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Il riconoscimento di una potestà statale esclusiva in materia di appalti (più in generale di concessioni) ha fatto da ponte verso il riconoscimento di una parallela potestà esclusiva in materia di servizi pubblici.

In effetti non vi è dubbio che tale disciplina interferisca con la tutela della concorrenza, ma ciò avviene nel senso che le esigenze proprie del servizio pubblico possono giustificare deroghe alle norme generali della concorrenza, in virtù dell’art. 106 TFUE e dell’art. 8 l. 287 del 1990. Ciò anche in considerazione dell’equiparazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica con i servizi economici di interesse generale, di matrice comunitaria, operata dalla Corte Costituzionale con la sentenza 325 del 2010.

In questa prospettiva il legislatore statale dovrebbe esprimersi proprio in riferimento alla definizione dei limiti di tale deroga, cioè a delle regole di bilanciamento che prevedono un contenuto minimo di tutela della concorrenza, non derogabile neanche per finalità di servizio pubblico. Questo è quanto ha fatto il diritto europeo, nell’interpretare ed applicare l’art. 106 TFUE, disponendo che, nei settori un tempo disciplinati da monopoli nazionali di pubblico servizio, le deroghe possono giustificarsi solo in presenza di oggettivi “fallimenti dei mercato”110.

L’intervento della Corte Costituzionale viene invocato, in prima battuta, con la sentenza n. 272 del 2004. Il ricorso, promosso dalla Regione Toscana, verteva sulla legittimità costituzionale dell’art. 14 del D.L. 269 del 2003, convertito in l. 326 del 2003 e sui ricorsi di legittimità costituzionale dell’art. 35 della legge 448 del 2001, su ricorso delle Regioni Toscana, Basilicata, Campania, Emilia Romagna e Umbria in tema di servizi pubblici locali.

In particolare la Regione Toscana sosteneva che le disposizioni impugnate, contenenti una disciplina dettagliata ed auto-applicativa dei servizi pubblici locali sia di rilevanza economica che privi di rilevanza economica, sarebbero state prive di fondamento costituzionale, non potendo questo essere rinvenuto in nessuna delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato previste dall’art. 117, comma 2, Cost.,

110 M. Libertini, La tutela della concorrenza nella Costituzione. Una rassegna critica

della giurisprudenza costituzionale italiana dell’ultimo decennio, Mercato Concorrenza Regole, n.3, 2014.

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né in particolare in quella relativa alla determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili o sociali, di cui alla lett. m), né in quella relativa alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, di cui alla lett. p) dello stesso articolo. Inoltre, ad avviso della ricorrente, sarebbe stata neppure invocabile la competenza statale in materia di tutela della concorrenza di cui alla lett. e), del secondo comma dell’art. 117 Cost. in quanto la disciplina dei servizi pubblici locali dettata dalle norme impugnate avrebbero riguardato non già la tutela della concorrenza, ma la diversa materia della promozione della concorrenza.

La Corte accoglie solo parzialmente le argomentazioni delle ricorrenti, giacché esclude che la disciplina dei servizi pubblici locali sia riconducibile sia alla competenza di cui la lettera m) dell’art. 117, comma 2, Cost. poiché “questa riguarda precipuamente servizi di

rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali”, sia alla competenza di cui alla lett. p) dello stesso

articolo, dal momento che “la gestione dei predetti servizi non può certo

considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale”.

Tuttavia, rileva la Corte, tale disciplina deve essere agevolmente ricondotta nell’ambito della materia della “tutela della concorrenza”, riservata dalla Costituzione alla competenza esclusiva dello Stato. Sotto tale profilo, infatti, “non appare (...) condivisibile la

prospettazione della Regione ricorrente, secondo cui il regime in oggetto, incidendo su situazioni di non concorrenzialità del mercato per la presenza di diffuse condizioni di monopolio naturale e riguardando interventi propriamente di promozione e non già di tutela della concorrenza, sarebbe estraneo in quanto tale all’ambito della potestà legislativa esclusiva dello stato e pertinente invece alla competenza regionale in tema di servizi pubblici locali”.

La Corte, riprendendo la sentenza n. 14 del 2004, prosegue asserendo che l’ambito di applicazione della materia in questione non si limita ai profili strettamente attinenti alla tutela della concorrenza, ma ricomprende anche quelli indirizzati a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza. Sulla base di queste osservazioni, l’art. 14 della legge 263 del 2003 può essere considerato una norma-principio della materia alla luce del quale interpretare il complesso delle disposizioni in esame nonché il rapporto con le altre normative di settore, nel senso cioè che il titolo di legittimazione dell’intervento statale in oggetto è fondato sulla tutela della concorrenza, di cui all’art. 117, comma 2, lett.

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e) e che la disciplina contiene un quadro di principi nei confronti di

regolazioni settoriali di fonte regionale111.

Con la conseguenza, da un lato che il titolo di legittimazione statale è riferibile solo alle disposizioni di carattere generale che disciplinano le modalità di gestione e l’affidamento dei servizi pubblici di rilevanza economica, dall’altro che solo le predette disposizioni non possono essere derogate da norme Regionali.

Sulla base di queste considerazioni la Corte passa ad esaminare la disciplina impugnata, sottoponendola al sindacato di proporzionalità ed adeguatezza.

Sotto questo profilo, se da un lato non appaiono censurabili tutte le norme impugnate che garantiscono, in forme adeguate e proporzionate, la più ampia libertà di concorrenza, quali quelle relative al regime delle gare o alle modalità di gestione e conferimento dei servizi, già assentite in relazione all’effettuazione di procedure ad evidenza pubblica, dall’altro appare invece fondata la censura relativa all’art. 14, comma 1, lett. e), che, in riferimento all’art. 113, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2000, là dove stabilisce dettagliatamente i diversi criteri in base ai quali la gara viene aggiudicata, introduce la prescrizione che le previsioni dello stesso comma 7 “devono considerarsi integrative delle discipline di settore”.

Secondo la Corte, infatti, l’estremo dettaglio utilizzato dal legislatore Statale nell’indicazione dei criteri sulla base dei quali deve essere aggiudicata la gara, “va al di là della pur doverosa tutela degli aspetti

concorrenziali inerenti la gara, che peraltro appaiono sufficientemente garantiti dalla puntuale indicazione nella prima parte del comma, di una serie di standard nel cui rispetto la gara deve essere indetta ed aggiudicata”.

Ne consegue che la norma in esame, prescrivendo che la disposizione di cui l’art. 113, comma 7, estremamente dettagliata ed auto- applicativa, deve considerarsi integrativa delle discipline di settore di fonte regionale, pone in essere una illegittima compressione dell’autonomia regionale, poiché risulta ingiustificato e non proporzionato rispetto all’obiettivo della tutela della concorrenza l’intervento legislativo statale.

A questo punto non possiamo esimerci da alcune riflessioni.

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Innanzitutto stupisce la stringatezza con cui il giudice delle leggi esclude la riferibilità della normativa alla materia delle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane.

In ogni caso tale esclusione, non convince, sia perché da sempre il governo locale è stato definito prevalentemente come amministrazione di servizi, sia perché le ragioni addotte dalla Corte si mantengono su un piano alquanto generico, senza perciò riuscire ad assumere un sufficiente grado di definitività.

Con riferimento all’esclusione della riferibilità della disciplina impugnata alla competenza in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”, la Corte, nel momento in cui precisa che tale esclusione deriva, nel caso di specie, dal fatto che la disciplina impugnata “riguarda precipuamente

servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali”, sembra invece configurare la

possibilità per il legislatore Statale di intervenire nel settore dei servizi pubblici nell’esercizio di questa competenza.

Il giudice delle leggi con ciò, lascia evidentemente intendere che proprio tale competenza potrebbe costituire un titolo idoneo di legittimazione di un intervento del legislatore Statale, di contenuto diverso e attinente alla definizione dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che debbano essere soddisfatti da determinati servizi pubblici privi di rilevanza economica112.

Tuttavia l’individuazione nella “tutela della concorrenza” del titolo di legittimazione dell’intervento Statale nella disciplina dei servizi pubblici di rilevanza economica, consente di definire in modo migliore gli spazi entro cui tale titolo può esplicarsi.

Vediamo, dunque, che, tramite il richiamo della sentenza 14 del 2004, la latitudine della disciplina consentita, viene limitata in termini di riparto di competenze tra Stato e Regioni, attraverso quello che sembra essere un richiamo alle tipiche logiche della sussidiarietà, cioè a interventi proporzionati ed adeguati rispetto alle “esigenze unitarie” che emergono al livello centrale.

Allo Stato è dunque consentito dettare le sole norme che servono a raggiungere l’obiettivo di tutela della concorrenza e a realizzare gli interessi che radicano la sua competenza, essendo invece preclusa allo stesso la disciplina di quegli aspetti della materia che non risultino

112 F. Casalotti, Il riparto della potestà legislativa alla “prova” della disciplina dei

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direttamente necessari alla realizzazione di quelle esigenze unitarie cui è preordinata la propria competenza.

Con ciò lasciando intendere la possibilità per le Regioni, nell’ambito delle proprie competenze in settori funzionalmente collegati, di intervenire, nel rispetto dei limiti individuati dal legislatore statale, con riferimento all’introduzione di misure ulteriori di sviluppo della concorrenza non rispondenti ad esigenze unitarie, in coerenza con le diverse esigenze che emergano in sede regionale113.

La sentenza in commento, in fine, si sofferma su un ultimo punto. Una volta operata la ricostruzione della disciplina in oggetto è impossibile non notare una profonda differenziazione del sistema delle fonti abilitate a definire la disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica e di quelli privi di tale rilevanza.

Infatti pare che la disciplina dei servizi pubblici privi di rilevanza economica non sia riconducibile al titolo di legittimazione trasversale “tutela della concorrenza”, in quanto in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale. Dunque, il ruolo riservato dal nuovo Titolo V della Costituzione al legislatore regionale appare, in questo caso, ben più ampio, potendo quest’ultimo individuare le forme di gestione e le modalità di affidamento degli stessi.

Peraltro, la predetta esclusione del titolo concernente la tutela della concorrenza non significa che con riferimento a questa tipologia di servizi sia precluso l’intervento del legislatore Statale nella definizione di una disciplina degli stessi relativa a profili e contenuti diversi da quelli indicati dall’art. 113 bis del d.lgs. n. 267 del 2000, relativo alle modalità di gestione e dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza in esame.

Tale possibilità sembra, infatti, essere implicitamente ammessa dalla stessa Corte nella parte in cui esclude la riferibilità della disciplina impugnata alla competenza statale in tema di “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” di cui all’art. 117, comma 2, Cost., lett. m), “giacché riguarda precipuamente

servizi di rilevanza economica e comunque non attiene alla determinazione di livelli essenziali”114.

Da quanto osservato, la sentenza 272 del 2004 offre una soluzione, tutto sommato, equilibrata, attribuendo al legislatore centrale la competenza legislativa in materia, e, allo stesso tempo, lasciando al legislatore

113 Op. Ult. Cit. 114 Op. Ult. Cit.

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regionale uno spazio, seppur piccolo, di manovra, all’interno del quale poter esercitare le sue competenze legislative.

Tuttavia i canoni espressi dalle esaminate sentenze 401 e 431 del 2007 (la trasversalità come prevalenza e non più come intreccio o interferenza di materie e la possibilità per le Regioni di poter adottare una normativa pro-concorrenziale a patto che abbia effetti indiretti e marginali) hanno minato l’equilibrato regime espresso con la sentenza n. 272 del 2004, riducendo sensibilmente lo spazio d’intervento del legislatore regionale e fortificando la posizione del legislatore centrale. Infatti negli anni a seguire non è infrequente trovare decisioni della Corte Costituzionale in tal senso, ora a identificare un'unica Autorità d’ambito per la determinazione delle tariffe 115, ora norme con

l’applicazione di norme di dettaglio che vincolano la politica di bilancio dell’impresa che gestisce il servizio idrico integrato, o attengono all’organizzazione amministrativa del servizio. A tale proposito, la Corte riconosce la potestà legislativa esclusiva dello Stato anche in ordine alla determinazione di regole aventi “il fine di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità del servizio”116.

In tale contesto sicuramente degna di nota è la sentenza 325 del 2010. Il ricorso, promosso da dodici regioni, in materia di servizio idrico integrato, impugnava l’articolo 23 bis del D.L. 112 del 2008 – sia nella versione originale che in quella (all’epoca) vigente, risultante dalla modifica operata col D.L. 135 del 2009 – e l’articolo 15, comma ter, del D.L. 135 del 2009, convertito in l. 166 del 2009.

L’art. 23 bis del D.L. 112/2008 ha proseguito nel percorso avviato negli anni ’90, volto a eliminare, ove possibile, e a comprimere, le ipotesi di soggetto pubblico imprenditore/erogatore diretto di servizi. Percorso che, nella materia che qui interessa, ha ricevuto un impulso formidabile dall’art 35 della legge 448/2001che ha riscritto l’art. 113 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (T.U. Enti Locali), circoscrivendo l’ambito di affidamento del Servizio Pubblico Locale di rilevanza economica alle

115 Sentenza Corte Costituzionale, n. 246 del 2009

116 Sentenze Corte Costituzionale, 23 luglio 2013, n. 230; ma già nello stesso senso,

Corte Costituzionale del 7 marzo 2008, n. 51; Corte Costituzionale del 10 ottobre 2008, n. 335; Corte Costituzionale del 4 aprile 2009, n. 246; Corte Costituzionale del 4 febbraio 2010, n. 29; Corte Costituzionale del 23 aprile 2010, n. 142.

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sole società di capitali individuate con gara, successivamente ampliato, con il D.L. n. 269 del 2003, alle società miste ed a quelle in house 117. La disciplina impugnata ha, quindi, innovato stabilendo che l'affidamento a società miste sia considerato anch'esso strumento ordinario, purché la gara riguardi l'attribuzione al socio di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio (e quindi con un suo maggiore coinvolgimento), e che questi acquisisca una percentuale di partecipazione azionaria non inferiore al 40%. Inoltre, in deroga a dette regole è possibile l'affidamento diretto, l'in house providing, seguendo le condizioni poste dal diritto comunitario, solo allorché sussistano situazioni eccezionali causate dalla peculiarità del contesto territoriale, le quali non permettano il ricorso al mercato, e comunque sono necessari adeguata pubblicità, una motivazione fondata su un'analisi di mercato e un parere obbligatorio non vincolante dell'AGCM118.

Un primo nodo rilevante sciolto dalla Consulta attiene alla presunta violazione, delle norme in questione, dell’articolo 117, comma 1, Cost., in quanto la disciplina nazionale dei Servizi Pubblici Locali impone un regime differente e più restrittivo rispetto quello comunitario sui servizi d’interesse economico generale (da qui in poi SIEG).

Innanzitutto la Corte ritiene che le nozioni di “Servizio Pubblico Locale di rilevanza economica” e di “SIEG”, ove limitata dall’ambito territoriale di cui gli articolo 14 e 106 del TFUE, corrispondano. Infatti entrambe fanno riferimento ad un servizio che:

- È reso mediante un’attività economica come “qualsiasi attività economica che consista nell’offrire beni e servizi su un determinato mercato” anche solo potenziale.

- Fornisce prestazioni dirette a realizzare anche fini sociali nei confronti di un’indifferenziata generalità di cittadini, a prescindere dalle loro condizioni.

- Allorquando affidato a terzi, questi dovranno essere individuati mediante una procedura di evidenza pubblica119.

117 A. Avino, I servizi pubblici locali a rilevanza economica tra la sentenza n. 325 del

2010 della Corte costituzionale e il referendum abrogativo, Costituzionalismo.it, n. 1, 2011.

118 F. Costantino, Servizi locali e concorrenza, a proposito della sent. N. 325 del

2010, Rivistaaic.it, n.1, 2011.

119 A. Avino, I servizi pubblici locali a rilevanza economica tra la sentenza n. 325 del

2010 della Corte costituzionale e il referendum abrogativo, Costituzionalismo.it, n. 1, 2011.

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Passando al thema decidendum, la Corte rinviene le differenze tra le due discipline. La disciplina europea differisce da quella nazionale in quanto non impone al socio privato una partecipazione non inferiore al 40 per cento, non impone l'eccezionalità della gestione diretta, non esige in caso di affidamento diretto adeguata pubblicità, la motivazione, l'analisi di mercato, il parere dell'AGCM, la sussistenza di situazioni che non consentano ricorso al mercato.

E’, quindi, evidente che il legislatore italiano abbia escluso ogni ipotesi di gestione diretta del Servizio Pubblico Locale a rilevanza economica, che abbia reso obbligatoria l’attribuzione di poteri gestionali al socio privato nonché una soglia minima di partecipazione al capitale sociale in caso di affidamento del servizio a società mista, e, infine, che abbia ridotto drasticamente la possibilità di gestire in house il servizio. Secondo la Corte, la scelta del nostro legislatore non era perciò necessaria ma, nonostante sia più pro-concorrenziale di quanto l'ordinamento europeo richieda, non contrasta con esso in quanto la disciplina statale rientra nella sfera di discrezionalità che sovente il legislatore comunitario lascia a quello nazionale e, pertanto, è legittima120.

Un secondo punto è relativo alla competenza statale a disciplinare le modalità di affidamento del servizio pubblico.

La Corte ha risolto questo problema, richiamando la consolidata giurisprudenza121, riconducendo la normativa al titolo “tutela della concorrenza” e non alla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” perché si tratta di servizi di rilevanza economica, e nemmeno alle “funzioni fondamentali” degli enti locali in quanto la gestione non riguarda profili funzionali degli stessi.

La Corte, dunque, riconduce l’articolo 23 bis del D.L. 112 del 2008 agli interventi a tutela della concorrenza, consistenti non solo in misure

antitrust e di promozione del mercato, ma anche in “misure legislative

che perseguono il fine di assicurare procedure concorsuali di garanzia mediante la strutturazione di tali procedure in modo da realizzare la più ampia apertura del mercato a tutti gli operatori economici”122.

120 F. Costantino, Servizi locali e concorrenza, a proposito della sent. N. 325 del

2010, Rivistaaic.it, n.1, 2011.

121 Sentenze Corte Costituzionale n. 246 del 2009; n.29 del 2006; n. 272 del 2004. 122 Tripartizione ripresa dalle sentenze Corte Costituzionale n. 45 e n. 232 del 2010

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Alcune Regioni, sebbene in via subordinata, hanno censurato la modalità d’esercizio della competenza esclusiva statale sostenendo che, ammessa (e non concessa) l’inclusione della disciplina delle modalità di gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica nell’ambito costituzionale della tutela della concorrenza, il legislatore nazionale non sarebbe stato comunque completamente libero nell’esercizio della potestà legislativa, ma assoggettato al rispetto del principio di ragionevolezza sotto il profilo della proporzionalità e dell’adeguatezza. Rispetto mancante, in quanto le previsioni contenute nell’art. 23 bis sarebbero auto-applicative e di dettaglio e non lascerebbero alcuno spazio all’intervento dell’Ente Territoriale, inoltre introdurrebbero vincoli ulteriori rispetto a quelli disposti in ambito comunitario.

Entrambe le censure, per il Giudice Costituzionale, sono prive di pregio giuridico. Quanto alla prima, la Corte rammenta come sia oramai assodato che alla competenza esclusiva si associ il potere di definire, anche in estremo dettaglio, la regolamentazione della materia. Quanto alla seconda censura, ribadisce la Corte che l’ordinamento comunitario ha previsto solamente un livello minimo indefettibile di tutela della concorrenza senza, con ciò, vietare agli Stati membri di introdurre, nei propri ordinamenti, norme più stringenti123.

Peraltro, nella giurisprudenza recente non è esclusa anche la competenza legislativa regionale, ma solo purché pro-concorrenziale e indiretta. In una sentenza di poco precedente (la n. 307 del 2009) la Corte aveva infatti dichiarato che è legittima una disciplina regionale più pro-concorrenziale di quella statale, purché intervenga in materia di competenza regionale (specie se di competenza residuale quale i Servizi Pubblici Locali) e l'incidenza sulla concorrenza sia indiretta.

In ogni caso la Corte, riferendosi alla tutela della concorrenza, attribuisce alla competenza statale anche la disciplina della forma di gestione e le procedure di affidamento del servizio idrico integrato. Una volta stabiliti questi principi, risulta per la Corte facile affermare la ragionevolezza della disciplina, in quanto, proprio perché si tratta di una competenza esclusiva statale, il legislatore può dettare anche la normativa di dettaglio124.

123 A. Avino, I servizi pubblici locali a rilevanza economica tra la sentenza n. 325 del

2010 della Corte costituzionale e il referendum abrogativo, Costituzionalismo.it, n. 1, 2011.

124 F. Costantino, Servizi locali e concorrenza, a proposito della sent. N. 325 del

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È altresì di assoluto rilievo la competenza ad indicare la rilevanza economica di un Servizio Pubblico Locale. Per le Regioni ricorrenti nessun dubbio può sussistere sul fatto che la competenza risieda a livello locale e quindi l’operatività dell’art. 23 bis sarebbe rimessa alle scelte legislative locali e degli Enti affidatari.

La Corte Costituzionale ha respinto la tesi con argomentazioni che

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