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Il quadro che emerge da quanto sin ora esaminato e sicuramente poco rassicurante.

Gli sforzi dottrinali per ricondurre la libertà di concorrenza in seno all’articolo 41 sono stati resi parzialmente vani da un legislatore disattento, da una giurisprudenza non curante ed impreparata e, più in generale, da una cultura giuridica molto povera in materia.

Le sentenze antecedenti al 2001, altro non fanno che confermare questa linea.

Lo slancio del diritto Comunitario della concorrenza e la costituzionalizzazione della tutela della concorrenza, si sono rivelati insufficienti ad arricchire la nozione di tutela della concorrenza nel nostro ordinamento interno, dando, invece, adito ad ulteriori confusioni che si sono prestate a forzature ed erronee ricostruzioni da parte, in particolar modo, della Corte Costituzionale.

È esemplare il caso, appena riportato, della sentenza 14 del 2004, in cui il giudice delle leggi riconduce la disciplina degli aiuti di stato a quella della tutela della concorrenza al fine di fissare la competenza degli aiuti pubblici alle imprese in capo al legislatore statale.

Proseguendo nel tempo non mancano altri esempi: la sentenza 275 del 2004 in cui la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale delle norme statali che impongono procedure di gara per l’acquisto di beni e servizi da parte degli enti locali in quanto rientranti “nella potestà dello Stato

di regolare il mercato e di favorire i rapporti concorrenziali nell’ambito dello stesso”; la sentenza numero 151 del 12 aprile 2005,

in cui la Corte ha dichiarato la legittimità costituzionale delle misure statali di aiuti ai consumatori che acquistino decoder per l’accesso alle trasmissioni televisive sulla piattaforma digitale terrestre, affermando che dette misure ineriscono alla materia “tutela della concorrenza”; o ancora, la sentenza 4 maggio 2005, n. 175, in cui la Consulta dichiara la legittimità costituzionale di una misura statale per la realizzazione di una campagna promozionale straordinaria a favore del Made in Italy, che non prevedeva alcuna partecipazione delle Regioni ai procedimenti di erogazione degli aiuti affermando che “il carattere (asseritamente)

modesto dal punto di vista finanziario dell’intervento non è certamente decisivo per escludere la sua riconducibilità alla materia della “tutela della concorrenza”[...] ma può, al più, costituire un indizio in tal senso”.

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Il diritto giurisprudenziale formatosi in seguito a queste (ed altre) sentenze lascia numerose perplessità.

In primo luogo, sembra possibile auspicare un impiego più attento dei termini tecnici del linguaggio economico, il cui uso impressionistico o addirittura arbitrario nuoce gravemente all’efficacia comunicativa ed alla possibilità di controllo razionale delle decisioni.

In particolare, l’uso linguistico della Corte rischia di diffondere una concezione di “concorrenza in senso dinamico” come politica di sostegno alle imprese o a settori economici, che non ha nulla a che vedere con la nozione di “concorrenza dinamica”, che è propria del linguaggio economico e che dovrebbe ritenersi centrale nella ricostruzione del significato di “concorrenza” come bene giuridico. L’equivoco è evidente negli enunciati della Corte che assimilano la “tutela della concorrenza in senso dinamico” con la “promozione della concorrenza”. L’assunto è condivisibile solo se si intende “promozione della concorrenza” quello che ha significato, nel diritto europeo, in ordine alle politiche di liberalizzazione di settori prima regolati con assetti monopolistici, ossia se per promozione della concorrenza s’intende la politica di superamento di barriere legali all’entrata di nuovi soggetti in certi mercati.

Per altro verso ci troviamo di fronte a casi in cui con la promozione della concorrenza, come sopra definita, non hanno nulla a che fare ed attengono a misure di sostegno settoriali o territoriali. Qui la corte sembra voler far arbitrariamente coincidere la “promozione della concorrenza” con la promozione di imprese o settori economici. Allo stesso modo arbitraria, e inconciliabile con la ratio della previsione costituzionale di tutela della concorrenza, appare l’idea per cui “tutela della concorrenza” equivarrebbe a “regolazione della concorrenza”. In questa ipotesi interpretativa lo Stato avrebbe un potere assoluto di regolare la vita economica e l’attività delle imprese. Al contrario, la “tutela della concorrenza” potrebbe finire per comprendere anche l’esatto contrario, cioè la regolazione di stampo corporativo di certi mercati83.

Quasi tutti i costituzionalisti che hanno commentato le sentenze della Corte in materia, hanno rilevato che la chiave di lettura delle stesse sta nell’intenzione della Corte di fare riemergere una dimensione di “interesse nazionale”, nel riparto delle competenze, che era stata

83 M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione italiana, Rivista

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volutamente (ma inopportunamente) ignorata dal legislatore del 2001. In proposito, non v’è dubbio che la riforma costituzionale del 2001 sia stata, per molti aspetti, precipitosa e lacunosa.

La materia del sostegno finanziario pubblico alle imprese e dei progetti di investimento di rilevanza nazionale è stata ignorata, ed è quindi comprensibile che la Corte abbia ritenuto necessario ritrovare spazzi applicativi alla dimensione dell’interesse nazionale.

In questa prospettiva, può anche apprezzarsi, sul piano della ragionevolezza, una giurisprudenza che ammette la legittimità di certe misure statali di sostegno finanziario alle imprese, o in ragione della loro specifica finalità (come nel caso del Made in Italy), o in considerazione dell’elevato impatto finanziario complessivo.

Ci si chiede però se, per raggiungere tale risultato, non sarebbe stato più opportuno svolgere coraggiose interpretazioni estensive di alcune norme-valvola, che il legislatore del 2001 ha lasciato nel testo costituzionale (in particolare, la “tutela dell’unità economica” della nazione, di cui parla l’art. 120, comma 2º); o magari interpretare coraggiosamente la disposizione dell’art. 119, comma 5º, che consente allo Stato di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali, per finalità di sviluppo economico, a favore di determinati enti locali o Regioni84.

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PARTE II

La giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di

tutela della concorrenza

1. La tutela della concorrenza come materia trasversale

Una volta conclusa l’analisi sulla definizione della tutela della concorrenza e sul suo fondamento costituzionale è giunto il momento di affrontare un secondo problema di fondamentale importanza.

Ci riferiamo, come abbiamo accennato, alla questione della potestà legislativa in materia di tutela della concorrenza.

Il cuore del problema è da rinvenire nelle caratteristiche intrinseche della materia. È, infatti, indubbio che quando parliamo di “tutela della concorrenza” ci troviamo di fronte ad uno di quei titoli di competenza che sono ormai noti come “trasversali”.

Come già abbiamo detto, introducendo la Parte I di questa trattazione, il legislatore costituzionale del 2001 ha utilizzato il sistema degli elenchi per ripartire le competenze legislative tra Stato e Regioni, distinguendo tra materie di esclusiva competenza statale, materie di competenza concorrente e materie di esclusiva competenza regionale. Quest’ultime sono individuabili col criterio della residualità.

A fronte di questi elenchi, che identificano ambiti circoscritti per l’azione legislativa dello Stato o delle Regioni, sono emersi titoli competenziali la cui estensione è stata qualificata come incerta, poiché in grado di investire tutte le materie, indipendentemente dalla potestà legislativa, e per questo denominate “trasversali”.

La questione delle materie “trasversali” è venuta all’attenzione della Corte Costituzionale nel giudizio relativo alla legge della Regione Lombardia in materia di attività a rischio di incidenti rilevanti.

La difesa erariale aveva lamentato la violazione della clausola di cui all’art. 117, comma 2, lett. s), relativa alla “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. La Corte si trovò concorde nel ritenere che la legge regionale disponeva in materia di “tutela

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dell’ambiente”, ma precisò che “non tutti gli ambiti materiali specificati

nel comma 2 dell’art. 117 possono, in quanto tali, configurarsi come “materie” in senso stretto, poiché, in alcuni casi, si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee ad investire una pluralità di materie (...). In questo senso l’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale portano ad escludere che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela dell’ambiente”, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze. In particolare, dalla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione è agevole ricavare una configurazione dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale” 85.

La Corte aggiunge, infine, che si può desumere dai lavori preparatori relativi alla lettera s) dell’articolo 117 Cost. che il rapporto tra i due livelli di legislazione debba essere inteso nella fissazione di standard minimi di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, da parte del legislatore centrale, e nella possibilità, per il legislatore Regionale, di fissare standard più alti di quelli già previsti dalla normativa nazionale. Dal frammento di sentenza appena visto ciò che emerge è la caratteristica principale delle materie trasversali. A differenza delle altre “materie” in senso stretto, le materie trasversali non sono ambiti materiali di intervento, ma finalità o valori che l’ordinamento si prefigge di tutelare86. Per questa ragione parliamo di “materie-non materie”.

La “materia” trasversale, non è suscettibile di interpretazioni oggettive che consentano di circoscriverne preventivamente l’ambito, che non è delimitato neppure da preesistenti qualificazioni normative, ma definisce il suo oggetto nell’atto del suo esercizio87. Quindi, quando la

85 Sentenza Corte Costituzionale, n. 407 del 2002.

86 G. Corso, La tutela della concorrenza come limite della potestà legislativa (delle

Regioni e dello Stato), Diritto Pubblico, n.3, 2002.

87 L’autore citato, e l’intera dottrina, precisano che nel caso delle competenze

costruite in termini finalistici, non si può ricorrere al criterio storico-normativo per identificare l’oggetto della competenza. Ciò, tuttavia, non vuol dire che tale criterio non possa essere utilizzato ai fini della qualificazione in chiave finalistica della

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fonte è valida, l’estensione della materia e l’estensione della disciplina ad essa relativa tendono a coincidere88.

Una seconda caratteristica delle materie individuate in termini finalistici è la loro duttilità. Infatti, salvo diversa disciplina costituzionale, le norme che le contemplano non prefigurano rigidamente i termini del rapporto tra la legislazione Statale e quella Regionale, ma si limitano ad affidarne il governo alla prima. Quindi al legislatore centrale è consentito sia di fermarsi alla fissazione dei principi fondamentali in materia, sia di spingersi fino alla normativa di dettaglio89.

Ricapitolando sono materie “trasversali” quei titoli competenziali che identificano un fine o un valore e per questo motivo caratterizzati da un’estensione incerta, dalla quale deriva, per la loro duttilità, la possibilità per il legislatore statale di estendere la propria competenza legislativa, se non, in alcuni casi, di ingerire, anche in ambiti competenziali attribuiti alla potestà concorrente o esclusiva Regionale. Alla luce di quanto detto possiamo affermare che la tutela della concorrenza è, dunque, “una competenza ovvero una finalità

trasversale rispetto tutti i settori della vita economica”90

Secondo un’autorevole opinione91 , la materia della tutela della concorrenza riguarda propriamente la disciplina antitrust, come disegnata nel nostro ordinamento dalla l. 10 ottobre 1990, n. 287; si tratta di disciplina che può interferire con molte altre, quali il commercio, l’industria, la produzione e prestazione di servizi, e così via, ed ha quindi carattere trasversale; in altri termini, “L’oggetto di

questa competenza trasversale può essere qualificato come materia nei limiti in cui l’ambito della stessa venga “modellato” attorno all’insieme delle regole antitrust sulla cui attuazione e corretta

“voce” che la designa. Quest’impostazione è, inoltre, avallata dalla Corte Costituzionale nella sentenza 407/02.

88 G. Scaccia, Le competenze legislative sussidiarie e trasversali, Diritto pubblico,

n.2, 2004.

89 A. D’Atena, materie legislative e tipologia delle competenze, Quaderni

costituzionali, n.1, marzo 2003.

90 Così l’intervento di L. ELIA nel corso dell’Indagine conoscitiva sugli effetti

nell’ordinamento delle revisioni del Titolo V della parte II della Costituzione, I Commissione permanente del Senato – Affari costituzionali. L’affermazione è stata, successivamente, più volte ripresa in dottrina.

91 L. Cassetti, Potestà legislativa esclusiva e tutela della concorrenza,

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applicazione vigila l’Autorità garante della concorrenza e del mercato”.92

Non di minore importanza è la circostanza secondo cui la riforma del Titolo V della Costituzione ha attribuito alle Regioni numerose competenze in ambito economico.

Quanto detto, però, non deve portare alla conclusione che le competenze in oggetto possano degradare la potestà residuale in concorrente e la concorrente in mera attuazione integrazione.

Al contrario proprio il titolo esclusivo della competenza, unitariamente alla sua natura funzionale, consente di richiedere interventi di natura regolativa diversa, di volta in volta proporzionati al fine prefissato93. È il legislatore Statale, insomma, a calibrare la densità dell’intervento in considerazione dello scopo al quale è preordinato.

Talvolta la funzione trasversale trova un limite interno di esercizio nella stessa formulazione del titolo competenziale. È il caso della legislazione esclusiva in tema di determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, che esplica la sua forza condizionante unidirezionalmente, verso il basso, non essendo inibito alle Regioni definire livelli di prestazione più elevati rispetto a quelli indicati dalla legislazione statale. Analogo discorso vale per la competenza relativa alla determinazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Provincie e Città metropolitane.

Fuori di queste due ipotesi, lo Stato, nell’esercizio delle competenze in esame, potrà attenersi alla predeterminazione dei principi ovvero spingersi fino alla compiuta e analitica disciplina di alcuni ambiti della materia soggetta a interferenza, pur quando si tratti di classi di fattispecie in astratto riferibili ad una potestà legislativa qualificabile come “residuale”, ai sensi dell’art. 117, co. 4, Cost94.

La consapevolezza che le competenze trasversali solo idonee ad incidere sull’autonomia legislativa regionale ha indotto la giurisprudenza costituzionale a definire gli elementi di un test di giudizio per le leggi che ne rappresentano esercizio.

92 Op. Ult. Cit.

93 A. D’Atena, materie legislative e tipologia delle competenze, Quaderni

costituzionali, n.1, marzo 2003.

94 G. Scaccia, Le competenze legislative sussidiarie e trasversali, Diritto pubblico,

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Ritornando sulla sentenza 14 del 2004 vediamo che la i giudici costituzionali hanno ritenuto che quando venga in considerazione l’esercizio del titolo di attribuzione di cui all’art. 117, comma 2, lett. e) “è la stessa conformità dell’intervento statale al riparto costituzionale

delle competenze a dipendere strettamente dalla ragionevolezza della previsione legislativa” e che conseguentemente la competenza dello

Stato non possa essere negata “ove sia dimostrabile la congruità dello

strumento utilizzato rispetto al fine di rendere attivi i fattori determinanti dell’equilibrio economico generale”.

Si tratta, quindi, di svolgere un giudizio di efficienza strumentale della legge, saggiando la consistenza e la plausibilità del rapporto di connessione causale mezzi-fini da essa posto e di individuare così l’unico vero limite alla variabile intensità regolativa della funzione legislativa trasversale, che è rinvenibile nella proporzionalità95.

Tuttavia la Corte, nel riscostruire i profili competenziali relativi agli aiuti di Stato nell’ambito della tutela della concorrenza, compie due operazioni ricostruttive che non possono non lasciare perplessità. La prima è quella di dare per pacifico che laddove il Trattato CEE parli di aiuti di Stato intenda riferirsi sempre e soltanto agli Stati in quanto tali, indipendentemente dalla loro organizzazione costituzionale interna. È ben noto, invece, che uno dei principi base dell’ordinamento comunitario è l’indifferenza della Comunità nei confronti dell’organizzazione interna degli Stati membri e dunque per gli effetti e le conseguenze che il riferimento comunitario fa agli Stati, considerati solo come interlocutori della Comunità rispetto alle competenze interne dell’ordinamento.

La seconda operazione ricostruttiva è quella di trasformare il riferimento agli aiuti di Stato, di cui l’articolo 87 del Trattato CEE, in una riserva agli Stati del ruolo di intervento macroeconomico nell’ambito delle rispettive economie nazionali, ritrovando poi a tale scopo un ulteriore fondamento normativo in una lettura sistematica dell’articolo 117, II comma, lett. e) Cost. quanto meno forzata e basata nuovamente su un’interpretazione sistematico lessicale.

In virtù di queste due operazioni la Corte giunge in sostanza a mantenere in capo allo Stato una riserva di legittimazione ad intervenire in ogni settore dell’economia purché tali interventi abbiano carattere

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macroeconomico a scala nazionale e siano, ovviamente, compatibili con le regole comunitarie in materia di concorrenza.

Il risultato è stato trasformare la tutela della concorrenza i un grimaldello per permettere al legislatore statale di intervenire in ogni settore dell’economia, non curante del principio di proporzionalità dell’intervento.

Va inoltre aggiunto che questa ricostruzione proviene da un’impropria lettura del diritto della concorrenza europeo da un lato e, dall’altro, da un richiamo alla dimensione territoriale o macroeconomica degli interessi ammessi o ammissibili che nulla ha a che fare con la normativa comunitaria.

È stato ulteriormente rilevato che sotto il ricorso della “rilevanza macroeconomica” si celi in realtà il parametro dell’interesse nazionale, alla luce del quale i giudici costituzionali sono in grado di sindacare l’eventuale invasione delle competenze legislative economiche regionali e, quindi, giustificare l’adozione di misure di sostegno ovvero di correttivi destinati ad incidere sul funzionamento del mercato regionale96.

Ferma restando l’assenza di riferimenti all’interesse nazionale nell’attuale testo costituzionale, in dottrina si è sottolineato come esigenze difficilmente sopprimibili di unitarietà avrebbero causato una riviviscenza di esso in qualche forma o misura.

Qui le interpretazioni divergono tra chi vorrebbe ancorare l’interesse nazionale alle materie di esclusiva potestà statale e chi, invece, sembrerebbe prescindere da questo appiglio normativo, appellandosi alle esigenze di unitarietà insite nella Costituzione e, in particolare, all’articolo 5 Cost.

La Corte pare optare per la prima via interpretativa, ma al momento di passare al vaglio tali misure non si cura né di dimostrare il nesso di ragionevole strumentazione tra gli interventi dello Stato ed il fine che li dovrebbe giustificare, né la loro infrazionabilità. Al contrario, è la portata delle misure, il loro impatto sull’intero territorio nazionale e la loro rilevanza macroeconomica che ne giustifica la spettanza allo Stato, rendendo in tal modo del tutto sbiadita la funzionalità di esse rispetto al

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fine che costituzionalmente dovrebbe perseguire per poter essere considerate legittime97.

Questo non può che lasciare altre perplessità, anche in considerazione del fatto che, essendo alla Corte precluso il sindacato nel merito della scelta legislativa di politica economica, la rilevanza macroeconomica può trasformarsi in un parametro assolutamente sfuggente e quindi suscettibile di essere utilizzato a svantaggio della valorizzazione delle competenze concorrenti e residuali riconosciute alle regioni che attengono al governo dell’economia98.

Gli sviluppi successivi della giurisprudenza, negli anni a seguire, hanno orientato il sindacato della Corte in senso sempre più favorevole per le competenze statali.

In primo luogo, il canone di giudizio della congruità (ovvero la coerenza della disciplina rispetto al fine) ha spodestato quello della proporzionalità (che dovrebbe condurre a valutare anche l’estensione della disciplina esaminata). In secondo luogo le eventuali misure regionali, oltre a non essere in contrasto con gli obiettivi delle norme statali, sono state ritenute ammissibili solamente “a condizione che gli

effetti delle stesse siano marginali e indiretti”99. Infine è il canone della prevalenza a troncare ogni ulteriore disquisizione, costringendo le

competenze regionali a recedere in toto dalla regolazione di un determinato oggetto o settore.

Il combinato disposto di questi criteri interpretativi configura dunque una vera e propria materia “onnivora”, rispetto alla quale con sempre maggiore difficoltà le Regioni riescono a salvaguardare ambiti di competenza legislativa e amministrativa100.

Identificato il problema che sta all’origine del conflitto competenziale attinente al titolo della “tutela della concorrenza”, ci proponiamo di analizzare la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia. La trasversalità della “tutela della concorrenza” ha, appunto, fatto sì che il giudice delle leggi si pronunciasse in numerosi ambiti attribuiti alla potestà regionale, il cui esame è imprescindibile per una più completa comprensione delle problematiche attinenti ad esso.

97 G. P. Dolso, tutela dell’interesse nazionale sub specie di tutela della concorrenza?,

Giurisprudenza Costituzionale, n.1, 2004.

98 F. Pizzetti, Guardare a Bruxelles per ritrovarsi a Roma?, Le Regioni, n.4, 2004. 99 Sentenza Corte Costituzionale, n. 430 del 2007.

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