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RIPRODUZIONE

9.1. Per un nuovo metodo: la riproduzione genetica

Il presente esperimento nasce dai problemi che ostacolano una fondamentale necessità per lo studio filologico: la rappresentazione di un testo. Riuscire a dimostrare l’evolversi di un’opera nel modo più chiaro possibile è una questione di non trascurabile importan- za: finora, l’unico “indicatore di movimento” è l’apparato critico che, diverso a seconda delle esigenze, fornisce la cronistoria delle modifiche di un testo, subita nel corso dei secoli. A complicare questa situazione (vista l’esistenza di diversi apparati, è la discre- zione del filologo a stabilire quale adottare in un’edizione) si aggiunge l’incondizionata libertà nella scelta della simbologia critica, dal momento che a tutt’oggi non esistono ancora dei caratteri unici ai quali attenersi.

In questo studio, per risolvere l’inesistenza di un modello unanime di simboli, ho pro- posto, optando per un apparato critico genetico e positivo (cercando di dimostrare, in modo limpido, le fasi delle diverse edizioni dei sonetti), una serie di segni che fossero di facile comprensione e che suggerissero da soli il significato indicato. Tuttavia, mi sono reso conto che l’intento di partenza, ovvero di mirare ad una forma di rappresentazione “pulita” (senza bisogno di puntualizzazioni), non si rispecchiava nel corpus di sigle, se- gni e numeri dell’apparato: ho quindi pensato ad un altro metodo che permettere la rea- lizzazione di questo progetto.

Grazie allo studio del manuale di filologia italiana di Alfredo Stussi, Introduzione agli

studi di filologia italiana, e in particolare dell’ultimo capitolo dal titolo Nuove prospet- tive, nel quale l’autore ragiona diffusamente sull’impatto dello sviluppo tecnologico sul-

la filologia, ho maturato un metodo che consentisse di unire progresso e tradizione, tro- vando un piano comune fra queste due - apparenti - antitesi. In questo modo sono parti- to da un cambio di prospettiva, provando a considerare l’avvento del computer non co- me un ostacolo, ma come un possibile aiuto: se è vero che i nuovi supporti di scrittura digitale hanno drasticamente ridimensionato le prospettive della filologia, in particolare di quella d’autore (ora, si può emendare e modificare un testo senza lasciare la minima traccia dell’intervento), è altrettanto vero che - grazie ai programmi di photo editing e di correzione digitale - si sono aperte nuove strade e nuovi metodi di analisi. L’intento del- la mia ricerca era di presentare al lettore un fisico che permettesse la veloce e immediata visualizzazione dell’evoluzione di un testo, manoscritto o a stampa, del quale si fornisse una rappresentazione tridimensionale. Ho chiamato questo esperimento Riproduzione

genetica, dal momento che riproduce la parte interessata di un testo e nel traccia la ge- nesi, dalla sua creazione fino alla veste pervenutaci.

1. il punto di partenza è la scelta del testo da analizzare: può trattarsi di un manoscritto di una stampa, purché il testo presenti varianti;

2. si procede con la scansione del testo, per averne una copia in digitale sulla quale verranno effettuate le modifiche;

3. rimuovere, ricorrendo all’uso di programmi di photo editing (come Photoshop), le varianti dal testo, restituendogli la sua forma originaria;

4. raggruppare le varianti secondo la tipologia (immediate, tardive, di mano diversa ri- spetto al copista originale o all’autore);

5. stampare il testo purificato su un foglio di carta normale e le varianti su tanti fogli lucidi quante sono le categorie (di varianti) riconosciute.

Lo scopo è di recuperare la versione originaria di un testo e di fornire al lettore (indi- pendentemente dal suo grado di preparazione) una rappresentazione obiettiva che non solo permetta lo studio in prima persona, ma consenta di formulare teoria e supposizioni indipendenti dalla posizione del filologo (col quale si può, successivamente, convenire o no). Quello che si crea è un testo dinamico, che non si cristallizza nella sua forma stati- ca, ma che apre dibattiti e sollecita nuove opinioni.

L’esempio di seguito riportato è stato condotto sulla pagina 284 del manoscritto Italien

575, conservato alla Bibliotèque Nationale de France, contenente diversi componimenti

del Cavalier Marino e assemblato in territorio francese nel 1601, diversi anni prima che la Lira venisse stampata a Venezia. Il manoscritto si presenta come un regalo di nozze e riporta componimenti di moltissimi letterati italiani; le mani sono diverse (come si ar- guisce dalla grafia) e, probabilmente, di origine francese. Nel nostro caso, il copista - riproducendo il sonetto mariniano - si trova a dover trascrivere il verso «Porti degl’anni tuoi l’ultimo giorno»: leggendo per emistichi, il copista anticipa la parola in fine di ver- so (giorno), influendone la prima parte (anni tuoi), scrivendo «Porti del giorno tuo». La modifica, tuttavia, viene operata una volta concluso il verso, dopo aver letto che giorno è la parola di chiusura: il copista decide quindi di eliminare con una linea la versione sbagliata (il primo giorno) e di aggiungerle sopra quella corretta (anni), adattando di conseguenza sia l’articolo (che da del diventa degl’) sia l’aggettivo possessivo (al quale viene aggiunta una i finale). La variante è tardiva dal momento che viene applicata una volta concluso il verso e gli indizi che confermano questa posizione sono diversi: se il copista si fosse accorto subito dell’errore commesso, avrebbe probabilmente scritto non sopra, ma in parte alla versione cassata quella corretta. A questa ipotesi si può obiettare che lo spazio non era sufficiente per accogliere entrambe le versioni (quella emendata e quella giusta) sulla stessa riga e che la scelta dell’autore di sovrascrivere la lectio origi- nale sia stata obbligata: questo è sicuramente vero, ma si analizzi attentamente l’aggettivo tuoi e, in particolare, le ultime due vocali. La o non è legata alla i finale

(come in tutti gli altri nessi presenti nel manoscritto e riconducibili alla mano di questo copista): anzi, il ricciolo della o presenta un occhiello di nero più scuro, segno che la piuma - in quel punto - ha indugiato più a lungo, permettendo all’inchiostro di stagnare e di riempire completamente l’occhiello (questo tratto è tipico di tutte le o finali, come si può riscontrare facilmente in questo sonetto; la sosta prolungata del copista in questo punto si giustifica per il fatto che alla vocale non succedono altre parole e quindi il moto della mano si interrompe per sollevarsi dal foglio e per continuare a scrivere). Inoltre, è visibile che fra la i finale e la l de l’ultimo intercorre troppo poco spazio: la variante è quindi sicuramente tardiva (come si legge in alto a destra sul foglio lucido), apportata dopo che l’intero verso fu copiato (probabilmente il copista si accorse subito dell’errore, ma per paura di rimanere senza spazio ha preferito concludere il verso e riportare in in- terlinea la correzione).