Figura contrattuale rimasta esclusa dalla tipizzazione operata dal legislatore con la Legge Concorrenza del 2017 è quella del sale and lease back (detto anche lease
«1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.
2. Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono:
a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114-quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114-novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo;
b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico».
33 Il primo parere (n. 19) è stato rilasciato in data 6 febbraio 1995; successivamente, il Comitato ex legge n.197/1991 si è espresso con il parere n. 48 dell’8 novembre 1996.
34 La Banca d’Italia ha infatti adottato le Istruzioni di vigilanza per gli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale (Capitolo II, Parte I).
35 Per un approfondimento cfr. SERRA M., Il contratto di leasing, cit. e CLARIZIA R., I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, cit., p. 171.
back o leasing di ritorno), la cui liceità è stata per lungo tempo oggetto di un acceso dibattito tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, stante la forte analogia con la vendita con patto di riscatto o di retrovendita a scopo di garanzia (schema negoziale illecito in quanto contrario al divieto di patto commissorio sancito dall’art. 2744 c.c.
36).
L’operazione economica del lease back si articola in due distinti “momenti”
contrattuali: una parte, solitamente una impresa o un lavoratore autonomo, stipula con una società di leasing un contratto di compravendita, avente ad oggetto la cessione di un bene (mobile o immobile) strumentale per l’esercizio dell’attività di impresa. Il bene in questione viene contestualmente concesso in godimento (a fronte del pagamento di un canone periodico) dalla società di leasing-acquirente allo stesso alienante mediante la stipulazione di un contratto di leasing; alla scadenza del negozio, l’utilizzatore avrà facoltà di riacquistare il bene originariamente ceduto ad un prezzo prestabilito, esercitando un diritto di opzione.
36 Ai sensi dell’art. 2744 c.c. «È nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno».
Dibattuta è, peraltro, la ratio della disposizione: le tesi tradizionali la individuano nell’esigenza di tutelare la parte debitoria da possibili abusi e coercizioni del soggetto creditore; altri sottolineano come la previsione costituisca un baluardo a tutela del principio della par condicio creditorum. Altri ancora ne individuano la logica nel contrasto a meccanismi di autotutela, stante l’esclusiva statale in materia esecutiva.
Dottrina e giurisprudenza hanno esteso la nullità sancita dall’art. 2744 c.c. anche al c.d. patto commissorio “autonomo”: mediante tale clausola – solitamente inserita in un contratto di compravendita – le parti (già legate da un precedente rapporto obbligatorio) prevedono che il trasferimento del diritto di proprietà di un determinato bene libero da “pesi” (dunque non concesso in pegno né gravato da ipoteca) all’acquirente-creditore sia subordinato al verificarsi dell’inadempimento del venditore-debitore. In tale ipotesi, l’acquirente-creditore non sarà tenuto a versare il prezzo, in quanto il passaggio di proprietà sarà funzionale a “compensare” l’inadempimento dell’obbligazione del precedente rapporto. In caso di corretto adempimento del precedente debito, il venditore-debitore avrà invece diritto a riscattare il bene alienato.
La giurisprudenza di legittimità è inoltre concorde nel ritenere che il divieto di cui all’art. 2744 c.c. si estenda ad ogni pattuizione, contratto ovvero pluralità di negozi fra loro collegati che, pur formalmente leciti, siano impiegati per perseguire, in concreto, il risultato vietato dalla disposizione de qua (si pensi, ad es., ad una procura a vendere conferita al creditore il quale, in caso di inadempimento del mandante-debitore, acquisti il bene ad un prezzo vile).
A differenza del leasing finanziario, lo schema negoziale in esame si caratterizza per una struttura bilaterale37, poiché i soggetti protagonisti dell’intera operazione economica rivestono, contemporaneamente, la qualifica di parti in due differenti contratti (di compravendita e di leasing), seppur inseriti in una unitaria operazione economica. La cessione del bene, infatti, consente all’alienante-utilizzatore di ottenere immediata liquidità, senza privarsi della disponibilità del bene e garantendosi al contempo la possibilità di un futuro riacquisto alla scadenza del contratto di leasing. L’operazione si presenta, dunque, strutturalmente complessa:
sembrerebbe emergere una valenza finanziaria, in quanto il contratto di compravendita costituisce presupposto indefettibile per la stipula del successivo contratto di leasing e per l’integrale soddisfacimento dell’interesse perseguito dall’alienante-utilizzatore.
Tale circostanza, a parere della più recente giurisprudenza, diversificherebbe tale alienazione (funzionalmente inserita nell’ambito di una più articolata operazione economica) da quei trasferimenti di proprietà posti in essere in funzione di garanzia di un preesistente o concomitante contratto di mutuo38. In quest’ultima ipotesi, infatti, ci si troverebbe in presenza di una operazione di finanziamento, con possibile conseguente violazione del divieto di patto commissorio ai sensi dell’art. 2744 c.c.39.
A tal proposito, il punto nodale della questione sarebbe costituito proprio dall’individuazione della funzione perseguita dalle parti attraverso il contratto di compravendita, elemento da cui far discendere l’ammissibilità ovvero la radicale illiceità dell’operazione di sale and lease back. Il recente atteggiamento della
37 La trilateralità dell’operazione di sale and lease back è invece sostenuta da CLARIZIA R., I contratti nuovi. Factoring, locazione finanziaria, in Trattato di diritto privato, diretto da BESSONE M., XV, Torino, 1999, p. 229: «in quanto la circostanza che lo stesso soggetto cumuli fisicamente la qualità di venditore e di utilizzatore in leasing non incide sul ruolo di intermediario finanziario del concedente né sui contratti di vendita e di locazione finanziaria funzionalmente collegati tra loro che modificano appunto la natura del diritto in base al quale lo stesso soggetto dispone giuridicamente del bene, prima come proprietario poi come detentore».
38 Cfr. VITI V., La locazione finanziaria tra tipicità legale e sottotipi, cit., p. 153.
39 Le Sezioni Unite, con le sentenze n. 1611 e n. 1907 del 1989, hanno statuito che nella vendita con patto di riscatto o di retrovendita a scopo di garanzia il trasferimento della proprietà assurge a causa del contratto, trovando esclusiva giustificazione nella finalità di garanzia del creditore. Di conseguenza, mediante tale schema contrattuale si determina uno scollamento tra la causa astratta del negozio di compravendita (da individuarsi nel trasferimento della proprietà a fronte del pagamento di un prezzo) e quella concretamente perseguita dalle parti (ovverosia il rafforzamento della posizione creditoria), eludendo di fatto il divieto posto dall’art. 2744 c.c. Cfr. Cass. civ., sez. un., 3 aprile 1989, n. 1611 e Cass. civ, sez. un., 21 aprile 1989, n. 1907.
giurisprudenza, meno intransigente in ordine alla sua ammissibilità, costituisce invero l’approdo finale di una lunga riflessione sul tema: per lungo tempo, le Corti di merito hanno infatti escluso in radice la liceità di tale negozio40, sulla base di articolati percorsi argomentativi condivisi (spesso) anche in sede di legittimità.
Una inversione di tale orientamento è stata coraggiosamente operata dalla Suprema Corte con la sentenza 16 ottobre 1995, n. 10805, nella quale i giudici riconoscono una autonomia strutturale e funzionale al lease back, negando che possa essere considerata a priori un’operazione illecita41. Il passaggio logico fondamentale su cui tale assunto si fonda è stato individuato, anzitutto, sulla rilevata atipicità del contratto in esame, che non ne consente la sovrapposizione alle figure tipiche del Codice civile (quali compravendita, mutuo ovvero locazione).
Da tale premessa la Suprema Corte enuclea le specifiche finalità dell’operazione economica nel suo complesso – definita “socialmente tipica” e rientrante tra i contratti d’impresa – e gli interessi ad essa sottesi, in particolare quello del venditore-utilizzatore ad ottenere immediata liquidità pur mantenendo la disponibilità materiale del bene alienato; il contratto supera, dunque, il giudizio di meritevolezza di tutela ai sensi dell’art. 1322, comma 2, c.c.
Tuttavia, precisa la Corte di Cassazione, poiché l’istituto si presta a possibili utilizzi fraudolenti ad opera delle parti – volti ad eludere in concreto il divieto di patto commissorio posto dall’art. 2744 c.c. – è necessario che il giudice di merito operi un’indagine circa la effettiva rispondenza tra il contratto astrattamente considerato e la concreta finalità perseguita dai paciscenti.
A tal proposito, la giurisprudenza ha elaborato diversi indici rivelatori del possibile utilizzo “anomalo” del lease back, da applicare al singolo caso di specie. Fra questi, vengono enucleati: i) difficoltà economico-finanziarie dell’impresa venditrice,
40 Cfr., in merito, ex multis Trib. Verona, 15 dicembre 1988, in Foro it., I, 1989, p. 1250; Trib. Roma, 7 maggio 1990, in Temi Rom., 1990, p. 137; Trib. Genova, 30 gennaio 1992, in Giur. comm., II, 1993, p. 427.
41 Cass. civ., 16 ottobre 1995, n. 10805: «[…] lo schema negoziale socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto d’impresa, e caratteri peculiari, di natura soggettiva ed oggettiva, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura, e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt. c.c. (ovvero, quale negozio atipico, affetto da illiceità della causa concreta, ex art. 1343 c.c., per violazione 1344 e 2774 di norma imperativa, e cioè dell’art. 2744 c.c.)».
con possibile approfittamento ad opera della concedente; ii) situazione di debito-credito fra l’impresa alienante e la società di leasing; iii) valutazione economica dell’affare, in termini di non adeguatezza e sproporzione delle rispettive prestazioni;
iv) l’assenza di uno o più elementi caratterizzanti il “tipo” contrattuale; v) arbitrarietà dei criteri adottati per la stima del prezzo di vendita del bene, per la determinazione dei canoni del leasing e per la quantificazione del prezzo di opzione.
La presenza di almeno uno degli elementi indicati è idonea a palesare l’uso illecito dello strumento del lease back, con conseguente dichiarazione di nullità del relativo contratto ai sensi dell’art. 1344 c.c. in relazione all’art. 1418, comma 2, c.c.42.