• Non ci sono risultati.

CAPITOLO VII: DERIVE DI UNA DEMOCRAZIA

7.6 Le riforme sul Tribunale Costituzionale

La riforma sul Tribunale Costituzionale del 2015 poco fa accennata, è la terza in ordine cronologico dopo quella del 1985 e quella del 1997.

La prima fu la legge sul Tribunale Costituzionale polacco del 29 aprile 1985228, che introduceva, dopo 3 anni dalla previsione della legge di revisione costituzionale del 26 marzo 1982, l’organo di giustizia costituzionale229. Questo nacque però sulla base di un compromesso che ebbe come conseguenza la limitazione delle sue competenza e prerogative in materia di controllo giurisdizionale di costituzionalità.

Aveva il diritto di verificare la legittimità costituzionale delle leggi e dei decreti legge, e quella degli atti sublegislativi sia alle leggi che alla Costituzione, ma poteva intervenire in maniera decisiva soltanto in riferimento alle norme secondarie. Se ciò avveniva, un atto sublegislativo dichiarato non conforme perdeva ogni efficacia qualora entro tre mesi dalla comunicazione della sentenza, l’organo statale

227 J. Sawicki, Democrazie illiberali?, cit., p. 98.

228 Ustawa o polskim Trybunale Konstytucyjnym z dnia 29 kwietnia 1985 r.

229 L’esistenza di tale organo era prevista dal 1976, ma svolgeva soltanto una funzione di controllo

155

che lo aveva emanato non abbia provveduto alla sua modifica o sostituzione. Nel caso di ravvisata anticostituzionalità di una legge non si procedeva al suo annullamento, ma all’obbligo del Sejm di confermare o ricusare la sentenza del Tribunale Costituzionale.

La seconda legge sul Tribunale Costituzionale polacco, entrò in vigore lo stesso giorno della nuova Costituzione e ne dettava la nuova disciplina a completamento di quest’ultima, mirata ad adeguare l’organo all’acquis democratico- liberale.

La legge di riforma del 2015 fu adottata sotto spinta degli stessi giudici e con la loro partecipazione diretta ad audizioni parlamentari, e rinnovava alcuni profili processuali. Nelle fasi finali di approvazione della legge venne commesso l’errore da parte della maggioranza parlamentare, in quanto fu inserita una disposizione transitoria che dava al Sejm il potere di eleggere tutti i giudici costituzionali in sostituizione di quelli in scadenza entro il 2015, e cioè un numero di cinque giudici su quindici.

Per l’autunno 2015 erano previste le elezioni politiche, così che era prevedibile che al giugno 2015 analizzando la data di cessazione del mandato dei giudici, solo tre sarebbero stati eleggibili dal Sejm uscente, mentre i restanti due sarebbero stati scelti dalla nuova Camera bassa. L’allora gruppo si opposizione, il PiS, aveva depositato un ricorso in via diretta contro tale legge, presso lo stesso Tribunale Costituzionale.

L’8 ottobre 2015, durante la sua ultima sessione, il Sejm uscente votò l’elezione dei cinque giudici con la maggioranza relativa e “politica” che le era consentita dalla legge, intanto le elezioni di fine ottobre videro l’ex opposizione ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, e il neo eletto presidente della Repubblica (in carica dal 6 agosto 2015), esponente dello stesso PiS, rifiutò di ricevere i cinque candidati giudici per il loro giuramento, senza dare nessuna particolare spiegazione in merito. Egli da parte sua era consapevole che ciò rendeva inefficace la loro elezione e d’era deciso di imporra la cerimonia di giuramento come una propria prerogativa di volontà, assente però nella Costituzione230.

Il PiS ritenne così di ritirare il proprio ricorso, il quale venne comunque presentato al Tribunale Costituzionale dalla nuova opposizione. In seguito, incurante della sentenza del Tribunale ancora non pervenuta, e ponendosi in contrasto con la misura preventiva disposta dal Tribunale Costituzionale il 30 novembre, che diffidava il parlamento dall’elezione di nuovi giudici fino alla conclusione del giudizio di costituzionalità, decise di eleggere i cinque giudici, dichiarando nulle le scelte sui precendenti candidati attraverso cinque delibere retroattive. Infatti il 19 novembre venne approvata un legge di riforma della precedente del 25 giugno, presentata alla Camera tre giorni prima e firmata dal presidente della Repubblica lo stesso giorno, che prevedeva la riduzione del mandato del presidente e del vice-presidente del Tribunale Costituzionale a tre anni con la possibilità di un rinnovo e la decorrenza

230 La Costituzione infatti afferma solo che: «il Tribunale Costituzionale è composto da 15 giudici, eletti

individualmente dalla Dieta per 9 anni tra persone distintesi per conoscenze giuridiche. Non è ammessa la rielezione al Tribunale Costituzionale» (art. 194, c. 1, Cost., P.).

156

del mandato dei giudici costituzionali a partire dal giuramento innanzi al presidente della Repubblica.

Il presidente per conto suo, non attese la pronucia del Tribunale previsto il giorno successivo, decise di ricevere a mezzanotte i cinque nuovi eletti per il giuramento.

Il presidente del Tribunale Costituzionale, tuttavia, riconosceva ai nuovi giudici solo lo status di dipendenti del Tribunale, senza conferire loro funzioni giurisdizionali. La risoluzione si poneva peraltro in contrasto con la misura preventiva disposta dal Tribunale Costituzionale il 30 novembre, che diffidava il parlamento dall’elezione di nuovi giudici fino alla conclusione del giudizio di costituzionalità.

Il 23 novembre 2015 vennero sollevate innanzi al Tribunale Costituzionale tre questioni di costituzionalità relative alla legge di revisione del 19 novembre231.

Il 3 e il 9 dicembre il Tribunale Costituzionale si pronunciò sulle questioni di costituzionalità relativealla legge del 25 giugno e alla legge del 19 novembre del 2015.

Il 3 dicembre 2015, il Tribunale Costituzionale, nel caso K 34/15, si è pronunciato sulla questione di costituzionalità relativa alla legge del 25 giugno 2015, in cui stabilisce che restava valida la nomina dei giudici che sarebbero entrati nell’esercizio delle loro funzioni il 6 novembre 2015, mentre era incompatibile con la Costituzione quella relativa ai giudici che avrebbero assunto il mandato il 2 e l’8 dicembre, in quanto l’art. 194, c. 1 della Costituzione stabilisce che fa riferimento al esclusivamente al Sejm in carica, che avrebbe dovuto provvedere all’elezione al momento della conclusione del mandato del giudice. In meriro al rifiuto del presidente della Repubblica di accettare il giuramento dei cinque giudici il Tribunale ha disposto che secondo l’art. 21 della legge sul Tribunale Costituzionale, deve essere interpretata nel senso di imporre al presidente della Repubblica l’obbligo di accettare il giuramento da parte dei giudici designati. Al contrario, una diversa interpretazione, che riconosca la discrezionalità del presidente della Repubblica, gli attribuirebbe il diritto di assumere decisioni in relazione alla composizione del Tribunale, che non avrebbe fondamento costituzionale232.

Tale sentenza cadde nel dimenticatoio, in quanto approvata da un Tribunale composto solo a cinque membri su nove, situazione consentita dalla legge salvo eccezioni, ma per le stesse parole del suo presidente, preso atto della fine de mandato di quattro giudici e l’autoesclusione dei tre giudici che avevano preso parte dei lavori parlamentari per tale legge discussa, sarabbe mancato i numero legale per deliberare. A pochi giorni di distanza dalla sentenza con la quale è stata dichiarata la parziale incostituzionalità della riforma della legge sul tribunale Costituzionale del 25 giugno 2015, il 9 dicembre 2015, con sentenza n. K 35/15, il Tribunale

231 Da parte di un gruppo di deputati (caso K 35/15), dal Difensore Civico (caso K 37/15), nonché dal Consiglio

Superiore della Magistratura e dal presidente della Corte Suprema (casi K 38/5 e 40/15).

232 M. Dicosola, La crisi costituzionale del 2015-16 in Polonia: il fallimento della transizione al costituzionalismo

157

Costituzionale si è pronunciato nuovamente sulla costituzionalità della legge sul Tribunale Costituzionale, così come modificata dalla legge del 19 novembre dello stesso anno, dichiarando tale novella approvata dal parlamento illegittima.

Le sentenze appena descritte, se rispettate, avrebbero potuto porre fine al conflitto che era nato tra il parlamento uscente e quello entrante nel 2015, invece hanno comportato l’ingresso dell’organo di giustizia costituzionale ad un nuovo conflitto in cui quest’ultimo si rivelerà attore principale.

Infatti, immediatamente dopo la pubblicazione delle due sentenze, nel cuore della notte del 22 dicembre 2015 (promulgata la sera stessa dal presidente della Repubblica), il parlamento - attraverso la forma di iniziativa parlamentare che gli avrebbe permesso di saltare molti passaggi, tra cui le audizioni con i giudici costituzionali - ha approvato una nuova legge di riforma sul Tribunale Costituzionale, definita di “risanamento” della giustizia costituzionale, la cui capacità di violare il principio di indipendenza del supremo collegio era ancora maggiore: veniva ampliato il numero di giudici la cui presenza fosse necessaria per la validità della composizione del collegio in composizione plenaria a tredici su quindici233 e stabiliva la previsione, per le sentenze di ilegittimità di una legge, della maggioranza di due terzi per deliberare; attribuiva il potere di esercitare azioni disciplinari contro i giudici costituzionali anche al presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia; che le cause di decadenza dei giudici, nei casi specifici previste dalla legge, non sarebbero state decise autonomamente dall’Adunanza generale dei giudici costituzionali, ma sarebbero state votate dal legislativo su proprosta dell’Adunanza; infine eliminava, tra gli altri, l’art. 16 della legge del 1997, riguardante l’indipendenza dei giudici costituzionali.

Questo atto entrò in vigore il giorno della sua pubblicazione, senza il rispetto della vacatio legis, avvenimento contrario alla stessa Costituzione, e ciò con il preciso scopo di impedire allo stesso Tribunale Costituzionale di potersi pronunciare su tale legge.

Il Tribunale Costituzionale ha risposto con la sentenza K 47/15 del 9 marzo 2016, frutto del ricorso diretto da parte di cinque soggetti, nell’ordine il primo presidente della Corte Suprema (organo apicale del giudiziario polacco), di due distinti gruppi di deputati, del Difensore dei diritti civili e del Consiglio nazionale della magistratura.

Nel merito di tutti i ricorsi presentati, il Tribunale ha precisato che il suo giudizio sulla legge sarà sia sotto il profilo del procedimento usato per approvarla sia i diversi aspetti del contenuto, sancendo l’illegittimità costituzionale della legge del 22 dicembre 2015 di modifica al Constitutional Tribunal Act del 25 giugno 2015, attraverso un insieme di motivazioni di 187 pagine e menzionando le disposizioni delle CEDU e della Carta dei diritti fondamentali UE.

233 Il quorum di tredici votanti non era previsto per i ricorsi individuali, di non facile proposizione in Polonia,

e i giudizi in via incidentale, che non hanno un ruolo determinante sul piano statistico, per i quali era previsto un quorum di sette giudici.

158

Analizzando il processo legislativo, questo ha avuto iniziativa di alcuni deputati di maggioranza, che in soli nove giorni dal deposito originario del progetto ha portato all’adozione della legge. Il Tribunale rileva che sono stati compressi i diritti delle minoranze e sono stati aggirati diverse disposizioni regolamentari, avendo ignorato pareri provenienti da numerose istituzioni esterne, gli stessi servizi legislativi parlamentari, violando il requisito delle tre letture, apportando notevoli modifica tra la prima e seconda lettura, tali da poter parlare di fatto di una nuova proposta di legge. Inoltre è stato dichiarato incostituzionale anche l’entrata in vigore immediata dell’atto normativo, senza prevedere alcun periodo di vacatio legis, in quanto incompatibile con il principio di stato di diritto.

Per quanto riguarda il suo contenuto, viene demolita l’intera disciplina concernente le modalità di adozione delle decisioni. La previsione che l’Assemblea Generale del Tribunale Costituzionale adottasse le decisioni a maggioranza di due terzi, rendeva impossibile a tale organo costituzionale condurre le proprie attività con diligenza ed efficienza, ne violava l’indipendenza e si poneva in contrasto con il principio dello stato di diritto. Per le stesse ragioni, ha dichiarato incostituzionale anchela previsione che, per la validità delle deliberazioni, partecipassero alle sedute plenarie almeno 13 giudici su 15. Analogamente, è stata dichiarata incostituzionale anche la disposizione della legge, secondo la quale l’ordine del giorno dei lavori del Tribunale doveva essere stabilito secondo l’ordine di arrivo dei ricorsi, senza alcuna indicazione di priorit, in quanto contraria ai principi costituzionali di affidabilità ed efficacia delle atività delle istituzioni pubbliche. Il Tribunale Costituzionale ha accolto altresì la questione di costituzionalità della legge di revisione, che, nell’attribuire poteri disciplinari al presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia, violava il principio di separazione dei poteri e di indipendenza dei giudici.

La sentenza K 47/15 non è mai stata riconosciuta come tale dal presidente della Repubblica, dalla maggioranza parlamentare e dal governo. Tutti questi soggetti considerarono la pronuncia del Tribunale Costituzionale non come una sentenza bensì come un “comunicato stampa” rilasciata da alcuni giudici dell’organo di giustizia costituzionale, i quali si erano iuniti presso la sede dell’organo per rendere di dominio pubblico un loro personale parere234.

Il primo ministro235 si è rifiutato di procedere alla pubblicazione della sentenza, ritenuta non vincolante, poiché adottata in violazione di quanto previsto dalla stessa Legge del 22 dicembre 2015. Infatti, secondo quanto sostenuto dal premier, la Legge del 22 dicembre 2015 avrebbe dovuto prima trovare attuazione e successivamente essere sottoposta al giudizio di costituzionalità236, con la necessità di un distacco di almeno tre mesi, e ne passarono due; il Tribunale si sarebbe dovuto

234 J. Sawicki, Democrazie illiberali?, cit., p. 76.

235 Ai sensi della legge del 20 luglio 2000 sulla pubblicazione degli atti normativi e di alcuni altri atti giuridici,

il primo ministro è tenuto a curare la Gazzetta Ufficiale ordindando la pubblicazione di tali atti per il tramite di un dipartimento chiamato Centro governativo per la legislazione (Ustawa z dnia 20 lipca 2000 r. o

ogłaszaniu aktów normatywnych i niektórych innych aktów prawnych, G.U. 2000 nr 62 poz. 718).

236 A. Angeli, Polonia. Le derive di una democrazia (quasi) maggioritaria: tra rischio di paralisi dell’organo di

159

pronunciare in composizione plenaria, ossia alla presenza di 13 giudici, mentre ne parteciparono 12 di questi; infine il rispetto dell’ordine cronologico delle udienze, cosa che invece ha visto la priorità su moltissime altre.

È interessante notare come tra quei 12 giudici del Tribunale Costituzionale, nel pieno esercizio delle poprie funzioni, due erano quelli eletti il 2 e l’8 dicembre 2015 dal Sejm guidato dal PiS, in sostituizione di quei giudici il cui mandato era in scadenza. Questi due giudici hanno redatto per iscritto il proprio dissenso alla decisione dell’organo, resta il fatto che con la propria partecipazione alla sentenza, questi ne hanno rafforzato la legittimità237.

La crisi costituzionale polacca ha dato vita ad una contrapposizione tra un cosiddetto principio di “legalità maggioritaria”, rappresentato dal governo per assicurare il rispetto delle leggi approvate dalla propria maggioranza in parlamento, e quello di “legalità costituzionale”, al quale ha fatto esplicito riferimento il Tibunale Costituzionale nel “disapplicare” la legge del 22 dicembre 2015 per assicurare all’organo di giustizia costituzionale la possibilità di esercitare le funzioni ad esso costituzionalmente attribuite. La controversia giuridica sul Tribunale costituzionale si è rapidamente evoluta in un aperto scontro politico, infatti dopo il rifiuto iniziale del primo ministro di procedere alla pubblicazione della sentenza K 47/15 del 9 marzo 2016, la Cancelleria della presidenza del governo ha sospeso la pubblicazione di tutte le sentenze del Tribunale costituzionale, portando a gravi ripercussioni sull’ordinamento giuridico polacco. Infatti è potuta nascere cosi una situazione di “dualismo giuridico”, ovvero all’affermazione di due sistemi giuridici paralleli, con evidenti conseguenze sulla certezza del diritto238.

7.7 Il parere della Commissione di Venezia e la prima raccomandazione della