla stessa Fanucci Lovitch dell’area antistante il Ponte Novo, in corrispondenza della cappella di S. Nicola; l’articolo ricostruisce la storia del Palazzo Tobler su Lungarno e dell’area circostante: “in città la cappella di San Niccola, come più volte si è ricordato, era subito a Nord dell’Arno, dal lato Nord del Ponte Novo, sul quale i diritti dei

Gualandi risultano fino dal 1183, ed era quindi esattamente dirimpetto alla cappella di San Cosimo e Damiano, che si trovava dal lato Sud del Ponte; si spiega dunque la residenza di un ramo dei Gualandi, appunto i Bocci, nella cappella di San Niccola52”.

“I Bocci infatti erano dei patroni del Ponte Nuovo, credo perché stati dei fondatori di esso. Nel 2 ottobre 1258, concorsero alla nomina del nuovo pontonajo, e agli altri atti che si fecero a tale occorrenza, per loro stessi e per gli altri di loro casa Boccio giurisperito, figlio di Boccio; Lanfranchino e Ildebrandino, di Enrico53”.

La pianta presente nell’articolo si basa su documenti trecenteschi conservati nell’Archivio di Stato di Pisa che permettono di presentare una rudimentale schematizzazione dell’area (fig. 20).

Numerose sono le proprietà della famiglia Bocci; l’influenza della famiglia in questa zona è confermata “dall’esistenza di un

(45)

45 chiassatello dei Bocci che, nel 1306, costituiva uno dei confini di un pezzo di terra posto nella cappella di S. Lucia dei Ricucchi, ad ovest e contigua a quella di S. Niccola. Inoltre, nel 1353, Enrico Bocci concedeva in locazione ad uno scudaio della cappella di S. Lucia, un pezzo di terra con una casa, situato precisamente presso il chiasso pubblico chiamato de portichu Bocciorium. Poiché il pezzo di terra concesso in locazione dal Bocci era posto in cappella S. Niccola e confinava con la casa dello scudaio, posta invece in cappella di S. Lucia, si deduce che il portico dei Bocci doveva trovarsi a confine delle due cappelle

54”.

La presenza di botteghe di spadai55 è documentate sul lungarno nord presso il Ponte Vecchio e sul Ponte Nuovo, ma anche nella piazza delle Sette Vie (oggi dei Cavalieri) vicino ai palazzi del Capitano del Popolo e degli Anziani, e nel Borgo dove un certo Bencivenne del fu Iacopo, della Cappella di S. Cecilia e di professione spadaio, nel 1284 aveva tenuto in affitto una bottega. È evidente, almeno in questo caso, ma non soltanto, la

separazione esistente fra abitazione e officina-bottega. Gli altri spadai che, chiesero al comune l’autorizzazione a tenere in strada i cavalletti su cui forbivano le spade poiché le loro botteghe erano troppo anguste per farlo all’interno, non dovevano risiedere nel luogo in cui esercitavano la loro arte.

Un rione urbano situato fra le chiese di S. Nicola e di S. Lucia dei Ricucchi, l’attuale via Trento e il Lungarno, si chiamava almeno dal 1204 Scutaria per la presenza di numerose botteghe e case di scudai, ancora oggi in parte conservate. Esse presentano la stessa struttura di quelle dei pellicciai e di altri artigiani, sono realizzate su un terreno di proprietà di importanti famiglie o di enti ecclesiastici e in stretta connessione con le loro “domus”, spesso senza soluzione di continuità nell’intero tessuto urbano, come qui in Scutaria dove, di seguito a torri o a “domus” signorili, si trovano numerosi “edificia” allineati lungo il chiasso “de Pelleria” trasversale alla via “de Scutaria” (attuale via Trento) che secondo il sistema delle “superficies domo rum”, erano di proprietà di chi vi risiedeva e lavorava, ma su un

(46)
(47)

47 Figura 20: Isolato comprendente le cappelle di S. Lucia e S. Nicola con l’indicazione degli edifici e terreni appartenenti alle famiglie Bocci e Galli, secondo documenti trecenteschi (Da E. Fanucci Lovitch, Da uno

stemma alla storia di un palazzo in “Bollettino Storico Pisano del 1986”,

1986, Pacini Editore, Pisa, p.128)

Legenda:

A – Case dette dei Galli, in cappella di S. Niccola, “in capo al Ponte Novo, poste tutte su di un unico pezzo di terra, confinante per un capo in Arno, via

pubblica mediante; altro capo in terra e torre eredi Lanfranchino Bocci; un lato in via pubblica di S. Maria; l’altro lato in terra e “pedali” della torre del

fu Ciolo Bocci e consorti.

B,C – I suddetti Bocci, confinanti con le case dei Galli.

D . Terra e case appartenente per 2 carati a Lagia Bellomi-Bocci, confinante per un capo in via pubblica detta Scudaria; altro capo in terra e “pedali” eredi di Ciolo Bocci; un lato in un chiasso pubblico; l’altro lato con terra e torre

eredi Lanfranchino Bocci (ASP, Ospedale, n. 25, c. 48v-50r) E – Chiasso pubblico

F – Torre di Simone Trincalosso Bocci G – Casa retrostante detta torre

H – Chiasso pubblico

I-N – Torre, case e chiostro di Colo del fu Enrico Bocci O – Ospedale di S. Salvatore, detto dei Marinai

(48)

48 terreno di proprietà prevalentemente dei Bocci, residenti qui vicino sul lungarno.

Sull’angolo dell’isolato confinante con Lungarno sono collocate le Case dette dei Galli, in cappella di S. Niccola, in capo al Ponte Novo, poste tutte su di un unico pezzo di terra, confinante per un lato con l’Arno, via pubblica mediante; altro lato con terra e torre degli eredi Lanfranchino Bocci, area sulla quale si può collocare il nucleo originario della Casa delle Vedove; un lato in via pubblica di S. Maria; l’altro lato in terra e pedali della torre del fu Ciolo Bocci e consorti. A Est dell’attuale Palazzo delle Vedove, sono indicati terra e case appartenenti per 2 carati a Lagia Bellomi-Bocci, confinante per un lato in via pubblica detta Scudaria; e dall’altro con un chiasso pubblico, non più esistente; altro capo in terra e pedali eredi di Ciolo Bocci. A riprova dell’importanza che riveste la famiglia Bocci su questa zona sono individuate con la lettera F la torre di Simone Trincalosso Bocci (nell’atto viene definita “torre” piuttosto che “casa solariata a più piani56”) e con la G la casa

retrostante. Le lettere I-N corrispondono alla Torre, case e chiostro di Colo del fu Enrico Bocci.

La lettera H indica il chiasso pubblico tuttora esistente e la O l’Ospedale di S. Salvatore, detto dei Marinai57

.

La descrizione può essere integrata con quella fornita dal Ciccone a riguardo del Ponte Nuovo e della zona circostante nel XIV secolo, già presentata precedentemente, che diverge in parte per quanto concerne la proprietà dell’isolato di nostra competenza: non è chiaro infatti se questa venga attribuita interamente alla Domus dei Galli o meno.

Per cercare di individuare in maniera più precisa i limiti della proprietà Bocci si sono operati alcuni confronti tra le planimetrie in possesso. In particolare si propone una sovrapposizione della già citata mappa fornita dalla Fanucci Lovitch, con quella del quartiere tratta dal Cessato Catasto (fig. 21).

(49)

49 Figura 21: Planimetria del quartiere tratta dal Cessato Catasto adattata alla pianta del Bollettino Pisano. I confini della Domus Bocci sono ben definibili e trovano riscontro nella conformazione attuale del Palazzo. (Rielaborazione dell’autore)

Figura 22: Dal prospetto su Via Santa Maria è ben riconoscibile il confine tra le due unità: le finestre si trovano a quote differenti e i lavori di restauro degli anni ’80 hanno riportato alla luce l’antica struttura in verrucano.

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50 Dal confronto della mappa catastale ottocentesca tratta dal Cessato Catasto con la planimetria dello stato di fatto attuale, si evince che la proprietà Bocci, è individuabile presso la via S. Maria dalla via Trento fino alla seconda finestra a sud dopo il cavalcavia (fig. 22). Dunque il limite sud del Palazzo così definito trova corrispondenza anche nelle differenti quote della teoria delle finestre sul prospetto prospiciente la via S. Maria: più bassa nella zona sud della struttura e più alta in quella nella parte nord.

La situazione sembra essere meno chiara per quanto riguarda il lato su via Trento (fig. 23): l’attuale prospetto mostra una netta distinzione dei fabbricati: quello d’angolo, con il paramento lapideo in vista – evidenziato dai recenti restauri – e quello intonacato posto accanto. Tuttavia questo confine non coincide con quello della proprietà Bocci e sembra non trovare riscontro nemmeno nelle successive piante del periodo leopoldino (fig. 24).

(51)

51 Si ritornerà successivamente su questo punto cercandolo di chiarire alla luce delle piante settecentesche e ottocentesche.

Figura 24: Catasto Leopoldino (1834): mappa del quartiere Santa Maria, particolare (Da CASTORE, Catasti Storici Regionali)

Le mappe catastali successive (fig. 25) sembrano comunque confermare le ipotesi formulate e i confini individuati

coincidono con quelli originari della Domus Bocci. Figura 25: Il Palazzo così come individuato dalla mappa catastale, aggiornata al 2014

(52)

52 Figura 26 Vista aerea da Googlemaps con sovrapposti i confini catastali (Rielaborazione dell’autore)

2.2.2.2 Conformazione tipologica

Fabio Redi ha ipotizzato una domus realizzata nelle parti portanti in verrucano e composta da sei campate a pianta

rettangolare di esigua profondità, tutte allineate lungo la Via S. Maria58 (fig. 27-28).

Ciascuna campata appare articolata in modo seguente: a piano terra, il portico architravato; al piano primo, un’ampia trifora in marmo bianco sistemata all’interno dell’arco a tutto sesto con ghiera a gola rovescia, al piano superiore, un’ampia apertura ad arco a tutto sesto fornita di ballatoio ligneo. La campata estrema a Nord della domus si affacciava sulla via Trento con ampiezza maggiore e per tanto al piano primo era corredata da una quadrifora. La dimora dei Bocci appartiene, secondo la classificazione di Redi, al gruppo di domus lussuose, larghe una o due campate, alte tre o quattro solai, generalmente molto profonde. Sono edifici delimitati da vie ortogonali o parallele, o semplicemente affacciati su strade di particolare importanza.

I resti della struttura medievale in esame sono tutt’oggi leggibili anche nell’interno. (fig. 29-30).

(53)

53 Figura 27: Assonometria basata su uno studio tipologico. Il palazzo presenta sei campate nel lato e una nella fronte, con portico a pilastri architravati, parapetto in muratura continua con davanzale a gola rovescia, serie di trifore e quadrifore con arco di scarico a pien centro e ghiera a gola, al primo solaio, e di finestroni arcuati a pien centro comunicanti con l’ampio sporto, al secondo. La muratura è di verrucano con cornici e colonnine di marmo bianco. (da F. Redi, op. cit., p. 187)

Figura 28: Domus Bocci secondo la ricostruzione di F. Redi, piante dei vari livelli (Rielaborazione dell’autore)

(54)

54

(55)

55

Figura 30 Elementi della conformazione originaria del Palazzo visibile attualmente (piano primo, lato via Trieste e via S. Maria)

(56)

56 Il restauro di circa 30 anni fa ha riportato alla luce, dopo l’eliminazione dell’intonaco, il portentoso apparato costruttivo in pietra, corrispondente a tre piani fuori terra, con finestre polifore incorniciate in marmo poste all’interno della struttura portante in verrucano. La quadrifora del primo piano della facciata nord è la meglio conservata delle finestre medievali. Lo spostamento dei solai operato al tempo della trasformazione della domus in edificio di servizio al Palazzo Ducale ha determinato alterazioni irrimediabili della struttura medievale. Si noti la pietra verrucana fortemente scanalata a scalpello per favorire l’aderenza dello strato di intonaco, con cui fu ricoperta la struttura in occasione della ristrutturazione seicentesca59. La domus60 era un’abitazione più comoda e più ampia della torre, non sempre più bassa di essa, il suo aspetto monumentale era l’espressione dello status symbol della famiglia.

Il termine domus, che compare già agli inizi del XI secolo, dalla metà del XII a tutto il XIV secolo indicò edifici molto vari per

forma, materiali e consistenza architettonica. Per questo motivo esso indicava semplicemente l’abitazione e, solo se necessario per il negozio giuridico redatto dal documento, si fornivano ulteriori specificazioni. Se già agli inizi del sec. XI troviamo infatti citate domus a petra et calcina cioè in muratura, è in particolare dalla seconda metà del sec. XII che diviene frequente la specificazione del tipo di muratura, dell’altezza e del tipo di copertura. Così, oltre alla semplice dizione domus murata, che quasi significava in muratura ma talvolta anche cinta da muri, troviamo murata lapidi bus o lapidea, cioè di pietra, ma anche

tegularum murata, o semplicemente tegularum, cioè di mattoni,

e perfino murata muris terresi, cioè di terra. Contemporaneamente esistevano domus ancora più modeste, cioè di legno: lignaminis, o a struttura mista, cioè parte in muratura e parte di legno, o addirittura lignaminis, undique

murata. Le domus potevano inoltre essere solariate cioè a uno,

due, tre, quattro e più piani, con o senza uno o più mezzanini, ma anche soltanto con un ammezzato, o terrestri, cioè terragne,

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57 ovvero sine solario, o plane, o in plano, sine solario, ma anche in parte solariate in parte no, basse oppure parve. Le coperture di cui abbiamo prova documentaria o archeologica potevano essere, de pilastris cioè a lastre di scisto violetto o grigio verrucano, ma anche embrucibus, cioè con tegole, e più raramente, laminibus, cioè a lamine, probabilmente di piombo, come le domus dei Visconti, ricordate in cappella di S. Pietro in Vincoli, nel 1387. I tetti erano di solito “a capanna”, con semplice gronda più o meno sporgente. Dalla fine del sec. XII le

domus potevano terminare con merlatura, come nel caso di

quelle dei Bonconti e di Mosca da S. Gimignano, presso S. Cristina, e del palazzo di Giacomino Tighi presso S. Nicola.

Dal 1315, oltre al numero dei solai, compare anche specificato il numero degli archi in cui si articolavano le facciate, cioè che collegavano i pilastri definendone le luci, che potevano essere uno, due o plures et plures.

In qualche caso la domus è definita ballatoiata, ma risulta anche da numerosi riferimenti diretti che essa poteva essere fornita di ballatoi di legno o di veroni e terrazze aggettanti, posti fra i pilastri e gli archi di scarico.

La Domus dei Bocci appartiene, secondo la classificazione di Redi, al gruppo BC61 (fig. 31): una struttura a murature piene, con ampie fornici ad arco di varia forma, con sporti chiusi o senza. Questa classe è costituita da poche domus lussuose larghe una o due campate, alte tre o quattro solai, generalmente molto profonde: il formato di pianta caratteristico è stretto e lungo di dimensioni circa m 4,5x12; m 4x15; m 4x7. Sono edifici delimitati da vie ortogonali o parallele, o semplicemente affacciati su strade di particolare importanza. Ricordiamo, ad esempio, alcune domus poste lungo la via S. Maria, ma anche all’angolo tra la piazza S. Frediano e presso la via S. Frediano nel tratto che dalla Porta Aurea conduceva nella piazza degli Anziani.

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