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Capitolo 2: Imprenditorialità, innovazione e migrant

5. Attuazione di una riorganizzazione di una qualsiasi industria L'ultimo tipo di riorganizzazione ha carattere residuale lasciando più libera l'interpretazione in quanto

2.5 Il ruolo dello stato

Parlando di imprenditorialità il pensiero comune rimanda direttamente alla lungimiranza o l'abilità di famosi imprenditori e imprenditrici che hanno avuto successo nelle loro attività o che hanno avuto una storia particolarmente interessante da raccontare.

Secondo il mio punto di vista non solo gli imprenditori di successo che scrivono autobiografie e diventano best-seller meritano di essere raccontate. Ogni tipo di imprenditore è interessante per tanti aspetti; sono sicuro che se provate a chiedere al primo imprenditore che trovate sotto casa vostra avrà storie altrettanto interessanti da raccontarvi, saprà dirvi molti più aspetti coinvolgenti dello spirito imprenditoriale rispetto ai soliti concetti triti e ritriti delle autobiografie.

Le biografie degli imprenditori e i libri che raccontano alcune realtà imprenditoriali di successo si concentrano troppo su casi che hanno avuto successo, senza contare che chi nelle loro attività ha fallito è forse più interessante di tutti gli altri.

I tentativi di innovazione di solito si risolvono in un fallimento, altrimenti non sarebbe innovazione. Il fallimento però, può sempre rappresentare un punto di partenza oltre che una parte fondamentale del processo di innovazione. Senza dimenticare che si impara

molto più da un fallimento che da un successo capitato per caso.

L'imprenditorialità non è fatta solo di start-up, venture capitalist che finanziano geni che inventano qualcosa nel garage di casa o di idee geniali partorite davanti alla macchinetta del caffè. L'imprenditorialità è una questione di volontà e capacità di tutti gli operatori economici di assumersi il rischio, il peso dell'incertezza.

All'infuori del ruolo degli imprenditori, famosi o no che siano, un soggetto fondamentale al fine di incentivare l'imprenditorialità è proprio lo stato. Nel pensiero comune lo stato non è mai visto con un ruolo chiave, ma è proprio lo stato a guidare o frenare l'imprenditorialità. A sfatare i miti sul settore pubblico e privato ci ha pensato Mariana Mazzucato con il libro "The Entrepreneurial State: debunking public vs.

private sector myths" (Anthem 2013). Il libro parla dei risultati dell'economia

statunitense che vive il mito dell'iniziativa privata, come se l'economia statunitense fosse tutta merito dei privati. In realtà lo stato ha un ruolo fondamentale nel sviluppo economico del paese in particolare nei settore ad alto intensità tecnologica.

Il libro in questione dà una visione diversa sull'importanza dello stato nelle innovazioni. Il dibattito odierno ormai è orientato su quanto importante sia l'innovazione e sull'importanza delle innovazioni in un mondo sempre più proiettato alla crescita guidata dall'innovazione

Quando si parla di innovazione di pensa subito alla ricerca e sviluppo (R&S o R&D) intendendo il comparto delle aziende private che investono nel settore della ricerca e sviluppo. È in parte vero in quanto l'innovazione avviene attraverso processi ricerca e sviluppo ma non ne esiste un rapporto diretto tra le due cose vale a dire che non è automatico all'investimento in ricerca e sviluppo la produzione di innovazione, senza considerare che le aziende investono sempre meno in ricerca a sviluppo.

Molti dei prodotti più innovativi di questa era, anche se passano tra le mani di tutti grazie a marchi di aziende private sono solo in parte merito di innovazioni degli stessi. L'esempio più chiaro è internet, nonostante oggigiorno ci siano colossi imprenditoriali i quali fondano la loro esistenza su internet non è grazie a loro che internet esiste. Internet non è nata da iniziative di imprese private ma dagli investimenti di un ente governativo,

altri esempi citati dal libro sono il touchscreen, Siri, che tutti combinati insieme hanno dato vita all' Iphone, ma nelle nostre menti l'Iphone è merito di Apple e non degli enti di ricerca govenativi statunitensi. Molte delle iniziative imprenditoriali dell'ultimo millennio sono nate grazie a sperimentazioni e ricerche portate avanti dallo stato a cui i privati usufruiscono senza aver minimamente partecipato. Considerati alla stregua di "freerider" dell'innovazione.

Al fine di garantire una certa crescita guidata dalle innovazioni è fondamentale che lo stato faccia ricerca e sviluppo. La quantità di innovazione e la spesa dello stato in ricerca e sviluppo non sono in alcun modo correlate. Non necessariamente un alta spesa in R&D porta a un alto grado di innovazione. Qualcuno vede la spesa in ricerca come l'acquisto dei biglietti della lotteria, è vero che più biglietti uno compra più ha possibilità di vincere e chi non compra nessun biglietto sicuramente non vicerà. Ma può essere che con alte spese non si porti a casa nulla.

La spesa in ricerca varia molto da paese a paese e si è soliti misuarla come la percentuale rispetto al Pil del paese.

Il libro porta l'esempio del Giappone e dell'Unione Sovietica negli anni 70-80, dove il Giappone spendeva il 2,5% del Pil in R&D mentre l'Unione Sovietica il 4%. Nonostante l'Unione Sovietica spendesse molto di più del Giappone in R&D il Giappone registrò una crescita di gran lunga maggiore, con una forte componente di esportazioni in particolare nei settori ad alto contenuto tecnologico. Questo esempio smonta la convinzione che una maggiore spesa in R&D crei in automatico maggiore crescita. È altrettanto importante l'allocazione della spesa. Il Giappone aveva una struttura economica più orizzontale composta da imprese, università, commercio internazionale e ministero dell'industria, spalmando i finanziamenti in R&D su svariati settori economici garantendo una forte integrazione a livello di impresa, produzione e importazione di tecnologia dall'estero. L'Unione Sovietica invece concentrò le ricerche in particolare sul comparto militare e spaziale; mancava completamente la presenza di imprese pronte a commercializzare le tecnologie sviluppate dallo stato. Il "miracolo giapponese" è stato possibile grazie alla presenza di uno stato sviluppista (developmental state) ossia uno stato che interveniva direttamente nell'economia attraverso una pianificazione indipente attraverso la collaborazione tra governo e imprese portando come risultato un èlite

privata disposta a impegnarsi in progetti rischiosi.

Attraverso questo esempio si evince che ciò che conta non è lo "stock" di R&D che un paese può vantare a tradursi in sviluppo economico ma besì la sua diffusione e circolazione. Tenendo presente che non esiste un nesso lineare tra la R&D e la crescita, altri aspetti quali l'istruzione, formazione, progettazione, controllo di qualità e domanda effettiva di innovazione giocano un ruolo importante al suo interno. Pertanto si pone particolare importanza alla fluidità della R&S41.