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Rilevanza penale degli interventi realizzati in assenza di DIA o di SCIA

Nel documento MARCOLINI, STEFANO (pagine 66-69)

Secondo l’art. 44, comma 2-bis T.U., introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. r) D.Lgs. n. 301/2002, “le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi suscettibili di realizzazione mediante denuncia di inizio attività ai sensi dell’art. 22, comma 3, eseguiti in assenza o in totale difformità dalla stessa”.

L’impianto originario del Testo Unico aveva previsto la sola sanzionabilità degli interventi in totale difformità o in assenza del permesso di costruire, lasciando nel dubbio la rilevanza penale degli interventi realizzabili con DIA non presentata. L’intervento del 2002 ha, pertanto, colmato il vuoto normativo, estendendo anche alla DIA la tutela penale dell’art. 44 T.U.Il contorno di questa tutela penale va però precisato: la norma appena citata, infatti, non riguarda tutti i casi di DIA, ma si riferisce al solo art. 22, comma 3 T.U., cioè ai casi di cosiddetta SuperDIA. Si tratta di una serie d’interventi edilizi per i quali l’interessato è facoltizzato a richiedere, indifferentemente, il permesso di costruire o la DIA (che, per ragioni di agevole identificazione, in questi casi è stata nella prassi appunto chiamata SuperDIA). Si comprende quale lacuna il legislatore sia venuto a colmare: per non rimettere l’an della tutela penale alla scelta del privato, libero di decidere tra permesso di costruire o SuperDIA, la norma rende indifferente la scelta. In tale senso la giurisprudenza: cfr.

Cass. pen. 6 maggio 2008, n. 17954, Sez. III;

Cass. pen. 12 marzo 2008, n. 11113, Sez. III;

Cass. pen. 26 gennaio 2004, n. 2579, Sez. III). Va precisato, in questo solco, che la disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo richiesto o meno, bensì alla consistenza concreta dell’intervento (

Cass. 19 dicembre 2007, n. 47046, Sez. III). Va infine precisato che, rispetto alla fattispecie relativa al permesso di costruire, la norma in esame incrimina l’assenza e la totale difformità (cui, per le ragioni sopra esposte, occorre equiparare la variazione essenziale) della DIA, ma non menziona la prosecuzione dei lavori nonostante l’ordine di sospensione; stante però la ratio della norma, si tratta di una lacuna che è senz’altro da colmare interpretativamente.

Residua da stabilire quale sia il trattamento dei casi (non di SuperDIA, bensì) di DIA semplice, previsti dall’art. 22, commi 1 e 2 T.U. La risposta sanzionatoria è divisa tra rimedio penale ex art. 44, comma 1, lett. a) T.U. e rimedio amministrativo ex art. 37 T.U., a seconda che l’intervento sia non conforme oppure conforme alla disciplina urbanistica.

Segnatamente, secondo la giurisprudenza, di cui

Cass. pen. 20 dicembre 2006, n. 41619, Sez. III, è una esponente, “la esecuzione in assenza o in difformità degli interventi subordinati a denuncia di inizio attività (DIA) ex art. 22, commi 1 e 2 D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, allorché non conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, comporta l’applicazione della sanzione penale prevista dall’art. 44, comma 1, lett. a) del citato D.P.R. n. 380, atteso che soltanto in caso di

La disciplina sanzionatoria penale non è correlata alla tipologia del titolo abilitativo richiesto

bensì alla consistenza concreta dell’intervento

La destinazione di un immobile non s’identifica

con il suo uso concreto ma con quella impressa dal titolo abilitativo assentito

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interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA, ma conformi alla citata disciplina, è applicabile la sanzione amministrativa prevista dall’art. 37 dello stesso decreto n. 380/2001”.

Contiene un’apprezzabile summa di quanto si è venuto sin qui ricostruendo

Cass. pen. 5 marzo 2009, n. 9894, Sez. III, Cass. pen. 2010, 326, secondo cui, volendo ripercorrere a ritroso il percorso appena fatto, e quindi passando dalle violazioni meno gravi a quelle più gravi, si ha che, nel caso di interventi eseguiti in assenza o difformità dalla DIA, ma conformi alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia in vigore, è applicabile unicamente la sanzione amministrativa prevista dall’art. 37 T.U.; nel caso in cui gli interventi siano non conformi alle sopra citate previsioni, diviene applicabile la sanzione penale prevista dall’art. 44, comma 1, lett. a) T.U.; mentre, infine, la sanzione diviene quella dell’art. 44, comma 1, lett. b) T.U., allorché si versi in caso di SuperDIA, facoltà concessa al cittadino, che non può certo interferire con il regime sanzionatorio, che resta quello proprio del permesso di costruire.

Va, infine ripetuto che, nonostante la norma in esame faccia ancora riferimento alla DIA, la protezione penale accordata deve estendersi — per effetto dell’art. 49, comma 4-ter, secondo periodo del D.L. n. 78/2010, convertito, con modificazioni, nella legge n. 122/ 2010 — anche alla SCIA, in tutti i casi in cui la nuova legislazione la prevede.

NORME DI RIFERIMENTO

ART. 10 (D.P.R. N. 380/2001) – Interventi subordinati a permesso di costruire ART. 22 (D.P.R. N. 380/2001) –Interventi subordinati a denuncia di inizio attività ART. 27 (D.P.R. N. 380/2001) –Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia

ART. 30 (D.P.R. N. 380/2001) – Lottizzazione abusiva

ART. 31 (D.P.R. N. 380/2001) – Interventi eseguiti in assenza di concessione, in totale difformità o con variazioni essenziali

ART. 32 (D.P.R. N. 380/2001) – Determinazione delle variazioni essenziali

ART. 37 (D.P.R. N. 380/2001) – Interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di

inizio attività e accertamento di conformità

ART. 39 (D.P.R. N. 380/2001) – Annullamento del permesso di costruire da parte della Regione ART. 40 (D.P.R. N. 380/2001) – Sospensione o demolizione di interventi abusivi da parte della

Regione

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La volontà semplificatoria del legislatore del 2001 non ha retto alla successiva evoluzione normativa, che pur senza sconvolgerlo ha notevolmente appesantito l’impianto originario

NORMATIVA PAESISTICA

Secondo l’art. 44, comma 1, lett. c), secondo periodo T.U., soggiace alla pena prevista per il reato di lottizzazione abusiva anche chi ponga in essere “interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso”. Tale norma è volta a inasprire il trattamento di chi ponga in essere interventi edilizi in aree protette senza munirsi del titolo abilitativo (permesso) richiesto o in difformità di esso e non rappresenta una mera circostanza aggravante della fattispecie di cui alla lett. b) della medesima norma, bensì un reato autonomo, come tale sottratto al giudizio di comparazione ex art. 69 c.p. (

Cass. pen. 3 ottobre 2008, n. 37571, Sez. III, Cass. pen. 2009, 3066).

Alla fattispecie appena citata ne va affiancata un’altra, l’art. 181, D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, cosiddetto “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, secondo cui:

“1. Chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità di essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici è punito con le pene previste dall’art. 44, lett. c), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

1-bis. La pena è della reclusione da uno a quattro anni qualora i lavori di cui al comma 1:

a) ricadano su immobili od aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;

b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell’art. 142 ed abbiano comportato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano comportato una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.

1-ter. Ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui all’art. 167, qualora l’autorità amministrativa competente accerti la compatibilità paesaggistica secondo le procedure di cui al comma 1-quater, la disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;

b) per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;

c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’art. 3, D.P.R. n. 380/2001. 1-quater. Il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.

1-quinquies. La rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorità amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al comma 1.

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2. Con la sentenza di condanna viene ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui territorio è stata commessa la violazione”.

Costruire senza titolo abilitativo in zona vincolata comporta pertanto una duplice conseguenza:

strettamente ediliziaex art. 44, comma 1, lett. c), secondo periodo del Testo Unico edilizia;

paesistica ex art. 181 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Un solo esempio: la realizzazione di una cava in zona sottoposta a vincolo, in difetto di una preventiva autorizzazione paesaggistica e in forza di un permesso di costruire per uno scavo non superiore a un metro e mezzo, la cui prescrizione venga violata sia per l’altezza sia per la profondità dello scavo (Trib. Terni 4 novembre 2010, n. 707).

Il primo versante — la violazione della disciplina edilizia — non presenta qui particolare interesse, nel senso che si può e si deve rimandare a quanto già detto sopra con riguardo al reato di costruzione senza permesso.

Va, invece, analizzato il secondo versante, quello della contrarietà alla disciplina paesistica.

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