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Risoluzione

Nel documento Il Credito Fondiario (pagine 81-87)

CAPITOLO 3: LA DISCIPLINA

10- Risoluzione

L‟art. 40 comma II T.U.B. sancisce che “la banca può invocare come causa di risoluzione del contratto il ritardato pagamento quando lo stesso si sia verificato almeno sette volte,

anche non consecutive. A tal fine costituisce ritardato pagamento quello effettuato tra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla scadenza della rata”.

Il legislatore nel fissare questi termini ha tenuto presenti i vecchi mutui fondiari, che di norma avevano rate semestrali, ma la disposizione trova applicazione anche in caso di rate non semestrali poiché il riferimento legislativo è alla scadenza delle singole rate, qualunque periodicità queste abbiano. La norma semplifica la previsione dell‟art. 17 legge 175 del 1991 in base alla quale “il pagamento ritardato oltre i trenta giorni di almeno due rate consecutive ripetuto per ulteriori due volte consente di applicare la condizione risolutiva nel caso di pagamento ritardato oltre i trenta giorni di una sola ulteriore rata”. La norma, per quanto farraginosa, rappresentava una svolta rispetto al T.U. del 1905 che prevedeva, per i contratti di credito fondiario, la condizione risolutiva per il ritardato pagamento anche di una sola parte del credito scaduto. L‟art. 39 del T.U. del 1905 stabiliva che “nei contratti di credito fondiario intendesi stipulata la condizione risolutiva in caso di ritardato pagamento, anche di una sola parte del credito; e l‟istituto può chiedere esecutivamente il pagamento integrale di ogni somma ad esso dovuta”. In commento a tale previsione già il Prof. Moglie sottolineava che la risoluzione era in tal caso, disposta ex lege e non rimessa alla volontà delle parti come accadeva nel diritto comune (art. 1456 c.c.), “il che non impedisce”, scrive l‟autore, “che i contratti (…) contemplino per migliore chiarezza e particolare conoscenza da parte del mutuatario, l‟espresso riferimento alla clausola risolutiva dell‟art. 39. E‟ anzi consigliabile, ma non necessario, che ivi se ne faccia menzione, anche se in tali contratti la clausola risolutiva è sottintesa (Cass. Napoli 4 agosto 1906)127”.

Nacque, in passato, un contrasto che aveva ad oggetto il quantum debeatur in caso di risoluzione del contratto. Precisamente il dibattito, nato intorno all‟art. 39 del T.U. del 1905, mirava a definire se in materia di mutuo fondiario dovesse trovare applicazione l‟istituto della risoluzione del contratto ovvero il principio della decadenza dal beneficio del termine. Il ricorso alla decadenza dal beneficio del termine determinava l‟inapplicabilità delle conseguenze normative della risoluzione, con particolare riguardo alla notevole diversa entità dell‟ammontare delle somme da restituire. In caso di risoluzione, invece, non si doveva tener conto degli interessi moratori nella misura convenzionale sulle rate ancora a scadere. Il problema si era fatto strada perché l‟art. 39 sanciva che “nei contratti di credito fondiario intendesi stipulata la condizione risolutiva in caso di ritardato pagamento...” (che allora poteva essere anche di una sola rata). Si trattava di un‟indicazione normativa che letta solo in questa parte, sembrava porre una vera e

propria clausola risolutiva ex lege, tuttavia nell‟ultima parte, “e l‟istituto può chiedere esecutivamente il pagamento integrale di ogni somma ad esso dovuta”, poteva sembrare che il legislatore avesse voluto intendere che il rapporto di mutuo permane in vita fino al pagamento dell‟ultima somma. Se l‟inadempimento produceva la risoluzione, comportava lo scioglimento dell‟intero rapporto, rendendo illegittima ed infondata ogni richiesta della banca di corresponsione degli interessi anche sulle rate ancora non scadute; se il rapporto si protraeva fino al completo adempimento, allora si poteva giustificare la richiesta della banca di tutti gli interessi dovuti sulla base delle originarie pattuizioni del contratto che, dunque, restava in vita perché non vi era alcuna risoluzione ma la sola decadenza dal beneficio del termine, analogamente prevista in generale nell‟art. 1186 c.c.

Tale soluzione, riconosciuta anche dalla Cassazione più risalente (es. Cassazione 1991 n. 3763), poteva giustificarsi nell‟originaria funzione del mutuo fondiario: il denaro era approvvigionato mediante l‟emissione delle cartelle e delle correlative obbligazioni fondiarie ed era necessario l‟esatto adempimento per garantire alla banca il rientro del capitale per liberarsi dal pagamento delle cartelle.

La scelta fra risoluzione e decadenza dal beneficio del termine è ancora oggi di grande attualità alla luce del gran numero di pignoramenti pendenti per crediti fondiari stipulati in data anteriore al 1° gennaio 1994. Nella prima ipotesi, dopo l‟intimazione di pagamento, con l‟atto di precetto, gli interessi moratori andranno calcolati sulle sole rate scadute, perché la risoluzione non opera che per il futuro nei rapporti di durata, quale è il contratto di mutuo, determinando, dunque, l‟anticipata scadenza dell‟obbligazione di restituzione del capitale, mentre detti interessi non potranno essere riconosciuti sulle rate a scadere perché queste non sono più sorrette dalle pattuizioni contenute nel contratto che oramai è risolto. Di conseguenza, se gli interessi convenuti per il ritardo nel pagamento sono stati calcolati, dovrà essere scorporata la parte di rata imputata a titolo d‟interessi poiché gli interessi moratori sono calcolati sulla sola quota dovuta a titolo di rimborso capitale. Il principio è stato sancito dalla Cassazione con sentenza n. 20449 del 2005 e, con sentenza n. 12639 del 2008, dalle Sezioni Unite chiamata a comporre il contrasto ancora esistente sul punto128. L‟art. 39 del T.U. del 1905 fu anche soggetto a questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 I comma e 24 I comma Cost. La questione fu ritenuta infondata, in quanto, le speciali garanzie assicurate agli istituti di credito fondiario erano considerate funzionali alle esigenze degli istituti in caso di inadempienza dei mutuatari, inoltre si

128MASSIMILIANA BATTAGLIESE, La tutela del debitore tra nuova e vecchia normativa del credito

riteneva che la norma non fosse minimamente lesiva del diritto del mutuatario ad agire in giudizio per la tutela delle proprie ragioni129.

Oggi è eliminato ogni dubbio interpretativo sull‟esistenza di un diritto a chiedere la restituzione del capitale nel perdurante rapporto tra le parti (decadenza dal beneficio del termine) o di una clausola risolutiva espressa, poiché l‟art. 40 T.U.B. non menziona più l‟ipotesi di recupero integrale di ogni somma dovuta o un‟ipotesi di scioglimento ex lege. La norma fa riferimento, più che all‟inadempimento, al reiterato ritardo nell‟adempimento, prevedendo che ove questo si verifichi per sette volte, anche non consecutive, la banca possa chiedere la risoluzione del contratto. Il ritardato pagamento è quello effettuato tra il trentesimo e il centoottantesimo giorno dalla scadenza della rata. Vi sono pertanto tre ipotesi:

a) Il pagamento viene effettuato entro trenta giorni dalla scadenza, cioè nel periodo di tolleranza. Questa situazione è irrilevante, in tal caso la banca può chiedere soltanto il pagamento degli interessi moratori per i giorni di ritardo effettivo. Richiamiamo, infatti, la Cassazione, sez. III, sentenza n. 9695 del 2011: “In tema di credito fondiario il mancato pagamento di una rata di mutuo comporta, ai sensi dell’art. 38 del r.d.l. 16 luglio 1905 n. 646, l’obbligo di corrispondere gli interessi di mora sull’intera rata, inclusa la parte che rappresenta gli interessi di ammortamento”. b) Il pagamento viene effettuato fra il trentesimo e il centottantesimo giorno dalla

scadenza. Questa situazione è rilevante solo se si ripete per almeno sette volte anche non consecutive avendo in tal modo il legislatore “predeterminato” la gravità dell‟inadempimento. Il legislatore ha, infatti, valutato l‟importanza dell‟inadempimento in via autonoma rispetto alla disposizione generale dell‟art. 1455 c.c.130 e alla disposizione specifica dell‟art. 1820 c.c.131 che in tema di mutuo permette al mutuante di chiedere la risoluzione anche per il solo mancato pagamento degli interessi da parte del mutuatario. La clausola risolutiva espressa deve adeguarsi alla quantificazione legale del minimo di morosità rilevante al fine di evitare che la disposizione in esame venga elusa. Pertanto se vi fosse una clausola risolutiva espressa che prevedesse la risoluzione per il ritardato pagamento della rata in difformità alle ipotesi sub a) e b) risulterebbe sospesa fino alla

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CESARE MOGLIE, Credito fondiario e edilizio manuale teorico-pratico, Giuffrè, 1989, pag. 455 ss.

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Art. 1455 c.c. Importanza dell’adempimento.

Il contratto non si più risolvere se l‟inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all‟interesse dell‟altra.

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Art. 1820 c.c. Mancato pagamento degli interessi.

maturazione dei termini previsti per la sanatoria, restando inefficace ove il debitore, entro i limiti di legge, sanasse la morosità. È da escludere la rilevanza risolutoria di una diffida ad adempiere intimata ex art. 1454 c.c. in contrasto con i termini dell‟art. 40 II comma T.U.B.

c) Il pagamento non viene effettuato o viene effettuato oltre il centottantesimo giorno alla scadenza della rata. Questa situazione si sostanzia in un vero e proprio inadempimento e permette alla banca di chiedere la risoluzione del contratto anche se si tratta di un solo episodio, purché qualificabile come “importante” ai sensi dell‟art. 1455 c.c. L‟importanza sembra emergere dallo stesso art. 40 T.U.B. quando l‟importo della rata non pagata superi il totale degli interessi moratori dovuti su centottanta giorni su sette rate132. Questo criterio non opera ove le parti abbiano contrattualmente previsto una clausola risolutiva espressa per il mancato pagamento di una rata oltre il centottantesimo giorno, poiché una delle funzioni della risoluzione ope legis, di cui agli artt. 1454, 1456, 1457 c.c., è quella di sottrarre al giudice l‟accertamento e il controllo della rilevanza dell‟inadempimento.

Il II comma dell‟art. 40 T.U.B. ha, da un lato, vietato la risoluzione automatica ex lege, dall‟altro, ha permesso alle parti di introdurre nel contratto clausole risolutive espresse che sono operative solo nelle situazioni espressamente configurate dalla norma speciale.

La banca che non voglia avvalersi della risoluzione può chiedere, ex art. 1453 c.c.133, l‟adempimento coattivo per ottenere il pagamento delle rate scadute e degli interessi di mora. Tuttavia se la banca attiva la clausola risolutiva potrà intimare il pagamento dell‟intero credito per capitale, se, invece, non fa valere la risoluzione, può intimare il pagamento delle sole rate scadute e non pagate e degli interessi moratori e non l‟intero credito, anche se è stato stipulato un contratto di mutuo, in quanto la norma di cui all‟art. 1819 c.c.134 deve contemperarsi con la disposizione in esame.

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Sulle ipotesi concordano i diversi autori: MARCO SEPE, L‟attività delle banche a cura di ALBERTO URBANI, Cedam, 2010, pag. 231.

CARLO MARIA TARDIVO, Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, Giuffrè, 2006, pag. 217. GIUSEPPE BOZZA, Il credito fondiario nel nuovo t.u. bancario, Cedam, 1996, pag. 97 ss.

133Art. 1453 c.c. Risolubilità del contratto per inadempimento.

Nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l‟altro può a sua scelta chiedere l‟adempimento o la risoluzione del contratto (1878, 1976, 2652), salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno (1223 e seguenti).

La risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio stato promosso per ottenere l‟adempimento; ma non può più chiedersi l‟adempimento quando stata domandata la risoluzione.

Dalla data della domanda di risoluzione l‟inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione.

134Art. 1819 c.c. Restituzione rateale.

Se è stata convenuta la restituzione rateale delle cose mutuate e il mutuatario non adempie l‟obbligo del pagamento anche di una sola rata, il mutuante può chiedere, secondo le circostanze, l‟immediata restituzione dell‟intero (1186,1804, 1820).

Tutto ciò non significa che nel finanziamento fondiario la banca non possa chiedere la decadenza dal beneficio del termine in presenza dei presupposti ex art. 1186 c.c.135.

Si differenziano così i due istituti in quanto la risoluzione richiede il ritardato adempimento entro il centottantesimo giorno dalla scadenza per sette volte o anche un solo inadempimento decorso questo termine, e comporta lo scioglimento del contratto; la decadenza dal beneficio del termine richiede l‟insolvenza del debitore o la diminuzione della garanzie. Mentre la risoluzione opera sulla base dei presupposti ex art. 40 T.U.B., la decadenza dal beneficio del termine potrà essere richiesta ex art. 1186 c.c. in presenza dell‟insolvenza del debitore e della diminuzione delle garanzie promesse, e postula che il creditore chieda l‟immediato adempimento. La normativa speciale può comunque incidere sul presupposto dell‟insolvenza richiesto dall‟art. 1186 c.c., la stessa non può desumersi dal solo fatto dell‟unico e reiterato mancato rispetto della scadenza contrattuale ma deve ricavarsi da altri elementi; il fatto che la legge permetta la sanatoria entro certi limiti, impeditiva della risoluzione, indica che il legislatore non giudica indice di insolvenza il mancato pagamento delle rate alle scadenze contrattuali entro quei limiti.

10.1- Ipotesi di adempimento tardivo della prestazione.

Bisogna stabilire se vi sia la possibilità, per il debitore, di eliminare la risoluzione con il compimento tardivo della prestazione, e in che limiti il creditore-banca possa consentirlo. In passato, infatti, l‟adempimento non era ripristinabile poiché era la legge che inseriva la clausola in esame in operazioni di mutuo di scopo.

Occorre distinguere il caso in cui una norma impedisca all‟autonomia delle parti di rinunciare alla clausola risolutiva dall‟ipotesi in cui tale clausola manchi, fermo restando l‟art. 1458 I comma c.c. il quale sancisce che “la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”. Ritiene l‟illustre Andreoli136che non può ammettersi che il creditore sia arbitro indiscusso dell‟esistenza e della risoluzione del rapporto contrattuale. In tema di credito fondiario l‟art. 61 r.d. 646 del 1905 e l‟art. 22 d.P.R. 7 del 1976, davano la possibilità di una continuazione del contratto. La richiesta di risoluzione poteva venir

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Art. 1186 c.c. Decadenza dal termine.

Quantunque il termine sia stabilito a favore del debitore, il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non ha dato le garanzie che aveva promesse.

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CARLO MARIA TARDIVO, Il credito fondiario nella nuova legge bancaria, Giuffrè, 2006, pag. 222 richiama in nota n. 21 ANDREOLI, Appunti sulla clausola risolutiva espressa e sul termine essenziale, in riv.

meno per effetto della volontà delle parti anche successivamente espressa. La problematica poi, in tema di fallimento, si manifestava anche circa la possibilità di considerare terzo il curatore ai sensi dell‟art. 1458 c.c. che al II comma prevede che la risoluzione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, “salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione”.

Il problema della riviviscenza del contratto di finanziamento fondiario non è risolto dall‟art. 40 T.U.B. poiché non è stata introdotta una previsione che espressamente impedisca la scelta contrattuale dell‟inserimento di una clausola in tal senso orientata. Poiché oggi le banche si qualificano come soggetti privati e l‟attività bancaria è attività d‟impresa, si può ammettere che la risoluzione possa venir meno in corso di esecuzione forzata per effetto di una successiva volontà delle parti, accompagnata dall‟adempimento tardivo. Il problema dei limiti della riviviscenza è perciò incentrato sull‟esistenza o meno di una volontà contraria dell‟ordinamento che non pare però sussistere. Circa la forma con cui si può esprimere la volontà delle parti, assumono rilievo anche i comportamenti concludenti, cioè incompatibili con la volontà di avvalersi dell‟effetto risolutivo. Nel caso di risoluzione derivante da clausola risolutiva espressa si ritiene opportuna una verifica della magistratura, ma il momento a cui si fa risalire la risoluzione del diritto è quello dell‟evento previsto. Il problema è pertanto processuale.

Il sistema vigente consente di evitare la risoluzione ove per sette volte si paghi in ritardo la rata, ma sempre prima della scadenza della rata successiva. Scadute due rate il sistema della risoluzione prevista dalla clausola risolutiva espressa torna ad essere attuale. Dunque risoluzione non più ope legis, ma ex art. 1456 c.c.137 se concordata preventivamente dalle parti: il che comporta la valutazione della magistratura a norma del codice civile.

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